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Paolo Valera Mussolini IntraText CT - Lettura del testo |
Tipo che mi piaceva. Egli fu il materazzo degli agenti di questura. Una volta nelle loro mani gliene davano quante potevano. Si ha un bel nasconderlo sotto il silenzio o sotto le frasi di Salandra che lo ha chiamato il tribuno del proletariato. Egli è rimasto fino agli ultimi giorni del neutralismo un oratore atteso a botte. Una volta era riuscito a sottrarsi con la fuga in fondo alle latrine di piazza del Duomo. Lo hanno raggiunto e gliene hanno date fino a farlo diventare paonazzo. È entrato in S. Fedele come un brigante. Urtato, sbattuto, vituperato. Ansante, con la faccia tutta sottosopra. Con le mani agitate, nervoso fino alla esasperazione. Questa fama di cliente che doveva essere domato a pugni era uscita dalle sentine di Milano. Come agitatore era stato paragonato a John Burns, un riottoso di tutti i riottosi delle officine e dei selciati londinesi.
Lo trovai una domenica a Parma, oltre torrente. Non lo hanno lasciato finire di mangiare. Doveva essere subito portato a Milano. Lo si desiderava al Cellulare. Così addio discorso. Non so se lo abbiano battuto prima di sostare in carcere. So che è stato caricato nel treno verso sera. Non so perché non c'è mai stato un ministro che abbia fatto punire severamente gli agenti prepotenti che vilipendevano e scarnificavano il detenuto. Vi fu un momento che tra lui e Mussolini era nata un'abbietta calunnia. Non si sapeva dove il Corridoni l'avesse potuta raccattare. O documentare o sottomettersi. Fu affare finito. Non c'era più ragione di revolver. Si sono trovati sulla stessa piattaforma degli interventisti.
Io lo incontravo prima della guerra sovente nelle vie strette e isolate, con qualche libro francese in mano. A quel tempo leggeva Musset. In prigione il cappellano gli dava tutti i libri che poteva. Gli si voleva un mondo di bene. Sindacalista, scriveva articoli tracotanti. Qualche volta, come nei paraggi di porta Garibaldi, orava dall'alto dei trams. Malgrado le sue molte malattie, era un atleta. Studiava girando da un quartiere all'altro; prendeva i treni, correva sui piazzali dove era aspettato e aveva finali che facevano tramortire le polizie locali. La rivoluzione, venisse dall'Oriente o dall'Occidente, non aveva mai ritardi in lui. Era sempre a sua disposizione. Parlava di Giacobini, di Girondini, di regnanti che avevano abbandonato il trono con la fuga. A poco a poco era riuscito dotto. Conosceva si può dire ogni movimento. Nelle conversazioni sapeva subito intervenire con l'erudizione. Conosceva il tradunionismo. Sapeva in quali paesi erano cadute le teste malvage dei regnanti e dove erano state sostituite dalle repubbliche. Si può dire senza dubbio che egli fu uno spoltritore di masse. Orazioni di uomo che si abbandonava alla fantasia. È partito vestito da soldato. Aveva l'aria di essere allegro. Si voltava indietro commosso a salutare e a stringere le molte mani che lo salutavano.
I medici mi hanno spaventato. Aveva molte seccature fisiche. Era tubercolotico. Aveva le vene varicose e portava le calze di gomma. Come noia aveva anche una fistola all'ano. Gli venne operato un fiemmone al fronte, qualche giorno prima di morire. Non parliamo del suo sangue. Come tutti quelli che hanno fatto la vita attraverso i bassifondi, glielo avevano infettato. Un altro con tanti malanni si sarebbe preoccupato di se stesso e avrebbe tentato di ricuperare la salute. Lui invece si gettò a capofitto nel movimento dell'indipendenza d'Italia e andò fino alla morte senza voltarsi indietro.
Io che avevo fatto il garibaldino nel '66 e non potevo più avere gli anni utili dovevo arrossire.
Tutti sanno come sia caduto. Fu una morte trionfale. Uscito all'assalto dalla trincea delle Frasche, incoraggiava i compagni cantando la canzone di Oberdan. Prima di giungere alla trincea nemica era caduto bocconi. Non ci fu di mezzo che qualche minuto. Una granata austriaca completò la tragedia. Non lo si trovò più. Era stato polverizzato o distrutto. Nessuno ha saputo più rintracciarlo. In un attimo era passato alla storia. Nessuno poteva dimenticarlo. I compagni che gli avevano voluto tanto bene, ne udivano ancora la voce che diffondeva la grandezza di morire per la patria. Ha avuto l'aria di un dominatore di folle. In piazza del Duomo fu ricordato per un pezzo, dove ogni sera faceva il suo discorso sui gradini della cattedrale. Fu geniale. Con tanta vita vissuta avrebbe lasciato un volume dei suoi ricordi. Non ha avuto tempo di scriverli. Povero Corridoni!