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Alberto Cantoni
Un re umorista

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  • Testamento
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Testamento

 

Non credo che ci sieno esempi di persone che abbiano testato a favore di tutti gli uomini, e comincio io.

Vi lascio dunque a tutti, se la volete, la mia ferma persuasione che la umanità non si sia mai trovata come ora a così mali passi, perché si vede assai più che in altri tempi quel che le manca, e non s'è mai visto così poco dove abbia a riuscire. Almeno la prima mattina dell'anno 1000 bastava che uno si svegliasse vivo per gongolare di giocondità. Ma adesso!

I soliti cataplasmi locali, vale a dire il ferro ed il fuoco, sono diventati assai più temibili per la estensione sempre maggiore che debbono prendere di volta in volta, e niente affida che questa estensione, sempre maggiore, ci possa almeno procurare via via delle tregue proporzionatamente più sincere e feconde. Né la dolorosa esperienza che mi fa scartare per prima la guerra, mi permette di confidare assai nelle altre bravure nostre, e men che meno nelle mie particolari, per quante ne abbia provate.

Ma se gli uomini, considerati unicamente come uomini, e per grande che sia la buona volontà di certuni di essi, hanno poco in mano, ora come nel 1000, per mutare le proprie sorti, non è però detto che essi non possano, in altra e ben maggiore qualità, arrivare a qualche cosa di meglio, e chi sa mai che Domeneddio, visto in buon'ora il momento giusto, non ne pigli o pochi o molti di preferiti, e non ne faccia o pochi o molti strumenti suoi. Ci vuole altrettanta faccia tosta a dire di sì come a dire di no. Io dunque non dico né sì né no. Ma dico che è dal Signor Padrone che bisogna andare, è là soltanto che bisogna chiedere un po' di misericordia per i nostri figli, raccomandandoli alla sua carità perché escano di pena senza troppo schianto. I miracoli non usano più e non si domandano nemmeno; basta una buona medicina, ma forte, ma breve, e non può venire da nessun'altra parte.

Intanto toccherebbe a noi di non perdere il tempo a contrastare sui modi e sulle forme della nostra fede. Un selvaggio che si rappresenti la divinità con aspetti puerili vale altrettanto del filosofo che la vagheggia vestita delle sue forme più alte. Basta che sieno sinceri tutti due. Se Domeneddio non ci vorrà dar retta, non sarà certamente perché lo pregheremo in troppe lingue, ovvero perché certuni lo accosteranno a piedi nudi ed altri a capo scoperto. La differenza è tutta lì, o è di poco maggiore, ma il male è dovunque ed è assai più grande. Qua dunque tutti con me da tutti i tempii della terra, qua a raccomandarci tutti insieme alla benigna intermissione di Socrate, del Redentore, del Profeta; qua a chiedere aiuto, con simpatia di colleghi, alla grande anima del povero Giobbe. Nessun uomo leggendario ha mai rappresentato così bene le nostre fatue grandezze, i nostri subiti rovesci. Povero Giobbe! Povera umanità!

Ma più poveri di tutti coloro i quali si stillano continuamente il cervello per determinare, ciascuno alla sua maniera, le origini, i procedimenti e gli effetti del male in terra, senza tentare di reciderlo, almeno dentro di essi, e senza porre mente che se non ci fosse stato il male, via, siamo giusti, nemmeno si avrebbe mai saputo che cosa fosse il bene. Come siamo ridicoli e lagrimevoli insieme!

Che sia questa la medicina? Ridere volentieri e piangere volentieri come Dio manda?

No, non basta. Almeno auguriamoci di più. Non ci costa nulla.

 




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