702. MIGLIACCIO
DI ROMAGNA
Se il maiale
volasse
Non ci saria
danar che lo pagasse,
diceva un tale;
e un altro: “Il maiale, colle sue carni e colle manipolazioni a cui queste si prestano,
vi fa sentire tanti sapori diversi quanti giorni sono nell'anno”. Al lettore il
decidere quale dei due sproloqui sia il più esatto: a me basta darvi un cenno
delle così dette nozze del maiale, perché anche questo immondo animale
fa ridere, ma solo, come l'avaro, il giorno della sua morte.
In Romagna le
famiglie benestanti e i contadini lo macellano in casa, circostanza in cui si
sciala più dell'usato e i ragazzi fanno baldoria. Questa è anche l'occasione
opportuna per ricordarsi agli amici, a' parenti, alle persone colle quali si
abbia qualche dovere da compiere, imperocché ad uno, per esempio, si mandano
tre o quattro braciuole della lombata, ad un altro un'ala di fegato, ad un
terzo un piatto di buon migliaccio; e la famiglia che queste cose riceve, si
rammenta di fare, alla sua volta, altrettanto. “È pane da rendere e farina da
imprestare”, direte voi; ma frattanto son usi che servono a tener deste le
conoscenze e le amicizie fra le famiglie.
Dopo tale
preambolo, venendo a nocco, ecco la ricetta del migliaccio di Romagna il quale,
per la sua nobiltà, non degnerebbe di riconoscere neppur per prossimo quello di
farina dolce che girondola per le strade di Firenze:
Latte,
decilitri 7.
Sangue di
maiale disfatto, grammi 330.
Sapa, oppure
miele sopraffine, grammi 200.
Mandorle dolci
sbucciate, grammi 100.
Zucchero,
grammi 100.
Pangrattato
finissimo, grammi 80.
Candito, grammi
50.
Burro, grammi
50.
Spezie fini,
due cucchiaini.
Cioccolata,
grammi 100.
Noce moscata,
un cucchiaino.
Una striscia di
scorza di limone.
Pestate in un
mortaio le mandorle insieme col candito, che avrete prima tagliato a pezzetti,
bagnatele di tanto in tanto con qualche cucchiaino di latte e passatele per
istaccio. Ponete il latte al fuoco con la buccia di limone, che poi va levata,
e fatelo bollire per dieci minuti; uniteci la cioccolata grattata, e quando
questa sarà sciolta, levatelo dal fuoco e lasciatelo freddare un poco.
Poi versate
nello stesso vaso il sangue, già passato per istaccio, e tutti gli altri
ingredienti serbando per ultimo il pangrattato, del quale, se fosse troppo, si
può lasciare addietro una parte.
Mettete il
composto a cuocere a bagno-marla e rimuovetelo spesso col mestolo onde non si
attacchi al vaso. La cottura e il grado di densità che fa d'uopo, si conoscono
dal mestolo che, lasciato in mezzo al composto, deve rimanere ritto. Se ciò non
avviene, aggiungete il resto del pangrattato, supposto non l'abbiate versato
tutto. Pel resto regolatevi come alla Torta di ricotta n. 639, cioè versatelo
in una teglia foderata di Pasta matta n. 153 e, quando sarà ben diaccio,
tagliatelo a mandorle. Cuocete poco la pasta matta per poterla tagliar
facilmente e non lasciate risecchire il migliaccio al fuoco, ma levatelo quando
si estrae pulito un fuscello di granata immersovi.
Se vi servite
del miele invece della sapa, assaggiate avanti di aggiungere lo zucchero onde
non riesca troppo dolce, e notate che uno de' pregi di questo piatto è che sia
mantecato, cioè di composizione ben fine.
Il timore di
non essere inteso da tutti, nella descrizione di queste pietanze, mi fa
scendere spesso a troppo minuti particolari, che risparmierei volentieri.
Nonostante pare
che ciò non basti perché una cuoca di un paese di Romagna mi scrisse: “Ho fatto
ai miei padroni il migliaccio che sta stampato nel suo pregiatissimo Manuale di
cucina; è piaciuto assai, solo che le mandorle col candito non ho saputo come
farle passare per lo staccio: avrebbe la bontà d'indicarmelo?”.
Grato alla
domanda io le risposi: “Non so se sappiate che si trovano, per uso di cucina,
degli stacci appositi di crine, forti e radi, e di fil di ferro finissimo. Con
questi, un buon mortaio e olio di schiena si possono passare anche le
cose più difficili”.
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