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Ippolito Nievo
Antiafrodisiaco per l'amor platonico

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VIII

 

Nella rivoluzione

 

In quel tempo nel nostro piccolo mondo insorse qualche baruffa alla foggia moderna, ma somigliantissima alla Mitologica che descrive Esopo fra le Rane, ed i Topi. Per una maledetta fatalità mi toccò restar in muda come una quaglia quasi quattro mesi, dopo i quali fui ridonato alla campagna, all'aria libera, e a tutto il resto di cui prima mancava assolutamente. Indovinate il primo conoscente che abbracciai nello stanarmi dalla mia ascosaglia? Fu il nostro Anonimo, il quale era tanto immerso nei calcoli geometrici, che non si addiede neppur di me; ed io battendogli sulla spalla lo distolsi dalla contemplazione di due gambette che saltellavano dall'altra parte della strada. Quelle gambe avevano dell'artistico, e meritavano certamente una lente per ammirarle, per cui non son sorpreso, se egli in appresso si procurò il piacere di osservarle minutamente, senza nessun pregiudizio ai diritti dell'amabile Ottavia.

Non sapendo immaginare di meglio mi sprofondai anche io nello studio delle Matematiche, e mi destai da quell'estasi sublime con quattro eminenze in saccoccia, il fardello in ispalla, ed Anonimo di dietro che mi gridava a tutta gola: Presto scappiamo, scappiamo! Fino a dodici miglia innanzi un nostro carissimo amico ci offerse la carozza pregandoci soltanto di favorire lo scotto al vetturale: ma quando dovemmo scongiurare le nostre gambe a condurre noi, ed il nostro fagotto allora ci accorgemmo che come ai tempi di Agrippa Menenio i nostri membri non erano tutti d'accordo, e che se il cervello diceva di sì, le coscie, i piedi, e la schiena propendevano pel no! — Ma l'urgenza sedò i partiti, e la testa finalmente la vinse.

Su tutta la strada era una confusione di casa del diavolo — tutti in grazia di quella baruffa che sopra ho accennato. Vi fu uno che dalla paura si gettò nel pozzo, un altro che dalla fretta di arrivare a casa ad avvisar agli amici che non era morto, perdette il respiro, e morì a un quarto del viaggio. Noi però viaggiammo intrepidi verso i domestici penati: Anonimo per amore dell'Ottavia, ed io per amicizia di lui.

L'unica persona che viaggiasse della nostra banda fu un vecchio ciabattino il quale si vantava d'una particolare relazione con Napoleone. Io avvisai che si trattasse di scarpe — e chiesi se l'Imperatore calzava di seta, o di merinos.

Uf! — risposeera ben altro io allora! — le mie le eran relazioni diplomatiche!

— Sarebbe possibile, soggiunsi fra i denti, che tu fossi una spia? perché mi ricordo il proverbio: Semel abbas, semper abbas.

E feci d'occhietto ad Anonimo, e prudentemente tirammo innanzi. Anonimo ripeteva sempre: E dove sei tu, o candida perla del Mar Persico, o olezzante rosa di Pesto, oppure, o giglio di S. Antonio! — Ahi, dove ti troverò io, e in quale stato? — Poiché è indubitato che gli Eroi di Marte hanno in tempo di guerra una specie di processo sommario in fatto di matrimonio! — Cosa sarebbe di me, se ti trovassi vedova d'un capitano che vivesse ancora? — o sposa di dieci o dodici malandrini che mi ti contendessero a fucilate? — o vivandiera di qualche reggimento? — o donna di cucina di qualche Generalone?

Ed io lo consolava in tali termini: Tutto è possibile — quello che è fatto è fatto. Fa d'uopo della rassegnazione.

Ed egli comprendeva che io aveva ragione, e si consolava perfettamente bestemmiando peggio di Maometto.

Dopo due giorni riabbracciammo mio padre con tutta la effusione di cuore, e tutto l'appettito possibile — poiché era un mese che non lo vedeva, ed in quanto allo stomaco egli non aveva più memoria del suo ultimo pasto. Ci sedemmo io, ed Anonimo a tavola — e dopo due ore Anonimo aperse la bocca, e m'interrogò — e un'ora dopo ancora io apersi la bocca per rispondergli, ma aveva le mascelle così infiacchite che non ci fu maniera di compiere un accento, e bisognò che mi portassero a letto dove sognai d'essere diventato una botte.

Alle nove di mattina schiusi un occhio, e alle dieci spalancai l'altro; udii l'Anonimo che dormendo pronunciava con tanta devozione il nome di Ottavia che io ne fui commosso, e lo destai per dirgli: Alla gamba, amico, se vuoi vederla fuori di sogno! Ci alzammo; e siccome un prima un Signore di quei dintorni ci aveva esibito cavalli e carozza per tutte le parti del mondo, ce ne andammo a lui tutti fidenti nella sua cortesia, ed egli ci offrì prontamente un bicchiere di vino, e si dimenticò sgraziatamente dei cavalli, e della carozza.

Mi separai da Anonimo a mezza strada da casa sua, e dopo il giuramento formale di scriverci spesso, io ritornai presso mio padre. Sapete dove abitava mio padre? In un bel paesone, colle strade tagliate ad angoli retti, con piazze spaziose, con due belle chiese, con terrapieni magnifichi, e con sei bastioni da Fortezza, e nulla più. Perché riguardo alle creature ragionevoli vi era deficienza radicale. Me la spassai spingendo le mie escursioni nell'interno del territorio benché brucciasse il Sole d'Agosto; fu allora che mi saltò in capo una smania di viaggiare tanto formidabile che fino sotto le coltri non poteva restarmi dal dimenare furiosamente le gambe, massime qualche notte che mi pareva d'essere nell'harem del Gran Sultano, e l'illusione era completamente reale, fuori che nella località. Qualche sera mi solazzava stranamente in una certa famiglia giocando col gioco dell'Asino, che è un divertimento proprio indigeno di quel paese. Ma finalmente stanco delle mie escursioni, delle mie illusioni reali della notte, ed annojato del gioco dell'Asino, e degli Asini che lo giuocavano con me deliberai di gettarmi alla boscaglia, come un uomo selvatico, e dopo quattro mesi d'una vegetazione così metodica, me ne andai in traccia di vitalità fra i villani, e le villane, e in queste ultime ne rinvenni oltre il bisogno.

Anonimo in questo mezzo mi tempestava di lettere, ed io col mio scudo parava alla meglio i suoi colpi, e glieli rimandava colla balestra. Egli non cessava dall'encomiarmi le virtù, e le perfezioni della Signora Ottavia, ed io gli rispondeva encomiando le mie, ed esortandolo a far giudizio. Non mi ricordo precisamente le bellissime cose che gli scriveva, ma in diffetto della mia memoria vi prego di rivolgervi a lui che conserva i documenti autentici.

Circa quel tempo una certa mattinata fresca fresca io divorai quattro fette di polenta, e mezzo pollo freddo, ed uscii di casa contentissimo di me, e del mio stomaco. — «Chi è quel cappellone laggiù sulla strada? — È lui, non è lui, ma sì poiché è lui! — è proprio Anonimo che mi favorisce d'una carissima visita!». Voi potete immaginarvi tutte le botte, e le risposte del nostro colloquio - ed io aggiungerò a tutto quello che avrete fantasticato, come combinammo un viaggietto pel prossimo Gennajo, e come Anonimo il giorno dopo sparì tra le nebbie che ascondevano la mia abitazione — ed io rimasi solo soletto a far l'esame di coscienza col mio angelo custode.




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