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Ippolito Nievo Antiafrodisiaco per l'amor platonico IntraText CT - Lettura del testo |
Segue la storiella
Vi sono molti che trovandosi senza faccende in questo mondo si occupano nel fare i conti a Domeneddio, e assicurano ch'egli ha scritto lettera per lettera tutte le nostre vite future in un libro che chiamano il Destino. Per me dico che se egli si trastulla con simili baje, dovrebbe farci giunger dritti al nostro scopo, senza rigirarci a ghirigori come le lumache. Suppongo che il Signore non sia come certi Romanzieri, i quali guadagnando un tanto per pagina, fanno passare i loro Eroi dalle Indie, e dallo stretto di Magellano per condurli a Napoli: altrimenti dovrei tacciarlo di cattivo gusto, il che ripugna, come dicono i Teologi, alle sue infinite perfezioni. Ho stimato bene di premettere questo cicaleccio prima di venire al fatto del nostro Augusto il quale nel inseguir una lepre ha predato una quaglia.
Questo è l'Enigma della Sfinge, ed io sarò tanto buono da spiegarvelo su due piedi, e tutt'al più in cinque o sei pagine. Augusto gli era in tal condizione che fa parer l'amore una necessità — egli ronzava spesso intorno a quei platani, e quei pilastri che ho detto di sopra — e spesso passava sotto la Colombaja, e siccome la Morosina come maggiore faceva il visto alle sue galanterie, così ei si credette in obbligo di regalarle il cuore. Per apparecchiarsi a questa espropriazione cominciò a guardarla in una certa guisa che lasciava trapelare le sue ostili intenzioni, e giova credere che la Signora Morosina trovasse nel suo Dizionario una spiegazione soddisfacente di quelle occhiate perché ella rispondeva loro con certi sguardi di sottovento che significano: ho capito. E la conversazione a sguardi, e occhiatine e sospiri continuava, ma non si faceva un passo avanti, perché Augusto non aveva molta confidenza, e la Morosina mancava di coraggio, e se ne aveva, non le occorse mai il destro di adoperarlo. Ciononostante Augusto intrepido come una staffetta viaggiava due, tre volte la settimana da casa sua all'ostello delle tre Sirene, perché il viso roseo, e lunghetto della Morosina gli aveva aperto una breccia nel cuore come un cannone da sessanta, e su e giù per quella breccia lo martellavano quei benedetti pensieri di amore, che seguitano a far la guerra anche quando la piazza è conquistata.
Ora un giorno gli avvenne di fare il solito tragitto col cervello un po' abbaruffato perché nell'ultima visita gli occhi della Morosina gli eran sembrati alquanto torbidi. Dopo aver tenuto un interessantissimo colloquio coi vecchi di casa uscì per attaccarne uno più interessante ancora colle giovani; e giova avvertire che uscì pieno di speranza, perché la Signora Morosina aveva fatto una buona digestione, ed aveva gli occhi lucidi come due stelle. Egli entrò in una camera, ove sperava si trovasse la sua fiamma che da due minuti era scomparsa. Ma la sua fiamma non v'era, e Augusto si lasciò andar colle mani penzoloni sopra un soffà, credendo sempre di veder comparire sull'uscio l'adorabile donzella. Non avendo che fare di meglio si diede a riordinare le frasi della sua dichiarazione amorosa... la quale dovea riuscire un capolavoro di retorica, e sopratutto di mimica. Nel più forte del suo lavoro, le imposte scricchiolarono, e la minuta figuraccia della Signora Ottavia guizzò nella camera. Non vorrei darvi ad intendere ch'ella ci venisse apposta; no, anzi mi sforzerò a persuadervi che tutto in questa scena fu accidentale, ma ciò non toglie ch'ella non tremasse nel serrare la porta per cui era entrata, e che non tremasse doppiamente, e non arrossisse nell'avvicinarsi ad Augusto. Il caso non era nei calcoli del nostro amante. Egli aveva già alzato il braccio fino alle nuvole, ed aperta soavemente la bocca quando s'accorse che aveva preso un granchio, e che la Signora Ottavia differiva essenzialmente dalla Signora Morosina. Una tale scoperta gli chiuse la bocca, e lo fece pensare seriamente alla sua posizione. L'Ottavia dal canto suo pareva tutt'altro che contrariata — si era appoggiata al pianoforte, e lo fissava cogli occhi tanto aperti come due lanterne.
