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Alberto Cantoni
Un re umorista

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  • «Signor, vincemmo»
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«Signor, vincemmo»

Sono qui solo. È la seconda nottata dal mio ritorno dopo la guerra. E scrivo.

Almeno Otello aveva un doge al quale dire: «Signor, vincemmo». Era presto detto. Io invece non ho che un foglio di carta e una malattia insanabile: quella di mettere del nero sul bianco. Vuol andar in luogo8, ho paura, avanti che vi dia il buon esempio e mi ci addormenti sopra. Rassegnatevi dunque a vedermela pigliare in modo assai meno sbrigativo del Moro, e poniamoci a guardare gli uomini e le cose da tutt'altra parte.

Niente mi dà più noia della moda, oggi prevalente, di mischiare la troppa tenerezza al pessimismo, ed anche alla semplice ironia, e voglio sperare di avere ovviato il più che ho potuto a questa vera stortura d'indirizzo morale, ma adesso la tentazione è grande, e voi mi decreterete, spero, un po' di corona civica, se saprò rasentare il pericolo, senza piombarci dentro con armi e bagaglio.

Ragioniamo. Come avete visto, io mi sono preparato alla guerra con molta leggerezza, ma quando venne il momento di rimandare i passaporti al Residente dei miei vicini, ne ho avuto un vero schianto al cuore, quasiché dovessi bere, bere io medesimo e in un attimo solo, tutte le lagrime delle vedove e degli orfani di qua e di là. Son partito pel campo con una sola speranza in core: quella di procurare, soffrendo io, un po' di pace al regno del mio figliuolo. I miei popolani mi correvano incontro a braccia aperte, cercandomi negli occhi la fede nella vittoria, ed io quasi non ne vedeva le faccie, non ne sentiva gli urli, come se, con tanto strepito intorno, andassi già cavalcando in mezzo ai morti ed ai vinti. La mia povera anima era tutta volta a guardare sé medesima ed a chiedersi continuamente, con ansia indicibile, se avesse fatto davvero tutto quanto era da lei per evitare il sangue e le stragi. Che mi valeva allora di ricordare che noi tutti, ed io pel primo, non eravamo che gli strumenti consapevoli del Fato, o meglio le vittime sue consapevolissime? Nulla. Il dolore ha un bel sofisticare: è sempre dolore.

Vennero a scuotermi da quel misero e torpido stato d'animo i primissimi fatti d'armi. Riuscirono tanto bene che più volte, nell'affanno di correre, di deviare, di stenderci da tutti i lati per trarne partito, stetti quasi per invidiare i nemici, i quali non avevano almeno che un pensiero solo: fuggire, e una sola linea a percorrere: la linea retta. Essi erano già tornati a casa loro: potevano raccogliersi, potevano munirsi. E si munirono così bene che la prima giornata campale somigliò per un pezzo ad una di quelle tempeste di montagna, durante le quali non si sa davvero da che parte tiri più vento, e dove gli abeti o si piegano di qua e di là, ovvero durano immobili perché sono investiti da tutti i lati.

Se non che le mie molte nottate a ciel sereno e i permanenti andirivieni dei primi sbaragli mi avevano già ridotto come riducono tutti, anche i coscritti: Marte cioè mi aveva già invaso dalla testa ai piedi ed io mi era già sorpreso più volte a pensare ai casi miei, senza mai turbare la chiara visione dell'intento, fosse prossimo fosse lontano, con la più piccola mistura di angosciosa contraddizione. Quando poi il gran dado fu tratto e mi vidi in mezzo a quel po' po' di cimento, durando per delle ore a non sapere se fossi in piedi o a terra, oh allora vi dico in verità che avrei voluto perdere e morire mille volte sul posto, anziché andarmene senza aver pagato di esempio, di persona, di sangue.

Mi ritrovai in petto, con mio grandissimo stupore, assai assai più voce che non ritenessi di avere avanti; le idee più ardite e più precise mi scattarono come dardi velocissimi dal capo, e una febbre nuova, che tenea dell'angelico, che tenea del bestiale, mi spinse più volte nel folto della mischia, pur di ferire, pur di essere ferito. Torno incolume, per dir la verità, ma nonostante una di queste pazzie, invano contrastatami dal mio capo di Stato maggiore, fu quella appunto che decise della gran giornata: la prima, la più notevole, la mamma per così dire di tutte le altre. Se mi aveste visto in quei momenti, con la spada puntata verso Dio, per salutarlo, verso Dio che mi pareva allora tanto vicino e tanto imminente per quanto in alto fosse, oh vi accerto che non lo avreste mica riconosciuto il re di Eboli, di Katie e della... nottambula in groppa.

L'ho riveduta. Ho sentito una volta, accanto alla mia tenda, nel brulichio del campo, la voce sgangherata di una donna, che riconobbi subito per la sua. Guardai fuori e la vidi tenere a dovere, a furia di scappellotti, un manipolo di fantaccini affollati davanti al suo carro di vivandiera. Mandai a chiedere chi fosse e mi risposero essere la moglie di un sergente, una donna... così così, ma pure piena d'animo, piena di coraggio, e che aveva già fatto bene le fucilate più di una volta. Mi dispiacque veramente che uno dei miei prodi si fosse imparentato così male, ma ho avuto piacere per lei, poveraccia! Che putiferio se mi avesse riconosciuto!!

