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Ippolito Nievo
Antiafrodisiaco per l'amor platonico

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XIII

 

Peripezie invernali

 

È una gran cosa la società: — essa contrasta all'ozio la paternità di tutti i vizi! — Dico la società, intendendo di quelle unioni che si formano per conversare, per ridere, per ballare — di quelle unioni in cui le donne si lasciano conquistare da chi ha il solino più alla moda, e la barba meglio appuntata. Le nostre Signore non frequentavano il mondo, per cui eravamo noi i soli che andassimo a tener loro compagnia. La Signora Ottavia rideva per mostrar meglio i denti, la Signora Egiva rideva anch'essa perché vedeva ridere, e la Morosina mi guardava di sottecchi fra uno sbadiglio, ed un punto dato ad una calza; una delle più belle nostre occupazioni era quella di smoccolare i lumi, in cui tutti gareggiavano di abilità — perché si sa bene il proverbio: Chi spegne è innamorato! Ed una svista, una scappatella della mano, valeva una dichiarazione estrinsecamente, ed intrinsecamente un'orrenda puzza di smoccolatura per tutta la stanza. Io, ed Anonimo come si vede facevamo la parte degli stupidi, non perché lo fossimo (Dio ce ne guardi!) ma perché le conversazioni sono specialmente caratterizzate dal vario spirito delle Signore, e alle volte quattro frasi di un bel bocchino fanno diventar sapiente uno scimunito, mentre molte altre volte un monte di chiacchere donnesche, un profluvio di sorrisi senza sale istupidiscono un povero galantuomo che in altro luogo sarebbe pur qualche cosa. Ma la mia immaginazione che allora galoppava sempre, come un cavallo da posta ad una discesa, mi faceva passar sopra a questo inconveniente, ed io non ci pensava più che tanto.

A distrarci venia di sovente il Dottor Torotola che io non conosceva, e che ebbi campo di conoscere per lungo, e per largo in appresso. Una sera fra le altre capitò anche Messer Gionata Beccafichi e trovandosi in casa anche il Signor Filostrato si formò una compagnia delle più strane.

Si parlava di politica.

Io diceva: la nostra patria è una donna ammalata che ha la tegna in testa, l'artritide, e il sangue bleu al braccio destro, che è monca del sinistro, e che ha finalmente un canchero nel ventre, e una gotta dolorisissima ai piedi. Ma in un paese occidentale fu scoperto due anni fa un sugo onnipotente che può guarirla da tutti i suoi malanni. L'applicazione del rimedio è cominciata dall'interno. Non si conosce ancora all'epidermide il vantaggio — ma finita la cura le sue membra ch'erano fracide, e discordi una dall'altra, si rianimeranno, e formeranno un corpo solo pieno d'avvenire, e di forza.

Il Dottor Torototela si mise l'occhialino, e accennò di sì, spiegando il suo fazzoletto bianco — e la Morosina mi domandò di che Signora aveva parlato, e se il rimedio accennato non fosse per avventura, lo Sciroppo Pagliano.

Il Signor Filostrato parlò molto in proposito, ed il Signor Beccafichi conchiuse che se la China si decidesse a mandar un esercito a conquistar l'Inghilterra — certo certissimo, gli Americani degli Stati Uniti verrebbero a colonizzare l'Italia.

— Chi può prevedere, aggiunse egli, gli avvenimenti che si potranno succedere in due, o tre anni! Io credo che siamo vicini ad una seconda trasmigrazione dei popoli! Si dice che i socialisti di Francia vogliono noleggiare una barca per trasportarsi in California, e stabilirvi una Repubblica, per poi venire a conquistare l'Europa da qui a due tre mesi! —

Le ragazze facevano degli occhioni da spiritare; io, Anonimo, e Torototela che aveva del buon senso ridevamo di soppiatto — e il Signor Filostrato incalzava il ragionamento frammischiandovi i Tartari, i Mongoli, i Piemontesi, il Monte Bianco, e l'Imalaja. Io credo che se in cielo ci occorressero progetti per dare una nuova costituzione al mondo, Domeneddio non avrebbe a far nulla di meglio che mandare il fuoco di Elia per prender Mastro Gionata e il Signor Filostrato, e portarseli con lui consiglieri intimi del Paradiso.

