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Paolo Valera
Mussolini

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XXXV

 

CHI ERA FRANCESCO CRISPI

 

Perché gli odierni esaltatori di Francesco Crispi si ricredano riplasmiamo l'uomo con il materiale della sua esistenza. Così vedremo dall'esordio alla fine che la canaglia sbuca da tutti i periodi. Il primo periodo si è svolto a Torino nel '53. Egli, Crispi, aveva 34 anni. Avvocato, emigrato, conosciuto per agitatore e per i suoi capelli lunghi e a ciocche sul bavero. La polizia piemontese lo ha chiuso fra i prigionieri al Palazzo Madama. Tempi luridi e polizieschi. La vita del profugo era sempre in pericolo. Durante la prigionia di Crispi la giovane che portava al carcere la biancheria stirata era Rosalia Montmasson. È nata tra lui e lei una passione. Scarcerato i patrioti gli fecero una colletta e gli innamorati andarono a Malta. Fecero della miseria negra. Mangiarono pane e insalata e dormirono sulla paglia. Rosalia si rimise al lavoro. Crispi a scrivere la Staffetta che i pescatori facevano penetrare nel reame del re Bomba. Si capisce che la ragazza senza padre e senza madre avesse il desiderio della donna che vuole accomodarsi nella legge per rispetto al mondo. Crispi si è valso della di lei ingenuità per farla passare attraverso una scena matrimoniale che avrebbe fatto sbellicare dalle risa sul palcoscenico. Così è rimasta una scena criminosa. Francesco Crispi è stato capace di preparare il trucco della cerimonia coi testimoni che dovevano assistere e compiuta la farsaccia col prete che doveva benedire, unire e mettere l'anello al dito della sposa, andare a tavola con tutti loro senza rivelare con la risata la turpe commedia. Il trucco è rimasto un segreto per degli anni. Rosalia Montmasson non lo ha saputo che al momento della separazione. Adagio. Io precipito. Ella è stata avviata a Ginevra e lui si è imbarcato per Londra. La lontananza rendeva infelice la Montmasson e non appena la fanciulla è riuscita a raggranellare il denaro sufficiente per il viaggio andò a raggiungerlo in Inghilterra. Divenne emissaria di Mazzini. Portava gli ordini ai personaggi e ai circoli della Giovane Italia e le comunicazioni ai rifugiati.

Vestita come una rivendugliola, con il cavagno della pollivendola o della ovivendola passava i confini senza paura. Crispi intanto faceva l'impiegato di una banca diretta da un compatriota. Poco dopo se ne sono andati a Parigi, dove il "marito" si era occupato in una casa di commercio. Rosalia badava alla casa. L'attentato Orsini lo fece espellere dalla Francia. Egli è stato creduto fra i bombardieri. Lui e la Montmasson ripassarono la Manica. Pillolizzo, per l'esiguità dello spazio. Ella fu con lui fra i Mille. Combatteva, incoraggiava, medicava, portava soccorsi. Alla battaglia di Calatafimi la Montmasson faceva della propria camicia delle bende. Garibaldi si è accorto di lei vedendole le trecce uscire dal berretto garibaldino mentre tirava sul nemico. Ho dimenticato di dire che la Montmasson figurava dappertutto come la "signora Crispi". Il grand'uomo venne eletto più volte deputato. Egli si era monarchizzato. Aveva fatto sventolare a Salemi la bandiera Italia e Vittorio Emanuele. Aveva scritto che la Monarchia unisce e la repubblica disunisce. Il grand'uomo aveva la Riforma. Il trasporto della capitale era avvenuto. L'insistenza per la confisca dei beni ecclesiastici a beneficio della nazione ha sollevato contro di lui il vespaio clericale.