Torniamo in riga.

Sono arrivato ieri colla pace in pugno e colla gran gioia di sentirmi, almeno per ora, più re di mia moglie. E non è a dire quanto più ne l'ami, per carissima che mi fosse di già. Anch'essa ne è contenta, ma non di certo per il piacere di venire in seconda riga, oh no davvero, quanto per il migliore esempio che ne viene al primogenito nostro, di dove appunto è più naturale che gli venga. Che se poi mi chiedeste se io mi creda veramente migliorato, ovvero se mi aspetti, reputandomi più giù che mai, di tornare ancora tutt'al più il medesimo uomo di prima, vi risponderei, in perfetta buona fede, che la vostra domanda è intricata e duplice, se non pel tempo almeno per la nozione, e che però non c'è barba d'uomo che la possa sbrogliare d'un colpo solo. Seguitiamo dunque a ragionare, dal mio punto di vista d'oggi, e lode a Dio se vorrà farmi il piacere di durare un pezzo.

Chi è di noi tutti che non abbia, almeno una volta in vita sua, mormorato, predicato, gesticolato contro la guerra? I migliori argomenti che ci vengono a mano, nell'orazione, sono tutti ottimi, ma hanno tutti il difetto di prendere l'uomo senza emuli, senza nemici, senza malevoglienti, vale a dire l'uomo come dovrebbe essere e non come è. Li ho a dire? Via, li sanno anche i muricciuoli; non preme. Preme piuttosto di guardarci intorno e di vedere che i moralisti, i sacerdoti, i filosofi di tutto il mondo non fecero altro, per secoli di secoli, che predicare la pace, sotto tutte le forme. L'hanno ottenuta? Mai. Chi non ha nemici in piazza, li ha in casa, chi non ne ha fuor delle frontiere, li ha dentro. E non sono mica fatti solamente per nuocere, i nemici, giovano anche, e spesso, per tenere alto e vigile e costante il gran pensiero dell'onore, così di sé come della patria; per farci escire del movente proprio, basso, egoista, e farcene abbracciare qualche altro, più generoso e più umano. Cosa vuol dire che se un uomo difende accanitamente la sua casa ed i suoi averi, tutti dicono al più che ha fatto assai bene, e che se un altro invece si dimostra prode sul campo, tutti si accordano nel decretargli ben volentieri e lauri ed onori grandissimi? Furono pure coraggiosi entrambi! Vuol dire che tutti sentono, anche se non lo dicono, la gran differenza che passa fra il coraggioso che non esce dal movente suo proprio, e chi se ne sferra e va avanti, chi fa per tutti gli altri e non fa per sè solo, chi può dire almeno una volta in vita sua:

—  Badate che vi ho amato, e amatemi anche voi, in vostra buon'ora!

Si possono ottenere medesimamente, e con altri mezzi, questi buoni e rapidi effetti della buona guerra? Lo lascio dire a voi, anche se partiste dal principio che nessuna guerra possa mai esser buona; anche se non aveste mai osservato quanti uomini vi sono che diventano sempre migliori in tempo di pace, quanto più aria hanno potuto dare ai loro istinti bellicosi in guerra; anche se piantaste la massima, ben falsa, che il mestiere dell'armi non conduca mai a qualche particolare virtù, ben sua.

Sì, lo so, c'è la filantropia su larga scala, c'è il cosmopolitismo, c'è l'umanitarismo, c'è la repubblica mondiale, c'è la mutualità universale. Tutta roba troppo grande, per la piccolezza nostra, credetelo a me, che sono stato per crederci qualche volta, e che ne sono appena ritornato col capo in cimbali e col core stretto ed angusto di chi fa finta di pensare a tutti, per non pensare effettivamente a nessuno. Come è possibile che gli uomini, diversi per razza e viventi sotto climi diversi, possano lasciarsi indurre a spasimare, se sono gialli, per noi altri bianchi, ovvero, se gelano sotto il polo, per quelli che bruciano sotto l'equatore? Fate un alveare grande come il Colosseo e poi picchiate, picchiate forte: vedremo quante api sciameranno all'invito vostro! Andiamo andiamo, dite piuttosto, che il forte, per mandare ad effetto la vostra politica universale, dovrebbe spazzare via il debole, come le Pelli Rosse in America, e allora soltanto si potrà dire che siete in buona fede. Ma così no.

La pace a ogni costo, la pace per forza, la pace tirata coi denti (chiamatela come vi pare) ha sempre avuto i suoi lati pessimi e se n'era già avvisto un brav'uomo di tre secoli sono. Diceva per più piccole cagioni che non sieno ora le nostre:

«La pace è desiderabile e santa quando assicura dai sospetti, quando non aumenta il pericolo, quando induce gli uomini a potersi riposare ed alleggerirsi delle spese; ma quando partorisce gli effetti contrari, è, sotto nome insidioso di pace, perniciosa guerra, è, sotto nome di medicina salutare, pestifero veleno».

