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Errico Malatesta – Francesco Saverio Merlino Anarchismo e democrazia IntraText CT - Lettura del testo |
Replica del Malatesta sull’Agitazione del 23 dicembre 1897 con un articolo dal titolo: «Anarchia... contro che cosa?».
Io so che Merlino, esempio raro tra i polemisti e gli uomini di parte, non mira nelle discussioni a mettere nell’imbarazzo l’avversario con artifici retorici, ma si sforza di portar luce sulla materia in questione; so ch’egli si propone sempre di cercare la verità e di propagare quello ch’egli è giunto a creder vero – e perciò sono stato molto meravigliato dell’ultimo articolo che ci ha inviato, nel quale, mentre si propone di rispondere ad una domanda da me fatta nella speranza reale di apprendere meglio quali sono le sue idee, egli gira attorno alla questione, cerca d’impressionare il lettore con una certa apparenza di spirito pratico e... mi lascia più perplesso di prima.
Io domandavo se, a senso suo, quel qualsiasi governo, o parlamento ch’egli crede necessario al buon andamento della società dovrà avere a sua disposizione una forza armata.
E Merlino mi risponde che «l’uso della forza dovrà essere riservato ai casi estremi e non dovrà essere ad arbitrio di un Governo o di un Parlamento di adoperarla contro i Cittadini ricalcitranti ad un dato provvedimento».
Io non ci capisco nulla. Se il Governo non ha il diritto di costringere i cittadini ad ubbidire alle leggi, allora non è più un governo, nel senso comune della parola e noi non avremmo più a domandarne l’abolizione: ci basterebbe di fare a modo nostro quando quello che esso vuole non ci conviene.
Non vi deve essere una forza armata permanente, dice Merlino, ma i cittadini stessi potranno esser chiamati in casi straordinari, come già si usa in Inghilterra e negli Stati Uniti. Ma chiamati da chi? Dal Governo? E saranno obbligati ad accorrere alla chiamata? In Inghilterra e negli Stati Uniti vi è una polizia; e le milizie che il governo chiama in casi straordinari servono, salvo che non si ribellino, agli scopi del governo, tra cui è sempre primo quello di tenere a freno ed all’occasione di massacrare il popolo. E quello il regime politico che vagheggia Merlino?
Ma l’uso della forza va regolato e tolto all’arbitrio di un’amministrazione centrale qualsiasi, dice Merlino. Che si tratti dunque di uno Statuto che dovrà fissare i diritti rispettivi del Cittadino e quelli del Governo e che sarà rispettato... come lo sono sempre stati gli Statuti!
Noi vogliamo che tutti i cittadini abbiano diritto uguale di essere armati e di correre alle armi quando se ne presenti la necessità, senza che nessuno possa costringerli a marciare o a non marciare. Vogliamo che la difesa sociale, interesse di tutti, sia affidata a tutti, senza che nessuno faccia il mestiere di difensore dell’ordine pubblico e viva di esso.
Ma, dice Merlino, se io sono attaccato da uno più forte di me, come farò a difendermi? Accorrerà la gente ad aiutarmi? E accorrendo, come farà a giudicare da che parte sta la ragione? E siccome probabilmente si produrranno opinioni diverse, si avrà dunque per ogni disputa una guerra civile?
E i carabinieri, rispondo io, sono sempre presenti per difendere chi è attaccato? Ed è sicuro ch’essi non si mettano mai dalla parte di chi ha torto? E il giudizio dei magistrati offre forse più garanzie di giustizia di quello della folla? E la tirannia è forse preferibile alla guerra civile? Merlino ragiona come fanno i conservatori. Egli mette innanzi tutti gl’inconvenienti, tutti i conflitti possibili nella vita sociale, e se ne serve per dire impossibili ed assurdi gl’ideali nostri – dimenticando però di dirci come a quegli inconvenienti ed a quei conflitti si ripara nel sistema suo.
