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Ippolito Nievo Antiafrodisiaco per l'amor platonico IntraText CT - Lettura del testo |
Cessando il trattenimento delle Accademie cessarono pure le gelosie. Venne poi la Quaresima, ed entrammo nel mese di Aprile in cui fanno all'amore anche i gatti, senza ch'io rinnovassi nessun assalto contro la Signora Morosina. Ma pur conveniva appigliarsi ad un partito a meno che non avessi pensato di addossarmi il grazioso appellativo di sciocco. Perché cosa si dovrebbe supporre di uno che seguita a scherzare e a far moine, mentre sol ch'egli voglia può tentare un colpo decisivo, e salire addirittura la breccia! Io son condannato a subir sempre la mala influenza del mio amor proprio, e a far propendere sempre la bilancia della giustizia dal lato dei suoi consigli.
Dovendo io assentarmi qualche tempo, pensai che sarebbe bella cosa l'affidare ad Anonimo l'incarico, di far avere alla Morosina un piego esplicatorio. Mi serrai nella mia camera — accesi il fuoco, e lo zigaro, e stesi una lettera infinita, che principiava colla compassionevole esclamazione — Signora Morosina! e finiva coll'affettuosissima firma - il tuo Incognito! - La lettera segna tutte le invisibili gradazioni dal tuono di cerimonia al tuono di confidenza. Principiava ricordandole ch'ella aveva respinto il mio primo foglio. Sia pure innocentemente - io diceva - ma pur fu respinto! — Aggiungeva qualche altro rimprovero! — L'ardore della passione era concepito con quei termini che mi furon dettati da una immaginazione di fuoco! Tutti i pensieri che da un anno e qualche mese gorgogliavano nel mio cervello, si espressero sulla carta come per incanto! L'espressioni erano piene di quel sentimento ideale, e celeste di adorazione, che io prodigalizzava da tanto tempo alla Morosina della mia fantasia. Non mi era saltato mai in testa di calcolare se la Signorina delle Accademie, dal sorriso che non diceva niente, dal silenzio perpetuo fosse un'identica persona colla Silfide piena di vita, e di poesia che beava i miei sogni! Felice me, se avessi calcolato questo in allora; e non avessi aspettato a farlo sei mesi dopo! Mi sarei risparmiato una mezza annata piena di nullità, e di frivolezze. Mi sarei risparmiato l'imbarazzo in cui mi trovai, quando conobbi che le risultanze del calcolo mi mostravano una tremenda differenza fra le due Morosine! Mi sarei risparmiato finalmente la taccia di sleale, e d'impostore che mi addossò la Morosina con tutta la generosità d'ingiurie, che sogliono avere le fanciulle, quando uno sposatore sfugge loro di mano.
Imparate, amici miei (perdonate se metto la Morale prima di finire la favola) imparate, quando avete un'amante, a segregarla con tre muraglie ben grosse dalla vostra immaginazione; e a pesarla macchinalmente con quella bilancia verace, e sincera, che ha nome Ragione! Imparatelo a mie spese, perché, come vi dissi, io lasciai lavorare a tutt'agio la fantasia, e posso chiamarmi fortunato, se da una tattica tanto infantile non mi successe qualche cosa di peggio!
Tornando dunque alla mia lettera, vi dirò, ch'essa era un'epopea dello stato del mio cervello, ma che il mio cuore vi aveva versato ben poche delle sue ispirazioni — e che suggellatala diligentemente, la mandai ad Anonimo, significandogli l'uso ch'ei doveva farne.
Egli interpretò a meraviglia le mie intenzioni — la passò alla Signora Ottavia — questa alla Morosina, e la Morosina la lesse, e l'unica cosa (credo) ch'ella capì distintamente, fu ch'io desiderava una risposta.
Chiamò a consulta la sue sorelle, e come si usa nelle Camere dei deputati — ognuna dettò un periodo, e ne uscì una letterina così sublime che io voglio farvela gustare per intero una pagina avanti.
In questo frattempo io era ritornato da Anonimo, tutto desioso di ricevere da lui la conferma della mia felicità... relativa. Vi giunsi — e lessi la mia fortuna negli occhi gongolanti dell'amico... Egli mi sporse un involto grossissimo con sopra il mio indirizzo, e porgendolo, rideva di tutto cuore. Io ne infransi il suggello. Cos'era mai? ma la mia curiosità fu delusa, perché rinvenni sotto la prima una seconda coperta, e per mia sventura sotto la seconda, se ne celava una terza, sotto questa una quarta. Cominciai a dubitare di quello che gli era davvero. Ruppi all'impazzata altri venti, e trenta invogli, e finalmente trovai un microscopico biglietto con sopra la scritta: Per Incognito. Ristetti con quella cartolina in mano. Mi pareva di leggere attraverso a quella carta azzurognola delle frasi di fuoco, dei concetti di Paradiso! Mi pareva d'intravvedere quelle parole degli Angeli, che S. Paolo non poteva spiegare agli umani! — Il mio cuore palpitava violentemente, — la mano tremava, l'occhio incerto, e vacillante errava sulla carta senza scopo, e senza vita! Alfine macchinalmente ruppi il sigillo; v'erano cinque linee di carattere minutissimo. — Oh, io pensava fra me stesso, potenza soprannaturale dell'amore che scrisse mille sentimenti d'estasi e d'ebbrezza in venti, o trenta geroglifici gettati sulla carta!
