XX.
«La mattina seguente aspettavo
ancora. Ed ancora passò l'ora degli arrivi senza che alcuno bussasse alla mia
porta. C'era lettera almeno per me? Non osavo domandare. Mi pareva che persino
i camerieri dovessero leggermi in volto l'ansietà del cuore, e comprendere che
soffrivo un'amara delusione; nel loro linguaggio brutale, una canzonatura.
«Ed intanto poteva essere che la
lettera ci fosse laggiù nella tavola, e che nessuno pensasse a portarla. Mio
Dio! come farli ricordare di me? Ah! uscirò.
«Detto fatto. Misi cappello e
cappotto e scesi le scale lentamente, senza sapere dove andassi. Nel passare
dinanzi all'ufficio sentii gridarmi:
«- Signora, scusi; una lettera per
lei.
«Ebbi un sussulto che mi scosse
dalla testa ai piedi. Mi sentii divenire fredda. Era una lettera grossa, ed era
di Max.
«Non saprei dire come nè quando
avessi veduta la sua scrittura, ma la riconobbi.
«Rimasi là due minuti paralizzata
con quella lettera in mano. Assolutamente non potevo avventurarmi per la strada
con quella curiosità nell'anima. C'era da cadere in apoplessia. E neppure
potevo tornare indietro dopo essermi avviata con quella sicurezza come se un
grande affare m'aspettasse fuori. È impossibile dire fino a che sottigliezze
arriva in una donna il pudore del sentimento. Ma uno dei suoi istinti
principali è di dissimulare agli estranei l'interesse che inspira una lettera.
«Mi venne un'idea, e la colsi al
volo come una ispirazione di cielo.
«Mi avviai direttamente alla sala
da pranzo, quasi che quella e non altra fosse stata la mia meta.
«- Fa colazione? mi chiese il
cameriere.
«- Sì.
«- Cosa prende? Caffè e panna?
«- Sì. - Mi sarebbe stato impossibile
dir altro. Poi pensai che non volevo esser interrotta dal servizio mentre
leggerei la mia lettera, ed aggiunsi:
«- Subito.
«Appena seduta ero servita. Apersi
quella busta, stesi il foglio dinanzi a me appoggiato alla bottiglia
dell'acqua, presi da una mano la molletta, dall'altra la zuccheriera... e
lessi:
- «Mia cara Fulvia,
- «Voi mi chiamavate filosofo,
forse collo stesso significato con cui i Greci chiamavano Eumenidi le
bruttissime furie. Ebbene; io vi darò in iscritto un saggio di quella filosofia
che non ho saputo mostrarvi conversando con voi, dovessi pure con questo
provocare gli scongiuri della bella maga che ha evocato il mio non so se buono
o cattivo spirito filosofico.
- «Nell'ora stessa in cui vi vidi
partire giurai di non raggiungervi a Reggio; e manterrò il proponimento per
quanto mi costi il mancare alla parola data, e rinunciare alla profonda soavità
de' vostri sguardi.
- «E sapete perchè?
- «Perchè nell'ora amara della
partenza, sentii che nel nostro amore neonato, era davvero per me il germe di
una passione pazza, violenta, infelice come tutte le mie passioni. Questa
scoperta tirò dietro a sè delle considerazioni in gran parte analoghe a quelle
che voi facevate sulla nostra relazione, che venne troppo tardi; sulla sua
natura, che è falsa perchè in realtà è amore, e noi gli facciamo violenza per
camuffarlo nell'abito austero dell'amicizia; sopra i suoi ostacoli, che si
riassumono tutti in uno solo: il vostro fidanzato. E le conclusioni che trassi
furono per me d'uno sconfortante che non potrei esprimervi a parole.
- «Sapete, Fulvia, che io non posso
nè amare, nè possedere a metà! Vi dissi che un altro amore mi aveva dominato in
cuore avanti ch'io vi conoscessi. Ebbene, allora io rasentai il manicomio
tormentandomi notte e giorno coll'idea fissa che un altro uomo aveva l'intimità
della mia donna. Nè giovava farmi riflettere che quell'altro uomo era suo
marito.
- «E nel caso vostro, Fulvia,
credete che potrei più facilmente rassegnarmi?
- «Stando così le cose nostre,
sento che mi è necessario evitare di convertire in passione ardente, l'affetto
che m'avete inspirato. Ma la passione verrebbe senza dubbio, la sento montare
come un fiotto dal fondo del mio cuore.
- «Mi conosco, Fulvia; anche
qualche colloquio; anche l'amarezza d'una partenza e non sarei più padrone di
me. Se io venissi a Reggio, sareste voi disposta a rompere ogni altro impegno,
a vincolarvi con me, ad esser mia, ed a seguirmi a Milano, o a lasciare che io
vi segua sempre e dovunque?
- «Mi avete già risposto di no...
Ecco la mia filosofia.
- «Voi avete la sapiente
moderazione che v'inspira il vostro decoro di donna; io no. Nel tempo stesso
che v'onoro e vi venero, eccitate in me i trasporti più rivoluzionarii
dell'amore intero e prepotente.
- «Dunque, non ci vedremo per ora.
Le nostre esistenze, come voi mi diceste un giorno, debbono accontentarsi per
ora di procedere parallele. Chi sa che l'avvenire non permetta la convergenza
delle due linee? È un mio sogno ed una mia speranza.
- «Intanto, se questa lettera non è
il Waterloo del mio povero amore, seguitiamo ad amarci da lontano. Scriviamoci
della lirica epistolare. Ed, imitando quei grossi ragni da giardino di cui
avevate tanta paura nelle nostre gite campestri, gettiamo delle fila che forse
il vento romperà, forse diventeranno la tela istoriata d'un amore profittevole
alla mia vita, e degno di voi.
