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Matteo Maria Boiardo Tarocchi IntraText CT - Lettura del testo |
CAPITOLI DEL GIUOCO DEI TAROCCHI DI MATTEO MARIA BOIARDO
Sono tucte le carte per numero octanta; la prima contiene uno sonetto che insegna brevemente la qualità de tutte loro, e l'ultima similmente con un altro sonetto manifesta a li lectori l'animo del compositore essere stato de ritrovare questo gioco, ad ciò che con esso el tempo, che velocemente fuge, cum qualche solazo se trapassi, da chi ociosamente vivesse.
L'altre veramente tucte sono in due parte divise: una contene vintuno Trionfi e 'l macto; l'altra contiene quaranta carte de quatro giochi, e de esse ancora sedeci figure in sedeci carte depinte: et in questo con el commune gioco de carte esso conviene. Li giochi son quattro: uno è Amore, l'altro Speranza, il terzo Gelosia, el quarto Timore. Et in ciascuno de questi giochi sono quatordeci carte, tra le quale quatro son figure, che ce è signate come le commune sono. Et ad ciò che niuna cosa trappassi voglio ancora scrivere el sonetto che ne la prima carta retrovandose scripto, manifestamente dichiara l'ordine de tucto questo gioco, el quale cusí incomenza:
Quatro passion de l'anima signora
Hanno quaranta carte in questo gioco;
A la piú degna la minor dà loco,
E il lor significato le colora.
Quatro figure ha ogni color ancora,
Che a i debiti soi officii tucte loco;
Con vinti et un Trionfo, e al piú vil loco
È un Folle, poi che 'l folle el mondo adora.
Amor, Speranza, Gelosia, Timore
Son le passion, e un terzetto han le carte,
Per non lassar, chi giocarà, in errore.
El numero ne i versi se comparte:
Uno, doi e tre, fin al grado magiore;
Resta mo a te trovar del gioco l'arte.
Et de Amore incomenzando, sapiate che li dardi sono ne le sue diece carte depinte: un dardo ne la prima, ne la quale incomenza el Capitulo, per tutte le carte d'Amore compito, che in sé tanti terzetti contene quante sono le carte. Ogniuno de li quali incomenza da questo nome Amore, sequendo drieto a questa parola el numero de li dardi: come sería ne la prima carta dicendo «Amor un che» ecc.; nel qual verso è posto uno per ciò che un dardo in quella carta se ritrova. E ne la seconda carta, drieto ad Amore è posto do; e cusí successivamente ne le altre. Bene è vero che né doi né tre né quatro, né li altri numeri sono cusí distintamente nel verso posti drieto ad Amore, come potria, ma in questo modo: «Amor dubio non è che gelosia»; e del tre se dicesse: «Amor termine e fin de tuoi guadagni»; et cusí de gli altri dicendo. Nel qual parlar, subito drieto Amore se ritrova e doi e tre, e cusí de li altri: e questo egli dice aver facto perciò che prima ne li quatro giochi soli brevi erano depinti con tre versi, che incominzavano Amor uno, Amor doi, Amor termine, nel gioco de Amore; et ne li altri tre giochi de Speranza, e Gelosia, e de Timore: ad ciò se intendesse qual fusseno le carte d'Amore, e quale de li altri tre; et oltra questo qual fusse la carte de uno, de li doi, e de tre, e de quatro, senza signare numeri. Ma ora è piú chiarezza: lassando questi versi sí come erano nel gioco d'Amore, esso ha depinto dardi cum li terzetti che seguitano d'Amore, incomenzando come è dicto. Et ne la prima carta un dardo, ne la seconda doi, ne la terza tre, e cusí fin a dece se vede; li quali sono come bastoni nel commune gioco incrosati, co 'l breve del ternario in mezo la carta. El campo de le qual carte è colore morello nel gioco de Amore, che significa Amore, cioè colore violaceo; e nel gioco de la Speranza el verde, che significa speranza; e cusí ne li altri doi giochi.
Questo de le carte; de le figure veramente de Amore c'è il fante, il cavallo, la regina e lo re. El Fante è il Cyclope che fu veramente inamorato di Galatea, et è dipinto in forma de rustico gigante, cum un solo ochio in fronte, armato; ma per bene assimigliarlo io el vesteria di sola pelle de pecora, con un dardo in mano e con una zampogna a li piedi et alcune pecorelle che pascessero l'erbe, sí come li poeti lo descriveno; e faria lo colore de la pelle morello, per significare lo Amore. E lo terzetto li è sopra el capo scritto, lo quale ha in sé il nome de la figura, come hanno tucti quelli che sopra le figure e trionfi sono: di quali diremo. El Cavallo de Amore è un giovene armato a cavallo, cum un dardo in mano, vestito de sopraveste e de arme morelle, cum tre corone d'oro nel scudo, el quale è Paris de Troia; con el terzetto suo sopra el capo. La Regina d'Amore è Venere, depinta sopra un carro de due rote, vestita de colore morello; e similmente è depinto el carro tirato da doi bianchi cigni, cum le coregie al collo loro morelle. Et essa tiene un dardo in mano con una aurea corona in testa et doi colombini bianchi in aere: una (sic) che vola denanti al capo suo, l'altra de retro; et di sopra è il terzetto che nomina Venere, che séguita l'altro. Lo Re è una figura di morello regalmente vestita, che siede con un dardo in mano; e da piedi ha l'aquila da l'un de' canti, da l'altro ha Ganymede piccolo in piede, de un subtil velo vestito, ne le crespe de color morello toccato; et ne la sinistra man tiene el fulgore, et in capo una aurea corona: et di sopra un terzetto che 'l nome di Giove in sé contene. Et è l'ultimo del Capitulo del gioco d'Amore: el qual Capitulo da principio incomenzando cusí dice. Et adverta Vostra Signoria, che 'l primo terzetto va ne la prima carta che ha in sé un dardo; el secondo ne la seconda che ne contene doi, et el terzo ne la terza, et cusí insino al decimoquarto terzetto che è l'ultimo del capitulo, el quale sopra Jove se ritrova. El primo terzetto de questo Capitulo d'Amore comenza:
Amore, un che cum te cerchi bon stato,
Sollicito, animoso e prompto sia,
Che, nel fin, a chi dura el pregio è dato.
