ALCUNE NORME D’IGIENE
Tiberio
imperatore diceva che l'uomo, giunto all'età di trentacinque anni, non dovrebbe
avere più bisogno di medico. Se questo aforismo, preso in senso largo è vero,
non è men vero che il medico, chiamato a tempo, può troncare sul bel principio
una malattia ed anche salvarvi da immatura morte; il medico poi se non
guarisce, solleva spesso, consola sempre.
La
massima dell'imperatore Tiberio è vera in quanto che l'uomo arrivato a metà del
corso della vita dovrebbe avere acquistata tanta esperienza sopra sé stesso da
conoscere ciò che gli nuoce e ciò che gli giova e con un buon regime dietetico
governarsi in modo da tenere in bilico la salute, la qual cosa non è difficile
se questa non è minacciata da vizii organici o da qualche viscerale lesione.
Oltre a ciò dovrebbe l'uomo, giunto a quell'età, essersi persuaso che la cura
profilattica, ossia preventiva, è la migliore, che ben poco evvi a sperare
dalle medicine e che il medico più abile è colui che ordina poco e cose
semplici.
Le
persone nervose e troppo sensibili, specialmente se disoccupate ed apprensive,
si figurano di aver mille mali che hanno sede solo nella loro immaginazione.
Una di queste, parlando di sé stessa, diceva un giorno al suo medico: “Io non
capisco come possa campare un uomo con tanti malanni addosso”. Eppure non solo
è campata con qualche incomoduccio comune a tanti altri; ma essa ha raggiunto
una tarda età.
Questi
infelici ipocondriaci, che altro non sono, meritano tutto il nostro
compatimento imperocché non sanno svincolarsi dalle pastoie in cui li tiene una
esagerata e continua paura, e non c'è modo a persuaderli, ritenendosi ingannati
dallo zelo di coloro che cercano di confortarli. Spesso li vedrete coll'occhio
torvo e col polso in mano gettar sospiri, guardarsi con ribrezzo allo specchio
ed osservare la lingua; la notte di soprassalto balzar dal letto, spaventati
per palpitar del cuore in sussulto. Il vitto per essi è una pena, non solo per
la scelta de' cibi; ma ora temendo di aver mangiato troppo, stanno in
apprensione di qualche accidente, ora volendo correggersi con astinenza
eccessiva hanno insonnia la notte e sogni molesti. Col pensiero sempre a sé
stessi pel timore di prendere un raffreddore o un mal di petto, escono ravvolti
in modo che sembrano fegatelli nella rete, e ad ogni po' d'impressione fredda
che sentono soprammettono involucri sopra involucri da disgradarne, sto per
dir, le cipolle. Per questi tali non c'è medicina che valga e un medico
coscienzioso dirà loro: divagatevi, distraetevi, passeggiate spesso all'aria
aperta per quanto le vostre forze il comportano, viaggiate, se avete quattrini,
in buona compagnia e guarirete. S'intende bene che io in questo scritto parlo
alle classi agiate, ché i diseredati dalla fortuna sono costretti, loro
malgrado, a fare di necessità virtù e consolarsi riflettendo che la vita attiva
e frugale contribuisce alla robustezza dei corpo e alla conservazione della
salute. Da questi preliminari passando alla generalità di una buona igiene,
permettetemi vi rammenti alcuni precetti che godono da lungo tempo la sanzione scientifica,
ma che non sono ripetuti mai abbastanza; e per primo, parlandovi del vestiario,
mi rivolgo alle signore mamme e dico ad esse: cominciate a vestir leggieri,
fino dall'infanzia, i vostri bambini, che poi fatti adulti con questo metodo
risentiranno meno le brusche variazioni dell'atmosfera e andranno meno soggetti
alle infreddature, alle bronchiti. Se poi, durante l'inverno, non eleverete ne'
vostri appartamenti il calore delle stufe oltre ai 12 o 14 gradi, vi salverete
probabilmente dalle polmoniti che sono così frequenti oggigiorno.
Alle prime frescure non vi aggravate, a un tratto, di troppi
panni, basta un indumento esterno e precario per poterlo deporre e riprendere a
piacere nel frequente alternarsi della stagione fino a che non saremo entrati
nel freddo costante. Quando poi vi avvicinate alla primavera rammentatevi
allora del seguente proverbio che io trovo di una verità indiscutibile:
Di aprile non ti alleggerire,
Di maggio va' adagio,
Di giugno getta via lo cotticugno,
Ma non lo impegnare
Ché potrebbe abbisognare.
