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Errico Malatesta – Francesco Saverio Merlino Anarchismo e democrazia IntraText CT - Lettura del testo |
ANARCHISMO E DEMOCRAZIA
Recensione di Malatesta dello scritto di Merlino: «Collettivismo, comunismo, democrazia socialista e anarchismo», pubblicata sull’Agitazione del 6 agosto 1897.
Con questo titolo e col sottotitolo «tentativo di conciliazione» Saverio Merlino ha pubblicato nella Revue Socialiste di Parigi un articolo, che la Direzione di quella Rivista chiama una contribuzione alla sintesi delle dottrine socialiste.
E contribuzione a detta sintesi lo sarà forse, poichè ogni studio delle varie dottrine rischiara l’argomento, tende a toglier di mezzo i dissensi che non hanno ragione di essere, e può menare alla conciliazione se arriva a stabilire che differenze sostanziali non ne esistono. Ma il fine pratico che Merlino si proponeva, quello cioè di dimostrare che le dottrine dei socialisti democratici e dei socialisti anarchici, lungi dall’essere inconciliabili, si correggono e si completano a vicenda, è certamente mancato, poichè egli mette male la questione, e confonde dottrine e partiti in un modo che fa davvero meraviglia in un uomo di mente così lucida e così bene informato come è Merlino.
L’articolo si divide in due parti. Nella prima Merlino parla della differenza tra comunismo e collettivismo, pigliando queste parole nel senso, diremo così, classico che esse avevano per tutti al tempo dell’Internazionale: vale a dire, Comunismo, come il sistema, in cui tutto, strumenti e prodotti di lavoro, è a disposizione di tutti, senza tener calcolo del contributo di ciascuno all’opera collettiva, conforme alla formula «da ciascuno secondo le sue forze e a ciascuno secondo i suoi bisogni»; — Collettivismo, come il sistema in cui, stabilita l’eguaglianza di condizioni, garantito a tutti l’uso delle materie prime e degli strumenti di lavoro, ciascuno è padrone del prodotto del suo lavoro. Egli sostiene che tanto il Comunismo quanto il Collettivismo, se interpretati in un modo stretto, assoluto, sono l’uno e l’altro impossibili o non soddisfacenti, e fa molte osservazioni giuste, che abbiamo fatto anche noi in questo giornale o altrove. E conchiude che col contemperamento dell’un sistema coll’altro — facendo distinzione tra relazioni sociali necessarie e fondamentali e rapporti volontari e variabili tra gl’individui — si può arrivare ad «una buona organizzazione sociale che non soffochi l’energia dell’individuo levandogli ogni iniziativa ed ogni libertà d’azione, e che nello stesso tempo assicuri il funzionamento armonico delle attività individuali», o, in altri termini, che concili la libertà individuale colla necessaria solidarietà sociale.
La questione è molto interessante e può essere, ed è stata, oggetto di utile discussione; ma non ha nulla a vedere colle differenze che dividono democratici e anarchici. Vi possono essere, e vi sono stati e vi sono, anarchici collettivisti e anarchici comunisti, al pari che democratici collettivisti e democratici comunisti.
Negli ultimi anni i socialisti democratici, chiamandosi insistentemente collettivisti, sono riusciti ad identificare quasi il collettivismo colla democrazia socialista; ma in questo senso il Collettivismo più che un sistema di distribuzione dei prodotti del lavoro, è il sistema della organizzazione socialista per opera dello Stato e non è più il Collettivismo di cui discute Merlino in paragone col Comunismo.
Per gli anarchici, la sintesi e la conciliazione tra Collettivismo e Comunismo si può dire già un fatto compiuto, poichè nessuno più interpreta quei sistemi in un modo stretto e assoluto; e lo prova il fatto che, almeno come partito militante, essi si denominano generalmente coll’appellativo comprensivo di socialisti anarchici, lasciando alle discussioni teoriche dell’oggi ed agli esperimenti pratici di domani la scelta tra i vari modi di organizzazione del lavoro e di distribuzione dei prodotti.