Potei rilevare finalmente i concetti.
Non posso dissimulare, scriveva la Morosina, ed io mi doveva interrogare, il vero amore può egli dissimulare? — Bisogna che confessi quello che voleva tener celato per sempre — ed io doveva trovar questo membro della proposizione una viziosa ripetizione del primo, viziosissima poi per una sì corta lettera: Io credeva di non avere che una gran simpatia per te, ma ben presto m'avvidi del mio errore, e conobbi che t'amava. Oh che slancio di anima amante! doveva io osservare, il distinguere metafisicamente la gran simpatia dall'amore? e che gentilezza il dir tutto questo con quel tuono di amaro rincrescimento! — Io t'amo. — Replica del conobbi che t'amava, e pretendeva di non fartelo mai sapere; quanto m'ingannava! — Dupplica viziosa più d'un ritornello delle due prime righe del Biglietto. La sottoscrizione era espressa da una laconico — La tua; il quale forse era la cosa meno inescusabile di quel curiosissimo pasticcio di parole.
Ma tutte queste critiche sanguinose le faccio ora che il mal di capo è passato, ora che il nome di Morosina non ha su di me maggior influenza che quello di Veronica, e di Catterina! Allora benché restassi un po' mortificato, pur non vi feci gran caso, e coll'ajuto potente della facoltà inventiva, travidi da quegli insulsi periodi pensieri d'angelo. Giunsi fino a compatir la Morosina dicendo — Poveretta! la piena della commozione le ha vietato di scriver di più! — Giunsi fino a immaginarmi di veder i segni di tre lagrime su quel fogliettino; e dopo invece ho scoperto che le erano macchie di unto.
Riposi con tutta venerazione quel caro pegno d'amore nel mio portafoglio, ed ipso facto mi diedi a vergare una risposta tanto sterminata che non avrei finito più, se non mi fosse mancato sul più bello il lume.
In questa seconda lettera l'amore si pronunciava più etereo che nella prima — parlava di eternità, d'infinita perfezione, di estasi, di annientamento materiale, di esistenza incorporea, come si parlerebbe a colazione del burro più o meno fresco, e delle ova dure, o bollite. Discorreva di me, come si discorresse d'un Eterno Padre, o d'uno Spirito Santo, e non nominava la mia bella, senza mettere in coda un reggimento di attributi tutti colla terminazione la più superlativa possibile. Ora quante sostituzioni non farei io, non nella terminazione ma nell'essenza di quei superlativi? Quante belle antitesi ci sarebbero da fare paragonando le mie esclamazioni di allora con quelle che sfoggerei adesso che son tornato un pochetto in senno! La seconda lettera giunse nelle mani a cui era destinata, pel canale mediato d'Anonimo, e per l'immediato della Signora Ottavia.
La Morosina lo sfogliò avidamente — ma in quanto al leggerlo la fu tut'altra cosa, e non oserei assicurare ch'ella lo abbia scorso da capo a fondo. Credo ch'ella vi trovasse quel gusto che trova un bambolino nel compitare le terzine di Dante. O tesori dell'anima mia sprecati inutilmente nell'alimentare un fuoco, che abbisognava solamente di carne, e di sangue per restar vivo! O pure idealità della mia mente largheggiata verso un'anima senza slancio, che comprendeva le parole, e non rilevava il senso d'un periodo!
Per assicurarvi di tale sconsolante verità, mi basti il dire, che la Morosina non ha mai risposto in tono alle mie lettere — che se voleva che le mie inchieste non passassero inosservate, mi conveniva formularle in secchissima prosa, e spogliarle da qualunque colore metaforico! altrimenti ella non badava ai punti interrogativi delle mie lettere, più che non badasse al buon senso, nel rispondermi. Perocché l'ideale, la sentimental Morosina mi ha scritto delle cose che non hanno né capo, né coda: a legger le quali si potrebbe supporla una Morosina da bottega di mode. Ma ve lo dico per l'ultima volta, io non me ne addiedi allora, poiché suppliva a quel che mancava, col furore del mio entusiasmo, e attribuiva alla soverchia commozione quello, che derivava da cervello leggiero e da leggierissima educazione.
Una volta le chiesi chiaro, e netto che ritratto ella s'era formato di me. La petizione era precisa come quella d'un Avvocato, e non c'era strada di eluderla, o almeno ella non seppe trovarla. Il suo imbarazzo era certo estremo — perché scommetto che ella rintracciò la vita di S. Francesco di Paola, e di S. Vincenzo Ferrerio, e affibbiò al povero Signor Incognito tutti gli elogii di cui il Martirologio è largo a quei due venerabili frati.
