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Errico Malatesta – Francesco Saverio Merlino
Anarchismo e democrazia

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MERLINO

ALLA RICERCA DI UNA BASE D’INTESA

 

Articolo di Merlino pubblicato dall’Agitazione il 19 agosto 1897 con il titolo: «Per la conciliazione».

 

Forse m’inganno, ma mi pare che voi vi sforziate, involontariamente, ad esagerare il vostro dissenso dai socialisti‑democratici, per paura che cessando il dissenso, cessi anche per voi ogni ragione di esistere come partito distinto.

Ora, che esista o no il partito Anarchico, o qualsiasi altro partito, a me pare debba interessarci mediocremente.

Tutto ciò che noi abbiamo il diritto e il dovere di desiderare è che quella parte di vero, che c’è nelle nostre dottrine, si faccia strada fra le moltitudini, e primieramente tra quelli che sono più vicini a noi, i socialisti militanti. Se domani i socialisti‑democratici accettassero la parte giusta delle nostre idee, noi potremmo anche rassegnarci a morire come partito. Avremmo compiuta la nostra missione.

Al postutto, i partiti non sono destinati a durare eternamente; pur troppo hanno una vita breve e precaria, servono ad affermare e divulgare certe idee, e per lo più scompaiono o si trasformano prima che quelle si attuino. Nel caso nostro, piuttosto che avere un partito che tira il socialismo da una parte, e un altro che lo tira dall’altra, facendolo a brani, esagerando entrambi e combattendosi talvolta ingiustamente, io preferirei un partito solo che rimanesse nella verità. Nè mi preoccupa quello che voi dite. Se domani i socialisti‑democratici, andando al potere volessero imporsi e tiranneggiare, là, dentro il partito socialista, non fuori voi dovreste combatterli. In tal modo avreste fatto meglio che prepararvi a combattere la tirannia socialista, l’avreste prevenuta e impedita. A me insomma non garba che noi regoliamo il nostro modo di pensare e la nostra propaganda in opposizione a quello che pensano o dicono – o diranno e faranno – i socialisti‑democratici; mi parrebbe di fare come quei due individui che camminassero a braccetto, e di cui l’uno zoppicasse da una gamba e l’altro credesse, per fargli equilibrio, di dover zoppicare dall’altra. Lasciamo questi giuochi di equilibrio e andiamo diritti, perdio, alla nostra mèta.

Dunque esaminiamo la questione della conciliazione fra collettivismo, comunismo, democrazia socialista ed anarchismo, senza il partito preso di non riescirvi.

Voi dite che la «sintesi e conciliazione tra comunismo e collettivismo, per gli anarchici si può dire un fatto compiuto», tanto vero che essi si chiamano oggi, in gran parte, anarchici‑socialisti. Dunque siamo d’accordo.

Io però vi fo notare che molti anarchici si chiamano oggi socialisti e non comunisti nè collettivisti, non perchè siano convinti, come son convinto io, che comunismo e collettivismo non possono star da sè, ma devono completarsi a vicenda, ma piuttosto perchè o sono incerti, o pur essendo comunisti e collettivisti in pectore, non credono la questione tanto importante da doverne fare un casus belli. Per essi è una questione di tolleranza reciproca: io invece parto dalla critica del collettivismo e del comunismo per arrivare ad un terzo sistema, o sistema misto. Voi vedete la differenza.

Ad ogni modo voi riconoscete che la discussione che io ho fatta in proposito nell’articolo della Revue Socialiste è interessante ed utile. Ma ecco che la preoccupazione di confondervi coi socialisti‑democratici vi assale, e voi soggiungete: «ma (la questione) non ha nulla a vedere colle differenze che dividono democratici ed anarchici». Come se io nel mio articolo mi fossi proposto di trattare soltanto di queste divergenze!

Ma il collettivismo dei socialisti democratici – voi dite – più che un sistema di distribuzione dei prodotti del lavoro, è il sistema dell’organizzazione socialista per opera dello Stato. È un’asserzione, ne converrete con me, un po’ troppo cruda, e che mette in un fascio i socialisti‑democratici coi socialisti di Stato. I socialisti democratici respingono e combattono il socialismo di stato, e bisogna tener loro conto, almeno della buona intenzione.

Il collettivismo per essi non è il sistema dello Stato grande capitalista e grande anzi unico proprietario; ma è il sistema in cui la società (nella sua grande capacità collettiva) amministra il patrimonio pubblico dei mezzi di produzione e forma il piano generale di produzione distribuendo i prodotti in ragione del lavoro di ciascuno. Che questo sistema possa menare, contro la volontà dei suoi sostenitori, ad una specie di socialismo di stato, è un’altra questione: dipende dalla modalità del sistema, dal modo con cui funziona questa società nella sua capacità collettiva, dal come sarà organizzata.