In qualche parte ognor non te acompagni:
Ma poca è bona, e troppa è cosa ria.
Amor, termine e fin de toi guadagni
È un sempre sospirar infin a morte;
E chi un dí ride, un'anno advien se lagni.
Amor, questo disio stringe sí forte
Di consequir quel che gl'imprime al core,
Che al effecto non par che se aprin porte.
Amor ce insegna non aver timore
In qual se voglia impresa: ché un ardito
Sempre ne la sua corte è vincitore.
Amor, se qualche volta ha un cor ferito,
E lo resani cum quel proprio strale,
Oh quanto è nel suo regno favoríto!
Amor, septe anni andar, come animale,
Fece quel savio re: ché la sua lege
El principe al suo servo adduce equale.
Amore obtenne, che a guardar la grege
D'Ameto Apollo stesse, e a lui crudele
Non fu al fin poi; ma cusí i suoi correge.
Amor nov'arte trova; e sotto el mele
L'esca tien sempre; e i soi servi contenta,
Quando se ne ritrova alcun fidele.
Amor de ciascun servo il disío tenta;
E se 'l ritrova vano, in forme tante
Il volgie, che ogni dí piú se lamenta.
Amor questo gran Cyclope gigante
Fece per Galatea tanto amoroso,
Che piú de lui forse non arse amante.
Che ardito fu rapir Elena bella,
Ché ciascun cor Amor fa generoso.
Amore, a Vener figlio, fece che ella
Per Adone arse e per lui tanto accese:
Ché Amor infonde ancor dal ciel sua stella.
Amor fece che Jove già discese
In varie forme, in tauro, in cygno, in oro,
E Ganymede in aquila ancor prese.
Questo è il Capitulo, Illustrissima Madonna, che per tucte le carte nel gioco de Amore, secondo el già dicto ordine si lege.
El gioco de la Speranza in questo modo, Patrona mia, se descrive. Il campo de tucte le quatordeci carte è verde, e ne la decima sono vasi in campo verde depinti coperchiati, con uno manico nel quale «Speranza» è scripto o vero «Spe». E questo perché se scrive ne le fabule che avendo Jove renchiusi tucti li mali nel vaso de Pandora, la Speranza non vi fu dentro chiusa, ma di fuori nel orlo del vaso se stava. E per questo li vasi in questo loco significano Speranza.
Ne la prima carta del quale è un solo vase assai grandetto, zallo, de colore come li altri tutti: cum un terzetto di sopra che incomenza per Speranza; sequendo questo nome, ch'è il primo de tucti li terzetti del Capitulo di Speranza, el numero de vasi che ne la carta sono: sicome nel gioco de Amor fu dicto. Ne la seconda carta sono doi vasi, et in mezo il terzetto; e ne la terza tre, e cusí ne la quarta, in fin a la decima; e nel mezo di queste tucte il terzetto se trova scripto al gioco da Speranza appropriato. Le quatro figure del quale sono in questa forma descripte. La prima è il Fante, et è depinto Oratio Cocle (sic), che sol in Roma contra Toscana tucta diffese il ponte, sperando e se stesso e la patria sua liberare per farlo derieto a le sue spalle da Romani tagliare. La pictura è de un omo armato, cum la spada in mano un ponte, drieto a sé tagliato, sotto el quale passa un fiume; e l'arme sue sono di verde colore tocche, e cusí el scudo. Et ha da l'uno de canti un vasetto, et il terzetto sopra il capo che 'l suo nome manifesta. El Cavallo è Jason, armato de arme de verde tocca, sopra un cavallo cum la spada in mano: el quale speranza ebbe mettendosi a tanto periculo de mare cum li Argonauti per acquistare el vello d'oro; et ha da l'un de canti un vaso, e sopra el capo lo terzetto che de lui rasona. La Regina di Speranza è quella Yudith ebrea, de la quale el Petrarca dice: «Yudith ebrea, la sagia, casta e forte». Questa è depinta in modo de nynfa, cum la spada in la dritta mano e ne la sinistra el vaso, et in piedi vestita de una vesta de verde colore tocca; et in capo una corona d'oro, cum uno terzetto sopra che la manifesta; et a i piedi sui è un omo chiamato Oloferne, che fu da Yudith morto, che in terra, con un capo barbuto e dal collo tagliato in mano mettendose, iace, [...] fosco colore nel volto; cum una veste in modo de faldetta, cum le maniche, come porta Vostra Signoria, tucte de verde listate; conciata nel capo a la moresca, con una tela piú volte intorno avòltali, pur di verde tocca. Lo Re di questo gioco è il pietoso Enea, che cum speranza de trovare Italia e ponervi la sede sua, se mosse da Troya. Questo di manto verde se trova vestito, e siede con un vaso in mano, avendo intorno al capo una tela e la moresca avolta, con una corona sopra, e cum lo terzetto che di lui apertamente parla; che è l'ultimo nel Capitulo che nel gioco di Speranza per tutte le sue xiiij carte si trova descripto. Lo qual ordinandolo, come quello d'Amore, il primo a la carta prima, e lo secondo a la seconda, e cosí de le altre, in questo modo comenza:
Speranza unita tien co 'l corpo un'alma
Talor, che senza lei non staría in vita,
Poi spesso giunge a victoriosa palma.
