501. TINCHE
ALLA SAUTÉ
Questo pesce (Tinca
vulgaris) della famiglia dei ciprinoidi, ossia dei carpi, benché si trovi
anche ne' laghi e ne' fiumi profondi, abita di preferenza, come ognuno sa, le
acque stagnanti dei paduli; ma ciò che ignorasi forse da molti si è che esso,
nonché il carpio, offrono un esempio della ruminazione fra i pesci. Il cibo
arrivato nel ventricolo è rimandato nella faringe coi movimenti
antiperistaltici e dai denti faringei, speciali a quest'uso, ulteriormente
sminuzzato e triturato.
Prendete tinche
grosse (nel mercato di Firenze vendonsi vive e sono, nella loro inferiorità fra
i pesci, delle migliori), tagliate loro le pinne, la testa e la coda; apritele
per la schiena, levatene la spina e le lische e dividetele in due parti per il
lungo. Infarinatele, poi tuffatele nell'uovo frullato, che avrete prima condito
con sale e pepe; involgetele nel pangrattato, ripetendo per due volte
quest'ultima operazione. Cuocetele nella sauté col burro e servitele in
tavola con spicchi di limone e con un contorno di funghi fritti, alla loro
stagione.
Qui viene
opportuno indicare il modo di togliere o attenuare il lezzo dei pesci di
padule. Si gettano nell'acqua bollente, tenendoveli alcuni minuti finché la
pelle comincia a screpolare, e si rinfrescano poi nell'acqua diaccia prima di
cuocerli. Questa operazione è chiamata dai francesi limoner, da limon,
fango.
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