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Alberto Cantoni
Un re umorista

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Eboli, Chimene, Ofelia

Era ancora bambino che già tutti s'erano avvisti di una mia particolare inclinazione: quella di ascoltare moltissimo ciò che gli adulti dicevano fra loro, e poco, assai poco, ciò che essi dicevano a me. Forse tutti i bimbi faranno così, o forse mi pareva di già che tutti recitassero meco una qualche particina di commedia e che ci fosse più costrutto ad ascoltarli dietro. Ma ho pagato ben cara la troppa sincerità con la quale dava sempre a divedere da che parte ascoltassi più intentamente, perché tutti, poco alla volta, si tennero molto in guardia quando io era accanto, e così non mi accadde quasi più mai di potermi mettere nel retroscena, e di cogliere a volo un qualche piacevole e piccante apprezzamento sulla vera valuta di certi uomini e di certe cose. Ne venne che fui condannato quasi in perpetuo alla commedia recitata male, e che questa grandissima disgrazia mi crebbe presto nell'anima una specie di furore, niente affatto morboso, per la commedia recitata bene.

D'allora in poi, quando mio padre ebbe tempo di mostrarmi un poco della sua molta tenerezza, non gli seppi chiedere insistentemente che due cose sole: o di lasciarmi rannicchiare dietro di lui al teatro, o di ordinare ai suoi ottimi commedianti di venire molto spesso a recitare a corte. Si sa bene che il primo intento non mi serviva ad altro che ad ottenere il secondo, perché tutta la roba che era buona per il pubblico non poteva convenire ad un bambino come me; ma poi, coll'andar del tempo, si cominciò a mutar sistema, e così io, in dieci o dodici anni a dire assai, ho avuto la suprema soddisfazione di potere strappare un buon lembo alla commedia universale, e di rifarmi alla meglio delle altre commedie particolari, in forma di Carte o di Costituzioni, che mi erano state propinate dal mio governatore. Ho perfino recitato qualche volta anch'io — bontà di mio padre che me lo ha permesso — e fu nei Captivi assassinati in latino, colla scusa di apprender bene la pronuncia, oppure da «Incognito» nelle più morali commedie di Kotzebue, per imparare a dir bene, e con dignità, i miei futuri discorsi di apertura alle Camere. Così passi moltissimo tempo avanti che io sappia se ho imparato bene o no.

Ciò che so fin da ora, anzi da dieci anni fa a dir poco, e che io soleva pensare più assai ai bimbi dei commedianti, coi quali aveva fatto da «Incognito» che non a quelli del governatore, coi quali aveva assassinato i Captivi. Epper bimbi dei comici intendo naturalmente le bimbe; anzi, per dir tutta la verità, una bimba sola, e bella, che ora è già una donna, perché ha precisamente gli anni miei, che sono quasi un uomo, e che mi è cresciuta a fianco da tempo immemorabile, come un fiore dell'arte, condotto dalla natura a rendere con dolcissimi colori tutte le più soavi gradazioni dell'amore e del sacrifizio. Recita sempre in queste parti, e nelle grandi e nelle piccine, ma come le fa lei non le ho mai viste fare a nessuno, e men che meno alle grandissime e viziatissime attrici, già consacrate dagli applausi di tutte le Americhe, e che piombano ogni qual tratto a spillare gioielli e quattrini nel nostro gran testo della Commedia;

Questo, come cosa regia, sta vicinissimo a corte, anzi la tocca, mercé di un gran corridoio coperto, valendosi del quale tutta la casa del re può recarsi allo spettacolo senza bisogno di escire all'aperto. Oh corridoio le mille volte benedetto! Che giudizio ho avuto quando ho determinato di limitare a te solo i miei diritti sempre crescenti ad un poco di libertà personale! Machiavelli mi aveva insegnato di andar adagio nell'affermarli, e quanto non ci ho messo di pazientissima preparazione! Ho principiato da una volta la settimana, poi, dopo un anno, due, poi tre, e via di seguito, dapprima per condurre la biblioteca del teatro a più ampia e liberale informazione; in seguito per presenziare le prove; da ultimo per volgere qualche parola d'incoraggiamento ai miei antichissimi colleghi i... bimbi dei commedianti, taluni dei quali già recanti in grembo i futuri camerati dei figli miei.

