194. CRESCENTE
Che linguaggio
strano si parla nella dotta Bologna!
I tappeti (da
terra) li chiamano i panni; i fiaschi, i fiaschetti (di vino), zucche,
zucchette; le animelle, i latti. Dicono zigàre per piangere,
e ad una donna malsana, brutta ed uggiosa, che si direbbe una calía o una
scamonea, danno il nome di sagoma. Nelle trattorie poi trovate la
trifola, la costata alla fiorentina ed altre siffatte cose da
spiritare i cani. Fu là, io credo, che s'inventarono le batterie per
significare le corse di gara a baroccino o a sediolo e dove si era trovato il
vocabolo zona per indicare una corsa in tranvai. Quando sentii la prima
volta nominare la crescente, credei si parlasse della luna; si trattava
invece della schiacciata, o focaccia, o pasta fritta comune che tutti conoscono
e tutti sanno fare, con la sola differenza che i Bolognesi, per renderla più
tenera e digeribile, nell'intridere la farina coll'acqua diaccia e il sale,
aggiungono un poco di lardo.
Pare che la
stiacciata gonfi meglio se la gettate in padella coll'unto a bollore, fuori del
fuoco.
Sono per altro
i Bolognesi gente attiva, industriosa, affabile e cordiale e però, tanto con
gli uomini che con le donne, si parla volentieri, perché piace la loro franca
conversazione. Codesta, se io avessi a giudicare, è la vera educazione e
civiltà di un popolo, non quella di certe città i cui abitanti son di un
carattere del tutto diverso.
Il Boccaccio in
una delle sue novelle, parlando delle donne bolognesi, esclama:
“O singolar
dolcezza del sangue bolognese! quanto se' tu sempre stata da commendare in così
fatti casi! (casi d'amore) mai di lagrime né di sospir fosti vaga; e
continuamente a' prieghi pieghevole e agli amorosi desiderio arrendevol fosti;
se io avesse degne lodi da commendarti, mai sazia non se ne vedrebbe la voce
mia”.
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