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Ippolito Nievo Antiafrodisiaco per l'amor platonico IntraText CT - Lettura del testo |
Prologo ovvero preparativi
all'amore
Riprenderò dicendovi qualche cosa di quello che Anonimo aveva fatto durante la mia assenza. Da bravo avvocato egli aveva perorato la sua causa e la mia. Egli era passato per un cielo senza nubi, aveva consumati i suoi giorni baciando la sua Ottavia, pensando a lei, scrivendole spesso, o leggendo le lettere ch'ella gli scriveva; e a dispetto di quelli che asseriscono, il contento trovarsi nelle varietà, aveva goduto di sette mesi d'incessante delizia assorto in una sola occupazione. Non vi maraviglierete dunque s'io lo trovai di buonissimo umore, e facilissimo a sperare, ed a credere alle più lievi congetture — tale è il destino della gente felice.
Ed egli già s'immaginava di far le sue nozze colla Signora Ottavia, e di congratularsi con me delle mie gioje coniugali divise coll'incomparabile Morosina.
Mi raccontò poi vari incidenti della sua vita, che non avevano nulla di particolare, ma che interessarono molto un amico come era io. Mi raccontò che in casa delle Signore, bazzicava un certo Dottor Torototella famoso ciarlatore che teneva sempre la lente all'occhio, e che voleva aver sempre ragione.
— È un buon giovane! mi disse — cioè non c'è male! — ma ha la pretensione di fare l'uomo di spirito, e questo è quello che guasta l'altre sue qualità.
O Dottor Torototella tu fosti proprio il mio angelo tutelare! — Io non supponeva nemmeno per ombra in quei giorni di rosa la gratitudine che mi avrebbe legato a te! e meno poi la specie curiosa di quella gratitudine! Basta! il negare che il destino sia il miglior Romanziere del mondo sarebbe il negare l'esistenza di se stessi, e la malizia del genere umano.
Mi diede notizia poi dello stato famigliare del Signor Filostrato. Esso aveva adoperato nel curare i propri interessi la logica che usava nel ragionare di politica, e l'esperienza gli era riuscita fatale. Aveva fatto debiti sopra debiti, e finalmente si era buttato per disperato, e non voleva più pensare agli affari suoi, lasciandone la cura alla Providenza, la quale (sia detto col dovuto rispetto) è il peggior amministrator che si trovi. La sua cara metà, e le tre figliuole, avvezze ad un viver agiato, non volevano ridursi ad una stretta economia, per cui il dissesto si faceva più grave.
Sono povere — soggiungeva Anonimo — meglio così: vedranno che non le sposeremo per interesse! — e così dicendo rideva e diceva le cose più pazze del mondo e non cessava dal benedire la sua Ottavia della quale, diceva, un sol bacio val la dote d'un milione. Il suo umore influì sul mio. Le lodi sterminate ch'egli tributava alla mia futura metà misero in moto la mia immaginazione. Io me la fabbricai a mio modo, e vi assicuro che il modello non era dei cattivi. Fu mia debolezza se m'innamorai d'una creatura della mia immaginazione? Fu mia colpa se quando trovai la Morosina di carne ben diversa dal mio idoletto ideale, il mio amore si risolse in acqua fresca? Meditate su tal proposito, che io vi narrerò intanto come io, ed Attilio montassimo in un calessino. Non è bisogno che vi precisi la direzione del viaggio — lo indovinerete quando vi dirò che il mio cuore era tanto riboccante di sentimenti, e la mia mente di contraddizioni, che durante la strada pensai, e pensai, e non venni ad alcuna conclusione. Anonimo si beffava delle mie incertezze, ed io consentiva con lui d'esser degno d'esser fischiato.
Passammo tramezzo ai famosi pilastri; ed eccoci ambedue smontati rimpetto alla porta di casa. Nell'andito trovammo la Signora Nonna che zoppicava per una caduta, e una bimba di due mesi che strillava a più non posso. Questi non erano gli oroscopi più fortunati — tuttavia io non sono superstizioso, ed entrammo nella sala da pranzo ov'era radunato il resto della famiglia. Saluti di qua, riverisco di là. È sempre stato bene? benissimo! e lei, e lui, e loro? Bene. — Io ho avuto un raffreddore; io ho buscato le febbri, etc. etc. V'immaginerete che durante questa introduzione necessarissima buttai diverse occhiate alla Signora Morosina, che tranquillamente seduta abbocconava un bel pezzo di manzo, con tutta la serenità della buona coscienza. O Morosina, era dunque proprio vero che m'amavi! poiché la mia presenza ti sviluppò l'appettito in maniera, che nell'ora e mezza ch'io ti sedetti vicino non cessasti mai un attimo dal dimenare le mascelle! — E poi non era forse l'amore inaffiato da qualche sorso di vino che ti coloriva le guancie? Questa scoperta mi gettò un zolfanello nel cuore, e se non era il Signor Filostrato che affogasse l'incendio con un diluvio spaventoso di ciacchere, la mina sarebbe scoppiata. Dopo pranzo Anonimo era scomparso, l'Ottavia si era eclissata, la Signora Mamma, il Signor Papà, i cari fratellini eran iti a elaborare la digestione all'aperto. Restammo in camera io e la Morosina. O adorabile modestia! — non appena ella si vide sola con me abbrancò un bel pezzo di formaggio, ed un tozzo di pane che restava sulla tavola, e se la diede a gambe lasciando me soletto a meditare l'immensità dell'amor suo.