Ma quella no. Vestale invasa dal sacro fuoco dell'arte, aveva respinto lontano da sé quante corone di fior d'arancio le erano state spesse volte esibite, a malgrado che la più parte degli esibitori fossero stati commedianti pari suoi, e avessero posto per prima condizione che rimanesse alla ribalta anche lei. No, essa aveva capito, ad onta di tutti i miei armeggiamenti per rimanere segreto, che il suo modo di recitare mi era arrivato al core più presto che non agli occhi, e si era serbata purissima, come un'arpa temprata a rendere i più dolci accordi per un solo amico.

Ma questa può parere civetteria, e invece era una cotta bella e buona, mia certo, e forse anche altrettanto sua che mia. Io non glielo diceva mica, ben inteso, ma aveva già da più anni la vaga idea, uniformemente accelerata, che ci avviavamo entrambi verso una riva molto dirupata e molto scogliosa. Come evitarla? Ripetendomi da mezzanotte all'alba che essa non amava punto me... in me, ma S.A. il principe reale? Oh che distinzioni asmatiche per un giovine di vent'anni, che voleva attaccar sonno presto, nella soave speranza di rivederla anche in sogno!

Ma un giorno del mese passato mi accadde di ritrovarla sola sola. Presi il mio coraggio a due mani e le dissi:

— O dunque, mia cara, che facciamo?

Erano poche parole, ma al modo che le ho dette, ci doveva star dentro tutta la nostra storia da più anni in qua. Essa cambiò di colore e per poco non si mise a tremare come una foglia. Mi fece tanta pena che pensai subito fra me e me:

— Ho capito. Scappo con lei, e vado a fare il comico anch'io. Già tanto se non sarà precisamente zuppa, sarà pan molle.

Ma essa intanto si era come rinfrancata, e mi rispose con quella sua voce di angelo, tanto più insinuante quanto più, per la vicinanza, non aveva nessun bisogno di alzarla:

—  Che dobbiamo fare? Tocca a voi.

— A me?

— Sì. Io non posso da me sola. Dipendo troppo dai miei genitori e più ancora da S.M. il re. Fatemi mandar via.

— Ma se non sono mai così contento come quando vi vedo! Vi ho da far mandar via?

— Ed è bene in questa nostra contentezza che sta il pericolo. Ci andassi di mezzo io sola, sarebbe poco male. Più si soffre e meglio si recita. Ma voi! Voi avete degli altri doveri.

— Non mi negherete quello di voler bene a chi ne vuole a me, spero.

— A cosa può condurvi il bene che mi vogliate? A fare di me un impiccio nella vita vostra! Nient'altro.

Qui essa si voltò improvvisamente per andar a vedere se eravamo uditi, poi mi tornò accanto adagio adagio. A un tratto, quel suo mirabile volto, dove non c'era mai un'unica fibra che non rendesse prima, e da sola, tutti gli affetti che stavano per diromperle dalle labbra, quel suo volto, dico, si contrasse tutto, e sempre maggiormente. Che era stato? Forse che si era spaventata vedendo qualcuno di fuori ad origliare? No, era tornata addietro più tranquillamente assai di quando mi aveva lasciato per andare a vedere. Quanto avrei pagato a chiederle ragione, e subito, di quel suo repentino cambiamento! Ma sentiva di non poterlo fare, sentiva che per potere aprir bocca, avrei avuto non bisogno, ma necessità che essa mi ci aiutasse, domandandomi qualche cosa lei.

Finalmente essa mi afferrò una mano, e stampandoci sopra le sue labbra, mi disse con un grido che non dimenticherò mai

— Che avete, Altezza?