Speranza dubio alcun non ha smarrita,
Ma sta ferma e constante in fino al fine,
Quando Ragione il suo sperare aita.
Speranza terminata in un confine,
Se vol passar piú in là che non convene,
Prima che coglia el fior, trova le spine.
Speranza quanto piú con rason vene,
Piú dolce cibo è al cor che se ne veste;
E se al contrario vien, porta piú pene.
Speranza ce mantiene in giochi e in feste
Quando il poter col voler si misura;
Ma senza ordine, ha in sé cose moleste.
Speranza, sei pure amica a natura!
Tu tieni i toi seguaci in tanta pace,
Che alcun patir non li par cosa dura.
Speranza, se tu se' ancor contumace
A chi possede il suo, dubio li poni
Tal che dir l'è mio, non serà audace.
Speranza obtener fa senz'altri doni
Quel che a l'animo aggrada, e par che l'abbia
Quel che vôl già, né alcun piú se gli opponi.
Speranza non consente un, preso in gabbia,
Dolente star, quando seco dimora,
Né un ropto in mar, si ben è in seca sabbia.
Speranza desta il pover che lavora,
A zappar, a spianar un monte, un lago,
Che fructo spera a le fatighe ancora.
Speranza Orazio fece un leo, un drago
A far tagliar el ponte, e andar a basso
De la salute de la patria vago.
Speranza Jason, d'animo non lasso,
Con gli Argonauti a l'aureo velo adduxe,
Per molti casi e in periglioso passo.
Speranza fu che Judithe conduxe
Fuor di Betulia a ire Oloferne a fine,
Che altro che un gran sperar par che non fusse.
Speranza Enea fuor del Trojan confine
Guidò in Italia; e i successor fondorno
Alba e poi Roma a le genti Latine.
Nel gioco veramente de la Gelosia, Illustrissima Madonna, le dece carte sono di colore azurro o vero celesto, e in esse sono depinti ochi, come quei da i quali nel animo del geloso el crescier de la gelosia procede. E ne la prima è uno, grandetto, con un breve di sopra; e ne le altre secondo el numero ordinato, con lo breve in mezo, nel quale li terzetti si scrivono che incominciano da Gelosia, sí come li doi dicti giochi d'Amore e de Speranza incomenzavano da il loro; con el numero nel modo già scripto, che a Gelosia súbito segue. Del qual gioco le quatro figure sono in questa forma depinte. La prima in luoco di Fante è Argo, che geloso fu oltra modo, dubitando che Io, dátali in custodia da Junone, non li fusse tolta; et è depinto carico per tucta la faccia d'ochi, con uno ochio ne la sinistra mano e ne la diricta uno bastone da pastore, con una vesta pastorale tócca in qualche parte de celeste colore; a i piedi del quale è un pavone, cum la coda diritta, in che egli da Junone fu tramutato; et ha sopra el capo suo el terzetto che de esso brevemente ragiona. Il Cavallo è per Turno figurato: el quale per gelosia da Enea fu vinto, come in Virgilio si lege; et è sopra un cavallo di tucte arme armato, de azuro colorite, con uno ochio in mano e con tre versi che lo manifesta sopra el capo. La Regina di Gelosia per Junone in questo gioco se dipinge; perciò che ella sempre fu gelosa oltra mo' di Jove, et è regalmente de azuro vestita, sopra un carro di due rote de azuro puntato, tirato da doi pavoni; con uno ochio in mano, e con la Iride, che da capo a piedi la circunda, dicto da gli altri lo arco celeste, e con una aurea corona, sopra la quale, sono li versi che di lei ragionano. L'ultima figura di questo gioco è il Re di Gelosia, per Vulcano significato, lo quale, di Venere geloso, a tutti li dei, diligentemente observandola, la manifestò in adulterio, ritrovandola con Marte per l'accusazione del Sole, che, per lo cerchio suo correndo, la scorse. Et è dipinto nudo, col martello ne la dritta mano; e ne la sinistra una ala d'amore sopra una ancudine; et ha drieto li sui piedi uno foco; e sopra el bracio che tiene l'ala, uno ochio; coperto ne le parte men belle con un celeste drappo che sopra le spalle se lega cum doi groppi; et ha una corona d'oro in capo; e de sopra uno terzetto che lo manifesta: che è lo ultimo de tucto el Capitulo de Gelosia. Li ternarii del quale sono per tucte le quatordeci carte disposti, come sono quelli de li doi già scripti; el primo terzetto a la prima carta adaptando, et il secondo a la seconda; e cosí de le altre. Li quali tucti versi integrano uno Capitulo che incomenza:
Gelosía un vero amor non pò smarrire,
Ché s'uno amante va cum pura fede,
Amor il premia al fin del suo servire.
