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Errico Malatesta – Francesco Saverio Merlino
Anarchismo e democrazia

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MALATESTA

I MOTIVI DELL'ASTENSIONE

 

Esauriente risposta a Merlino. Malatesta la pubblica sull’Agitazione del 14 marzo 1897 col titolo «Anarchia e Parlamentarismo: risposta a Saverio Merlino».

 

I parlamentaristi sono in festa: a sentir loro astensionisti non ve ne sono più, perchè... Merlino si è convertito alle lotte elettorali. Essi credono che gli anarchici seguano ciecamente, come bene e spesso succede tra loro, questo o quell’uomo; noi invece riteniamo che Merlino resterà solo e dovrà cercare i suoi collaboratori fuori del campo anarchico, perchè i principii anarchici mal si conciliano con la fatica da lui sostenuta. Consta intanto che finora nessun anarchico che si sappia ha fatto adesione alle idee del Merlino.

Merlino nega (vedi l’Avanti! del 9 marzo) che la lotta politica parlamentare sia contraria ai principi socialisti-anarchici.

Intendiamoci bene. Quello che è contrario ai nostri principi è il parlamentarismo, in tutte le sue forme e tutte le sue gradazioni. E noi riteniamo che la lotta elettorale e parlamentare educa al parlamentarismo e finisce col trasformare in parlamentaristi coloro che la praticano.

Merlino, che pare si dica ancora anarchico e pare vada facendo continue riserve sull’abolizione piena ed intera del parlamentarismo ed accampa la fede nuovissima nella possibilità di un governo che sia servitore del popolo e si possa congedare quando non faccia il suo dovere o non si abbia più bisogno dell’opera sua, dovrebbe innanzi tutto spiegarci che cosa sarebbe questa sua anarchia parlamentare. Finora il socialismo anarchico alla fin fine, non è stato che il socialismo antiparlamentare; perchè allora continuare a chiamarlo anarchico?

L’astensione degli anarchici non è da confrontare con quella, per esempio, dei repubblicani. Per questi l’astensione è una semplice questione di tattica: si astengono quando credono imminente la rivoluzione e non vogliono distrarre forze della preparazione rivoluzionaria; votano quando non hanno di meglio da fare, ed il loro meglio è molto ristretto poichè rifuggono per ragioni di classe dalle agitazioni sovvertitrici degli ordini sociali. In realtà essi stanno sempre sul buon cammino: essi vogliono un governo parlamentare e gli elettori che conquistano adesso sono sempre buoni per mandarli un giorno alla costituente.

Per noi invece, l’astensione si collega strettamente con le finalità del nostro partito. Quando verrà la rivoluzione (fra mille anni, s’intende, ci badi il procuratore del re) noi vogliamo rifiutarci a riconoscere i nuovi governi che tenteranno d’impiantarsi, noi non vogliamo dare a nessuno un mandato legislativo e quindi abbiamo bisogno che il popolo abbia ripugnanza delle elezioni, si rifiuti a delegare ad altri l’organizzazione del nuovo stato di cose, e quindi si trovi nella necessità di fare da sè.

Noi dobbiamo far sì che gli operai si abituino, fin da ora, per quanto è possibile, nelle associazioni di ogni genere, a regolare da loro i propri affari, e non già incoraggiarli nella tendenza a rimettersene in altri.

Merlino per ora dice ancora che le elezioni debbono servire come mezzo di agitazione, che gli eletti socialisti non debbono essere legislatori, e che la lotta importante si deve fare nel popolo, fuori del parlamento.

Ma senta un po’ i suoi amici dell’Avanti! Quelli sono logici. Essi vogliono andare al potere – per fare il bene del popolo, noi non ne dubitiamo – e quindi hanno ogni interesse a educare il popolo a nominare dei deputati e ad abituarsi essi a saper governare;

Ma Merlino dove vuole arrivare? Resterà egli eternamente tra il sì ed il no, tra il mi decido e non mi decido?

Egli col suo temperamento di uomo attivo si deciderà certamente, e noi crediamo, e ce ne addoloriamo davvero, che si deciderà col buttare a mare ogni reminiscenza anarchica e diventare un semplice parlamentarista. Già non mancano i sintomi che preannunziano la sua decisione definitiva.

Nella sua prima lettera al Messaggero la lotta parlamentare era un semplice episodio di scarsa importanza. Nella sua seconda le associazioni di resistenza, le cooperative ed il resto riescono a male e non si può far altro che andare al parlamento. Nella sua prima lettera gli anarchici dovevano mandare gli altri al parlamento, ma non andarci loro; nell’articolo sull’Avanti! già si dice che i deputati possono fare tante belle cose che sarebbe veramente un tradimento il rifiutarci a fare anche noi la nostra parte. E poi si parla di farsi arrestare col popolo. Come perdere la bella occasione di sacrificarsi per il popolo?

Merlino, ne siamo convinti perchè lo conosciamo, è sincero quando dice di non volere andare al parlamento. Ma la logica della posizione sarà più forte di lui, ed egli al parlamento ci andrà... se vorranno mandarcelo.

Tutta la forza dell’argomentazione di Merlino consiste in un equivoco. Egli pone in contrapposto da una parte la lotta elettorale e dall’altra l’inerzia, l’indifferenza e l’acquiescenza supina alle prepotenze del governo e dei padroni; ed è chiaro che il vantaggio resta alla lotta elettorale.