Il primo atto infame di Crispi è nell'affare Lobbia. Egli che sapeva i nomi dei deputati che avevano venduto il voto alla Regia dei tabacchi, malgrado le promesse di rivelazioni fatte a Bizzoni e a Cavallotti, ha saputo tacere con il pretesto del silenzio professionale. Egli ha lasciato condannare dal tribunale di Milano Achille Bizzoni innocente; ha lasciato avvelenare i complici del segreto per le vie di Firenze; ha lasciato pugnalare Cristiano Lobbia senza contribuire a rivelare i documenti nel plico e non ha avuto pietà neppure quando il Lobbia, per salvarsi dai calunniatori e dalla giustizia che lo aveva condannato come autouccisore, si è suicidato. Crispi è passato darwinianamente sul suo cadavere. Uomo eminentemente politico, in nome del segreto professionale ha contribuito a compiere una tragedia che non può avvenire che in una società di sbirri e di sicari. Pillolizzo. Non ho spazio per diffondermi. Mi allargherò più tardi. Per ora resto con "madama Crispi". Coloro che l'hanno veduta nella insurrezione siciliana l'hanno nicchiata fra le eroine. È stata. Io non sono per i marmi. Ma le donne che lo sono dovrebbero elevarle un monumento più alto e più sincero di quello che Palermo ha elevato al suo falsario.

I superstiti della spedizione si sono quotati e le hanno offerto una croce di diamanti. Madama Crispi è stata decorata come tutti i mille. Lo Stato ha votato per lei una pensione, compenso ai suoi servigi. Rosalia per degli anni è stata il centro degli uomini della rivoluzione. A Firenze, in casa sua, aveva ospitato Garibaldi. Crispi aveva fiutato che in lui era un avvenire politico. E da quel giorno l'avvocato si è sentito vergognoso dell'ex stiratrice savoiarda. Ecco il delitto della Montmasson. La disgraziata non era un'intellettuale. E lui ha cominciato a mettere in giro la storiella che la sua donna era stata presa dalla follia delle grandezze. Ella si decorava il petto come una bacheca di gioielliere. Lo faceva arrossire. Fole. Era naturale che non fosse più la stiratrice. Era naturale ch'essa non potesse più adattarsi alle abitudini della pitocca di Torino, di Londra, di Parigi. Crispi era salito. Lei stessa era un nome. La sua toilette non poteva più essere quella di prima. Rifiutata o disamata dall'uomo al quale aveva dedicata la gioventù si è data ad amare le bestie. Per lei erano più buoni i cani e i gatti che il marito. Indispettita, commetteva stravaganze, indossava abiti vistosi. Forse era gelosa. Forse sentiva che dietro lei era un'altra femmina. Crispi vedeva i suoi abiti verdi e si esasperava. Ammetto che potesse separarsi. Che la vita con lei non fosse più possibile. Ma il trucco? Il falso atto matrimoniale con la complicità del falso prete e dei due complici, Depretis e Tamajo? Rosalia che veniva a ogni momento invitata a far casa da sé, che sentiva gli amici che la lavoravano per prepararla alla separazione soffocava i dolori nelle bibite. Beveva. Crispi che passava da un successo parlamentare all'altro, un giorno disperato del ménage che lo disgustava corse dal Tamajo. Glielo ha detto. Egli non voleva più saperne di Rosalia. Piuttosto che riprendere la vita in comune con lei era pronto a uccidersi, a ucciderla. Se ne vada, diceva, le assicurerò la vita. Se ne vada!

"Crispi ti scaccia", le disse il Tamajo. "Vattene. Egli penserà ai tuoi bisogni. Non ti lascerà mancare nulla, ma egli non vuole più udire parlare di te."

Essa rispondeva con i suoi diritti, parlava del suo marito, del suo matrimonio.

Tamajo alzava le spalle. La farsa di Malta ritornava in scena. Non c'era stato matrimonio. Colui che si era prestato alla falsa unione non era reperibile. Bisognava che ella si sottomettesse alla pochade crispina. E così ha fatto, col singhiozzo, col crepacuore. Ella non poteva scegliere che il lastrico o la questura. Ha accettato il mensile per non crepare di fame. La sua bontà è in un episodio. Vedendo un giorno Tamajo verso Montecitorio gli disse con la testa verso il palazzo della Consulta: "Non lo dimentico, sai. Saprei ancora amarlo e consolarlo".