Fu come se mi risvegliassi da un brutto sogno. Compresi subito che era stato nel riporre gli occhi sopra di me che essa aveva mutato a quella maniera, e tutta la scompostezza dei miei pensieri durante quei brevissimi momenti di torpore e di confusione principiò a dileguare con altrettanta rapidità.

— Nulla, mia cara, — risposi, respirando ancora un po' a faticaOra è passata.

Debbo avervi detto qualche cosa che vi abbia spiaciuto, ma non l'ho fatto apposta, ve lo giuro sull'anima mia! — sclamò la poverina gettandosi in ginocchio. O altrimenti perché mi avreste guardato con quegli occhi così fermi, così intenti, così asciutti?

— Vi ho guardato... così?

— Si, or ora, quando tornai indietro. E anche adesso, da capo.

— No, no, è finita davvero, risposi sorridendo e pigliandola per mano. — Alzatevi, ve ne prego.

— Ma che è stato?

— Nulla, vi ripeto. Ho principiato a capire allora, e seguito a capire adesso, che avevate ragione voi, e che noi dobbiamo trionfare del nostro amore, per intenso e temerario che sia già divenuto, mercé del nostro silenzio. Fra qualche tempo vi dirò il perché. Intanto fate di guarire come sono già quasi guarito io, confortandoci entrambi col pensiero che abbiamo vissuto più noi in pochissimo tempo che non parecchi altri in tutta la vita.

Ieri l'ho trovata ancora al medesimo luogo, e non ho potuto esimermi dallo spiegarle che mi fosse accaduto. Le dissi:

Fatevi tornare a mente i brevissimi istanti di quel giorno. Voi siete andata a guardare presto , per quella porta, siete ritornata adagio accanto a me, avete visto qualche cosa di insolito nel mio viso e negli atti miei, mi avete afferrato una mano e poi vi siete gettata alle mie ginocchia...

— Ebbene?

— Ebbene, voi non ne avevate nessuna colpa, voi eravate in perfetta buona fede, ci metterei una mano sul fuoco, ma pure... troppo abituata a colorire gli affetti degli altri, vi è venuto fatto di ricorrere involontariamente, non dico per sentire, ma per esprimere gli affetti vostri, a due grandi momenti del repertorio classico: prima a quello che in arte si suole chiamare la voltata di Eboli, e poi al subitaneo e fervoroso inginocchiarsi di Chimene.

Davvero? — domandò la poverina con un brusco movimento del capo.

Davvero. E nemmen io ho colpa se ci ho badato troppo e se ne ho avuta una impressione così penosa. Come poteva aver tempo di pensare, in un minuto secondo, che la vostra anima era certamente pura di ogni intenzione teatrale, e che quello che recitava... così, per abitudine, non era che il corpo, non era che lo strumento? Mi sono ravveduto presto, come avete visto, ma ho pensato subito che io vi ho divorato troppo cogli occhi e coll'anima mia quando recitavate, perché l'attrice in voi non mi soverchi la donna, e perché noi non abbiamo entrambi a rifuggire dalle conseguenze di questo conflitto: conseguenze che si risolverebbero in altrettante offese, indegne di voi, o in altrettanti sospetti, indegni di me.

Essa mi offerse mestamente la mano, con gli occhi lagrimosi rivolti a terra, e poi se ne andò piano piano, mormorando con voce sommessa:

— Oh arte mia sciaguratissima!

Or bene, io sarei qui pronto a giurare che non lo ha fatto apposta, ma pure, appena pronunziate queste poche parole, si levò macchinalmente dal seno un mazzetto di fiori, lo ruppe adagio adagio come in atto di rassegnazione, e poi escì del tutto, gettandolo a due mani mezzo di qua e mezzo di .

Era Ofelia.

—  Addio, — pensai fra me quando rimasi solo, — e che Dio ti dia bene... alla tua maniera. Non è già tua colpa se i poeti ti hanno uccisa, forzandoti a dar vita alle loro fantasie. Io voleva bene a te, non ad Eboli, non a Chimene. Ma dove sei, tu? Dove ti vado a pescare volta per volta? Nel lago, e già fredda, come Ofelia? No No, addio.




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