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Errico Malatesta – Francesco Saverio Merlino Anarchismo e democrazia IntraText CT - Lettura del testo |
SOCIETà AUTORITARIA E SOCIETA’ ANARCHICA
Risposta di Malatesta sull’Agitazione del 28 marzo 1897.
Merlino dice senza dubbio molte cose giustissime e che diciamo anche noi; ma nell’affermare delle idee generali, sulle necessità della vita sociale, perde di vista, a parer nostro, la differenza tra autoritarismo ed anarchismo e le ragioni della differenza. Così che tutto il suo argomentare potrebbe servire benissimo per sostenere la necessità di un governo, e quindi l’impossibilità dell’anarchia.
Stabiliamo subito quali sono i punti in cui siamo d’accordo, acciò nè il Merlino nè altri, cui piaccia polemizzare con noi, perda il tempo a combattere in noi idee che non sono nostre, e riesca così a sfondare delle porte aperte.
Noi pensiamo che in molti casi la minoranza anche se convinta di aver ragione, deve cedere alla maggioranza, perchè altrimenti non vi sarebbe vita sociale possibile – e fuori della società è impossibile ogni vita umana. E sappiamo benissimo che le cose in cui non si può raggiungere l’unanimità ed in cui è necessario che la minoranza ceda non sono le cose di poco momento; ma anche, e specialmente, quelle di importanza vitale per l’economia della collettività.
Noi non crediamo nel diritto divino delle maggioranze, ma nemmeno crediamo che le minoranze rappresentino, sempre, la ragione ed il progresso. Galileo aveva ragione contro tutti i suoi contemporanei; ma vi sono oggi ancora alcuni che sostengono che la terra è piatta e che il sole le gira intorno, e nessuno vorrà dire che hanno ragione perchè son diventati minoranza. Del resto, se è vero che i rivoluzionari sono sempre una minoranza, sono anche sempre in minoranza gli sfruttatori ed i birri.
Così pure noi siamo d’accordo col Merlino nell’ammettere che è impossibile che ogni uomo faccia tutto da sè, e che, se anche fosse possibile, ciò sarebbe sommamente svantaggioso per tutti. Quindi ammettiamo la divisione del lavoro sociale, la delegazione delle funzioni e la rappresentanza delle opinioni e degli interessi propri affidata ad altri.
E soprattutto respingiamo come falsa e perniciosa ogni idea di armonia provvidenziale e di ordine naturale nella società, poichè crediamo che la società umana e l’uomo sociale esso stesso siano il prodotto di una lotta lunga e faticosa contro la natura, e che se l’uomo cessasse dall’esercitare la sua volontà cosciente e si abbandonasse alla natura, ricadrebbe presto nella animalità e nella lotta brutale.
Ma – e qui è la ragione per cui siamo anarchici – noi vogliamo che le minoranze cedano volontariamente quando così la richieda la necessità ed il sentimento della solidarietà. Vogliamo che la divisione del lavoro sociale non divida gli uomini in classi e faccia gli uni direttori e capi, esenti da ogni lavoro ingrato, e condanni gli altri ad esser le bestie da soma della società. Vogliamo che delegando ad altri una funzione, cioè incaricando altri di un dato lavoro, gli uomini non rinunzino alla propria sovranità, e che, ove occorra un rappresentante, questi sia il portaparola dei suoi mandanti o l’esecutore delle loro volontà, e non già colui che fa la legge e la fa accettare per forza, e crediamo che ogni organizzazione sociale non fondata sulla libera e cosciente volontà dei suoi membri conduce all’oppressione ed allo sfruttamento della massa da parte di una piccola minoranza.
Ogni società autoritaria si mantiene per coazione. La società anarchica deve essere fondata sul libero accordo: in essa bisogna che gli uomini sentano vivamente ed accettino spontaneamente i doveri della vita sociale, e si sforzino di organizzare gl’interessi discordanti e di eliminare ogni motivo di lotta intestina; o almeno che, se conflitti si producono, essi non siano mai di tale importanza da provocare la costituzione di un potere moderatore, che col pretesto di garantire la giustizia a tutti, ridurrebbe tutti in servitù.
Ma se la minoranza non vuol cedere? dice Merlino. E se la maggioranza vuol abusare della sua forza? domandiamo noi.
È chiaro che nell’un caso come nell’altro non v’è anarchia possibile.
Per esempio noi non vogliamo polizia. Ciò suppone naturalmente che noi pensiamo che le nostre donne, i nostri bimbi e noi stessi possiamo andar per le strade senza che nessuno ci molesti, o almeno che se qualcuno volesse abusar su di noi della sua forza superiore, troveremmo nei vicini e nei passanti più valida protezione che non in un corpo di polizia appositamente stipendiato.
Ma se invece delle bande di facinorosi van per le strade insultando e bastonando i più deboli di loro ed il pubblico assiste indifferente a tale spettacolo? Allora naturalmente i deboli e quelli che amano la propria tranquillità invocherebbero la istituzione della polizia, e questa non mancherebbe di costituirsi. Si potrebbe forse sostenere che, date quelle circostanze, la polizia sarebbe il minore dei mali; ma non si potrebbe certo dire che si sta in anarchia. La verità sarebbe che quando v’è tanti prepotenti da un lato e tanti vili dall’altro l’anarchia non è possibile.