Quella volta non potei a meno di montar sulle furie — poiché non entrava nelle mie viste l'esser canonizzato prima che sepolto. Le mandai una specie di cartello di sfida tanto pungente ch'ella si credette in obbligo di riscrivermi una litania d'insolenze, che facevano pietà. Anche quella volta condonai quelle basse escandescenze al soverchio suo amore, che io mi figurava, e con quattro frasi inconcludenti l'ebbi bella, e pacificata.
Per conoscer meglio l'acume del suo intendimento immaginatevi che quando io cominciai a sospettare della coltura del suo spirito, e della sensibilità dell'anima sua non aveva più la penna pura, e santa di pria, e che qualche volta mi sfuggivano delle espressioni di voluttà tanto terrena che avrebber fatto arrossire una vedova di cinque mariti che fosse penetrata oltre l'orpello abbagliante del fraseggiare. Ma la povera Morosina non ravvisò in quel mio decadimento dalla primiera santità un sintomo di freddezza, anzi pare ch'ella vi trovasse un allettamento ineffabile, poiché se s'hanno fra le sue, lettere che abbiano un poco di succo, le sono quelle che seguirono un qualche mio foglio piuttosto materiale, e voluttuoso! Da ciò deducete la virginità de' suoi pensieri, che io avrei giurato esser casti come quelli di Dio! Più tardi m'accorsi di certi discorsi piacevoli che esse facevano in famiglia, e forse fu quella la causa che mi fece odiare un sentimento, che ritrovai privo d'un oggetto degno di lui!
Avesse ella almeno empiuto a larghe mani le sue parole di quelle voluttà inebbrianti che ci strascinano in un cielo di fuoco! avesse ella almeno respirate quelle fiamme d'amore che io bevea tanto cocenti, e beate dalle labbra della mia Fanny! — Ma no! — anima senza carattere, ella ondeggiava dall'amore di romanzo all'amore di vaudeville. Ella anelava nel fondo del cuore al secondo, ma voleva mostrarsi in iscena sotto la veste del primo! — Tartufo dell'amore ella nascondeva sotto le spoglie del vergine affetto quei codardi istinti, che il Tartufo di Moliere nascondeva sotto la tonaca del gesuita! — ed io mi lasciai minchionare da buonissimo diavolo, battezzando per amore celestiale, e divino, una voglia e un prurito irresistibile di marito!
Frattanto che le dita lavoravano nell'imbrattare i fogli di carta, anche le gambe si movevano di frequente per condurci alla casa del Signor Filostrato. Vi si trovavamo nella solita comitiva, più il Reverendo, Don Bacia-culi rispettabile Sacerdote, custode integerimo della castità delle ragazze in istrada, ed amante appassionatissimo della contravvenzione al settimo comandamento in segreto.
Era uno di quelli che biasciano venti volte una sillaba prima di proferirla, e che calcolano il loro interesse prima di stabilire, se debbano contraddire, o assentire alla sentenza d'un terzo.
La Signora Mamma d'una austerità esemplare in fatto di morale (giusta le sue asserzioni), parlava spesso di matrimonio, e della necessità di coronare al più presto che fosse possibile gli amori con una buona inanellata, e del dovere che pesa sulla coscienza degli uomini di dichiarare alle donne le loro intenzioni, e della fragilità del sesso femminile... A quest'ultimo discorso le guancie delle tre innocentine s'impallidavano, e colorivano a vicenda! Si sentivano ben fragili le poverette, e sopratutto ben vogliose di provare col fatto la verità delle parole materne! — È tanto dolce cosa - riflettevano - il solo pensare a quell'affaraccio! Dio sa la cosa dolcissima che vorrà riescire il rappresentarvi una parte attiva! Negli occhi torbidi, ed inariditi della Morosina si leggevano come sullo stampato questi pensieri, ed io interpretava invece quei caratteri infallibili colla volgare versione d'una indisposizione tutto affatto fisica. Ora vi ricorderete di quella Istanza umiliata ai piedi delle loro Eccellenze di cui vi parlai in addietro? Ora circa a questi giorni mi capitò la risposta... Che io potea quando voleva... rimettere il pensiero di far gli esami fino all'Agosto. Siccome si parlava di un gigantesco volume di materie, così m'affrettai a trasferirmi presso il mio vecchio Professore Ingegnere a leggere il Programma delle Scienze, che entro quattro mesi dovevano essere alloggiate nelle celle cerebrali de' suoi valenti discepoli.
Anonimo non fu meco perché avea abbandonato l'idea di percorrere gli studi legali per abbracciar quella, di ajutar suo padre, nell'isbrigare gli affari di famiglia. Del resto vi erano i soliti amici ch'io ritrovai del loro umore, seduti all'aperto intorno ad una panca dell'Osteria, tutti occupati in profondissimi studii.