Merlino teme la guerra civile; ma che cosa è un regime autoritario se non uno stato di guerra, in cui una delle parti è stata vinta e si trova soggetta? Merlino dirà che egli è libertario e non già autoritario; ma se qualcuno, individuo o collettività, minoranza o maggioranza può imporre agli altri la propria volontà, la libertà è una menzogna, o non esiste se non per chi dispone della forza.
Io non ho mai detto che l’Anarchia, specie nei primi tempi sarà l’Arcadia o l’Eldorado. Vi saranno purtroppo guai e difficoltà inerenti all’imperfezione ed al disaccordo degli uomini; ma se v’è probabilità che i mali siano minori che in qualsiasi regime autoritario, ciò mi basta per essere anarchico.
Il benessere e la libertà di tutti, l’abolizione della tirannia e della schiavitù non si possono avere se non quando gli uomini si sforzino di armonizzare i loro interessi e si pieghino volontariamente alle necessità sociali. Ed io credo che, abolita la proprietà individuale ed il governo, distrutta cioè la possibilità di sfruttare ed opprimere gli altri sotto l’egida delle leggi e della forza sociale, gli uomini avranno interesse, e quindi volontà, di accordarsi e risolvere i possibili conflitti pacificamente, senza ricorrere alla forza. Se ciò non fosse, evidentemente l’anarchia sarebbe impossibile; ma sarebbero anche impossibili la pace e la libertà.
Merlino non è persuaso quando gli dico che contro il volere degli uomini l’anarchia non si fa. Ma sa egli concepire un regime che si regga senza e contro la volontà degli uomini, o almeno di coloro tra gli uomini che pensano e vogliono? E conosce egli un regime che valga più di quel che valgono gli uomini che lo accettano?
Tutto dipende dalla volontà degli uomini. Cerchiamo dunque di educarli a volere la libertà e la giustizia per tutti, e a cacciare dal loro spirito il pregiudizio della necessità del gendarme.
Io dissi che non sono profeta, e Merlino trova che io rispondo come fanno i socialisti democratici quando si tenta di dimostrar loro gl’inconvenienti del Collettivismo.
I socialisti democratici vogliono che il popolo li mandi al potere, a far le leggi, ad organizzare la nuova società, e quindi dovrebbero almeno dirci che uso farebbero di questo potere, e a quali leggi ci sottoporrebbero.
Noi anarchici invece vogliamo che il popolo conquisti la libertà e... faccia quello che vuole.
Avere fin da ora delle idee e dei progetti pratici è necessario, poichè la vita sociale non ammette interruzione, ed il popolo dovrà, il giorno stesso in cui si sarà sbarazzato del governo e dei padroni, provvedere alle necessità della vita. Ma queste idee potranno essere varie nei vari paesi e nelle varie branche della produzione, e se anche fossero sbagliate il male non sarebbe grande, poichè, non essendovi un potere conservatore che obblighi a perseverare negli errori, nè una classe costituita che di questi errori profitti, si potrà sempre cambiare e migliorare quello che alla prova non riesce bene. L’anarchia è, in un certo senso, il sistema sperimentale applicato all’arte del viver civile.
E poi, io non sono che un individuo, e io e tutti gli anarchici attuali non siamo che una frazione del popolo, e quindi potremmo dire tutto al più quel che vorremmo, ma non mai quel che sarà: il fatto dovendo essere necessariamente modificato dal concorso di tante altre volontà che oggi non sappiamo quali saranno.
D’altronde, pur non avendo nessuna inclinazione per l’arte profetica, io espressi alcuna delle mie idee sulla futura organizzazione sociale — e Merlino le ha confutate... alquanto puerilmente.
Io dissi, per esempio, che i servizi pubblici saranno fatti dalle associazioni dei lavoratori dei diversi rami e che queste associazioni baderanno nello stesso tempo al benessere dei loro membri ed al comodo del pubblico. E Merlino dice che queste associazioni, al pari dei corpi governanti, baderebbero prima al comodo dei propri membri e poi, se mai, a quello del pubblico. Può darsi benissimo: ma siccome ogni lavoratore da una parte è membro di un’associazione di produzione e dall’altra è parte del pubblico, è probabile che si accorgerebbe presto che al giuoco di tirare ognuno al proprio vantaggio, ci si perde tutti, e perciò penserebbe che vale meglio accordarsi e lavorare tutti di buona voglia per il bene generale. Tutt’altra è invece la posizione del governante, il quale impone agli altri le regole di lavoro e può accomodar tutto a profitto suo e dei suoi amici.