Quanto di questo veleno non s'è bevuto nel nostro secolo! E quanti giovani non sono andati a male per non avere avuto frequente occasione di accalorarsi, in modo ben determinato e bene urgente, per la terra che li aveva nudriti!

Basta. Non ho detto il pro bono pacis e nemmeno voglio parlar contro eccessivamente. Già il caso è eguale e non è chi non sappia andare avanti da sé.

Io intanto, mercé della guerra, ho grande speranza di avere finalmente ucciso l'umorista dentro di me: leggete la più sfortunata qualità di uomo che possa premere sopra la terra, l'uomo che ride per piangere, che piange per ridere, che non sa mai nemmeno lui se sia buono o cattivo, liberale o mummia, coraggioso o pigro. Ha tanto di tutto e fuor di posto dentro di sé, che quando vuole tirar fuori una cosa, gliene esce un'altra; quando vuole tacere, parla; quando vuol parlare tace. È colpa dei tempi, o sua? Chi lo sa! Io no certo, perché, essendo uomo9 ed in causa, mi troverei troppo inclinato, come tutti gli altri, ad incolpare i tempi.

Questa mattina, mentre i primi battaglioni già rientrati meco, andavano in Piazza d'Armi, s'è visto un povero cavalluccio, già forse mezzo accoppato dalle botte, impennarsi, tirar calci, sbizzarrire, non volere più assolutamente andare avanti. Tutti i soldati a guardarlo in cagnesco e a dire:

—  Che ha, che vuole quel maledetto ronzino? Far del male a qualcuno?

E tutti a dar mano dietro il carretto, per cacciarlo avanti sgarbatamente. Se fosse stato un bello e forte puledro, già restio, che avesse fatto gli identici tiri, od anche peggio, tutti si sarebbero schierati a guardarlo con ammirazione, anche a costo di andarci sotto, e più avesse durato a fare il birbante, più ci avrebbero avuto gusto.

Che vuol dire? Vuol dire che la forza, la gioventù e la bellezza sono già bastantemente padrone del mondo; bisogna dunque pensare ai deboli, ai vecchi ed ai brutti. Stanno peggio, dunque sono sulla strada di peggiorare, d'incattivire ancora.

Non ci volete pensar voi? Ci penserò io. Intanto, per avere una norma, mi metto giù il mio particolare catechismo:

Onora Dio nelle tue opere. Le sue lo onorano abbastanza di per sé sole.

Va adagio in tutto, e più che mai nel fare il bene. Lo scopo stragrande fa ragione della lentezza dei mezzi.

Tienti cari i tuoi nemici, sieno pubblici, sieno privati. Senza di essi tu non saresti la metà di te.

Non indietreggiare un minuto secondo a muover guerra agli uomini di mala volontà, e poco male se per uno che ti si farà palese, te ne resteranno celati due. Dalli a quell'uno!

Non sofisticare né sulle tue né sulle altrui intenzioni, appena che gli effetti sieno buoni od anche semplicemente mediocri. Da un piccolissimo vantaggio a nulla c'è di mezzo maggiore distanza che di qui al mondo della luna.

Non dare ansa ai tuoi difetti coll'occupartene soverchiamente e guarda gli altrui piuttosto. C'è più varietà e per lo meno fin che li guardi è probabile che tu non ci caschi. Basta che tu non scelga per l'appunto quelli che sai benissimo di non avere.

E soprattutto non fare a te stesso ciò che tu non vorresti fosse fatto ad altri, cioè non ti avvilire, non ti calunniare, non ti diminuire mai, quando ti accada di ritrovarti in fallo. Altrettante men basse cose ti verranno poi fatte, anche involontariamente.




8 Così nel testo, ma probabilmente "lungo". [Nota per l'edizione elettronica Manuzio]



9 Quando lessi la prima volta queste memorie, e toccai quassù, mi venne il sospetto che il diplomatico del Prologo fosse lo stesso Re in persona, e certamente che quel traversare l'Europa come un viaggiatore qualunque, o forse appena col suo fido famigliare in un'altra carrozza, non repugnava niente affatto dalle sue propensioni o dalle sue abitudini. Io ho promesso di non fare nulla per sapere chi fosse il diplomatico, ed ho tenuto, ma se, soltanto a leggere, lo avessi riconosciuto bene da me, chi me ne potrebbe dar colpa? Non certamente i lettori, che ne sanno oramai quanto ne sapeva io, e che, non ritrovandosi vincolati da nessuno scrupolo, possono più liberamente giudicare del mio sospetto.

In ogni modo: cioè fosse quello il regale scrittore o non fosse, rimane egualmente sempre più assodato, come più si legge, che queste carte sono state davvero tenute al chiuso per più anni dopo finite, e avanti di darmele.

A.C.






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