Indi a poco raggiunsi la comitiva nel giardino. Ebbe gran ragione quel sapiente che disse non esser necessario ad aver buona fama in società, che un austero silenzio ed un abito nero.
La Morosina aprì due sole volte la bocca per dire un sì, ed un no. O come mi sembrò adorabile quell'economia di parole! perché ella non voleva abbagliarci col suo spirito, perché insomma l'interna soddisfazione d'esser amata le toglieva fino la voce! — E poi qual persona di buon senso può dir tre parole senza soffocare, dopo un pasto alquanto esuberante? — I medici in tale stato consigliano la profonda quiete, e la Morosina si dimostrò un'assai buona infermiera di se stessa. Sull'imbrunire rinnovammo i soliti complimenti — e si partì pieni di buone speranze. Anonimo era trionfante — ed il povero cavallo se ne accorgeva all'attività della sua frusta.
— Ecco fatto il becco all'oca, egli disse — Che la Morosina ti ami è chiaro, e lampante!
— Dunque animo! vedrai che in meno di due mesi tu sei immerso in un mare di gioje!
— Tutto sta che non vi sia il naufragio!
— Oh questo poi no! — Devi far prima i patti colla Morosina, e farti assicurare la integrità personale, e la perfetta condizione di tutte le tue proprietà fisiche, e morali.
Dopo un sì sensato ragionamento arrivammo a casa, e tutto finì, in dodici ore di sonno. Così finiscono per solito indistintamente le mie afflizioni, e i miei piaceri, e tutta la lode ne è dovuta al mio buon temperamento.
La mattina a colazione si discusse un progetto di riprendere gli studi. Si trattava di sbrigar in un mese quello per cui si avrebbe dovuto sudare un anno intero. Il progetto fu accettato all'unanimità, e stendemmo istanze, e sopra istanze a tutte le loro Eccellenze del mondo per ottenere la grazia desiderata; e mentre nel cervello delle prefate loro Eccellenze si elaborava la Risposta (operazione assai difficile e di lunga durata), noi trottammo verso l'insigne paese di R... in cerca d'un Professore, e il Professore lo trovammo bello, e fatto in un buon Ingegnere di quelle parti, il quale amava la scienza, e il vino, e i buoni pasticci, e gli allegri compari com'eravamo noi. Trovammo nella sua piccola scuola dei nostri vecchi amici di cui voglio farvi fare la conoscenza. L'allegro Matusalem, che diceva tutte le donne esser baldracche — l'impassibile Ettorino, che vogava come un gondoliere, ed asseriva esser fondatissima la proposizione un po' ardita del primo (notate ch'ei faceva all'amore colla caffettiera), il piccolo Zorz tanto amante dei feuilletons e delle appendici, ch'egli s'avea trovato un'innamorata con una discreta appendice dietro la schiena — il dottorale Meno-male che cantava benissimo da Ebreo; e finalmente l'innamoratissimo Baritola che amava la sua Corinna, al pari, e forse più d'un bicchiere di vino. Aggiungete a tutti questi il ferocissimo Anonimo col suo culto idolatrico pel sesso più debole, e il qui presente Signor Incognito colle sue dubbiezze in capo, e colle sue bazzecole in bocca, e se non avrete gli elementi per formar un'Accademia di Stoici, e di Peripatetici, ne avrete certo per unire una società di buontemponi.
Immaginatevi Matusalem che azzardò la sua eresia contro la razza femminile. Vedrete Ettorino ad accennare di sì, pensando alla sua Rosina; ed ecco Anonimo che va sulle furie al sentire una tal bestemmia, ed ecco Zorz che vuol eccettuare la sua gobbetta, ed ecco Baritola che domanda grazia per le vecchie e per la sua Corinna ed eccomi io che m'affatico nel metterli d'accordo con un mezzo termine; ed ecco finalmente Meno-male che per suggellare la concordia canta superbamente la canzoncina del Gnor Rabbin, e l'esimio Professor che rinfresca le teste un po' esilarate dalle discussioni, e dà frequenti libazioni con un quesito di Meccanica, e una proposizione di Filosofia.