Immaginatevi come si rideva di gusto, quando levata la seduta si usciva dalla porta, e si camminava verso il Caffè? Per solito giuocavamo una partita di bigliardo, ed al giuoco si frammischiavano mille misteriose allusioni all'accaduto della sera. Non appena però suonavano le undici, Anonimo gettava la stecca e correva all'impazzata fuor dalla sala, e ne aveva ben d'onde; perché era quella l'ora che segnava tra lui, e l'Ottavia un appuntamento ad una finestra del pianterreno. Una sera mi venne la voglia di seguitarlo da lungi per osservare cosa facevano in quel celeste appuntamento — e da quello che vidi, conchiusi che fu una provvida idea quella delle inferriate non solamente per salvarsi dai ladri, ma anche per difendere le donzelle da certi slanci d'amore dei giovinotti. Il povero Anonimo era tanto stretto contro quella indiscretissima grata, che perdeva il zigaro, il cappello, e qualche volta persino la testa.

Qualche rara volta capitavano dal Signor Filostrato alcune amiche delle Signore che erano curiosissime dei fatti degli altri, e che raccontavano i loro amori anche a chi non li voleva sapere. Allora il Dottor Torototella per non essere indietro di esse, ci spifferava un volume delle sue avventure. Raccontava colle date, colle circostanze più minute, fatti d'armi in cui non era mai stato, descriveva città di cui sapeva a stento il nome, e qualche volta in una medesima sera asseriva di aver assistito a due avvenimenti ch'erano successi contemporaneamente a mille miglia di distanza. Ma cosa volete? — La forza del discorso lo trasportava, e non era sua colpa se spacciava per suo un miracolo di S. Antonio.

Intanto il Carnevale si avvicinava alla metà — ed il Maestro di Musica di Madamigella Ottavia dava delle fioritissime Accademie istrumentali, e vocali ad ogni Mercoledì. Le Signore furono invitate ad intervenirvi, e noi brigammo tanto fino che vi fummo invitati noi pure.

Nella prima sera del divertimento, la Signora Ottavia suonò con tutta la freddezza immaginabile un bel fascio di variazioni. Poi si alzò sorridendo dal piano-forte, e i colti spettatori fecero il loro dovere, cioè picchiarono le mani. La seconda sera la sala era più affollata — le Signore più numerose — i giovanotti più brillanti, il movimento più confuso, e perciò cosa malagevole assai l'occhieggiare le rispettive amanti. Esse si indenizzavano occhieggiando gli altri giovinotti, che le attorniarono, e noi non facemmo altro che morderci le labbra dalla stizza.

Ma il povero Anonimo non si contentò di questo. Era principalmente all'Ottavia, come ad una Filarmonica, che si dirigevano i complimenti della gente, e vedendola civettare, certo innocentemente, con questo, e con quello, ei si sentiva rodere il cuore da un certo verme che si chiamava: Gelosia. Le scrisse in proposito: rimproverandola di mostrar troppa indifferenza a lui, e troppa premura e riguardo degli altri. Ella gli rispose assai sensatamenteLa più bella dote dell'amore esser il mistero, non doversi quel santo sentimento prostituire agli sguardi dei profani — esser questa la causa della sua ostentata freddezza — quanto alle premure ch'ella mostrava e fingeva per gli altri, mostrarle, e fingerle essa a bella posta per meglio nascondere il suo secreto.

Ma alla terza sera Anonimo si avvide che l'Avvocato Girandola favellava all'Ottavia con molta famigliarità, — egli osservò ch'essa fingeva un po' troppo di premura per lui; e quando seppe che il Signor Avvocato era appunto in cerca d'una moglie, perdette ogni pazienza, e decise di strangolarlo, persuaso con ciò di riconquistare l'amore perduto della fanciulla. Dopo una tal decisione lo assalirono le convulsioni, e fu d'uopo metterlo in letto, ove dormì saporitamente. Egli mi disse che non sarebbe più ito in casa dell'Ottavia, se essa non gli dichiarava le cagioni della sua condotta, e mi persuase a cogliere quell'occasione per iscrivere la prima lettera alla Morosina e rendergli così quell'uffizio di mediatore, che tanto bene ei m'aveva prestato durante la mia assenza.

Diffatti vergai una singolarissima lettera di dichiarazione amorosa, perdendo quattro facciate a descrivere lo stato d'Anonimo, e due linee a descrivere il mio. Narrava le gelosie d'Anonimo, come fosse mancato poco perch'egli prendesse pel collo il Girandola, e l'avesse fatto girare al pari d'una fionda; narrava i suoi spasimi; come aveva farneticato tutta notte, come allo svegliarsi avesse la spuma alla bocca, come insomma l'amor suo, e la deplorabile sua condizione fisica, e morale richiedessero compassione. Finii col dichiarare il mio Amore per la Signora Morosina, dicendo, che queste parole erano tanto sublimi per me che non credea bisognevole aggiungervene delle altre.