Sarà organizzata a stato? Sarà una semplice federazione di associazioni? Quali saranno le attribuzioni e quale sarà la composizione dell’amministrazione collettiva?

Qui sta la questione, ma un’amministrazione generale degli interessi collettivi e indivisibili – voi ne avete convenuto altra volta – ci ha da essere. I socialisti democratici hanno il torto, secondo me, di accreditare il sospetto che essi vogliano nè più nè meno che un grande stato – come quando dimostrano la loro gioia per ogni nuovo acquisto od intrapresa che fa lo stato.

Quando una rete di ferrovie, per es. passa da una società privata allo stato, essi battono le mani; perchè dicono che dallo stato alla collettività socialistica è poi breve il varco. Ora questo può essere, come io ritengo, un errore, ma è tutt’altra cosa dal dire che lo stato debba organizzare esso definitivamente la produzione e attuare il socialismo.

Siamo sempre lì. Voi vi sforzate (involontariamente sempre) di far apparire i socialisti‑democratici il più che potete reazionari, per accrescere la distanza tra essi e voi e poter dire che essi sono agli antipodi da voi, o almeno dovrebbero. Questo partito preso si vede anche più chiaramente nella confutazione che voi fate della seconda parte del mio articolo.

Io sostenevo – e qui veramente si trattava di conciliare il socialismo democratico e l’anarchico – che insomma la libertà non può mai essere illimitata, e che un’organizzazione degli interessi collettivi ci vuole, e che in quest’organizzazione è insita sempre una certa coazione; che bisogna fare in modo che la coazione sia minima e l’organizzazione sia la più libertaria e decentrata possibile, e che i socialisti‑democratici in ciò sono d’accordo con noi; quindi una vera opposizione d’idee tra essi e noi non c’è, ma dobbiamo studiare insieme i modi pratici di conciliare gl’interessi generali e indivisibili della collettività con la libertà dell’individuo. Il referendum, il sindacato pubblico e la revocabilità degli amministratori, ecc. possono essere un modo di tenere gli amministratori soggetti agli amministrati, impedendo la formazione di un potere governante: studiamo dunque queste modalità e attuiamo, per così dire, l’anarchia per mezzo della democrazia.

Voi anche questa volta non negate che la questione della modalità dell’organizzazione degl’interessi collettivi è importantissima e merita di essere approfondita; ma ad un tratto rivive in voi il vecchio Adamo, — l’anarchico che cerca a tutti i costi il socialista‑autoritario da combattere — e voi dite che «bisogna rimontare alla differenza sostanziale che divide le due scuole… e questa è: autorità o libertà, coazione o consenso, obbligatorietà o volontarietà».

Ora io torno a quello che dissi altra volta, in certe cose d’interesse comune e indivisibile l’obbligatorietà è inevitabile. Volontarietà, libertà, consenso, sono principii incompleti, che non ci possono dare da sè soli, nè ora, nè per molti secoli avvenire, tutta l’organizzazione sociale. D’altra parte non è esatto che i socialisti‑democratici siano fautori di autorità, di coazione, di obbligatorietà su tutta la linea, che non riconoscano il gran valore del principio di libertà. — Non è dunque vero che voi rappresentiate un principio e i socialisti‑democratici rappresentino il principio opposto: voi tutta la libertà, essi tutta l’autorità. La questione è di più e di meno, o piuttosto dei modi di applicazione; ed ecco perchè io vorrei tirarvi giù dalle empiree sfere dei principii astratti ed indurvi a discutere le modalità dell’organizzazione sociale, sicuro come sono che su questo terreno tutti i socialisti tacitamente s’intenderebbero. Ma voi ricalcitrate, perchè, come ho detto fin da principio ritenete che la vostra missione è di combattere la futura tirannia socialistica, invece di prevenirla.

Voi dite: supposto che il popolo domani abbia il sopravvento sul governo, i socialisti‑democratici vorranno fargli nominare un potere costituente che farà la legge e organizzerà le cose a suo talento. Noi, socialisti‑anarchici, dovremo, potendo, impedire tutto ciò e far sorgere la nuova organizzazione sociale «dal basso all’alto per opera di tutti gli uomini di buona volontà».

Ma anche per il periodo rivoluzionario vale la regola che ci vuole un’organizzazione, il più possibile libertaria, a base di volontà popolare, ma pur capace di dar corpo e vita all’ammasso informe di volontà, d’interessi e di desideri che si agiteranno sopratutto in tale momento. Un potere costituente dispotico non solo provocherebbe discordie e reazioni, ma neppure riuscirebbe ad organizzare la vasta e complicata economia sociale. Ma tanto meno vi riuscirebbe il popolo in massa, adunato casualmente nei clubs e per le strade.

Possibile che non ci riesca di guardarci, da una parte e dall’altra, dalle esagerazioni?

 

 




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