Cercate
di abitar case sane con molta luce e ventilate: dov’entra il sole fuggono le
malattie. Compassionate quelle signore che ricevono quasi all'oscuro, che
quando andate a visitarle inciampate nei mobili e non sapete dove posare il
cappello. Per questo loro costume di vivere quasi sempre nella penombra, di non
far moto a piedi e all'aria libera ed aperta, e perché tende naturalmente il
loro sesso a ber poco vino e a cibarsi scarsamente di carne, preferendo i
vegetali e i dolciumi, non trovate fra loro le guance rosee, indizio di
prospera salute, le belle carnagioni tutto sangue e latte, non cicce sode, ma
floscie e visi come le vecce fatte nascere al buio per adornare i sepolcri il
giovedì santo. Qual maraviglia allora di veder fra le donne tante isteriche,
nevrotiche ed anemiche?
Avvezzatevi a
mangiare d'ogni cosa se non volete divenire incresciosi alla famiglia. Chi fa
delle esclusioni parecchie offende gli altri e il capo di casa, costretti a
seguirlo per non raddoppiar le pietanze. Non vi fate schiavi del vostro
stomaco: questo viscere capriccioso, che si sdegna per poco, pare si diletti di
tormentare specialmente coloro che mangiano più del bisogno, vizio comune di
chi non è costretto dalla necessita al vitto frugale. A dargli retta, ora con
le sue nausee ora col rimandarvi alla gola il sapore de' cibi ricevuti ed ora
con moleste acidità, vi ridurrebbe al regime de' convalescenti. In questi casi,
se non avete nulla a rimproverarvi per istravizio, muovetegli guerra; combattetelo
corpo a corpo per vedere di vincerlo; ma se poi assolutamente la natura si
ribella ad un dato alimento, allora solo concedetegli la vittoria e smettete.
Chi non esercita attività muscolare deve vivere più parco
degli altri e a questo proposito Agnolo Pandolfini nel Trattato del governo
della famiglia, dice: “Trovo che molto giova la dieta, la sobrietà, non
mangiare, non bere, se non vi sentite fame o sete. E provo in me questo, per
cosa cruda e dura che sia a digestire, vecchio come io sono, dall'un sole all'altro
mi trovo averla digestita. Figliuoli miei, prendete questa regola brieve,
generale e molto perfetta. Ponete cura in conoscere qual cosa v'è nociva, e da
quella vi guardate; e quale vi giova e fa pro quella seguite e continuate”.
Allo svegliarvi la mattina consultate ciò che più si confà al
vostro stomaco; se non lo sentite del tutto libero limitatevi ad una tazza di
caffè nero, e se la fate precedere da mezzo bicchier d'acqua frammista a caffè
servirà meglio a sbarazzarvi dai residui di una imperfetta digestione. Se poi
vi trovate in perfetto stato e (avvertendo di non pigliare abbaglio perché c'è
anche la falsa fame) sentite subito bisogno di cibo, indizio certo di buona
salute e pronostico di lunga vita, allora viene opportuno, a seconda del vostro
gusto, col caffè nero un crostino imburrato, o il caffè col latte, oppure la
cioccolata. Dopo quattr'ore circa, che tante occorrono per digerire una
colazione ancorché scarsa e liquida, si passa secondo l'uso moderno alla
colazione solida delle 11 o del mezzogiorno.
Questo pasto, per essere il primo della giornata, è sempre il
più appetitoso, e perciò non conviene levarsi del tutto la fame, se volete
gustare il pranzo e, ammenoché non conduciate vita attiva e di lavoro
muscolare, non è bene il pasteggiar col vino, perché il rosso non è di facile
digestione e il bianco essendo alcoolico, turba la mente se questa deve stare
applicata.
Meglio è il pasteggiar la mattina con acqua pura e bere in
fine un bicchierino o due di vino da bottiglia, oppure il far uso di the
semplice o col latte che io trovo molto omogeneo; non aggrava lo stomaco e,
come alimento nervoso e caldo aiuta a digerire.
Nel pranzo, che è il pasto principale della giornata e,
direi, quasi una festa di famiglia, si può scialare, ma più durante l'inverno
che nell'estate, perché nel caldo si richiedono alimenti leggieri e facili a
digerirsi. Più e diverse qualità di cibi, dei due regni della natura, ove
predomini l'elemento carneo, contribuiscono meglio a una buona digestione
specialmente se annaffiati da vino vecchio ed asciutto; ma guardatevi dalle
scorpacciate come pure da quei cibi che sono soliti a sciogliervi il corpo, e
non dilavate lo stomaco col troppo bere. A questo proposito alcuni igienisti
consigliano il pasteggiar coll'acqua anche durante il pranzo, serbando il vino
alla fine. Fatelo se ve ne sentite il coraggio; a me sembra un troppo
pretendere.