Finalmente egli alzò lo sguardo e lo incontrò con un'occhiata ammaliatrice della Sirena; lo abbassò, lo alzò ancora, e si sentì un certo fuoco tra pelle, e pelle che non fu certo il più fido alleato della sua Morosina. Comunque ella sia, in due minuti egli aveva deciso, che l'Ottavia era più bella, più buona, più brava della Morosina, e ch'egli era innamorato cotto delle sue virtù. Fortunato lui che aveva la sua dichiarazione scritta in testa come su un foglio di carta, e che altro non mancava che cambiar il nome e far come un certo Professore che dedicò a Sua Maestà Apostolica un'onde2 composta per sua Maestà Savojarda!
Bisogna dire che la Signora Ottavia si fosse fermata malamente in mezzo a due correnti d'aria, perché in capo a pochissimo tempo parve non le garbasse la sua posizione, ed ella pensò bene di venirsi a piantare alla testa del soffà al fianco d'Augusto. Bisogna anche dire che le pesasse il capo, perché a poco a poco lo chinava insensibilmente verso di lui: e il contrario per avventura avveniva d'Augusto, il quale lo allungava insensibilmente verso di Lei. Venne il momento che le due teste si scontrarono, e lo scontro successe nelle regioni delle labbra, e fu tanto poco guerriero che tutti due finirono coll'avvoltolarsi sui cuscini, e col baciarsi e ribaciarsi tanto allegramente come se fossero fratello e sorella.
Questo dimostra chiaramente: I) che il platonismo del mio amico era una virtù, e non una maschera. II) Che la Signora Ottavia era più bella, più buona, più brava della Signora Morosina: e ch'ella aveva più coraggio, e meno paura dei baci dei giovinotti. III) Che il Signor Augusto era ito nella stanza per acchiappare una lepre ed aveva predato una quaglia. — Ma queste sono cose degne d'occhio volgare: quello che non si può scoprire se non con un po' di canocchiale, si è, che la Ottavia si sentiva un po' di pizzicore... nel sangue, e che cercò di procurarsi una distrazione che glielo ammorzasse un pochino: perché dicano pure quello che vogliano, anche i baci (i baci soli, capite) puri, e santi, come quelli che si davano alle pantofole del Papa, servono di qualche sfogo, e son meglio che niente. Perché credete che le vecchie bacino tante medaglie, e crocefissi?
Cosa v'immaginate che dicesse la Morosina al trovarsi così impensatamente fuori di sella? Non fiatò punto, perché ella è una di quelle ragazze che si lasciano fare di tutto senza mormorare del prossimo, e in aggiunta tanto ingenua, che non s'era accorta nemmeno degli occhiacci d'Augusto, e s'ella forse lo guardava più del bisogno, gli era perché nessuno può proibirci di osservare un soggetto piuttosto bellino. Vi giuro che non avrei mai immaginata tanta semplicità: pare impossibile! — ma no, è possibile! — anzi è veramente così.