Gelosía è dura cosa, ove esser vede
Commodo al concorrente nel amore:
Chè al spesso supplicar segue merzede.
Gelosía tristo rende un lieto core,
Ma spesso è causa ancor, dove ella sprona,
Condurre un che ami a virtuoso onore.
Gelosía quando vien, non si propona
Contrastarli alcun mai, chè sforza ognuno:
Ma el saper tollerarla è cosa bona.
Gelosía ciascun cerca, e poi ciascuno
La fuge; e prima ognun voría sapere,
Poi di saper vorebbe esser digiuno.
Gelosía sempre non debbe volere
Il concorrente per nimico; anzi esso,
Se vincer vòl, dié pazienza avere.
Gelosía se te gionge a veder presso
A la cosa che tu ami el tuo rivale,
Stimi che 'l parli sempre a tuo interesso.
Gelosía ove si pone è sí gran male,
Che medicina non se trova a lei;
E se troppo oltra va, cosa è mortale.
Gelosía non vien manco fra li Dei,
Che fra gli omini faccia; ecco Junone
Del suo Jove gelosa a' casi rei!
Gelosía di certezza mai non pone
Alcun in strada, e al ver non apre porte,
E tien fra speme e dubio le persone.
Gelosía d'Argo e de sue viste accorte
Non fu secura mai, fin che nel piede
Con nome de Io non li for l'orme sporte.
Gelosía Turno re, promisso erede
Del re Latino, indusse a mortal guerra:
E morto fu, chè morte indi procede.
Gelosía Juno dea piú volte in terra
Fece venir per varii amor di Jove,
Chè mai non posa un cor che in sé la serra.
Gelosía fe' Vulcano in forme nove
Pigliar Vener e Marte entro le rete,
E il Sol ne fece manifeste prove.
Finito el terzo gioco, del quarto, Patrona mia, ragionaremo, che è il giuoco del Timore, nel quale le scutiche se descrivono, come li dardi nel gioco d'Amore. Queste sono depinte con uno manico de legno lungo assai: et in capo cum tre draghi un poco intorti; et tali scutiche o vero flagelli, perché da ognuno sono temute [...]
Timor un'alma tien tanto dubiosa
Ch'ella ha poca ragion di viver lieta,
Qual mai non gode e sempre è paurosa.
Timor, dov'è qualche pericol, vieta
Pigliar piacere, e tanto un om fa vile,
Che l'animo ragion mai non acquieta.
Timor tremar fa l'agnel ne l'ovile
Se di fuor sente il lupo, e sí sta chiuso,
Che appena intrar gli può il vento sottile.
Timor quattro destrier d'un carro a l'uso
Sotto una virga tiene a un giogo stretti;
E molti in servitú, che non gli excuso.
Timor ci tien talor, che i nostri effetti
Non possiam dimostrar, ché assai ne offende,
Che compagni al timor sono i rispetti.
Timor fa sempre che un non si difende,
Ma supplice ai contrasti se dimostra
E senz'arme adoprar vinto se rende.
Timor, se tu ti accosti a armati in giostra
La lor virtú sarà sotto te morta;
Dove tu sei, sempre la fronte il mostra.
Timor obturba i sensi, e faccia smorta
Rende, e tremito il cor per lui si sente,
E l'occhio il mostra con sua vista torta.
Timor non ha sol, di quel ch'è presente,
Dubbio: ma teme, ben che sia lontano,
Il periculo, e a sé pargli imminente.
Timor de certo è a imaginarlo vano,
E dove timor regna, ognun concorre
Che invalido quel corpo sia e mal sano.
Timor Fineo fra gli omini una torre
Converse in saxo col Meduseo volto,
Ché a' timidi fortuna non soccorre.
Timor Ptolemeo re, súbito vòlto
Ebbe contra Pompeo, sol per paura
Che Cesar non gli avesse il regno tolto.
Timor non lassò Andromeca secura
Del figlio, visto Ulixe: e intrar lo fece
Del patre Ector entro la sepultura.
Timor Dyonisio del tonsore in vece
Usò le proprie figlie, cum carboni
Per fugir ferro; e al fin non fugí nece.