Nella seconda parte del suo articolo Merlino parla della necessità di un’organizzazione permanente degli interessi collettivi, e delle forme che assumerà tale organizzazione; ed arriva ad una conciliazione verbale, che in realtà lascia la questione al punto di prima.
Egli parla dei grandi interessi sociali, che eccedono l’interesse e la vita stessa dell’individuo, ed a cui bisogna che provveda la collettività; cerca qual’è la forma politica che può dare una più sincera espressione della volontà collettiva e meglio evitare ogni pericolo di oppressione, e conchiude:
«Nè governo centralizzato nè amministrazione diretta. L’organizzazione politica della società socialista deve consistere nel riconoscimento dei diritti e libertà intangibili dell’individuo (diritto all’uso degli strumenti collettivi del lavoro, diritto d’associazione, d’istruzione, libertà di pensiero, di parola, di stampa, di scelta di lavoro, ecc.) e nell’organizzazione degli interessi collettivi per delegazione ad amministratori capaci, revocabili e responsabili, che agiscano sotto il sindacato diretto del popolo, gli sottomettano i loro atti più importanti (referendum) e restino separati ed indipendenti l’uno dall’altro, affinchè non vi sia coalizione per l’esercizio di un’autorità simile all’autorità governativa attuale».
«L’essenza della democrazia sta nell’assenza di una tale coalizione, e nella ricerca delle forme di amministrazione che lasciano il meno possibile all’arbitrio degli amministratori. In questo senso non v’è differenza sostanziale tra democrazia e anarchia. Governo del popolo – niente oligarchia – significa in sostanza non governo. Il governo di tutti in generale (democrazia) equivale al governo di nessuno in particolare (anarchia)».
Ancora una volta Merlino è fuori della questione.
Il modo di organizzare od amministrare gl’interessi collettivi è questione importantissima e troppo trascurata, come giustamente osserva il Merlino, dai socialisti di tutte le scuole. Ma se s’intende paragonare le soluzioni dei democratici a quelle degli anarchici, in vista di una possibile conciliazione, bisogna rimontare alla differenza sostanziale che divide le due scuole, e non già fermarsi a discutere sul valore relativo dei vari sistemi rappresentativi, del referendum, del diritto d’iniziativa, del governo diretto, del centralismo, del federalismo, ecc. E la differenza sostanziale è questa: autorità o libertà, coazione o consenso, obbligatorietà o (ci si perdonino i neologismi) volontarietà. È su questa questione fondamentale del supremo principio regolatore dei rapporti interumani che bisogna intendersi, o almeno discutere, tra democratici e anarchici; poichè, se non vi è intesa su di essa, non vi può essere intesa sulle questioni speciali di organizzazione, e quand’anche si arrivasse ad un accordo a parole, come quello a cui arriverebbe Merlino, si scoprirebbe presto che l’accordo s’è fatto adoperando le stesse parole in sensi diversi.
Scendiamo alla pratica. Supposto che domani il popolo fosse padrone di sè (non si allarmi il Fisco, poichè si tratta di semplici supposizioni) dovrà esso nominare un potere costituente, che decreterà una nuova costituzione, che farà la legge, che organizzerà la nuova società? Oppure la nuova organizzazione sociale dovrà sorgere, dal basso all’alto, per opera di tutti gli uomini di buona volontà, senza che a nessun o sia dato il diritto di comandare e d’imporre? In altri termini, per servirci della frase consacrata, bisogna conquistare, oppure abolire i pubblici poteri?
Si può parteggiare per l’uno o l’altro metodo, si può anche cercare qualche cosa d’intermedio, come pare desidererebbe Merlino, ma non si può, quando ci cerca di arrivare ad una conciliazione tra democratici ed anarchici, tacere quello che è il loro dissenso fondamentale.
E per oggi basta. Ritorneremo sulle dottrine e sulle tendenze di Merlino, quando ci occuperemo, in uno dei prossimi numeri, del suo libro recente: «Pro e contro il socialismo».