Quindi è che l’anarchico deve sentire fortemente il rispetto della libertà e del benessere degli altri, e deve fare di questo rispetto lo scopo precipuo della sua propaganda.
Ma, si obbietterà, gli uomini oggi sono troppo egoisti, troppo intolleranti, troppo cattivi per rispettare i diritti degli altri e cedere volontariamente alle necessità sociali.
Invero, noi abbiamo sempre riscontrato negli uomini, anche i più corrotti, tale un bisogno di essere stimati ed amati, e, in date circostanze, tanta capacità di sacrificio e tanta considerazione dei bisogni degli altri da sperare che, una volta distrutte con la proprietà individuale le cause permanenti dei più gravi antagonismi, non sarà difficile di ottenere la libera cooperazione di ciascuno al benessere di tutti.
Comunque sia, noi anarchici non siamo tutta l’umanità e non possiamo certamente far da noi soli tutta la storia umana; ma possiamo e dobbiamo lavorare per la realizzazione dei nostri ideali cercando di eliminare, il più possibile, la lotta e la coazione nella vita sociale.
E dopo ciò ha ragione di sostenere Merlino che il parlamentarismo non può sparire completamente e che ve ne dovrà restare qualche cosa anche nella società da noi vagheggiata? Noi crediamo che il chiamare parlamentarismo o avanzo di parlamentarismo quello scambio di servizi e quella distribuzione delle funzioni sociali senza di cui la società non potrebbe esistere, sia un alterare senza ragione il significato accettato delle parole, e non possa che oscurare e confondere la discussione. Il parlamentarismo è una forma di governo; e un governo significa potere legislativo, potere esecutivo e potere giudiziario; significa violenza, coazione, imposizione con la forza della volontà dei governanti ai governati.
Un esempio chiarirà il nostro concetto. I vari Stati d’Europa e del mondo stanno in rapporto tra di loro, si fanno rappresentare gli uni presso gli altri, organizzano servizi internazionali, convocano congressi, fanno la pace o la guerra, senza che vi sia un governo internazionale, un potere legislativo che faccia la legge a tutti gli Stati, ed un potere esecutivo che a tutti l’imponga.
Oggi i rapporti tra i diversi Stati sono ancora in molta parte fondati sulla violenza e sul sospetto. Alle sopravvivenze ataviche delle rivalità storiche, degli odi di razza e di religione e dello spirito di conquista, si aggiunge la concorrenza economica ogni giorno minacciati dalla guerra ed ogni giorno i grossi Stati fan violenza ai piccoli.
Ma chi oserebbe sostenere che per rimediare a questo stato di cose bisognerebbe che ogni Stato nominasse dei rappresentanti, i quali, riunitisi stabilissero tra loro, a maggioranza di voti, i principi del diritto internazionale e le sanzioni penali contro i trasgressori e man mano legiferassero su tutte le questioni tra Stato e Stato; ed avessero a loro disposizione una forza per far rispettare le loro decisioni?
Questo sarebbe il parlamentarismo esteso ai rapporti internazionali; e lungi dall’armonizzare gl’interessi dei vari Stati e distruggere le cause dei conflitti, tenderebbe a consolidare il predominio dei più forti e creerebbe una nuova classe di sfruttatori e di oppressori internazionali. Qualche cosa di questo genere esiste di già in germe nel «concetto» delle grandi potenze, e tutti ne vediamo gli effetti liberticidi.
Ed ancora due parole sulla questione dell’astensionismo elettorale. Merlino continua a parlare dell’attività propagandista che si può spiegare per mezzo delle elezioni; ma non pensa a quello che si potrebbe fare se, respingendo la lotta elettorale, si portasse quell’attività sopra un altro campo più consono coi nostri principi e coi nostri fini.
Merlino non crede nella conquista dei poteri pubblici; ma noi non vorremmo questa conquista, nè per noi nè per altri, neanche se la credessimo possibile. Noi siamo avversari del principio di governo, e non crediamo che chi andasse al governo si affretterebbe poi a rinunziare al potere conquistato. I popoli che vogliono la libertà demoliscono le Bastiglie, i tiranni invece, domandano di entrarvi e fortificarvisi, colla scusa di difendere il popolo contro i nemici. Quindi noi non vogliamo che il popolo s’abitui a mandare al potere i suoi amici, o pretesi tali, e ad attendersi l’emancipazione dalla loro ascesa al potere.
L’astensione per noi è una questione di tattica; ma è tanto importante che, quando vi si rinunzia, si finisce col rinunziare anche ai principi. E ciò per la naturale connessione dei mezzi col fine.
Merlino si duole di non essere completamente d’accordo nè con noi nè coi socialisti democratici; ma dice che non si può disdire. Noi non gli domandiamo certamente di disdirsi, contro le sue convinzioni e contro la sua coscienza. Ma ci permettiamo di fargli un’osservazione.
Una tattica, per buona che sia, non vale se non quando è accettata da coloro che dovrebbero praticarla. Ora, a ragione o a torto, noi e gli anarchici tutti, della tattica proposta dal Merlino non vogliamo saperne. Non è meglio che egli stia con noi con cui ha pur comuni gl’ideali e comuni ha pure i mezzi principali di lotta, anzichè sciupare le sue forze in un tentativo che resterà sterile, ne siam sicuri, a meno che egli rinunzi all’anarchia e cerchi i suoi partigiani tra gli avversari nostri e suoi?