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Alberto Cantoni Un re umorista IntraText CT - Lettura del testo |
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OrazioUrrà! Son salvo. Pensai più volte di non punto narrare in che maniera, ma sarebbe stata una debolezza, e narro. Una sera in cui mi sentiva un po' rinfrancato da me, e per paura di non ritombolare ancora, andai con la faccia più franca del mondo a cercare io stesso di mia moglie, e le dissi a bruciapelo: — Come hai fatto? — A far che? — A capire tu presto quello che forse non avrei capito io in tre anni. — Ora appunto. È tanto che ci penso da me e non ci arrivo. — E perché non me lo hai chiesto prima? — Oh bella! Perché mi vergognava della mia tardità, che diventava più palese continuamente. Ma oramai son rassegnato e tu trionfa con garbo. Qui nessuno ci vede e non è punto necessario di umiliarmi del tutto. — Ti vedo io. E mi guardò ferma negli occhi alla sua maniera, ma con pochissimo frutto. Era tanto contento della piega assunta dal nostro discorso, che la mia contentezza dovette balenarmi anche in viso. Abbassai il lume per prudenza, e come per trar partito delle sue stesse parole, e quando, non che guardarci, appena ci potevamo vedere, me le sedetti accanto e dissi: — Non ci sono più scuse. E pigliala un po' meno lunga, ti prego. Vuoi che un uomo sia stato amato all'insaputa da una così bella donna e che non gli abbia dato a' nervi? — Amato! Amato! Ma ne sei sicuro? — L'hai detto tu stessa, quando io non me lo sognava neanche. — È vero che l'ho detto, ma è stato forse, più che per altro, per amore della verisimiglianza. Odo sì ragionare molto spesso degli erramenti, delle contraddizioni, delle assurdità dell'anima moderna, ma grazie a Dio mi ci metto dentro a fatica, e posso benissimo avere argomentato alla vecchia, cioè male, e con troppa naturalezza. — Fosse vero! — sclamai due volte, con un respirone che mi giunse in bocca di sotto terra. — Fosse vero! — Ti preme tanto? — Sicuro che mi preme. Bel gusto sarebbe stato che una creatura umana si fosse precipitata per amor mio! Tu dirai che mi voleva bucare da parte a parte. Lo so. Ma se non aveva altro modo di esprimersi con una certa verecondia? Mia moglie rimase un momento incerta se replicare o sorridere. Poi sorrise e disse: — Mesi sono — e quanti non saprei davvero, tanto poca importanza ho dato allora alla cosa — ho avuto in mano un bell'Orazio di Katie, e ci ho visto dentro alcune note in margine, che mi sono per così dire saltate agli occhi. Non mi ricordo davvero come sia stato, ma mi pare che quel volume fosse venuto in campo per un contrasto insorto fra lei e il nostro maggiore figliuolo sulla più corretta maniera di leggere un verso. Fra le note insignificanti viste così di volo, una era in margine al famosissimo Nihil est ab omni Diceva con due punti ammirativi «Fuorché Giunone, la più odiosa di tutte le Dee!». Ho pensato subito fra me e me: «Bella! Ce l'ha appunto con Giunone! Ma Giunone è stata veramente così beata da fare eccezione alla regola? Non mi pare.» E addio. Forse avrò anche avuto voglia di farmi spiegare quella nota, così per curiosità, ma certamente non l'ho più fatto, per dimenticanza. Alla fine dei conti siamo tutti padroni delle nostre antipatie. Se Katie, per il suo mestiere, doveva tenersi in esercizio di latino6, se prediligeva Orazio, e se, scorrendolo, poneva accanto le sue particolari impressioni, fossero pure sbagliate, chi ci poteva avere a vedere? Un professore di umanità, forse: non io sicuramente. Ma quando venne fuori l'attentato, quando passai più giorni a scrutare la intera vita di Katie per molti anni consecutivi, allora le suddette parole mi si affacciarono di nuovo alla memoria, e cercai di quell'Orazio per vederle ancora. Sai bene: una confidenza fatta ad un libro può essere un vero lampo di luce quando si tratta di certe persone. Non c'è bisogno di essere il guardasigilli per saperlo. E le rilessi con più attenzione, man mano che mi venivano sotto, e le trovai tutte così insignificanti come prima, finché arrivai a quella medesima che mi aveva colpito la prima volta. O mio stupore! Aveva avuto un bimbo. — Chi? — La nota. Non diceva più soltanto «Fuorché Giunone, la più odiosa di tutte le Dee!!». C'erano sotto queste quattro nuove parole «Pazienza ancora Giove altezzoso!». Capirai: dopo del rewolver non ho avuto bisogno di gran penetrazione per dare un nome a questi due beati, e beati da ogni parte. A me, l'odiosa Giunone, a te, l'altezzoso Giove. Se non che la invidia della mia presunta beatitudine aveva dunque non solo superato di molto, ma anche preceduto, e sa Dio da quanto tempo, il pazientato dispetto della tua alterezza! Eppure il colpo fu vibrato a te. Come mettere d'accordo, come spianare tutti questi ingredienti, così contrari, senza ricorrere alla logica, per abusarne, cioè senza accogliere, come semplice