- «Triste e solitario, penserò
spesso con amara dolcezza i vostri dolci occhi fisi ne' miei. E voi?
- «Massimo.»
«Sempre nella stessa posizione prosaica,
nell'atto di inzuccherare il mio caffè, lessi tutta quella lettera. Passai
dalla dolce trepidazione della speranza al più profondo abbattimento, senza che
il menomo cangiamento si fosse fatto nella mia persona. Soltanto sentivo
velarmisi gli occhi d'un liquido tremolante, e poi grosse lagrime rigarmi le
guancie e cadere nella tazza che avevo dinanzi.
«Abbassai il velo ed uscii. Mi
sentivo sola, perduta nel mondo; quella lettera aveva fatto il vuoto intorno a
me e nel mio cuore.
«Io non so dove trovino gli
scrittori quei caratteri chiari, coerenti, che, una volta descritti, agiscono
sempre a seconda delle passioni e dei sentimenti predominanti che hanno
rivelati. Nel mondo non è così. Si trovano nature fluttuanti in una perpetua
alternativa di bene e di male, di coraggio e di debolezza, di passione generosa
e prepotente, e d'egoismo calcolato e freddo.
«Massimo così appassionato, così
impetuoso, così irriflessivo nelle sue giovanili imprudenze, ora era ad un
tratto prudente e misurato come un'equazione algebrica. Qual'era il suo
carattere? E dove? Nell'uomo o nella lettera?
«Egli che mi aveva dimostrato un
amore delirante, ora parlava con paura del pericolo che l'affetto che io gli
avevo inspirato si mutasse in passione.
«Non era adunque che un semplice
affetto? La passione era ancora nelle nubi dell'avvenire? Ed il suo cuore era
tuttavia calmo abbastanza per venire a congresso colla ragione, capire che non
era il caso d'accelerare più oltre la misura de' suoi battiti, e fermarsi?
«Ma allora che cos'era il
sentimento che mentre mi onora e mi venera, eccita in lui per me i trasporti
più rivoluzionarii dell'amore prepotente ed intero? Mentiva in quell'ultimo
periodo? O mentiva nel primo? M'ingannava l'uomo, o m'ingannava la lettera?
«Ingannava la lettera. Così pensai
dopo averne passata in attenta rassegna ogni frase, ogni parola.
«Egli mi amava; in un impeto di
vera passione aveva deciso di seguirmi, ed aveva sperato d'indurmi a rompere
ogni altro impegno, a mancare alla mia parola, ad esser sua.
«Poi, nell'intervallo tra il
progetto e l'esecuzione, aveva pensato a me, onesta e leale, che cesserei di
esserlo il giorno in cui cedessi al suo amore. E si era detto.
- «A che l'uomo sarebbe il più
forte se non avesse il coraggio morale, dinanzi all'amore di una donna, di
combatterlo per sè e per lei, quando è nell'interesse di lei di combatterlo?
«Ed attingendo nella lontananza
quell'eroismo che vicino a me sarebbe stato affogato da un impeto giovanile, ad
una parola, ad uno sguardo, aveva scritto una lettera ragionata; aveva
compresso il suo cuore per farlo tacere dinanzi al mio. Ed a quando a quando il
cuore s'era imposto alla ragione, ed aveva dettato una frase che smentiva le
precedenti.
«Così mi spiegai la lettera
sconclusionata ed incoerente di Max. Era realmente così?
«Ma ad ogni modo io ne era
addolorata ed offesa. Avrei voluto quella passione che non ragiona. Forse era
un'idea da romanzo; forse sarebbe stato una ruina per me; forse in realtà egli
era generoso ed assennato, io imprudente ed egoista; forse avrei dovuto
ringraziarlo e benedirlo del sacrificio che s'imponeva per me.
«Eppure non lo ringraziai nè lo
benedissi. Il mio pensiero non andava al futuro per calcolarvi i mali preveduti
da quel savio procedere. Stava nel presente, che aveva sognato divino e trovava
arido e vuoto. Cercava il giovane innamorato e trovava l'uomo savio.
Nell'amarezza della delusione gettai sulla carta questa risposta:
- «Massimo,
- «La vostra lettera è un plagio.
Avete tradotte
in pratica le mie teorie dell'episodio
tempestoso; ma
voi, campione degli amori eterni,
l'avete abbreviato.
Vedo che siete ridivenuto filosofo;
ma vi preferivo
poeta.
- «Fulvia.»
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . .
«Dopo queste ci scambiammo una
serie di quelle lettere, in cui il platonismo dell'amicizia disillusa fa posto
tra riga e riga alle insinuazioni fatali dell'amore, che, grande o piccolo, caldo
o freddo, alato come un Dio o paffuto e rubicondo come la prosa dell'umanità,
sta sempre rimpiattato in qualche angolo, dovunque stanno in rapporto un uomo
giovane ed una giovane donna.
«E tra una lettera e l'altra
cominciai a fare le prove dell'opera, poi ad andare in iscena, ad essere
applaudita, ad inebriarmi nella gloria del successo, nella passione dell'arte;
ed anche nell'interesse delle nuove scritture.
«Tutto codesto spuntò la prima
amarezza; mi aiutò a vivere senza quella gioia di cui m'ero fatto un unico
pensiero, mi ripose lo spirito in calma.
«E quelle lettere ridivennero per
me una grande dolcezza, e le attesi e le accolsi e le studiai come a caso
nuovo; e di volta in volta mi affannai a trovarvi ed anche a provocarvi
espressioni d'amore; e mi dissi che la violenza con cui egli reprimeva il
sentimento dinanzi alla ragione, veniva meno grado grado, e tornai a credermi
amata, e tornai ad amare, e tornai a sperare. Erano illusioni? Era verità? Non
lo seppi mai.
|