Se volete una buona regola, nel pranzo arrestatevi al primo
boccone che vi fa nausea e senz'altro passate al dessert. Un'altra buona
consuetudine contro le indigestioni e all'esuberanza di nutrimento è di mangiar
leggiero il giorno appresso a quello in cui vi siete nutriti di cibi gravi e
pesanti.
Il gelato non nuoce alla fine del pranzo, anzi giova, perché
richiama al ventricolo il calore opportuno a ben digerire; ma guardatevi
sempre, se la sete non ve lo impone, di bere tra un pasto e l'altro, per non
disturbare la digestione, avendo bisogno questo lavoro di alta chimica della
natura di non essere molestato.
Fra la colazione e il pranzo lasciate correre un intervallo
di sette ore, che tante occorrono per una completa digestione, anzi non bastano
per quelli che l'hanno lenta, cosicché avendo luogo la colazione alle undici,
meglio è trasportare il pranzo alle sette; ma veramente non si dovrebbe ritornare
al cibo altro che quando lo stomaco chiama con insistenza soccorso, e questo
bisogno tanto più presto si farà imperioso se lo provocate con una passeggiata
all'aria libera oppure con qualche esercizio temperato e piacevole.
“L’esercizio, dice il precitato
Agnolo Pandolfini, conserva la vita, accende il caldo e il vigore naturale,
schiuma superchie e cattive materie e umori, fortifica ogni virtù del corpo e
de' nervi; è necessario a' giovani, utile a' vecchi. Colui non faccia
esercizio, che non vuole vivere sano e lieto. Socrate, si legge, in casa
ballava e saltava per esercitarsi. La vita modesta, riposata e lieta fu sempre
ottima medicina alla sanità”.
La temperanza e l'esercizio dei corpo sono dunque i due perni
su cui la salute si aggira; ma avvertite che quando eccede, cangiata in
vizio la virtù si vede, imperocché le perdite continue dell'organismo hanno
bisogno di riparazione. Dalla pletora per troppo nutrimento guardatevi dal
cadere nell'eccesso opposto di una scarsa e insufficiente alimentazione per non
lasciarvi indebolire.
Durante l'adolescenza ossia nel crescere, l'uomo ha bisogno
di molto nutrimento; per l'adulto e specialmente pel vecchio la moderazione nel
cibo è indispensabile virtù per prolungare la vita.
A coloro che hanno conservata ancora la beata usanza de'
nostri padri di pranzare a mezzogiorno o al tocco, rammenterò l'antichissimo
adagio: Post prandium stabis et post cenam ambulabis; a tutti poi, che
la prima digestione si fa in bocca, quindi non si potrebbe mai abbastanza
raccomandare la conservazione dei denti, per triturare e macinare
convenientemente i cibi, che coll'aiuto della saliva, si digeriscono assai
meglio di quelli tritati e pestati in cucina, i quali richiedono poca
masticazione, riescono pesanti allo stomaco, come se questo viscere sentisse
sdegno per avergli tolto parte del suo lavoro; anzi molti cibi riputati
indigesti possono riescire digeribili e gustati meglio mediante una forte
masticazione.
Se con la guida di queste norme saprete regolar bene il
vostro stomaco, da debole che era il renderete forte, e se forte di natura,
tale il conserverete senza ricorrere ai medicamenti. Rifuggite dai purganti,
che sono una rovina se usati di frequente, e ricorrete ad essi ben di rado e
soltanto quando la necessità il richieda. Molte volte le bestie col loro
istinto naturale e fors'anche col raziocinio insegnano a noi come regolarci: il
mio carissimo amico Sibillone, quando prendeva un'indigestione, stava un giorno
o due senza mangiare e l'andava a smaltire sui tetti. Sono quindi da deplorare
quelle pietose mamme che, per un'esagerazione del sentimento materno, tengono
gli occhi sempre intenti alla salute de' loro piccini e ad ogni istante che li
vedono un po' mogi o non obbedienti al secesso, con quella fisima sempre in
capo de' bachi, i quali il più sovente non sono che nella loro immaginazione,
non lasciano agir la natura che, in quella età rigogliosa ed esuberante di
vita, fa prodigi lasciata a se stessa; ma ricorrono subito al medicamento, al
clistere.
L'uso de' liquori che, a non istare in guardia diventa abuso,
è riprovato da tutti gli igienisti pei guasti irreparabili che cagionano
nell'organismo umano. Può fare eccezione soltanto un qualche leggero poncino di
cognac (sia pure con l'odore del rhum) nelle fredde serate d'inverno, perché
aiuta nella notte la digestione e vi trovate la mattina con lo stomaco più
libero e la bocca migliore.