Poscia che de li quatro giochi de le Carte a pieno è stato da me scripto, de li Trionfi, Illustre Madonna, ora ragionare mi bisogna: e li loro significati, e le picture, e li versi in essi descripti minutamente chiarire. Et da ciò che bono principio sia per me dato, da quello che è a me, per quello che se ha dicto, similimo incomenzarò: e questo dimándase in questo gioco el matto. Lo quale è dipinto a cavallo de uno asino, senza briglia, vestito de rosso, con un capuccio giallo in capo, e cum due campanelle rotonde, atacate a due orechie che nel capuccio sono, una per banda; et ha questo capuccio una verde coda, sí com' sono le rechie, che, da le spalle drieto incominciando, se rivolta inverso el capo suo. Et è cinto cum la veste atorno a torno retirata; et ha la manica larga ne la bocca, con uno friso giallo nel orlo, e ne l'ultimo pizzo de la dicta manica è un'altra campanella. E nel piede ha uno stivaletto rivolto sotto il genochio, e quella parte che si rivolge è gialla; et il resto è de rosso colore. L'altro piede e l'altra mano non si vedano per essere in lato tutto dipinto, excepto el volto: lo quale è non bianco, con doi grandi e negri ochi, col naso schiazzato, et con le labbra grosse e la boca aperta, e cum doi ciglia di colore negro insieme agiunte, e con la fronte rugosa. E per quello che io vedendolo puotí existimare, parvemi di vedere la imagine di quello omo: et oltra queste tucte dicte cose, egli tiene uno mondo in mano, rotondo: nel quale e mare, e fiumi, e monti, e cittade si vedano descripte; e sta sopra questo mondo col pecto e col mento appogiato, e tiene le gambe retirate: a le quale l'asino si volta con el capo, come se basciare li volesse li piedi; e sopra de sé tiene tre versi, che sono il principio del quinto Capitulo, che per tucti li Trionfi se expedisse. Ne li quali versi che, insieme cum gli altri, qui di sotto si notaranno, la figura se manifesta, da me cusí cusí particulare e longamente descripta, per essermi de sangue assai congionta.
Il primo Trionfo, che è de un ponto, se dimanda l'Ozio; e la figura è di Sardanapalo re, se bene mi ramento, de li Assyrii; lo quale a la luxuria e gola dato, non seppe il regno guidare, e fu il primo che ritrovoe le piume ne le quale si dormisse. Contra al volere de Vostra Signoria, questo mi parve potere, di Sardanapalo ragionando, dire. La figura del quale è delicata: e tiene in dosso un manto bianco di celeste colore adaquato, et ha in testa l'aurea corona; e sede sopra un giallo scanno; et sotto el manto è de morello vestito; et a piedi suoi face una marmota, che è animale pigro e ocioso e sonnolento; e sopra di sé sono li versi posti che lo nominano, li quali incomenzano per questa parola Ozio. Et in tucto el Capitulo de Trionfi li terzetti incominzano per quella parola che significa la figura del Trionfo sotto ad essi dipinta. Et a piede di tucti li Trionfi sono animali di quella medesima natura che è il Trionfo. El numero de quali Trionfi, da l'Ozio incomenzando, che per l'uno è posto, se ritrova scripto in uno canto del breve, che sopra el capo loro è depinto.
El secondo Trionfo, che per il binario numero è signato, è la Fatiga, la quale per Ippolita è descripta, che fue per sua grandissima fatiga de le Amazone Regina. Questa in forma de una Nynfa è depinta, col pecto e con la dextra manica di morello; cinta con uno cingulo de simile colore, che drieto a le sue spalle elevato e ritorto se dimostra; con uno velo in capo verde; e con il camiso, da la cintura in giuso, bianco. Et ha ne la dritta mano una lanza; ne la sinistra un giallo scuto, con uno spechio in mezo, che tutto el brazo li copre. Et a piedi suoi molte formiche se ritrovano, che fra gli altri animali amatrice de fatica sono. E sopra el capo un terzetto si lege, come ne li altri.
Desio è lo terzo Trionfo, per Ateone significato, lo quale cose divine desiò di vedere, e, vedendo Diana in una fonte, ignuda, si converse in cervo, spargendoli essa nel volto cum le mane l'aque. La pictura è de un omo in giupone di giallo listato, e tutto el remanente de morello colore; e le calze de celeste e bianco, in molte liste divise sono. El capo è di cervo, con doi corna longhe e d'oro e di cervigno colore, con la boca aperta; e tiene in la sinistra mano uno lasso, e ne la diritta mostra paura: et ha doi cani che lo mordano; et a piedi uno leopardo che siede, lo quale è animale molto desioso in seguire le fiere. E tiene sopra el capo il suo terzetto secondo l'ordine dicto.
Ragione per il quarto Trionfo si vede scripta, e la figura che la dimostra è Laura del nostro Petrarca, vestita come Ippolita, et in mano tiene un stendardo; et in campo verde si vede un candido ermellino; et ha dinanzi a sè Amore, cum le man ligate dietro e cum l'ale spenachiate; e sotto a piedi l'arco e la faretra sua. E da l'un de' canti un zoco d'ape, cum li busi suoi, e cum le ape che intorno ad esso volano. Le quale per la ragione sono poste, come animali che ne le sue operazioni cum grandissima rasone procede. E sopra el capo de essa Laura sono versi che di lei, non cusí dolcemente come per l'adietro facto fu, ragionano.
Nel loco del quinto Trionfo si vede lo Secreto, e per esso Antioco se dipinge, vestito de un manto di morello che dovrebbe esser scuro; cum biondi capelli e delicata faccia; et ha a piedi suoi uno struzzo, lo quale credo che sia per paidire ogni cosa dura, e nel suo proprio sangue convertirla, non mandandola fuori per lo secreto posto. E, sí come a gli altri Trionfi, sopra el capo suo tre versi di lui si legano.
