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Ippolito Nievo Antiafrodisiaco per l'amor platonico IntraText CT - Lettura del testo |
Addio Amore! così dissi fra me, e me quando arrivato in patria m'accorsi che il mio amore per la Morosina non era disposto per nulla ad uscire dalla sua indifferenza. Addio Amore! Ma come formular quest'addio? Come tradurlo in parole, ed in fatti intelligibili dalla mia bella? Era questo il busillis, e dopo alquante serie argomentazioni, e fondatissime ragioni decisi che bisognava fare qualche cosa, senza poter per questo sciegliere nessun partito. È vero che v'aveva un sentimento del mio cuore che diceva: — A che significar ad altri la fine d'una passione che non ha mai esistito fuori di te? Ma pensando che era convenevole alla mia dignità il supporre l'esistenza di quella passione nella Morosina, chiusi le orecchie a quel sentimento, e mi portai sul piano di operazione raccomandandomi alle ispirazioni di Dio, e a qualche scempiaggine della Morosina per potermela cavar con onore.
La Signora Ottavia nel vedermi si lasciò scappare un grido di sorpresa; non così la Morosina, che mi parlò del bellissimo tempo come se si fossimo visti un'ora prima. Ella era uno di quei caratteri forti che non si lasciano sgomentare dalle grandi emozioni. — Io mi mostrai alquanto indispettito, un po' ironico, e d'una freddezza a tutta prova. Era sul finir di Novembre, e non vi erano né pesche, né limoni su cui far cadere il mio discorso amoroso. Invano ogni più piccolo sassolino mi ricordava la cara memoria delle illusioni passate, questo non serviva che a farmi maledire la mia ostinata stupidità.
In quel giorno per dirla in breve io mi mostrai di sasso, e se la Signora Morosina non fosse stata di sasso realmente, avrebbe dovuto intendere che la mia visita era fatta allo scopo di ostentarle in viso la più completa indifferenza. Ma cosa volete? La penetrazione non è la facoltà più sviluppata del suo spirito, e mentre partiva ella mi volse uno de' suoi soliti sorrisi, come se io l'avessi abbeverata in quel giorno di tutti gli effluvi possibili dell'amore.
Io me ne andai persuaso che per far capire la mia freddezza alla Morosina bisognava darle degli schiaffi; e dubitai di più che in questo caso ella potesse scambiare quelle pesanti dimostrazioni per segni di affetto, come le selvaggie delle coste del Senegal. Non mi restava altro mezzo da scegliere che la penna, e l'inchiostro — e mi sedetti al tavolo, e strinsi tanto le sopraciglia, e tanto sbarrai gli occhi che alla fine pervenni ad ammorzare una certa ilarità che pareva pronta a scorrermi dalla penna, e a chiamarvi invece il più giudizioso raccoglimento.
Era in questo manifesto stato di contrazione quando si spalancò l'uscio di camera, e Messer Acefalo cogli stivali sepolti in un metro cubico di pantano, mi porse una lettera accompagnata da un certo riso così infernale che mi mostrava fino i più secreti rispostigli del suo magnifico organo manducatorio. Per uguagliarmi allo spirito del nostro simile mi diedi a contraffare simili boccaccie anch'io e mediante la latitudine molto pronunciata delle mie mascelle, riuscii a meraviglia.
Il Signor Acefalo partì contentone di aver trovato un galantuomo che gustava tanto le sue ambasciate, ed io rimasi con quel piego fra mano pensando a quello che vi si poteva contenere di nuovo.
Poteva essere un rimprovero, io fantasticava, od anche una diffida di amarla con più fervore, od una licenza assoluta nel caso ch'ella avesse trovato un marito alla mano.
Niente di ciò: la era invece una predica sull'amore conjugale, e sulla fedeltà relativa dei coniugi, copiata io credo dalle Omelie di Monsignor Adeodato Turchi. Io volea ben rispondere alla Morosina che non essendo ancora in Quaresima non mi teneva obbligato a saperle buon grado della sua predica, ma sembrandomi poco, le scrissi invece che non solamente non m'importava un fico del Quaresimale, ma sibbene anco di chi lo scriveva. S'intende che vestii questo bel concetto con frasi degne di cader sott'occhio a ogni gentile Signora, e che le mandai tantosto il grazioso bigliettino. Ma le vesti sfalsano spesso chi le porta, e questa volta fecer sì, che la Morosina non capì un acca di tutto quello che voleva dirle.
Anonimo intanto era tornato dal suo viaggio grasso come una quaglia, e non avendo egli più la distrazione dei dolori di pancia, pensò a procurarsene una, entrando come terzo nelle faccende dell'amor mio.
Egli scrisse una, due, tre, e quattro lettere alla Signora Morosina, fino a che seppe che la Morosina aveva capito ch'io era uno sleale, un impostore etc. etc.
Ella ebbe anche la sfacciataggine di ripetermi in un apposito bigliettino questi due titoli, aggiungendo che io l'aveva ingannata, e tradita. Io le risposi che dell'aver io fatto codesto non esisteva testimonio nato, né nascituro; e me le protestai devotissimo Servidore, ed Amico. Ella rispose domandandomi le sue lettere, ed io gliele mandai coll'espressa ingiunzione di farmi avere le mie. Ma la povera Signora voleva proprio meritarsi tutta la mia affezione, e mi scrisse, che le mie lettere erano state abbrucciate. Io tesi la mano verso l'uscio al leggere questa facciata confessiera... e le promisi un eterno interessamento a tutto ciò che avrebbe riguardato la sua felicità. Dopodiché volendo io pur sapere qualche cosa di positivo di quelle lettere ed esser certo che più non esistevano presi il mio cappello, e mi avviai verso la casa della Signora Morosina. Quello che mi spinse sopratutto a questo divisamento, fu la premura che aveva di compilarmi in testa lo scioglimento drammatico del mio amore per poterlo poi scrivere con tutta quiete. Ora io me ne vado. Sono armato di tutta la freddezza immaginabile, di tutto il possibile disprezzo per quella che ha adoprato con me, come adoperano i Commissari di Polizia coi libellisti mettendo in sequestro i loro scritti.