Male, male
assai poi fanno coloro che si lasciano vincere dal vino. A poco a poco, sentono
nausea al cibo e si nutrono quasi esclusivamente di quello; indi si degradano
agli occhi del mondo, diventando ridicoli, pericolosi e bestiali. C'era un
mercante che quando arrivava in una città si fermava ad una cantonata per
osservar la gente che passava e quando vedeva uno col naso rosso era sollecito
a chiedergli dove si vendeva il vino buono. Anche passando sopra al marchio
d'intemperanza che questo vizio imprime spesso sul viso, e a certe scene che
destano soltanto un senso d'ilarità - come quella di un cuoco il quale, mentre
i suoi padroni aspettavano a cena, teneva la padella sopra l'acquaio e
furiosamente faceva vento al di sotto - è certo che quando vedete questi beoni,
che cogli occhi imbambolati, mal pronunciando l'erre dicono e fanno sciocchezze
spesso compromettenti, vi sentite serrare il cuore nel timore che non si passi
alle risse e dalle risse al coltello come avviene sovente. Persistendo ancora
in questo vizio brutale, che si fa sempre più imperioso, si diventa ubriaconi
incorreggibili; i quali tutti finiscono miseramente.
Neppure sono da lodarsi coloro che cercano di procrastinare
l'appetito cogli eccitanti, imperocché se avvezzate il ventricolo ad aver
bisogno di agenti esterni per aiutarlo a digerire finirete per isnervare la sua
vitalità e l'elaborazione de' succhi gastrici diverrà difettosa. Quanto al
sonno e il riposo sono funzioni assolutamente relative da conformarle al
bisogno dell'individuo, poiché tutti non siamo ugualmente conformati, e segue
talvolta che uno si senta un malessere generale e indefinibile senza potersene
rendere ragione e questo da altro non deriva che da mancanza di riposo
riparatore.
Chiudo la serie di
questi precetti, gettati giù così alla buona e senza pretese, coi seguenti due
proverbi, tolti dalla letteratura straniera, non senza augurare al lettore
felicità e lunga vita.
PROVERBIO INGLESE
Early to bed and early to rise
Makes a man healthy, wealthy and
wise
Coricarsi
presto ed alzarsi presto
Fanno
l'uomo sano, ricco e saggio.
PROVERBIO FRANCESE
Se lever à six, déjeuner a dix
Diner à six, se coucher à dix,
Fait vivre l’homme dix fois dix.
Alzarsi
alle sei, far colazione alle dieci,
Pranzare alle sei, coricarsi alle dieci
Fa viver l'uomo dieci volte dieci.
X
Lettera del poeta Lorenzo Stecchetti (Olindo Guerrini) a cui
mandai in dono una copia del mio libro di cucina, terza edizione:
On. Signor mio,
Ella
non può immaginare che gradita sorpresa mi abbia fatto il suo volume, dove si
compiacque di ricordarmi! Io sono stato e sono uno degli apostoli più ferventi
ed antichi dell'opera sua che ho trovato la migliore, la più pratica, e la più
bella, non dico di tutte le italiane che sono vere birbonate, ma anche delle
straniere. Ricorda ella il Vialardi che fa testo in Piemonte?
“GILLÒ
ABBRAGIATO. - La volaglia spennata si abbrustia, non si sboglienta, ma
la longia di bue piccata di trifola cesellata e di giambone, si ruola a forma
di valigia in una braciera con butirro. Umiditela soventemente con grassa e
sgorgate e imbianchite due animelle e fatene una farcia da chenelle grosse un
turacciolo, da bordare la longia. Cotta che sia, giusta di sale, verniciatela
con salsa di tomatiche ridotta spessa da velare e fate per guarnitura una
macedonia di mellonetti e zuccotti e servite in terrina ben caldo”.
Non è nel libro, ma i termini ci sono tutti.
Quanto agli altri Re dei Cuochi, Regina delle Cuoche ed altre
maestà culinarie, non abbiamo che traduzioni dal francese o compilazioni
sgangherate. Per trovare una ricetta pratica e adatta per una famiglia bisogna
andare a tentone, indovinare, sbagliare. Quindi benedetto l’Artusi! È un coro
questo, un coro che le viene di Romagna, dove ho predicato con vero entusiasmo
il suo volume. Da ogni parte me ne vennero elogi. Un mio caro parente mi
scriveva: “Finalmente abbiamo un libro di cucina e non di cannibalismo, perché
tutti gli altri dicono: prendete il vostro fegato, tagliatelo a fette, ecc.” e
mi ringraziava.
