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Errico Malatesta – Francesco Saverio Merlino
Anarchismo e democrazia

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MALATESTA

INCOMPATIBILITà

 

Nota di chiusura della prima parte della polemica, dovuta a Malatesta, pubblicata dall’Agitazione del 25 aprile 1897.

 

Merlino ci scrive di nuovo e si lamenta del «tono poco amichevole» del nostro articolo. Ma nel farlo prende tale un tono che impedisce a noi, che vogliamo restar calmi davvero, di pubblicare integralmente la sua risposta. Ci sforzeremo del resto di riportare, con le sue stesse parole, tutti i suoi argomenti.

Merlino è offeso perchè dicemmo ch’egli aveva fatto delle insinuazioni. Insinuazione non sempre significa bugia; e noi d’altronde avvertivamo che sapevam vero quello che Merlino diceva. Ma lamentavamo ch’egli venisse con accuse generali e impersonali a turbare la serenità della discussione.

Ora poi Merlino ci viene a parlare di gente che ha «lavorato» per Zuccari in mezzo agli anarchici, di uno che ha preso cento lire da un candidato monarchico e d’altre porcherie. Noi conosciamo troppo Merlino per avere la più lontana idea ch’egli menta; ma che significa questo suo venire a gettare il sospetto fra noi, quando poi non mette fuori i nomi e non ci mette in grado di poter distinguere i buoni dai falsi compagni, i convinti dai vacillanti? Ci mandi Merlino fatti e nomi; ci autorizzi a pubblicarli sotto la sua responsabilità, e noi gliene saremo gratissimi. Noi vogliamo anzitutto essere un partito di gente pulita.

Ma quel che è poi strano davvero è che Merlino trova che questo fango elettorale, che manda i suoi schizzi fino in mezzo a noi sia la conseguenza della tattica… astensionista!!! A noi pare invece una ragione di più per fare dell’astensionismo elettorale un punto importante del nostro programma, ed è per questo che siamo ostili anche alle candidature di protesta. E passiamo oltre.

Merlino protesta ch’egli non sapeva quando scrisse al Messaggero che gli anarchici si riorganizzavano. E noi gli crediamo; ma ci domandiamo allora se Merlino, prima di metter fuori al pubblico la sua nuova tattica, non avrebbe fatto bene a mettersi un po’ più a contatto coi suoi vecchi compagni. Merlino aggiunge che alla riorganizzazione non ci crede nemmeno ora – e questo è affar suo. Ai compagni tutti il dargli, coi fatti, un’eloquente smentita.

Ed ora agli argomenti. Merlino scrive:

«La difesa sociale (scrivete voi) dev’esser la cura di tutta la società; e se per difendersi vi fosse bisogno di armarsi, vogliamo essere armati tutti.»

«Così ragionando, l’amministrazione della pubblica ricchezza dev’essere la cura di tutta la società; e se per amministrarla vi fosse bisogno di far progetti, compilare statistiche, studiare scienze tecniche – ebbene quelle cose vogliamo farle tutti.

«L’educazione e l’istruzione dei fanciulli dev’essere la cura di tutta la società. Chi non sa quanto sia pericoloso confidare a pochi individui la cura di educare la nuova generazione? Dunque facciamoci tutti professori.

«E via di questo passo, si nega il principio della divisione del lavoro, si arriva al concetto Kropotkiniano, che il popolo in massa distribuirà le case, i viveri, il lavoro, farà tutto».

Se noi dicessimo che Merlino per confutarci ci affibbia delle idee che egli dovrebbe sapere non essere le nostre, egli se ne offenderebbe – e noi non vogliamo offenderlo.

Noi ammettiamo certamente la divisione del lavoro e ne apprezziamo i vantaggi; ma ne conosciamo pure i danni ed i pericoli. La divisione del lavoro è stata una fra le cause dell’assoggettamento delle masse al dominio delle caste privilegiate. E col principio della divisione del lavoro si può tentare la giustificazione di tutte le mostruosità sociali: divisione tra lavoro mentale e lavoro manuale, divisione fra il lavoro di direzione e quello di esecuzione, divisione tra il lavoro di produzione e quello di difesa dei produttori... che poi si riassumono e si concretano nella divisione tra il lavoro di mangiare e quello di produrre, tra il lavoro di bastonare e quello di farsi bastonare. Menenio Agrippa conosceva già quest’argomento.