È andata al suo posto la Barbagallo, vedova di un magistrato di Siracusa. Quantunque fosse in azione il matrimonio civile da cinque anni egli la sposò solo in chiesa. Nel '76 il partito lo ha elevato a presidente della Camera. Il discorso inaugurale conteneva questa frase: "Come l'Etna, la fiera montagna del mio paese, ho la fronte coperta di neve. Ma il mio cuore è rimasto caldo e ardente per la mia patria". Il lapsus ha rivelato il rigattiere. I suoi discorsi non sono mai stati i "suoi" discorsi. Egli non aveva che l'arte di impararli a memoria e infondere ai pensieri le vibrazioni dei suoi nervi. Raggiunse il potere del suo sogno: quello di ministro degli Interni. Corse subito il sottovoce ch'egli aveva sposato la Filomena Barbagallo in chiesa. Si è affrettato a sposare civilmente alla chetichella, senza pubblicazioni, a Napoli, quand'ella aveva 33 anni. Il garibaldino ha saputo acconciarsi subito alla livrea. La prima volta che ha pranzato a corte alla tavola di Vittorio Emanuele II, ha indossato il frak ricamato con la placca della gran croce dei santi Maurizio e Lazzaro, con il cappello a piume e con le brache corte dei cortigiani come uno di reggia. La Lina, in fatto di educazione, non dava punti alla Rosalia. Al pranzo di corte teneva la forchetta fin quasi ai denti. Più tardi andava in carrozza coi porchetti vivi, ai quali metteva al collo il nastro rosso. Palermo e Napoli l'hanno veduta con i suoi favoriti del truogolo. Della sua fedeltà non vale la pena di parlare. I suoi scandali di letto sono nelle cronache. Sono arcinoti i bigliettini amorosi agli amanti capitati nelle mani del Comitato dei cinque o dei sette. Uno fra i quali è quello divenuto famoso per l'indiscrezione di un membro dello stesso comitato. Era un invito al prediletto del momento, un giornalista amante. "Vieni, spaccami il c... ma fammi godere." La casa di Crispi non aveva migliorato, forse era peggiorata. Più di una volta, anzi molte volte, egli si trovava a tavola sconosciuti amici della signora. La sua tavola aveva sempre invitati, parecchi invitati. A tavola parlava poco e mangiava meno. Si assentava prima di tutti. Gli ospiti continuavano.

Il colpo tragico è stato compiuto da Nicotera. Vittorio Emanuele era morto. Pio IX era crepato. Mancava la morte morale di Francesco Crispi. Giovanni Nicotera che sapeva del falso matrimonio di Malta, e che aveva una vendetta da compiere, fece trovare sulla toilette di Margherita — appena salita al trono — un numero del Piccolo — nel quale era narrata la bigamia di Crispi. L'opinione pubblica è passata sulla Penisola come un uragano di indignazione. L'articolo è stato riprodotto a Roma dal Capitan Fracassa. Lo scandalo fu colossale. Il 7 marzo 1878 Crispi era in terra in frantumi.

A Milano Leone Fortis, divenuto più tardi il suo illustratore, gridava dal Pungolo ch'egli doveva rientrare nella vita privata. Per due mesi Crispi è passato per un sudicione del focolare domestico. È stata un'esplosione di collera. Un altro uomo si sarebbe sotterrato. Francesco Crispi è andato al tribunale. Non si trattava di un caso di bigamia. Crispi non era bigamo. Era un falsario. Si era appaiato alla Rosalia con un finto atto di matrimonio. Il famigerato curato Vidal, secondo il Tamajo, o non esisteva o non aveva preso parte alla cerimonia. Depretis — uno dei complici — era morto. Il tribunale avrebbe dovuto processarlo per falso in atto pubblico. Si è contentato di dichiarare un non luogo a procedere. Un uomo simile è ritornato al potere. La Montmasson è morta straziata. Io l'ho difesa. Lei voleva processarmi. C'era ancora in lei del rispetto per l'uomo che l'aveva buttata sul lastrico come un limone spremuto. La Montmasson ha lasciato un figlio che io suppongo di Crispi. Lo credo ancora vivo. Era commissario di pubblica sicurezza.




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