Avevo anch’io l’idea di fare un libro di cucina da mettere
nei manuali dell’Hoepli. Avrei voluto fare un libro, come si dice di
volgarizzazione; ma un poco il tempo mi mancò, un poco ragioni di bilancio mi
rendevano difficile la parte sperimentale e finalmente venne il suo libro che
mi scoraggiò affatto. L’idea mi passò, ma mi è rimasta una discreta collezione
di libri di cucina che fa bella mostra di sé in uno scaffale della sala da
pranzo. La prima edizione del suo libro, rilegata, interfogliata ed arricchita
(?) di parecchie ricette, vi ha il posto d’onore. La seconda serve alla
consultazione quotidiana e la terza ruberà ora il posto d’onore alla prima
perché superba dell’autografo dell’Autore.
Così, come Ella vede, da un pezzo conosco, stimo e consiglio
l’opera sua ed Ella intenda perciò con che vivissimo piacere abbia accolto
l’esemplare cortesemente inviatomi. Prima il mio stomaco solo provava una
doverosa riconoscenza verso di Lei; ora allo stomaco si aggiunge l’animo. È
perciò, Egregio Signore, che rendendole vivissime grazie del dono e della
cortesia, mi onoro di rassegnarmi colla dovuta gratitudine e stima.
Bologna, 19-XII-96
Suo Dev.mo
Olindo Guerrini
X
La contessa Maria Fantoni, ora vedova dell’illustre professor
Paolo Mantegazza, mi fece la inaspettata sorpresa di onorarmi dell’infrascritta
lettera, la quale serbo in conto di gradito premio alle mie povere fatiche.
San Terenzo (Golfo della Spezia)
14 novembre ’97
Gentil.mo Signor Artusi,
Mi scusi la sfacciataggine, ma sento proprio il bisogno di
dirle, quanto il suo libro mi sia utile e caro; sì, caro, perché nemmeno uno
dei piatti che ho fatto mi è riuscito poco bene, e anzi taluni così
perfetti da riceverne elogi, e siccome il merito è suo, voglio dirglielo
per ringraziarlo sinceramente.
Ho fatto una sua gelatina di cotogne che
anderà in America; l'ho mandata a mio figliastro a Buenos Ayres e sono sicura
che sarà apprezzata al suo giusto valore. E poi lei scrive e descrive così
chiaramente che il mettere in esecuzione le sue ricette è un vero piacere e io
ne provo soddisfazione.
Tutto questo volevo dirle e per questo mi
sono permessa indirizzarle questa lettera.
Mio marito vuole esserle rammentato con
affetto.
Ed io le stringo la mano
riconoscentissima.
Maria Mantegazza
X
Le commedie della cucina, ossia la disperazione
dei poveri cuochi, quando i loro padroni invitano gli amici a pranzo (scena
tolta dal vero, soltanto i nomi cambiati):
Dice il padrone al suo cuoco:
- Bada Francesco che la signora Carli non
mangia pesce, né fresco né salato, e non tollera neanche l'odore de' suoi
derivati. Lo sai già che il marchese Gandi sente disgusto all'odore della
vainiglia. Guardati bene dalla noce moscata e dalle spezie, perché l'avvocato
Cesari questi aromi li detesta. Nei dolci che farai avverti di escludere le mandorle
amare, ché non li mangerebbe Donna Matilde d'Alcantara. Già sai che il mio buon
amico Moscardi non fa mai uso nella sua cucina di prosciutto, lardo, carnesecca
e lardone, perché questi condimenti gli promuovono le flatulenze; dunque non ne
usare in questo pranzo onde non si dovesse ammalare.
Francesco, che sta ad ascoltare il padrone
a bocca aperta, finalmente esclama:
- Ne ha più delle esclusioni da fare, sior
padrone?
- A dirti il vero, io che conosco il gusto de' miei
invitati, ne avrei qualche altra su cui metterti in guardia. So che qualcuno di
loro fa eccezione alla carne di castrato e dice che sa di sego, altri che
l'agnello non è di facile digestione; diversi poi mi asserirono,
accademicamente parlando, che quando mangiano cavolo o patate sono presi da
timpanite, cioè portano il corpo gonfio tutta la notte e fanno sognacci; ma per
questi tiriamo via, passiamoci sopra.
-
Allora ho capito - soggiunge il cuoco, e partendo borbotta tra sé: - Per
contentare tutti questi signori e scongiurare la timpanite, mi recherò alla
residenza di Marco (il ciuco di casa) a chiedergli, per grazia, il suo savio
parere e un vassoio de' suoi prodotti, senza il relativo condimento!
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