247. CACIMPERIO
Chi frequenta le trattorie può formarsi un'idea della grande varietà dei
gusti nelle persone. Astrazion fatta da quei divoratori, come lupi, che non sanno
distinguere, sto per dire, una torta di marzapane da un piatto di scardiccioni,
sentirete talvolta portare al cielo una vivanda da alcuni giudicata mediocre e
da altri perfino, come pessima, rigettata. Allora vi tornerà in mente la gran
verità di quella sentenza che dice: De gustibus non est dísputandum.
A questo proposito Giuseppe Averani, trattando Del vitto e
delle cene degli antichi, scrive: “Vario ed incostante sopra tutti gli
altri sentimenti si è il gusto. Imperocché gli organi della lingua, per cui
gustiamo i sapori, non sono d'una maniera in tutti gli uomini e in tutti i
climi, e s'alterano sovente o per mutazione d'età o per infermità o per altra
più possente cagione. Per la qual cosa molti di quei cibi che di soverchio
appetiscono i fanciulli, non allettano gli uomini; e quelle vivande e quelle
bevande che gustevoli e delicate solleticano con diletto e soavità il palato
de' sani, non rade volte, come spiacevoli e sazievoli, sono abbominate dagli
infermi. Accade ancora bene spesso, che una certa fantastica apprensione ci
rende più o meno aggradevoli e piacenti le vivande, secondoché la stravolta
immaginazione ce le rappresenta. I cibi e le vivande rare e strane sono più
piacevoli al gusto che le comunali e nostrali non sono. La carestia e l'abbondanza,
il caro e la viltà dà e toglie il sapore alle vivande: e la comune approvazione
de' ghiotti le fa saporite e dilettevoli. Quindi è avvenuto che tutti i tempi e
tutte le nazioni gli stessi cibi non pregiarono, né buoni e delicati
medesimamente gli reputarono”.
Io, per esempio, non sono del parere di Brillat Savarin, che nella sua Physiologie
du goût fa gran caso della fondue (cacimperio) e ne dà la
seguente ricetta:
“Pesate, egli dice, le uova e prendete un terzo del loro peso di
formaggio gruiera e un sesto del loro peso di burro, sale ben poco e pepe a
buona misura”.
Io, in opposizione a Savarin, di questo piatto ho poco conto,
sembrandomi non possa servire che come principio in una colazione o per ripiego
quando manca di meglio.
In Italia essendo questo un piatto speciale ai Torinesi, ritenuto perciò
che essi lo facciano alla perfezione, mi sono procurato da Torino la seguente
ricetta la quale, avendo corrisposto alla prova, ve la descrivo. Basta per sei
persone.
Fontina, netta dalla corteccia, grammi 400.
Burro, grammi 80.
Rossi d'uovo, n. 4.
Latte, quanto basta.
La fontina è un formaggio poco dissimile dal gruiera, ma alquanto più
grasso.
Tagliatelo a piccoli dadi e tenetelo per due ore in infusione nel latte.
Mettete il burro al fuoco e quando avrà preso colore versateci la fontina, ma
del latte, ove è stata in molle, lasciatecene due sole cucchiaiate. Lavoratela
molto col mestolo senza farla bollire e quando il formaggio sarà tutto sciolto
ritiratela dal fuoco per aggiungervi i rossi. Rimettetela per un poco sul fuoco
rimestandola ancora e, d'inverno, versatela in un vassoio caldo.
Se è venuta bene non dev'essere né granulosa, né far le fila; ma aver
l'apparenza di una densa crema. A Torino ho visto servirla con uno strato
superficiale di tartufi bianchi crudi tagliati a fettine sottili come un velo.
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