Il Signor Augusto dopo quella improvvisa scenetta tornò in compagnia, e siccome era notte nessuno poté rimarcare le guancie un po' colorite, e gli occhi alquanto indecisi: perché la prima volta che incontrò lo sguardo della Morosina non poté far a meno di abbassare il suo. Ma in fine de' conti cosa aveva fatto di male? Nulla, e poi nulla, poverino! Son peccatucci perdonabili codesti, e puniti abbastanza da quella specie di paralisia che lo assaliva quando si trovava in mezzo alle due rivali. Sentiva una vecchia simpatia per l'una, e si ricordava chiaramente di aver baciata quell'altra! — Assolutamente la sua era una parte imbarazzante! — O dar ascolto alla simpatia per l'una, e non baciar più l'altra, o baciar questa, e scacciar la simpatia per la prima. E se gli fosse saltato il grillo di dividere la simpatia pel giusto mezzo, e baciarle tutte due? — Che Bestemmia! Cosa credete? che Augusto sia un eretico? — vi dico che egli amava puramente; non sapeva quale — ma torno a dire, qualunque ella fosse, l'amava puramente; e sapete bene che il sostenere d'amarne puramente due, è una proposizione da scomunica. Ne hanno scomunicati anche per meno! — Un giorno ch'egli raccontava seriamente una farsetta tutta da piangere, quella sgraziata della Morosina diede in una risata. Quella risata lo fece andar giù dai gangheri, e d'allora in poi i baci la vinsero sulla simpatia. Vedete che la battaglia non fu seria, ma anche Dante ha detto: — Poca favilla gran fiamma seconda! — E poi la Signora Ottavia aveva assorbito colle lagrime agli occhi tutta la predica; chi non avrebbe dato la preferenza a lei? — e poi ella suonava il pianoforte! — e poi ella disegnava benino! — e poi ella baciava tanto di gusto che gli era un portento! Dunque? Sia per la Signora Ottavia — e dopo aver considerato tutto ciò, Augusto decise che la Signora Morosina lo aveva corbellato. Corbellato? e perché? perché aveva riso! — Bel sillogismo! Dal riso all'impostura vi son tante miglia, come dal pianto alla verità. Prova ne sia, la Madonna di Rimini che non fa che piangere, e piangere... in vantaggio di S. Santità, de' suoi amici Francesi, Croati, e Napoletani, e di tutto il canagliume dei Gamberi cotti.
L'amore disperato, o sentimentale è continuo, e non periodico come certi altri amori di bassa lega; per cui il nostro giovinotto dopo esser stato tre ore a fianco della sua bella si sentiva tanto digiuno come non l'avesse mai vista — e poi le visite succedevano ogni due, tre giorni, e l'amore lo martirizzava sempre; dunque egli pensò ad uno spediente per riempiere gli intermezzi. Le scriverò — egli disse — le aprirò lo stato del mio cuore, le farò vedere il bilancio de' miei sentimenti, l'attivo e passivo; l'uscita, e l'entrata! È vero che non sono troppo computista! Ma cosa non si diventa per amore... — E aveva ragione poiché si diventa anche matto. Egli si assise ad un tavolo, e scrisse d'un sol fiato sei tragiche facciate, che tradotte in burlesco volevano dire presso a poco così: Ottavia adorabile! — È poco il vederti, è poco il parlarti per me! Già è vero che il baciarti è qualche cosa, ma non però abbastanza — voglio anche scriverti per dedicarti anche i momenti in cui ti sono lontano. Io ti amo, come so amare; e ti amerò sempre, e poi sempre! Ti amo quando dormo, quando mi sveglio, quando faccio colazione, quando sono a pranzo, quando ceno, e quando mi cavo gli stivali per saltar in letto! — E tu, cara la mia Ottavia! mi ami tu come sai amare? mi ami sempre, e poi sempre? quando sei a pranzo, quando ceni, quando fai colazione, quando ti metti la camicia da notte per saltar in letto, quando dormi, e quando ti sveglii? Se la è così, scrivimi, e dedicami quell'istante che non puoi dedicarmi in nessun'altra maniera! — Il tuo etc. — Augusto.
Al ricevere questa lettera la Signora Ottavia si sentì commossa più in giù che nel fondo delle viscere, e se non era giorno di festa, le sarebber venute le lagrime agli occhi. Cosa hai, Ottavia? le dimandò la Signora Marianna al vederla venire dabasso tutta confusa.
— Niente! — faccio un pajo di calzetti. (Tanto è vero che alle volte si chiama far niente la più utile occupazione della propria vita). Anche il Signor Filostrato disse molte cose, e ne biasciò il doppio, ma nessuno si sognò di rimbeccarle, che il far calzetti non era cosa da mettere in confusione una ragazza tanto disinvolta come l'Ottavia. Il fatto sta che la faccenda delle calzette andò in lungo, ed in lungo assai.
