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Errico Malatesta – Francesco Saverio Merlino
Anarchismo e democrazia

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MALATESTA

LO SPETTRO DELLA REAZIONE

 

Lunga risposta di Malatesta sull’Agitazione dell’11 novembre 1897.

 

Merlino ci tiene a far ammenda degli «errori» passati, sorgendo ogni giorno a difesa del Parlamentarismo.

Questa volta egli ci agita innanzi lo spettro della reazione.

I clericali, i borbonici, i partigiani del colpo di Stato, egli dice, combattono le istituzioni parlamentari per ritornare all’assolutismo: dunque uniamoci per difendere quelle istituzioni che, per quanto cattive, valgon sempre meglio dei governi assoluti.

L’argomento non è nuovo. Per la paura di Crispi, Cavallotti ed i democratici della sua risma appoggiarono Di Rudinì, e non è ben chiaro se non lo appoggiano ancora: per la paura dei clericali tanti «liberali» avevano difeso il Crispi... Ma giusto, perchè non ci mettiamo a difendere la monarchia sabauda, che i preti vogliono abbattere o per lo meno scacciare da Roma? Della Monarchia, diremo parafrasando Merlino, si ha ragione di dire tutto il male possibile: ma questo è certo che essa val meglio del governo dei preti.

Con questa logica si può andare lontano; poichè non v’è istituzione reazionaria, nociva, assurda, che non trovi chi la combatte allo scopo di sostituirvene un’altra peggiore. Quindi bisognerebbe che non vi fossero nè anarchici, nè socialisti, nè repubblicani (salvo nei paesi dove esiste la repubblica), e diventassimo tutti conservatori... per salvarci del pericolo di tornare indietro. Oppure, bisognerebbe che i repubblicani difendessero la monarchia costituzionale per tema di veder tornare l’Austria ed il Papa‑re; che i socialisti difendessero la borghesia per garantirsi contro un ritorno al medio evo; che gli anarchici facessero l’apologia del governo parlamentare per paura dell’assolutismo.

O che cuccagna per quelli che detengono il potere politico e l’economico!

Ma noi siam troppo abituati a queste insidie per restarvi presi. Quando sorse l’Intemazionale, vale a dire quando il socialismo incominciò a diventare partito popolare e militante, i «liberali» ed i repubblicani gridarono che si facevano gl’interessi dell’Impero, di Bismark o di altre monarchie; quando in Inghilterra gli operai incominciarono a costituirsi in partito indipendente, i «liberali» dissero che essi erano pagati dai conservatori – e così sempre, quando un’idea più avanzata è venuta a guastar le uova nel paniere a coloro che stanno al potere, o ne sono gli eredi presuntivi. Oggi ancora, quando i socialisti legalitari votano per uno dei loro e gli anarchici predicano l’astensione elettorale, i democratici ed i repubblicani soglion dire che si favorisce indirettamente il candidato governativo: il che può realmente essere qualche volta l’effetto immediato dell’intransigenza (?) elettorale degli uni e dell’astensionismo degli altri, ma non è ragione sufficiente per rinunziare alla propaganda delle proprie idee ed all’avvenire del proprio partito.

I reazionari profittano della corruzione e dell’impotenza parlamentare per risollevare la bandiera del clericalismo e dell’assolutismo: è vero.

Ma vorrebbe per questo il Merlino che ci mettessimo a tentare quest’opera, tanto impossibile quanto contraria alle nostre convinzioni ed ai nostri interessi di partito, di salvare il parlamento dal disprezzo e dall’odio popolare?

Allora sì che il popolo, vedendo che il parlamento non ha altri nemici che i reazionari, si getterebbe tutto intero nelle loro braccia. Se Boulanger in Francia potè divenire un pericolo serio, fu perchè gli anarchici erano pochi, e la massa dei socialisti, essendo parlamentaristi, partecipavano nel discredito in cui il parlamentarismo è giustamente caduto.

La nostra missione invece è quella di mostrare al popolo che, poichè il governo parlamentare, così malefico com’è, è pur tuttavia la meno cattiva delle forme possibili di governo, IL RIMEDIO NON STA NEL CAMBIAR DI GOVERNO, MA NELL’ABOLIRE IL GOVERNO.

Del resto, il miglior mezzo di salvarsi dal pericolo di un ritorno al passato è, ed è stato ognora, quello di rendere l’avvenire sempre più minaccioso per i conservatori e pei reazionari.

Se in Italia non vi fossero repubblicani, socialisti ed anarchici, un colpo di stato avrebbe già spazzato via questo servitorame di deputati, per quanto piccolo sia l’incomodo che dà ai ministri; ed i clericali sarebbero ben altrimenti audaci se l’esistenza dei partiti avanzati non facesse temer loro che un’ondata popolare spazzerebbe via, con le altre cose, anche tutta la melma vaticanesca. Non esisterebbero monarchie costituzionali, se i re non avessero avuto paura della repubblica; in Francia non vi sarebbe la repubblica, se la Comune di Parigi non avesse dato da pensare ai partigiani della restaurazione; e se mai in Italia si farà la repubblica sarà quando la minaccia crescente del socialismo e dell’anarchismo indurrà la borghesia a tentare quell’ultimo mezzo per illudere e frenare il popolo.

Ma tutto il detto è forse inutile per Merlino. Il «pericolo» reazionario è per lui semplicemente un’occasione ed un pretesto per difendere il parlamentarismo, non come un meno peggio, ma come un’istituzione necessaria della società.

Egli conchiude infatti che «il sistema parlamentare è cattivo perchè è poco parlamentare... e che bisogna perfezionare il sistema, non distruggerlo».