Grazia per lo sexto Trionfo si vede, e ne la pictura è significata per tre donne che sono le tre Grazie: le quale nude si vedano depinte, cum li aurei capelli giú per le spalle; occultate ne le men belle parte cum veli bianchi e suttili; in guisa che esse non occultarse, ma cum le bracia tenére il velo, a chi vi mira, pare; et una guarda l'altra come se insieme ragionassino. A piedi de le quale si vede una Fenice, che vòlga in sé stessa il beco, e dentro ad un rogo, cum l'ale aperte, stando. Et hanno queste Gratie la Fenice per sua; percioché esse in una etade se trovano in uno solo sugetto: come ora ne la divina chiaramente si vede, ne la quale sola tucte tre si ritrovano. Né in altro parmi, Illustrissima Madonna, avere qualche iudicio riservato, conformandome in ciò cum tucti coloro che li animi, di rarissime virtú fregiati, cum l'ochio del corpo parimente e del animo, ponno agevolmente cognoscere. Sopra le qual Grazie sono tre versi assai acconciamente posti.
Sdegno per el septimo Trionfo se dimostra, per lo quale el Re Erode ne la pictura è posto, che la cara et amata Mariana per sdegno conduxe a morte, chiamandola poi e con Amore dolendose. Et è dipinto con una corona d'oro in testa, coperto de un manto morello, e di sotto vestito di celeste colore; cum le mane battendose il pecto, e cum la boca aperta, lacrymando; e sopra un scanno giallo sedendo, con uno orso a piedi, sdegnosissimo fra tucti gli altri animali: in modo che se stesso, le picciole ferite squarciando, cum le proprie mani sue se occide. E li versi pur in questo Trionfo come ne li altri sono.
Pazienza, al Sdegno, nel octavo loco segue, per Psiche significata, la quale li adversi casi soi pazientissimamente soffrendo, meritò de essere nel numero de le Dee collocata. Questa è, Illustrissima Madonna, l'anima nostra, che cum grandissime fatiche da le brutture del mondo levandose, piglia l'ale, da Iove per grazia concesseli, pogiando col divino adiuto insino al Cielo, dove, per merito de le sue fatighe, la felice vita prendendo, diventa Dea. Il che a voi, Patrona mia, non adverrà doppo morte; essendo già nel numero de le Dee, per le sustenute fatiche, meritevelmente collocata; le intercessione de la quale apresso el nostro S.re Dio, a la mia povera Psiche, che nel mezo de le fatiche ora se ritrova, potranno in modo giovare, che io l'orme e del divino animo vostro e del graziato in ogni sua parte de la mia Illustrissima Madonna seguendo, da le terrene voglie partendomi, visibilmente da ciascuno, cum l'ale de caldo disio impennate, levarmi al Cielo serò veduto. La pictura de Psiche è in forma di Nynfa, di morello manto vestita, con il bianco camiso di sotto, e tiene cum ambedue le mane parte del suo manto; et ha a suoi piedi, da l'un de canti, uno arco ropto, con uno scrito riverso a lui di sotto; e da l'altro canto due ali spenachiate et uno cavallo leardo, col freno morello, che pazientemente essendo generoso, patisse ogni fatica. E sopra el capo di dicta Psiche sono tre versi che di lei ragionano.
Errore per el nono Trionfo se scorge, per Jacob ne la figura importato, che avendo septe anni per Lia servito, credette aver Rachel meritato, et in questo grandemente erroe: e fecesi per septe altri anni ancora de Labaan servo per amore di Rachele; onde dice el nostro Petrarca «Septe e septe anni per Rachel servito». La figura de Jacob è de un giovene, da pastor vestito, con uno capello dietro e un fiasco a lato; con uno grisetto et un paro de osfati morelli in piedi; sopra de uno anodato bastone apogiato cum le mane e con el capo, cum la dritta gamba sua circuendolo, e d'intorno ad esso sono assai pecore, che facilmente errano, tutte lo errore de una seguendo. Cum le quale in disparte si vede un cane, che per guardia loro in terra iace, con un collare di ferrei spini carico, ad ciò che da lupi strangolato non sia. Li versi veramente, sopra el capo, a chi vi mira, si legano, che di Jacob fanno qualche menzione.
Drieto a lo Errore segue la Perseveranza, cum li versi come è dicto, per la quale Penelope si vede depinta, che cum gran perseveranza molti anni tessette e disfece la texuta tela, expectando el suo caro consorte, che per il mondo andava errando. Questa è in uno tessaro depinta di ordimento, e di pettine e di navicella e de calcoli che con li piedi se movano, e da ogni altra cosa fornito. Sopra el quale sono alcune hyrundine che stanno, et alcune che intorno ad esse volano. Il colore del telaro è berettino, e la veste de Penelope è morella scura, con el pecto verde; e sta in forma di quelle che con piedi e cum le mane, avendo i capelli drieto a le spalle, tessendo lavorano.
