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Alberto Cantoni
Un re umorista

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  • In famiglia
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In famiglia

La regina mia moglie non muta solamente di contegno, quando depone la porpora, muta anche di viso, ed io la vedo talvolta apparire così cangiata che per poco non la riconosco più. Ho preso il partito di non guardarla mai quando siamo davanti gente e di non guardare che lei quando siamo in famiglia, perché, se devo dire la verità, non darei un dito solo di mia moglie per tutta quanta Sua Maestà la regina.

Io non voglio dire che siano due; so bene che una ha il viso lungo e tirato, e che l'altra ha la faccia fresca e distesa, so che quella parla breve e quasi sentenzioso e che questa invece non si quieta mai, so che una mi pare più magra e l'altra più grassa. Insomma mia moglie ha tutti gli aspetti di una buona madre di famiglia, alla moderna e alla tedesca, e la regina poteva nascere in ogni luogo ed in ogni tempo e sarebbe stata sempre la medesima regina.

Eppure questo diritto e rovescio non sono che superficiali. La persona è una sola ed è coerente; di particolare non ha altro che il suo sapersi dividere, che il suo mostrarsi a metà. Da una parte manda avanti il core, che è spesso affabile, dall'altra si governa col capo, che è sempre saldo. Questo le serve anche in famiglia, quando ce ne sia bisogno, ma quello a corte non glielo ho visto tirar fuori mai. La sa più lunga di me che ne ho forse di meno e che ne mostro di più. Per pigrizia, non per ipocrisia, intendiamoci.

Da questo stato di cose è derivato il più bell'imbroglio parlamentare che si sia mai visto. Abbiamo cioè la Opposizione di Sua Maestà il Re e la Opposizione di Sua Maestà la Regina. I liberali, quando sono sotto, fanno capo a me, e i conservatori, quando le pigliano, fanno capo a lei. Ne viene che entrambi ci sentiamo appunto più forti e più temuti quando abbiamo al potere il partito che ci è men simpatico. Che diamine! I trionfatori non dovrebbero essere indirettamente anche colla regina? Non dovrebbero essere indirettamente anche col re? E così, o io o lei, abbiamo sempre anche la minoranza dalla nostra.

Il più bello è che tanto i liberali quanto i conservatori sono entrambi profondamente persuasi che noi due facciamo la commedia, per politica, ma che viceversa non c'importi un bel nulla né degli uni né degli altri, e che ci basti di tirar avanti il meno male questi quattro giorni. È segno che conoscono poco mia moglie, e come ignorano il suo sorriso di madre, quando è coi suoi figliuoli, così non sanno quanta sincerità di propositi, quanto rigore di criterio politico si celino sotto il suo viso, quando è in funzione. Io lo so e gliene porto molto rispetto, ma lo torno a dire, mi piace più mia moglie.

La quale, poverina ha passato mesi sono un quarto d'ora più brutto del mio, con quel po' di male che ho avuto addosso. È stata la mia prima malattia, ma di buon peso e di buona misura. Non ho voluto assolutamente rimandare una partita di caccia, quantunque non mi sentissi niente bene, e m'è venuta una tal dose di tifo che avrei potuto sfidare il più povero, il più sudicio, il più maremmano dei miei sudditi a beccarsene altrettanto. Or bene, finché mia moglie stava a sorvegliarmi accanto al letto, colla sola scorta del medico curante, tutto andava a gonfie vele. Lo aveva in pratica, ci aveva preso una certa confidenza, e perché sapevano fare a secondarsi l'un l'altra, andavano via lisci tutti due che era un piacere a starci sotto. Ma guai quando il povero uomo sano e il più povero uomo malato dovevano per forza uno suggerire e l'altro sopportare con rassegnazione le miserie di un consulto! Allora mia moglie si mutava immediatamente di infermiera in regina; allora tutte le preoccupazioni della pubblicità le si affollavano davanti alla mente; allora non c'era più versi e con una parola messa qua, un discorsetto messo , voleva per forza far prevalere il suo ottimismo non solamente nei bollettini pel pubblico (e fin ci sarebbe stato poco male), ma anche nei nuovi sistemi di cura. «Pensassero, diceva, prima di gettare l'allarme nel popolo; considerassero attentamente se non fosse più opportuno di lasciar campo alla natura di riagire da sola; ponderassero bene prima di ritenere un re così giovine e così forte per più malato che non fosse, ecc., ecc.». Io stava assai male, ripeto, ma pure c'era qualche cosa dentro di me che rideva forte di quel mutamento, di quel conflitto. E il più delle volte i medici stessi avrebbero giurato che io non udissi nulla, tanto il male mi aveva agguantato bene, almeno apparentemente.