Questo ci porterebbe a far la critica del sistema parlamentare in sè e a dimostrare che i cattivi effetti che produce non dipendono da abusi ed errori accidentali, ma dalla natura stessa del sistema. Ma Merlino si contenta di affermare senza addurre ragioni, e a noi lo spazio non consente questa volta di tornare sulla questione, che abbiamo già replicatamente trattata.

Merlino, oltre il surriferito «pericolo» ha un altro argomento in favore del parlamentarismo, e questo è ad homines, cioè diretto specialmente agli anarchici come individui.

I compagni, egli dice, coatti od altri denunziano gli abusi di cui sono vittime e sarebbero felicissimi se i loro lamenti trovassero almeno un’eco nel Parlamento; e gli pare che questa sia un’incoerenza con la loro professione di fede anti‑parlamentare.

Ebbene, questo, quando avviene, potrebbe tutto al più dimostrare che gli uomini quando soffrono o sono sollecitati da un bisogno od una passione, van soggetti ad anteporre l’interesse immediato al vantaggio generale della causa, ed a commettere delle incoerenze. E di questo genere d’incoerenze Merlino ne troverebbe quante ne vuole, in noi, in lui stesso ed in tutti quelli che hanno aspirazioni ed ideali in contraddizione con l’ambiente in cui sono costretti a vivere. Noi non crediamo nella «giustizia» dei giudici e combattiamo l’ordinamento giudiziario nel suo principio e nelle sue forme; eppure quando ci mettono in prigione ci difendiamo, ci appelliamo e ci avvaliamo di tutti gli arzigogoli di procedura se ci giovano a venire fuori. Non ammettiamo le leggi, e quando una legge è violata a nostro danno, gridiamo all’abuso. Vogliamo illimitata libertà di stampa, e mandiamo i nostri giornali in Procura e spesso studiamo la frase per sfuggire agli artigli del Fisco. Non ammettiamo il salariato e lavoriamo per salario. Non ammettiamo la proprietà privata, e siamo contenti quando abbiamo qualche cosa; non ammettiamo la concorrenza commerciale, e dibattiamo il prezzo delle cose che compriamo o vendiamo... e potremmo continuare all’infinito.

Ma è poi vero che questa contraddizione tra l’ideale ed il fatto sia effetto di incoerenza e debolezza di carattere? Merlino non crederà, speriamo (che diavolo, è tanto poco che ci ha lasciati!) che noi siamo dei rivoluzionari mistici, a modo di quei settatori russi, i quali, convinti che il bollo sia la firma del diavolo, siccome in Russia non si può vivere e muoversi senza avere in tasca un passaporto col relativo bollo, piuttosto che toccare il diabolico documento, si rifugiano nelle foreste e si condannano volontariamente ad una schiavitù peggiore di quella che loro imporrebbe il governo.

Ogni istituzione, per quanto cattiva, contiene in sè un certo lato buono, un certo correttivo, che limita i suoi mali effetti; e noi ci renderemmo la vita impossibile e faremmo gl’interessi dei nostri nemici se, costretti a subire tutto il male delle istituzioni, non cercassimo di profittare di quel po’ di bene relativo che se ne può cavare. Ma non per questo possiamo ritenerci impegnati a difendere quelle istituzioni ed a cessare di fare tutto il possibile per discreditarle ed abbatterle.

La società, per esempio, colla sua mala organizzazione crea i malfattori, ed il governo c’impedisce di portar armi o provvedere altrimenti alla nostra difesa. Se ci accade quindi essere aggrediti la notte e di non poterci difendere saremo naturalmente contenti se due carabinieri sopraggiungono a liberarci e non diremo loro, come la moglie di Sganarello, che noi siam contenti di essere aggrediti. Ma non per questo diventeremo amici dei carabinieri e faremo pratiche per entrare nell’arma benemerita.

Le autorità municipali hanno monopolizzato i servizi pubblici e colla scusa di questi servizi ci opprimono di tasse. Noi non possiamo pagar le tasse e poi essere indifferenti a quello che fa il municipio, aspettando il giorno in cui il popolo potrà badare da sè ai suoi interessi; e perciò gridiamo e cerchiamo di provocare l’indignazione popolare quando esso municipio per stupida impreveggenza e sordida spilorceria lascia inondare Ancona e tiene una biblioteca in condizioni tali che non serve a nessuno.

Così è del Parlamento. Esso si è preso il diritto di far le leggi, e noi, che delle leggi siamo le vittime, dobbiamo per forza contar con esso se vogliamo che queste leggi, finchè legge vi sarà, siano il meno oppressive possibile.

Ma siccome noi non crediamo nella buona volontà dei deputati e siccome aspiriamo all’abolizione del Parlamento, come di ogni altro governo, noi non ci proponiamo di nominare dei «buoni» deputati, ma di agire su quelli che vi sono, quali essi siano, agitando il popolo e facendo loro paura. E quando manchi una efficace agitazione popolare, noi faremo anche pressione sui singoli deputati perchè rinfaccino al governo i suoi abusi, ma lo faremo perchè, o essi si presteranno ai nostri desideri, e sarà fatta chiara la loro impotenza, o non vi si presteranno e si vedrà la loro malavoglia.

Si rassicuri Merlino, se tant’è che la nostra incoerenza lo affligge. Noi ci rallegriamo se qualche deputato rinfaccia ai ministri la loro infamia; ma non cessiamo perciò di considerare il Parlamento responsabile di ciò che fa il governo, poichè se esso volesse, il ministero dovrebbe ubbidire; nè cessiamo di tenere ciascun deputato in quella mala stima che merita chiunque profitta dell’ignoranza e della pecoraggine degli elettori per farsi delegare un potere, che non può non risultare a danno del popolo.

 

 




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