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Alberto Cantoni Un re umorista IntraText CT - Lettura del testo |
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La pazziae le crisi di gabinettoÈ assai probabile che gli studiosi di malattie mentali si sieno avveduti già da gran tempo che la pazzia suole fare molta strage delle teste coronate, ma è ancora più certo che io me ne sono avveduto da me, senza punto ricorrere ad essi. Gran re vuol dire per lo meno grand'uomo — parrebbe — e se è vero che moltissimi grandi uomini abbiano dato per qualche momento il loro cervello a pigione, ovvero abbiano sempre avuto qualche cosa di manchevole o di sovrabbondante dentro di esso, figurarsi i grandi re, con tante maggiori e più particolari ragioni per esaltarsi o per avvilirsi, secondo i casi! Ma lasciamo i grandi ed i piccoli, e badiamo piuttosto ai re in generale, come vengono vengono, e ai moderni soltanto, che ci s'intende. Perché, a paragone degli altri uomini, hanno sempre avuto un numero così grande di matti? Io credo di averlo capito così all'ingrosso e lo voglio dire. Comincio intanto dall'escludere tutte le ragioni secondarie, perché non sempre e non da per tutto si avverano, come sarebbero i più facili matrimoni fra parenti, ovvero la vita più licenziosa ed i mutamenti improvvisi della Fortuna, e affrontando subito il fatto per me capitale e quasi necessario, dico questo: Un re è un uomo che si ritrova quasi continuamente in balìa del gran contrasto che intercede fra il troppo che dovrebbe fare e il pochissimo che gli viene fatto: un uomo a cui è stato posto innanzi una specie di ideale smisurato, con insieme tutto quel che ci vuole perché non lo possa mandare ad effetto se non attraverso le più sgarbate difficoltà. Cento ali non gli basterebbero per essere quasi contemporaneamente dove più gli sarebbe mestieri di accorrere, ed egli non può fare un passo che non si tiri dietro una fittissima parte di persone e di cose, che lo accerchiano, lo serrano, lo annientano a gara. Epperò non gli deve e non gli può rimanere altro partito che quello quasi passivo e modestissimo che ho preso io: giovare cioè quanto più possa per effetto di esempio, di dignità personale, di serena ed onesta imparzialità. Così alla lunga si può egualmente fare molto e molto bene, ma coloro che non se ne avvedono, coloro che non sanno farsi ragione dell'abisso, del baratro che divide, per essi, l'ideale dal vero, coloro debbono per forza dar di capo nei muri delle loro reggie vale a dire nei primi e più vicini rappresentanti della dura prigionia morale dove si trovano chiusi. Questo sia detto in generale: ora passiamo al mio caso particolare. C'è una sola persona la quale possa dire di non essersi mai sentita frullare pel capo nessuna idea molto bizzarra e molto stravagante? Non credo. Più o meno frullano a tutti di quando in quando. Or bene, se io mi ritrovo in condizione di poter mandar avanti l'umile programma tracciato poco fa, allora quelle tali idee possono venire fin che vogliono, ma una sola crollata di spalle basta subito per mandarle via tutte quante: se invece il mio compito aumenta, per una ragione o per l'altra, e con esso aumentano naturalmente anche gli inciampi e le difficoltà, allora felice notte, le idee balzane durano molto di più e mi ci vuole una grandissima fatica per tenerle chiuse fra me e me. Io sento allora per eccezione quello che altri miei colleghi, men di me previdenti, debbono sentire quasi sempre, e però quel granello di pazzia, che abbiamo tutti in comune cogli altri uomini, piglia a rotolarmi meglio dentro del capo. Né ciò mi accade mai così spesso e così volentieri come nelle crisi di gabinetto, appena che riescano un po' stentate ed un po' laboriose. Quando càpitano ho il mio sistema e lo mantengo sempre, anche se imbattono ad essere delle più facili. Mi chiudo una notte intera a passeggiare su e giù pel mio gabinetto da lavoro, e rimugino piano piano tutti gli elementi che hanno condotto Parlamento e Governo alla stretta dei conti. Quando ritengo di aver bene afferrato il contenuto così segreto come palese di ogni cosa, ricorro subito ai lumi di quello fra i grandi baccalari del mio Stato, il quale, o per tradizione o per attinenze, io reputi più verosimilmente inchinevole a suggerirmi il partito che già piace a me; sto lì ad ascoltare da star seduto gli argomenti divisati la notte da stare in piedi, e raccolgo il gran responso come se mi piovesse giù dalle stelle. Se non mi va bene alla prima, qua subito un altro e poi un altro ancora, finché Dio benedetto si degni di togliermi di pena, richiamandomi alla memoria quel tale appunto il quale discordi il meno possibile dall'idea mia. Ora avviene di quando in quando che questo utile personaggio non si trovi mai, nemmeno a tentare la prova tre volte, e allora capisco che sono stato sempre fuori di strada e che mi conviene di ripasseggiare una seconda notte, paragonando il nuovo stato del mio pensiero con quel di prima, e con quanto mi dissero i tre recalcitranti. Così, con un indirizzo metodico fatto chiaro dal triplice esperimento, brancico molto meno e colgo il mio segno, vale a dire il mio uomo più facilmente assai. Or bene, è appunto in queste ultime e solenni circostanze in cui, dopo tanta fatica e di capo e di gambe, mi conviene anche di fare buon viso alle lungherie di coloro che la pensano precisamente come me, è appunto allora, dico, che pagherei non so cosa per poter picchiare un par di volte sul ventre del mio interlocutore, dicendogli con gran prosopopea: Oh chi mi vedesse nell'anima in quei momenti, quando stringo forte i pugni in tasca per paura che non mi scappi fuori la mano, quello capirebbe senza dubbio che se gli antichi re imbestialivano per eccesso di autorità e di potenza, noi moderni invece pericoliamo per mancanza di esercizio, e perché, poco esercitati come siamo, ci capita pur qualche volta in cui dobbiamo fare troppo, e troppo presto. Ieri ho raccontato a mia moglie di questa piccola... non tanto piccola miseria mia. Ha risposto: — Mi dispiace assai, ma l'avviso ti sta un po' bene, pur troppo, perché tu, senza parere, badi sempre di tirare... verso il Mar Rosso. — Cioè a dire... fuor di metafora? — Che procuri, forse inavvertitamente, di fare sempre il gioco dei liberali, anche quando sei costretto a metterli sotto. E i pugni stretti in tasca, se tu ci guardi, te li troverai più facilmente quanto più di fatica avrai dovuto durare per conseguire il tuo scopo, ovvero quando avrai messo più nottate e più ostinazione prima di persuaderti che ci dovevi rinunziare. — Può essere. Ma io, di mio gusto, verso il Mar Nero non ci voglio andare. Abbastanza mi ci tirate qualche volta voi altri, e tu la prima perché mi sei più accanto. Io debbo moderare, comporre, temperare i partiti, ma non ho mica giurato di rinunziare alle mie simpatie. Ne ho. E se qualche volta i pugni stretti non basteranno più a farmi tenere le mani a casa, ci vorrà pazienza. Darò di volta anch'io come tanti altri, ma sarà stato per fin di bene. Mia moglie affisò sospirando l'uncinetto che aveva in mano e poi si mise a lavorare senza dir nulla. Che essa creda che io abbia a poter pazziare molto più facilmente di quel che credo io? O che sia stato un sospiro di commiserazione per ciò che io reputo il bene? Non saprei davvero, ma propendo da ambedue le parti. |
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