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Paolo Valera Mussolini IntraText CT - Lettura del testo |
Con la morte di Felice Cavallotti la democrazia italiana ha perduto ogni impronta di fierezza e di virilità. Si è smascolinizzata. Si è invigliacchita. Dopo il '98 Carlo Romussi non è più stato riconoscibile. La numismatica lo ha fatto entrare nella zona delle penne addomesticate. Il Secolo dopo di lui ha perso d'importanza. È divenuto un giornale floscio. Stinto. Cortigiano e voltafaccia come tanti altri. I Cappa, gli Agnelli, i Gasparotto colle loro inversioni cerebrali hanno cooperato a snaturarlo. È finito nelle mani di Giuseppe Bevione, il principe dei bluffisti libici.
I cavallottiani sono oggi gente morta. Ettore Sacchi non era più che un'ombra sparuta. Del cavallottismo non aveva conservato che l'onestà personale. Più volte ministro, lasciava il dicastero più povero di quando vi era entrato. Gli ultimi suoi anni furono penosi. Difendeva nelle preture per il tocco di pane, come un avvocato alle prime armi. Quando l'on. Francesco Giunta nel suo discorso a Napoli ha svillaneggiato Felice Cavallotti chiamandolo "pagliaccio politico" trasalimmo. Ci siamo chiesti se poteva essere vero. I giornali ci hanno confermata la mascalzonata. Non udimmo una protesta intorno a noi. La democrazia non ha reagito. È stata vile. Ha finto di credere la villania insussistente. Non l'aveva trovata nel sunto della Stefani. Ha finto di non capire che il sopprimitore della becerata giuntiana aveva dovuto essere Benito Mussolini. Felice Cavallotti con la sua vita eroica di poeta guerriero, di garibaldino, di scrittore, di giornalista e di deputato flagellatore implacabile di tutte le camorre parlamentari non lo si poteva lasciar sfigurare dalla frase sconveniente di un botolo ringhioso. Benito Mussolini ricordava la immensa costernazione che aveva colpito tutta quanta la nazione alla notizia della di lui morte nel triste dramma di Villa Cellere. La commozione ed il dolore erano stati universali. Tutta Italia piangeva. Tutto il mondo civile deplorava la grande sventura. La guigne del povero Cavallotti era stata terribile. Atroce. Oggi lo possiamo dire. Ferruccio Macola avrebbe voluto evitare di andare sul terreno. Ma non ci fu verso. Qualche ora dopo il grande tribuno era in terra con la gola recisa. La punta della sciabola di Macola gli era penetrata nella cavità della bocca, nello spazio lasciato vuoto da tre denti mancanti, e aveva ferito il fondo della gola. Il dramma si svolgeva in casa di un'amica di Francesco Crispi. Il morto ha dovuto indossare la camicia da notte del suo più grande avversario. Tutta la Camera senza distinzione di partiti lo ha commemorato e pianto come una sciagura nazionale. Il trasporto della salma da Roma a Milano è stato un'eruzione di dolore. I funerali di Milano parvero una visione immensa di commozione. Un corteo di trecentomila persone lungo un percorso di tre chilometri. Il discorso di Filippo Turati al Monumentale velava gli occhi di lagrime. Riesumiamolo. È una pagina superba che ancora oggi è viva e commemora fieramente il Morto dopo il recente oltraggio inflittogli dal discorso Giunta e la vile latitanza della radicanaglia italiana. L'intervista dell'on. Luigi Fera intorno all'avvenimento di Napoli ci ha stomacati. Per mascherare la propria vigliaccheria di invertito egli ha massacrato la figura del grande lottatore parlamentare con un'accusa di "smarrimenti". Paltoniere! Felice Cavallotti non ve lo siete mai meritato. Era troppo in alto con le sue virtù civiche per raccattare i vostri escrementi cerebrali di leguleio opportunista.
FELICE CAVALLOTTI
COMMEMORATO AL MONUMENTALE
"Non finì egli solo. È finita l'opera con la quale tutto un mondo, sacrato al tramonto, tentava disperato resistere alle corruzioni profonde che lo inquinarono; tentava di sfuggire al destino, o più degnamente soccombere.
"Con audacia tenace garibaldina, egli, levatosi di fronte agli irrompenti vibrioni della precoce putredine — «non per questo», gridava, «si salpò da Quarto; non per questo un popolo di prodi e di martiri ingrassò le zolle d'Italia e gremì le segrete; non per questo, cento volte, con spensierata baldanza, offrimmo ai Mani irati della patria e i giovenili sogni e la vita; non perché al banchetto si assidessero, nell'apoteosi, i ciarlatani, i sopraffattori ed i ladri!» E voi, invocava, o dee, a cui egli credeva — Verità, Libertà, Giustizia — e di voi si doleva che sembraste invecchiate e tarde a muovergli incontro.
"Respinto, non fiaccato, ripigliava l'assalto sisifeo; della spada di Milazzo e del Volturno, mutati i tempi, s'era fatto il bisturi da opporre alle invadenti cancrene; e dove egli era — o fosse il campo, o il Parlamento, o la piazza — ivi era spalto e trincea, ivi il fragore e l'impeto di una santa battaglia, come se — più forte dei fati — in lui fosse passata l'anima del suo Generale.
"Questa, amici, la rivoluzionaria opera sua — non importa se il suo labbro ne proferisse il nome. Qui, cittadini, il segreto della sua giovinezza perennemente vivida e ingenua, il segreto della sua vita — e quello, cittadini, della sua morte.
"È morto, ed è l'ultimo!
"L'ultimo! Intendete, cittadini, lo strazio di questa parola? Perché essa ci annunzia che qui non a un uomo diciamo addio; ma a una generazione d'uomini; a quanto fu in essa di bello, di alto, di fiero; che non un sepolcro è questo che spalanchiamo, ma un cimitero vastissimo, nel quale un'era della storia riposa.
"Per questo il funerale è così immensamente grande, così immensamente triste.
"Ma le schiere, per le quali io qui parlo, son testimoni alla storia, che la fiaccola che tu deponi, o poeta, non si è spenta con te; e sarà raccolta e tramandata ai venturi. Esse, che già più volte han pugnato al tuo fianco! — che sentivano te — che tu sentivi — che, malgrado le fuggevoli ire dei dì di tempesta, ti ammirarono, sciolto da settaria pastoia di formule, prorompente incontro all'avvenire, immemore di te, con quella foga medesima con la quale balzavi contro il ferro avversario nelle singolari tenzoni — esse, reclinando oggi sulla tua bara la loro rossa bandiera, la bandiera del colore che tu pure amavi, sanno che l'ombra sua non ti sarà molesta. Sanno che, allorquando la rocca dell'iniquità, a cui tu vibravi da dentro così poderoso il piccone, mentr'esse l'accerchian da fuori, cadrà smantellata, — esulteranno le tue ossa, o poeta, o soldato!
"O cavaliere dell'ideale, o milite della buona battaglia, o lavoratore pertinace ed indomito, anche dall'ara che chiuderà la tua spoglia, nell'ore buie della vita, trarremo gli auspici."