Noi crediamo che carattere essenziale, non solo dell’anarchismo ma del socialismo in genere, sia il volere che certe funzioni debbano appartenere indistintamente a tutti i membri della società, malgrado i vantaggi tecnici che vi potrebbero essere nell’affidarle ad una classe speciale. Si divida pure il lavoro fino a che si può, per aumentare la produzione e facilitare il funzionamento della vita sociale: ma sian salvi innanzi tutto l’integrale sviluppo e l’eguale libertà di tutti gli individui.

Tra le funzioni che, secondo noi, non si possono affidare senza gravi inconvenienti ad una classe speciale d’individui vi sono quelle in cui potrebbe esserci bisogno di adoperare la forza fisica contro un essere umano.

Così per esempio, potrebbe, non lo neghiamo, esservi un vantaggio tecnico ad avere un corpo di specialisti incaricati di diagnosticare la follia pericolosa e di portare i matti al manicomio, ma, che volete? Noi abbiam paura che quei signori dottori ed infermieri giudicherebbero matti tutti quelli che non la pensano come loro. Lombroso insegni, che ci rinchiuderebbe tutti, Merlino compreso! Per la polizia propriamente detta, peggio di peggio: addestrate un uomo a dar la caccia agli uomini ed avrete, tecnicamente parlando, un buon agente di polizia; ma nello stesso tempo avrete spento in lui ogni sentimento di simpatia umana, avrete spento l’uomo e non troverete più che lo sbirro.

E non ci estendiamo sul soggetto perchè, polemizzando col Merlino, noi non intendevamo discutere sui modi migliori di soddisfare ai diversi bisogni della società, ma sulla questione specifica delle elezioni e del parlamentarismo. I vari problemi che possono presentarsi nella vita sociale possono essere risoluti, bene o male, in modi diversi. La questione che trattavamo era piuttosto il modo di risolverli: autorità o libertà, delegazione di potere o delegazione di lavoro, governo parlamentare o anarchia – e su questa questione ci pare che Merlino, malgrado la protesta stizzosa che ci manda in contrario, abbia scivolato.

Merlino continua:

«La divergenza tra noi è sul modo d’intendere l’Anarchia.»

«Voi dite: l’anarchia sarà quando gli uomini sapranno vivere d’accordo. Quando?»

«Io dico: l’Anarchia sarà quando gl’interessi collettivi della società saranno organizzati, non già assolutamente senza coazione; ma, sia pure con quel po’ di coazione morale, economica o fisica che è inevitabile – senza quel potere costituito in mezzo alla società, armato di leggi e di baionette e arbitro della roba e della vita dei cittadini che si chiama governo».

Vale a dire che Merlino non credendo possibile ora l’Anarchia completa – l’organizzazione senza coazione – vorrebbe accostarvisi il più che si può. E sta bene: noi abbiamo già detto che non essendo noi tutta l’umanità non possiamo – e appunto perchè anarchici non pretendiamo – far da noi soli tutta la storia umana.

L’umanità cammina secondo la risultante delle mille forze che in vari sensi la sollecitano. Noi non siamo che una di queste forze. La questione da discutersi è se, possibilizzando il nostro programma, noi otterremmo un risultato più vantaggioso, vale a dire più pronto e più vicino al nostro ideale, che combattendo per l’attuazione del programma pieno ed intero.

Noi crediamo di no.

Infine Merlino ritorna sulla questione di tattica, ma non fa che ripetere il già detto più volte. Noi pure non avremmo che da ripeterci, quindi preferiamo chiuder qui la polemica.

Oramai i compagni e tutti coloro che si sono interessati della discussione ne hanno inteso abbastanza per farsi un’opinione propria.

 

 




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