Armato del mio dispaccio, scrissi una lettera consolante ad Anonimo, dicendogli di venire il Giovedì venturo alla Città per godere dell'esito favorevole della mia spedizione.

Egli venne diffatti, e stette aspettandomi a casa, mentre io m'incamminava verso la sala dell'Accademia. Vi trovai le Signore allegrissime, corteggiate dal bel mondo, e dall'Avvocatino in particolare. Tentennai la testa; e mentre si apriva il pianoforte un messo rispettabile della Venerabile, e Potentissima Pulizia intimò alla bella comitiva di sciogliersi, ed al Signor Maestro di seguirlo colle buone, assicurandolo che non sarebbe andato in galera, ma soltanto in una casa-matta, per aver contravvenuto alla legge stataria eccezionale che proibisce gli assembramenti.

La comitiva silenziosa sdrucciolò dalle scale, ed io ebbi cura di non allontanarmi dalle Signore di troppo. Le raggiunsi in sulla via col mio piego stretto in una mano; ma per disgrazia l'Ottavia, e l'Egiva eran davanti a braccietto; e dietro veniva la Morosina che s'appoggiava al braccio paterno. Mi misi di fianco a quest'ultima, e piano piano le presi il braccio dalla mia parte. L'Ottavia propose di fare una passeggiata, e a mio grande piacere il Papà rispose di sì. Allora cominciai a sporgere la mia lettera verso la mano della mia Dama servita, ma ella aveva il guanto, e non s'accorgeva della mia manovra. La spinsi un po' di più, ed ella mi squadrò in faccia come per domandarmi cosa voleva. Mi indispettii alquanto, e seguii queto queto il cammino. Finalmente ricominciai a muovere quel mio povero piego; ma quel pugno benedetto della Morosina non voleva aprirsi a riceverlo. Io credetti che la fosse eccessiva riservatezza, e le premei un po' il braccio come per rimproverarla; ella si trovò offesa forse di questo rimprovero mimico, perché abbandonò il mio braccio, e finse di piegare il fazzoletto bianco. Io mi trovai offeso del suo modo alquanto villano di procedere, e la lasciai alla porta di casa con una secca... felice notte!

Ma camminando verso la mia cameretta mi saltò in mente che finalmente non era creanza fare una prima dichiarazione a molti - una dichiarazione palpabile - che la modestia della Morosina erasi adombrata - che questa era una virtù di cui io le doveva sapere buon grado - e che doveva sperare una corrispondenza spirituale, e celeste da una vergine che tanto delicatamente sfuggiva a tutto ciò che vi ha di materiale, e terreno.

Arrivai d'Anonimo con questa convinzione, ornai fissa in testa, - e gli dissi - che la Morosina certamente mi voleva un bene sviscerato — ma ch'ella aveva ricusato la mia lettera per un delicatissimo senso di dignità, che insegna di resistere ai primi assalti anche quando si ha l'intenzione di cedere.

Ah non avessi mai detto codeste cose! Anonimo gridò che sapeva ben egli perché si rifiutava la mia lettera! Che l'Ottavia si era immaginata che egli le potesse scrivere per mezzo mio, e che aveva prevenuto la Morosina di rifiutare ogni lettera ch'io tentassi di porgerle. Dopo aver detto questo cadde in nuove convulsioni (da amante s'intende) - e disse molto male dell'Ottavia, e molto bene di sé, e giurò che non l'avrebbe più guardata in viso - e finalmente si decise a bere un brodo, ed andare a letto, ove come l'altra volta una tiepida traspirazione lo fece passare nel mondo dei sogni. Alla mattina levossi dal letto alquanto più calmo, mi raccomandò di fare spesse visite alle Signore, di osservarle attentamente, e partì per la campagna.

Io seguii le sue raccomandazioni. La prima sera non trovai nulla di nuovo nella bella infedele, e nelle sue sorelle. La seconda la trovai alquanto malinconica, e alla terza la Signora Mamma facendo cadere il discorso sul Signor Girandola, mi contò che quell'Avvocato era in traccia d'una moglie, ma più specialmente di dote: venendovi con ciò a dire, che le sue figliole per la pochezza delle loro sostanze non correvano pericolo da cadere nella scelta. Scrissi questo ad Anonimo; e la mia lettera gli fu foriera d'una completa consolazione, ch'ei ricevette da una lettera umilissima della Signora Ottavia recapitatagli per mezzo del Signor Gionata Beccafichi.




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