Io dissi che l’opinione pubblica impedirebbe alle associazioni di prevaricare; e Merlino mi domanda se vi sarà un’insurrezione popolare contro ogni Amministrazione che non obbedisse al volare del popolo. Eppure non è molti giorni che Merlino ha scritto, ed a ragione, che se il popolo sapesse volere potrebbe, anche nel regime attuale, nonostante le ricchezze ed i soldati di cui dispongono le classi dominanti, impedire moltissimi abusi ed imporre il rispetto di molte libertà! La tesi che sostiene Merlino deve essere davvero molto cattiva, giacchè egli si vede costretto a ricorrere alle barzellette dei reazionari.
Io parlai dei legami di dipendenza reciproca tra le Associazioni, e Merlino non intende di che legami io parlo. Ma non è chiaro che il fornaio, per esempio, ha bisogno del mugnaio che gli fornisce la farina, del contadino che fornisce il grano, del muratore che gli fa la casa, del sarto che lo veste e così all’infinito? Non è chiaro che tutti hanno interesse e bisogno di mettersi d’accordo con tutti? Ma come si stabiliranno questi accordi? domanda Merlino. Mediante patti, obbligazioni, Comitati federali, Congressi? Con questi o con altri mezzi, ma non certo, se i lavoratori ci terranno ad esser liberi, mediante Parlamenti che faccian la legge e che la impongano a tutti colla forza.
Io reclamavo infine, come garanzia contro il costituirsi di monopoli a danno del pubblico, il diritto di tutti ad entrare nelle singole Associazioni ed usare dei mezzi di produzione che esse adoperano. E Merlino risponde immaginando un cantiere invaso da gente che vuol mettere le mani dappertutto, o una farmacia dove dei dilettanti vadano a rimestare e confondere tutto. Non sembra proprio di sentire un parruccone il quale, volendo combattere la proposta di aprire al pubblico un giardino, dicesse che tutta la popolazione vorrebbe entrare contemporaneamente nel giardino e morrebbe pigiata e soffocata? In pratica poi risulta che quando si apre un pubblico giardino il diritto per tutti di andarci a passeggiare basta per impedire il monopolio, ma non produce niente affatto un affollamento che distruggerebbe il piacere di passeggiare. Il mio concetto era chiaro: io parlavo del diritto che deve avere la gente di provvedere da sè ad un dato lavoro, quando coloro i quali lo fanno volessero servirsene come mezzo per sfruttare ed opprimere gli altri; e non già del diritto degli sfaccendati di andare a disturbare chi lavora.
Ma insomma, le idee mie possono essere sbagliate, e, come ho detto, non sarebbe gran male, perchè io non voglio imporle a nessuno. Merlino però, il quale si lamenta che noi non vogliamo fare i profeti e non definiamo abbastanza le nostre idee sull’avvenire, dovrebbe dirci lui che cosa è che vuole.
Non crede nell’«amministrazione» dei socialisti democratici, non nelle associazioni degli anarchici, e tampoco vuole egli demolire il presente senza preoccuparsi dell’avvenire. Che cosa vuole egli dunque?
Criticare le idee degli altri è ottima cosa, ma non basta. Noi sappiamo che tutti i sistemi hanno i loro lati deboli: il nostro come quelli degli altri. Ma per rinunziare al nostro bisognerebbe che ce se ne proponesse uno che abbia meno inconvenienti.
Tutto è relativo. Noi siamo anarchici perchè l’Anarchia, nel senso che noi diamo alla parola, ci pare la migliore soluzione del problema sociale. Se Merlino conosce qualche cosa di meglio, ce lo insegni subito.