A questa stregua sarebbe facile il dimostrare che è una buona cosa andare a messa ed aspettare ogni bene dalla divina provvidenza, poichè l’uomo che crede nell’efficacia della preghiera è sempre superiore all’idiota che nulla desidera, nulla spera e nulla teme.

Ne segue da ciò che noi dovremmo metterci a predicare alla gente di andare in chiesa e sperare in Dio?

La questione è tutt’altra. Si tratta di cercare qual’è il mezzo più efficace di resistenza popolare, qual’è la via che, mentre soddisfa ai bisogni del momento, conduce più direttamente ai destini futuri dell’umanità, qual’è il modo più utile d’impiegare le forze socialiste.

Non è vero che senza il parlamento mancano i mezzi per far pressione sul Governo e metter freno ai suoi eccessi. Al contrario. Quando in Italia non v’era il suffragio popolare, v’era una libertà che oggi ci sembrerebbe grande; e le violenze governative, molto minori di quelle di Crispi e Di Rudini, provocavano un’indignazione e una reazione popolare di cui oggi non si ha più l’idea. Lo stesso suffragio, di cui fan tanto caso, è stato naturalmente ottenuto quando il suffragio non v’era; ed ora che v’è, minacciano di toglierlo… effetto miracoloso della sua efficacia!

Merlino dice che Malatesta ha scritto che il despotismo è da preferire all’ibrido sistema attuale. Se la memoria non ci falla, scrisse Malatesta che al parlamentarismo accettato e vantato è da preferirsi il despotismo subito per forza e coll’animo intento alla rivolta. È una cosa ben differente, ed in quella differenza sta la ragione della nostra tattica. Se il governo riducesse l’Italia allo stato politico della Russia, noi non dovremmo riprincipiare la lotta per il costituzionalismo, perchè sappiamo già quanto valgono le costituzioni e troveremmo modo di lottare per i nostri ideali anche senza quelle larve di libertà che servono piuttosto ad illudere le masse che a favorirne il progresso.

I socialisti parlamentari invece, imperniando tutta la loro attività intorno alla lotta elettorale, si condannano ad un lavoro di Sisifo; ed ogni volta che al governo piace di menomare le libertà politiche e le garanzie costituzionali, essi debbono mettere da parte il programma socialista e ridiventare costituzionalisti. A prova “La lega della libertà” dei tempi crispini, in cui Turati, Cavallotti e Di Rudinì eran diventati commilitoni e fratelli.

D’altronde il fatto è questo; se nel paese v’è coscienza e forza di resistenza, se vi sono partiti extracostituzionali che minacciano lo Stato, allora il governo rispetta lo Statuto, allarga il suffragio, concede libertà, tanto per aprire delle valvole di sicurezza alla crescente pressione; ed in Parlamento i deputati borghesi tuonano contro i ministri, tanto per farsi popolari. Se invece il governo vede che i partiti popolari fondano le loro speranze sull’azione parlamentare e che la cosa che più gli dà noia sono i deputati socialisti, allora respinge il suffragio, tien chiuso il parlamento, viola lo Statuto; e se i deputati hanno il nerbo, cosa rara, di resistere più che per burla, vanno in prigione malgrado il medaglino e l’immunità.

Quando Merlino poi dice che gli astensionisti sono dei dottrinari e si compiace a mettere in bocca loro una serie di ragionamenti che mena fuori di ogni vita reale ed al più completo quietismo, allora Merlino è... men che sincero.

Vi sono è vero degli anarchici che si curano poco della praticabilità delle loro idee e limitano il loro compito alla predica di nozioni astratte, che essi credono il vero assoluto... se vero oggi, o vero tra mille anni non importa.

Ma Merlino sa che quella tendenza non è quella di tutti gli anarchici, che di essa in Italia appena se ne ritroverebbe la traccia e che, anche all’estero, essa in fondo non è rappresentata che da poche personalità.

Servirsi dell’esistenza di una tale tendenza per attribuirla a tutti gli anarchici e darsi così l’aria di aver ragione, può essere un abile espediente di polemica, ma non è degno di chi cerca e vuol propagare la verità.

Quella tendenza quietista, per il fatto ch’essa aveva trovato simpatia in qualche uomo d’ingegno e di fama, è stata certamente una fra le cause che avevano arrestato lo sviluppo del movimento anarchico. Merlino, e noi, e tanti altri abbiamo combattuto quella tendenza; e se egli avesse continuato per la strada di prima, continuerebbe ad averci a compagno. Ma Merlino, proprio quando gli anarchici accennano ad uscire dalla crisi ed a ripigliare un lavoro fecondo, rinnega tutto ciò che egli stesso aveva detto; e, senza accampare una sola ragione nuova che non fosse stata già le mille volte detta dai legalitari e da lui stesso confutata, vorrebbe che noi lo seguissimo.

Oggi le critiche ch’egli può fare degli errori in cui son caduti gli anarchici non hanno più efficacia. Non sono più le osservazioni di un commilitone fatte negli interessi della causa comune ma gli attacchi di un avversario, che rischiano di non essere presi in considerazione, perchè ritenuti sospetti.

 

 




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