Dubio nel undecimo loco se trova cum versi ad esso appropriati, e per il Re Egeo è significato: che dubio stando de la venuta del suo figliolo Teseo per avere [...] per la figura di Cesare descripto, lo qual da Bruto e Cassio fu occiso nel Senato; vestito ne la pictura de uno manto morello, e sotto di veste d'oro: lo quale manto li cade da le spalle. Et appresso de lui sono e Bruto e Cassio, coperti de rosso: uno col pugnale nel pecto di Cesare ficto: l'altro in acto di cacciarlo; a piede di quali uno furioso toro si vede, che pericolo significa, percioché egli con le corna ferisce non vedendo il modo, il che al feritore è periculosissimo.
Nel decimoctavo Trionfo vedesi la Experienza, con lo suo terzetto, per Rea significata, che fu di Jove madre; la quale per molta experienza tolse il nato fanciullo per scamparlo da l'ira di Saturno e déttelo a i populi Corifanti: che cum cymbali sopra a un monte di Creta lo educorno, e cum bacini facendo strepito, ad ciò che el cridare non fusse da Saturno sentito. De la qual Rea, la pictura è una donna, con el capo di nero velato, di morello chiaro vestita, con il pecto azuro, che guardi a la cima di un monte, dove alcuni piccoli omini si discernano. Et ha questa denanzi a sé un piccol bambino in fascie, con una aquila a lui di sopra, con l'ale aperte, de colore negro; come quella che in molte cose experta, per la longheza de la vita, e la lontananza de' luochi che de aver visto si trova, da Jove per suo fidato ucello fu electa.
Il Tempo doppo la Experienza segue, cum li versi suoi, nel decimonono Trionfo. Questo in forma di Vechio è depinto, cum veste di morello e con manto de cangiante; e con una crocioletta in la stanca mano che intrettando va. Cum la dritta un cervo cum le corna lunghe, che per essere di longhissima vita col Tempo si pone.
Segue, drieto al Tempo, nel vigesimo loco l'Oblivione, cum lo ternario suo, in forma di vechia depinta, che il capo de un velo giallo e il collo tiene avolti; cum maniche morelle e veste azurra, ma per longheza di tempo di tal colore in assai luochi smarrita; e tiene una catena in mano avolta ad una lince; che beve de una aqua che per il fiume Lethe è posta, lo quale suole, chi dentro li beve, de ogni memoria privare. Queste figure per tale trionfo sono poste, per ciò che la vechieza significa oblivione, e la lince è animale oblivioso molto; e Lethe è fiume che pone ne li animi di chi beve essa oblivione: la quale tole de memoria de omini, e mena a Lethe tucte le famose cose, come fu Dido, da Virgilio tanto nominata.
L'ultimo Trionfo nel vigesimoprimo loco riposto, e con li versi suoi, è la Forteza de animo, per Lucrezia Romana (e non per Suor Felice, come il compositore vôle) significata; la quale per forteza de animo cum le proprie mani se occise mostrando a tucto el mondo aperto el casto voler suo. Questa è in forma de una bella giovene depinta, che cum capelli sparsi cum la dritta mano uno coltello nel pecto si caccia; vestita de uno manto negro di sopra e verde di sotto, con un camiso rosso, e cum la sinistra tene un leone, che fra gli altri animali, di forteza, è da tutti lodato.
Questi sono li Trionfi minutamente a Vostra Signoría descripti; ne i quali uno Capitulo si legge de vintidoi terzetti, in vintidue carte de Trionfi, con el Matto, partiti: dal quale principando, el Capitulo comenza in questo modo, adaptando el secondo terzetto al secondo Trionfo, lo terzo a lo terzo, e cusí de li altri; ponendo in questo numero il Matto. Dal quale incomenzando li versi cusí dicano:
Mondo, da pazzi vanamente amato,
Portarti un fol su l'asino presume,
Che i stolti sol confidano in tuo stato.
Ozio Sardanapalo ozioso in piume
Tenne e in lascivie concubine e gola,
Tanto che del regnar perse il costume.
E in Scizia e in Grecia ancor suo nome vola.
Disio accese Atteon de una persona
Celeste, sí che in cervo fu converso:
Però el desio tropp'alto alcun non pona.
Ragion fe' Laura del fanciul perverso
Cupído trionfar, chè mai non torse
Occhio da la virtú né il pié in traverso.
Secreto Antioco fu, tanto che corse
Per Stratonica quasi in fin ad morte;
Ma el fisico gentil ben lo soccorse.
Grazia a secreti e savii non va a sorte,
Ma cum ragion, chè nel amore ha il vanto
Colui che è a asconder le passion piú forte.
Sdegno questo re Erode occupò tanto,
Che facta occider Mariana, poi
La chiama, e con Amor si dòl col pianto.
Pazienza Psiche ebbe ne i casi soi,
E però fu soccorsa ne li affanni
E facta Dea nel fin, ch'è exempio ad noi.
Error fece Jacob septe e septe anni
Servir, chè di Rachel Laban non dixe;
Ma el tempo ristorò tucti i suo' damni.
Tanta, che, al texer e disfar le tele,
Dubio a se stesso Egeo fece crudele,
Che a morte se gittò nel mare in frecta,
Visto Teseo tornar cum negre vele.
Fede ebbe Sofonisba non suspecta
A Massinissa, ch'el venen promisse
Se a seguire il trionfo era constrecta.
Ingannò Nesso, che a Dianira disse:
Ad Ercul dà questa vesta col sangue,
Se advien che abbia d'amor mai teco risse.