Ora che sono guarito, ho il grandissimo conforto di sapere per prova che se mia moglie ha sempre dimostrato di volermi bene assai, anche la regina non mi vuole mica male, alla sua maniera, e che soprattutto non ha nessuna voglia di diventare reggente. È molto, con le sue attitudini autoritarie e con le sue tendenze politiche!

A parte gli scherzi, abbiamo entrambi un gran difetto domestico: il più grande, secondo il popolo, che possano avere i genitori: quello di far preferenze fra i propri figliuoli. Ma come fare? Per babbo e mamma popolani, è assai facile di trattare tutti i propri rampolli allo stesso modo: mettono il primo a far le pratiche dal calzolaio, il secondo dal sarto, e se uno ha voglia d'imparar bene e l'altro no, ci penserà a suo tempo il rampollo che ne avrà avuto meno voglia. Ma noi! Noi che dobbiamo tirar su il primogenito come se fosse più importante lui solo che non altre undici creature venute dopo, noi come possiamo fare a trattare tutti allo stesso modo? Se si guarda il primo, anche quando è piccino, vengono in mente due o tre secoli di storia e di malinconie; se si guardano gli altri, anche quando sono grandicelli, vien voglia tutt'al più di farci il chiasso insieme. Come fare?

E non solamente mia moglie ed io ci possiamo dar la mano in questo grosso peccato, ma andiamo perfettamente d'accordo anche nella preferenza. Teniamo pel primo, s'intende, ma le ragioni che ci muovono ambidue non potrebbero essere più remote e diverse. Essa gli sta dietro continuamente perché vuol farne un re tenace e consistente, a immagine e simiglianza della mamma, più che del babbo, ed io invece gli voglio più bene perché sono profondamente persuaso che il suo fratellino starà assai meglio di lui. Almeno quello, se Dio mi salva il maggiore, non sarà perseguitato come questo e come me dalla suprema necessità di farsi amare a qualunque costo, come le belle donne, e nessun governatore verrà mai a dirgli in gran sussiego come a noi due:

—  Badate, Altezza, ne che nessuna forza di nessun paese agguaglia quella di un monarca sinceramente amato.

Perché è facile di farsi amare da tutto un popolo! Molto facile! Io veramente ho sperato già più volte di essere a buon porto per riuscirvi, ma forse che il merito lo avrà avuto la mia buona volontà? No, davvero. Non sono mai stato né più franteso, né peggio interpretato di quando mi sono fatto a pezzi per amore del dover mio. L'amore del popolo è questione di simpatia, di fascino, di fortuna, come tutte le altre cose. Vi vien fatto di cattivarvelo? Tutto va bene. Non vi viene fatto? E ci sarà sempre qualche manigoldo, in alto od in basso, il quale crollerà le spalle al vostro nome e dirà forte:

—  Ma! Un re che non sappia farsi amare è il gran delinquente! Quanto bene va perduto, sua mercè! Anzi quanto male fa!

O manigoldi che giudicate dal successo, mettetevi pure in mente che anche i re poco amati non sono mica gli imbecilli che voi fingete di credere, perché vi giova. Sfortunati sono, due su tre almeno, come voi altri, almeno tre su due, siete impostori.

Via!




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