presunzione, accanto al molto male voluto a me, anche un po' di bene voluto prima a te? Certo che il bene del quale possono disporre quelle donne è un bene a parte, e si risolve sempre in uno smisurato affetto per sé medesime. Ti voleva per sé, non per me, ecco tutto. Tu non te ne sei accorto ed essa ha detto «Almeno che non l'abbia lei!». E sparò. Ti pare proprio di essere stato amato? O non ti pare piuttosto che noi tutti, nel giudicare di altrui, si usi mettere un po' troppo di noi medesimi nel capo loro? Io, nei panni di Katie, non sarei stata capace di fare come essa ha fatto, e però, tanto per arrivare a questa... capacità, ho dovuto ricostruire a mio modo la truce storiella, lumeggiandola, almeno nei suoi principii, di un sentimento del quale sentiva in core la continua verisimiglianza... per conto mio. Mi sono spiegata bene? — A sazietà. — E che ne dici? — Dico quello che devi aver detto tu stessa prima di me: tu che hai sempre trattato così benignamente quella disgraziata. Dico che noi regnanti siamo per certi rispetti molto più infelici degli altri uomini, perché più esposti di tutti a misurare fin dove arrivi la ingratitudine. E dico più forte ancora che hai fatto assai bene ad aprirmi gli occhi ed a mettermi in guardia contro le belle donne, e sieno pure di corte. Appena che una mi faccia o gli occhi teneri o gli occhi duri, so cosa devo fare. Non voglio più occhielli nelle reni. Sta attenta anche tu e mettimi sull'avviso, prima che mi capiti la seconda. Sai bene a chi mirano... quando tirano. Ci separammo ridendo, ma pure, che volete? Mi è un po' seccato veder dileguare così tra il fosco e il chiaro un romanzetto, già reso innocuo, e sul quale aveva fatto un certo assegnamento, forse per le brutte giornate che mi era già costato. Del resto non è piacevole salvar la pelle a fatica e rasentare il ridicolo... almeno davanti a sè stesso, per poi dovere anche metter la cosa in celia pur di rimanere in contegno... almeno davanti alla moglie. O se pure è piacevole, basta una volta sola. Ho principiato questo paragrafo con un «Urrà» per dire che prima, tutto sommato, andava assai peggio, e per unirmi alle grida del mio popolo, che sta plaudendo al mio natalizio, dalla piazza di corte. Se non che l'uomo è fatto di contrapposti, ed anche ora... bel gusto! Prima sì, e poi no, e poi sì e no insieme. Via, è una mortificazione. Ma ho il rimedio pronto: mi vorrò molto bene da me, senza punto adoperarmi come un bastone per dare addosso alla regina, a uso di Katie, e senza punto osservare molto diligentemente se quelle migliaia di persone fitte fitte, che mi urlano sotto le finestre, sieno in buona fede, o no. Oh se l'egoismo avesse corpo solido e figura visibile, che gran montagna non si rizzerebbe ora qui in piazza, con tanta gente! Mi chiamano più forte per applaudirmi di fronte. Vado.
Sono andato e ho detto inchinandomi e sorridendo qua e là: — Ah sì? Ah no? Ah sì e no insieme? Se sapeste come càpitano belle al vostro re! Forte, forte, più forte ancora. Oramai è assodato che voi plaudite voi stessi, plaudendo me. E per voi non c'è polmoni che bastino. Ma se fossero fischi, non ci sarebbe più bisogno di ricorrere alla logica per ispiegarli meno male. Sarebbero tutti miei, senza contrasto. Parola d'onore che se qualcuno avesse fischiato davvero, ci avrei avuto gusto in quel momento. Invece il popolo vedendosi inchinato e sorriso più a lungo del solito, dava dentro a furore nei suoi «Urrà». — Plaudite, cives, — seguitai a dire come prima a mezza voce, e buon per me che nessuno mi udiva, — ego me plaudo, ma per altre ragioni delle vostre, perché sono «ab omni parte beatum». Eppure mi cambierei volentieri in quei due giovinetti, che vedete là dietro di voi, e che profittano dei nostri comuni applausi a noi medesimi per stringersi la mano furtivamente e tirar via uno di qua e l'altra di là, guardandosi dietro le mille volte. Quelli, quelli plaudiamo, e non me, e non voi. Sono forse le sole persone qui in piazza che non portino il loro contribuito alla suddetta grandissima montagna di poc'anzi. Basta, basta e andate a casa. O arriva la regina colla sua logica a sgretolare dalle fondamenta il romoroso obelisco del vostro entusiasmo... «Prima sì, e poi no, e poi sì e no insieme». È affatto inutile. Di voi lo sapeva prima, così in barlume, ma di Katie no. Ed è per questo appunto che mi ha dato più noia. Urrà. |
6 Un giovinetto, che diventerà uno dei miei più potenti colleghi (speriamo tardi, per suo Padre), non avrà probabilmente gran bisogno che il suo lettore prenda esempio da Katie. Egli mi diceva un giorno essere suo fermo intendimento, appena assunto al trono, di muover guerra agli studi classici, ed anche nelle Scuole. Lo avrei preso volentieri pel ganascino, se non fossi stato trattenuto dal rispetto del Nonno, che era lì accanto. |
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