Sapienza fu, come in un callido angue,
In Ippermestra, che in feminei panni
Salvò il marito dal timor exangue.
Caso cadde in Pompeo, che per tanti anni
Avea seduto al summo de la rota,
E al fin fortuna el sommerse in affanni.
Modestia Emilia, di Scipion devota
Moglie, ebbe; chè, trovatol con l'ancilla,
Tacque il peccato, per non darli nota.
Pericol di gran foco una favilla
Porta: ecco Cesar morto nel Senato
Da duo; e fuggí già el furor di Scilla.
Experienza in Rea fu, che occultato
Jove nel monte de Ida, ordinò i suoni,
Chè al pianger suo non fusse ritrovato.
Tempo, che gli omini a la morte sproni,
Nestor salvasti, e, se pur venne al fine,
De un viver tal non par che se ragioni.
Oblivion, che termine e confine
Di tutto sei, Elice e Dido a Lete
Menasti, e fama e tempo hai in tue ruine.
Fortezza d'animo in Lucrezia liete
Exequie fece: e per dar vita al nome
Se occise, e a l'offensor tese una rete.
Et ad ciò che voi, Patrona mia, abiate il compimento di questa mia longa descrizione, voglio ancora riscrivere il sonetto, che ne l'ultima carta, drieto a tutti li Trionfi, si pone:
Vegio il mio error, pur el commune inganno
Sieguo, e stimo el mio fallo assai minore,
Chè errar la piú parte, è manco errore
Che, sol salvarsi in un publico damnno.
Vegio che gli omini ingannando vanno
Lor stessi, in farsi parer corte l'ore:
Onde, per far l'inganno ancor magiore,
Questo gioco ho composto e io stesso el danno.
Perché altro non è lui che sproni: anzi ale
Che 'l tempo, tanto prezioso e caro,
Via manda, come corda d'arco uno strale.
Ma poi che a tener quel non è riparo,
E il fuggir tedio è instincto naturale,
Scusomi anch'io se da natura imparo.
De questa moltitudine de versi non dico alcuna cosa, existimando che assai ne la Corte de la Duchessa di Urbino ne serà decto, per le egregie creature che vi sono.
Tucto questo mio longo rasonamento, Illustrissima Madonna, è stato facto per descrivere minutamente questi novi Trionfi, ad ciò che Vostra Signoria, piacendoli, li possa far depingere senza essere ad altri obbligata. Li quali, poscia che seranno depinti, potranse operare giocando cum loro in questo modo. Ragunati insieme che seranno li giocatori, in qualunche numero si voglia, bisogna prima ad uno ad uno intorno porgere una carta; e tante nel circolo porgendo carte procedere, che tutte siano fuora date: excepto quelle due che in sé li sonetti contengano, la quale nel mezo del gioco sono, cum lictere di sopra, poste. E da questo dar di carte, che tocar deve a chi per sorte ha la megliore, nascie il primo piacere: perciò che ognuno lege li versi che ne le carte sue sono, e mostranli a li compagni. Et in ciò si vedano a le volte a donne et omini venire terzetti che sono grandemente al proposito loro, e di gran riso de chi gli ascoltano. E poi che ognuno averà le carte sue racolte in mano, il primo cominciarà a giocare una carta a la quale bisogna che ognuno, avendo del gioco, responda; e non avendo, dia Trionfo. E de le carte, el piú nel gioco d'Amore, de' dardi, e il piú de vasi, nel gioco di Speranza, vince; et il meno ne li altri doi giochi è superiore. Percioché piú amore e piú speranza sono megliori che meno; e meno gelosia e timore valgono meglio che 'l piú de loro. De' Trionfi veramente il piú numero, ne li brevi da l'uno de' canti signato, è vincitore. E quello de' giocatori che vincerà, tanti giochi quanti vincerà, tanti scuti potrà dimandare a chi egli vorà di coloro che nel circolo sono in questo gioco: prestando prima sacramento cum quelle due carte di sonetti, che in mezo lo scanno si ritrovaranno. E questo facto, bisogna che ognuno ritenghi le carte in mano de li giochi che serano per lui vinti, e quello che alcuno gioco, per caso, non averà vinto, piú inanzi non giocarà.
E cum le ritenute carte in mano farassi un altro gioco in tal modo. Ciascuno guarderà le carte sue, e chi piú di dardi, o vero de vasi, si troverà avere, vincerà colui che arà meno; e chi meno d'ochj, o vero di flagelli, si ritrovarà in mano, vincerà quello che è di piú fornito. E il vincitore dimandarà al victo, per premio, una obedienza a quello che egli, per una sola fiata, è per domandarli. Et in questo, quello che vince comanda quello che li pare a colui che perde, astrengendolo sotto il già dicto sacramento ad obedirlo.
Nasce, oltre questi, un quarto gioco, nel quale coloro che hanno ne le carte, che gli sono in mano, piú terzetti che si seguitano, quelli, dico, vincono. Et in premio ponno dimandare in dono tucto quello che a loro pare de le cose che sono intorno a la persona del victo.
Questi sono li quatro giochi che per ora, cum questi novi Trionfi, si sogliano fare: cum li quali molti altri se fariano, e tanti, quanti con il commune di continuo se fa. De li quali avendo lungamente rasonato, per non affaticarvi piú oltre, farò fine.