Ogni volta che Augusto capitava non mancava di procurarsi un piccolo abboccamento a due colla Signorina; s'intende coi debiti riguardi; e la Signorina coi debiti riguardi, corrispondeva teneramente alle sue carezze: ed egli non finiva mai di ripetere fra sé, e sé: Io l'amo certamente; perché altrimenti, per qual ragione verrei sempre in sua casa? ed ella pure mi ama, perché altrimenti come spiegare i suoi baci, e le sue sdolcinate moine?
Dopo tutto ciò bisogna sapere che le foglie avevan finito di cascare, perché sugli alberi non ce n'era più una; per cui il Signor Filostrato adunò il consiglio di famiglia, e disse: Andiamo alla città. E il consiglio rispose in coro: andiamo!
Detto-fatto; quattro settimane dopo s'imbarcarono in un calesse, e rimorchiati da un cavallo che parea andasse contro il vento, schivarono le insidie dei gabellieri; e uomini, donne, e bambini con armi, e bagagli arrivarono sani, e salvi alla porta di casa. Molti vi erano accorsi per riabbracciare il Signor Filostrato dopo sì lunga assenza, e fu tale l'emozione di questi amici di casa nel rivederlo, che non trovando parole per esprimerla, si voltarono a parlare di cose indifferenti con le ragazze.
Alla sera arrivò Augusto, e ne aveva tutta la ragione, poiché le porte spalancate della scuola erano quasi stanche di chiamar avventori, ed Augusto era un giovine affamato di cognizioni.
Ed ora io dovrei cantare sulla chitarra la storia svariatissima di un anno d'amore: ma gli è un amore tanto scevro di nuvoli che non so da che lato prenderla per non volar in estasi dalla consolazione. Si legge in Isaia: Il suo nome sarà Emanuele, e si pascerà di mêle, e butirro! — Io tendo a credere che quel buon vecchio col suo Emanuele abbia voluto alludere al nostro Augusto, ed alla Signora Ottavia col mêle, e col butirro che dovevano confortargli lo stomaco. Diffatti un amore tanto sereno fu per loro come un secchio di acqua di Recoaro; poiché Augusto si imbottiva le ossa, e l'Ottavia ingrassava a vista. Tacete, male lingue, e non fate la glosa alle mie semplicissime frasi. Quando dico ingrassava voglio dire ingrassava! — e se vorrò che intendiate ingrossava, dirò a dirittura ingrossava.
Solo ci fu di mezzo un imbroglio! la casa era stretta come una gabbia; non si poteva sparire dietro le quinte per farvi quello che non si osava fare sulle scene; non si potevano far passare da mano a mano quelle tenere cartuccine, che erano tante ricette per quei due cuori piagati!
In quanto al primo punto bisognava rassegnarsi a carpire i momenti opportuni; ma quanto al secondo si poteva far di meglio! C'erano i ripieghi!
O arte antica quanto il mondo, e perfezionata e perfettibile ancora dalla sagacità del progresso. Il maggiordomo che ha bisogno di danaro cerca un ripiego — la moglie che ha in uggia il marito ha il suo ripiego — fino i Tedeschi hanno immaginato dei ripieghi per gonfiare i borsellini dei Croati. Fin quell'orbo di presidente-Imperatore ha rinvenuto un ripiego nel cappellino dello Zio, quando si è trattato d'inchiodare la bocca a dieci milioni di uomini che gridavano: — Sei un baggiano!
I nostri due amanti non si mostrarono da meno di tanta valorosa gente; e il ripiego ebbe un nome, e cognome come un cristiano, e si chiamava Mastro Gionata Beccafichi Profes. di disegno. Non voglio mallevare che egli fosse cristiano; lo dissi così per similitudine, anzi per dar campo al vostro giudizio, su questo particolare voglio raccontarvi la sua storia dall'A fino alla Z.