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Alberto Cantoni Un re umorista IntraText CT - Lettura del testo |
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La lista civileToltone i piacevoli intermezzi dei quali ho presentato un campione poco fa, nessuno vorrà negare che gli uffici della corona non sieno ormai diventati molto monotoni e derelitti. Sapere almeno tre giorni prima tutto quanto vi verranno a dire e tutto quanto voi dovrete rispondere tre giorni dopo, sono due cose che veramente non paiono fatte per tenervi molto desto, o molto ilare, o molto franco. E però l'uggia mi prende qualche volta, oh se mi prende! Io mi domando se sia giusto, e benefico, e regale che io non abbia a poter giovare al mio popolo che da lontano, di rimbalzo, adagio adagio, quando mi venga fatto; che io non possa quasi nulla per saziare direttamente gli affamati, per agguerrire i miseri, per rintuzzare i forti; che tutto, il grandissimo tutto, mi abbia sempre ad arrivare davanti come triturato e pesto da tutti i denti di tutte le ruote amministrative; che i buoni mi amino e i tristi mi temano solamente per intesa dire, e per ultimo che io non abbia mai ad essere quello che sono, bensì che mi lasci fare via via (almeno apparentemente) ora più rosso ed ora più nero a seconda dei partiti che stan sopra o sotto. Ma allora io dove sto? Più sotto di tutti per lo meno. Eppure non credo di essere niente presuntuoso. Sono anzi persuasissimo che gli altri uomini sieno di carne e pelle precisamente come me, e se anche mi accade, per un momento e per eccezione, di tenere qualcuno per inferiore, vuol dire che mi è antipatico, non vuol dir altro. Ma tenere gli altri per eguali in teoria, non significa menomamente che sia piacevole di starci sotto in pratica. Vorrei che il mio popolo ed io si facesse un core solo, ma dicono che sono fisime da re filosofo, dunque niente. Vorrei che gli altri monarchi si contentassero come me di quello che hanno, ma gridano che sono illusioni primitive, dunque niente. Vorrei che i nichilisti non facessero torto al loro nome e non principiassero essi medesimi dal volere tutto, ma mi borbottano che sono ingenuità garibaldine, dunque niente. Cosa rimane? Rimane la lista civile, vale a dire una moneta erosa, battuta appositamente per me, col privilegio di farmi pagare dieci quello che gli altri pagano cinque; una specie di franco, giusto di peso e bellissimo a vedere, che pure non vale nemmeno sessanta centesimi. Me lo ha detto anche una fruttaiola. Tornava dalla caccia, e ho veduto un canestro di fichi con sopra scritto: «Sei per un soldo». Ne porgo due al donnone seduto a lato, e vedo che invece di dodici fichi me ne mette in mano appena otto, se pur non eran sette. — E gli altri? — dico. — Gli altri li tengo per la lista civile e li darò da mangiare ai miei bambini. Dunque sono io che tolgo il pane di bocca al mio popolo? Dunque tutte quelle poche persone che mi tiro dietro sono persone che non mangiano? Dunque una corona ereditata senza sangue, senza interregno, senza ribassi di borsa, non rappresenta il più piccolo beneficio pubblico? Dunque essa deve anche pagare di suo, e a ragione di cinque fichi sopra ogni dodici?... Caruccia la tariffa. Io sono in ritardo di due millenni, e non punto in anticipazione di qualche misero secolo, come dice mia moglie. Re e sacerdote di un giovane popolo, colla fronte ricinta di edera o di lauro, avrei voluto porre il mio trono or sotto agli olivi ed or sotto alle quercie dei boschi sacri, e di là avrei amministrato volentieri la giustizia, propiziato alla pace, beuto ai mani, indetto la guerra. Ma così, santo Dio, così che gusto c'è? Per questo, quando non ne posso più e specialmente quando mi ritrovo nei miei castelli di campagna, ho preso la cattiva abitudine di inforcare talvolta a tarda notte ed in grandissimo segreto il migliore dei miei cavalli, e di seguitare a correre io solo solo ora di qua ed ora di là, come se avessi il paradiso davanti e l'inferno dietro. Che dispiacere sarebbe per mia moglie se sapesse che in quelle notti il lume del mio gabinetto da lavoro brucia solamente per lei e per gli altri, non per me, e che io intanto, aiutato dal più vecchio dei miei famigliari, me ne vado a precipizio, come un vagabondo, lungo le strade maestre. Eppure sto tanto bene a trovarmi finalmente solo con Dio e col mio cavallo! Certuni reputeranno di certo che sia questo uno svago da postiglione, mettiamo pure da postigione regale, che si trascini in groppa le cure dello stato, col proposito di alleviarle: io dico invece che l'uomo solo, quando è a cavallo, si sente più uomo di quello a piedi, e che non per nulla gli antichi, favoleggiando dei centauri, diedero tanta calma e tanta prudenza all'institutore di Achille. Certo che sarebbe ancora meglio di poter fare come il principe di Galles, che se ne va in pitocchino grigio da un canto all'altro del mondo, lasciando la sua mamma sopra il soglio, a tenergli a bada l'Irlanda e il resto. Anch'io avrei fatto così', se mio padre non fosse morto due anni fa, e se mia madre non avesse pensato conveniente di benedirmi appena nato e poi morire... ma le grandi fortune non sono da tutti, e bisogna bene che mi contenti della mia, che è piccola. |
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