La conversazione allora s'ingolfa nelle astruse, e dubbie verità della Metafisica. Sopraggiunge l'oste il Signor Cartesio che è partigiano delle idee innate, e dei conti grossi — entra l'avvocato Zuccamarina che sostiene Cartesio, e cita l'autorità di Iafet, figlio di Noè che lasciò un'opera di cento volumi in proposito. Noi sosteniamo che le idee non sono innate, anzi che spuntano come i funghi. Il Professore tace, e sorride perché ha vuotato il decimo bicchiere, e non ci vede più chiaro.
Arriva il Signor Bellegarde col suo pipino di gesso; egli porta la discussione sulla bontà relativa delle varie minestre. L'uno sostiene il riso, l'altro le tagliatelle, un terzo i maccheroni. I partiti si dividono — prima se ne contavano due, ora ogni persona ha il suo, e fa guerra a tutti gli altri. Tutti però si accordano nel affermare che fa un caldo insopportabile, e che bisogna spalancar le finestre. Ma il caldo non è nella camera, sibbene negli stomachi, e nei cervelli. Dalle minestre si passa a ragionare del perché il meno per meno debba far più. Uno lo prova chiaramente, perché meno moltiplicato per meno è più di meno scritto una volta sola; il professore afferma che deve essere così, poiché sta scritto sul Gorini. Ma noi non cediamo all'autorità del Gorini; per convincerne abbisogna che Zuccamarina citi l'autorità di Adamo, il quale moltiplicato per Eva, fece nascere Abele, Caino, Set, e finalmente tutto il genere umano dei nostri giorni il quale rappresenta certamente un più in confronto a quei due poveri minchioni dei nostri progenitori. Finalmente i ragionamenti si confondono — si rinnovella il miracolo della torre di Babele, — uno propone di andar a spasso, e per far più presto di saltar giù dalle finestre. Si accetta la prima parte della mozione, ma si crede opportuno di scendere per le scale.
Si passeggia lungamente sull'Argine — il fresco della sera rende le teste al loro stato normale, — e la compagnia si discioglie. Uno va a far l'amore; un altro a bere un caffè; chi va pei suoi affari; chi pei suoi piaceri, e chi finalmente pensa bene di non far niente.
Io mi trovava quasi sempre nella ultima categoria, e solo faceva eccezione per qualche partita di bigliardo.
Vi piacque la prima scena dei nostri studi? Ora sappiate che una tal scena si rinnovellava due, o tre volte la settimana; e che i giorni d'intermezzo erano sempre dedicati alle visite simpatiche delle nostre belle. Diffatti non passavano tre, o quattro giorni senza che io, ed Anonimo andassimo alla campagna delle Signore, a passarvi un pajo d'orette. Una sera fra le altre nel ritornare a casa ci sorprese un temporalone, e benché fossimo quasi alla metà della via, pure pensammo bene di ricoverarci sotto il tetto delle nostre innamorate, e vi arrivammo che il temporale era bello, e cessato, in un costume così umido e sconcio che si sospettò da alcuni, che ci fossimo cacciati a bella posta in un fosso per destare maggior compassione. Io protesto che ciò non è assolutamente vero.
Contemplando la Morosina, ammirando il suo bel visino e la sua poca loquacità, ridendo cogli amici, e pascendoci a buon mercato di tutte le scienze di questo mondo, si arrivò al cuor dell'inverno. Le Signore parlarono di ritornare alla città, ed il Signor Filostrato che odiava la campagna come la morte, le impaccò in un birroccione che le strascinò sane e salve fra le patrie mura. Fu nostro divertimento in quel giorno di correre come due Laquès davanti al loro ronzino; per cui posso dire che anche le gambe hanno avuto parte dell'amor mio, e ne hanno provato il peso. Così fossero state soltanto le gambe!...
Benché le Signore fossero alla città, pure io faceva spesse visite alla campagna d'Anonimo; egli più spesso ancora ne faceva a me; e in conseguenza alle adorabilissime, e amantissime fanciulle. Poiché è vano il dire che io pure aveva trasportato in città il mio domicilio.
Ma nella casa di Anonimo non era egli solo l'innamorato, vi era il Signor Grisostomo, il quale prescindendo dalla sua debolezza universale per le femmine, amava la Signora Melliflua figlia primogenita d'un bravo agricoltore di quei dintorni. E noi ci divertivamo spesso a motteggiarlo, ed egli si divertiva nel girar intorno alla Melliflua come una vespa intorno al miele. E la Signora non diceva niente, e sperava nel futuro. Quello si poteva dire un amor pacifico! — vedremo poi com'egli andò a terminare, e conoscerete, che gli amori pacifici non sono i peggiori degli altri, né i più ridicoli, come sono rappresentati nelle farse.