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Francesco Domenico Guerrazzi Beatrice Cènci IntraText CT - Lettura del testo |
CAPITOLO IX.
IL SUOCERO.
............il maligno
Che in lei strada sì larga aprir si vede,
Tacito in sen le serpe, ed al governo
Dei suoi pensieri lusingando siede:
E qui più sempre l'ira, e l'odio interno
Inacerbisce......
- Io mi vo' chiarire da me stessa, esclamò Luisa con gesto risoluto. Poi si acconciava alla meglio le vesti dimesse: trasse fuori della cassa una mantiglia di seta nera per avvilupparvisi dentro; e, raccomandati i fanciulli alla unica fantesca che teneva in casa, ammonendola più e più volte che non li perdesse di vista, se ne andò difilato al palazzo del suocero.
Giunta nell'anticamera notò come gli staffieri la sbirciassero sott'occhio, reputandola femmina di piccolo affare; e forse già stavano per straziarla con motteggi plebei, quando la gentildonna troncò a mezzo cotesti sguardi, e favellii villani; imperciocchè andando loro incontro, con signorile atteggiamento comandasse:
- Avvertite il Conte don Francesco, che donna Luisa Cènci sua nuora si è recata al suo palazzo per visitarlo... e che adesso sta aspettando in anticamera...
Ora sì che parve ai servi essere usciti dalla padella e saltati su la brace. Non sapevano se dovessero annunziarla, o no: l'un partito e l'altro pieno di pericolo. Tanto era arabico il carattere del padrone, che, se non la indovinavano, il meno che potesse andarne loro stava nel perdere il pane.
Il pane! Ago magnetico, che conduce più bestialmente delle stesse bestie l'armento dei figli di Adamo.
Il pane! Nutrimento quotidiano, che gli uomini o più infelici o più bassi dei bruti, troppo spesso non sanno procacciarsi senza delitto, o senza viltà.
Il pane! Sasso, che la necessità lega al collo ad ogni nobile sentimento per affogarlo nello inferno del male. - Certo fu grande la sapienza, che insinuò nella preghiera domenicale la domanda a Dio di somministrarci il nostro pane quotidiano; ma poichè la troviamo sovente inesaudita, gioverebbe grandemente aggiungervi queste altre parole: e se non puoi, o non vuoi darmi pane, dammi almeno la costanza per morire di fame senza viltà.
Intanto l'uomo non vuol morire di fame, e stende la viltà sul pane come burro; nè pare che gli turbi lo appetito, o gli guasti la digestione.
I servi più vecchi, ormai per tre quarti diventati carne di volpe, si restrinsero insieme per avvisare il da farsi, e fu il consiglio corto; imperciocchè uno di loro, ch'era stato cantiniere al Convento del Gesù in Roma, ammiccando degli occhi certo giovane staffiere preso da pochi giorni agli stipendii del Conte, di natura vanitoso anzichè no, profferisse la sentenza: «loda il folle, e fallo correre». A questo fine gli dissero:
- Ciriaco... da bello... tocca a voi: - vi lasciamo il campo di affiatarvi col padrone; - e poi voi siete giovane, e garbato - noi siamo vecchi, e dei modi che costumano oggi con le Signore non sappiamo niente... sicchè la presentazione della gentildonna vi spetta proprio de jure.
I vecchi servi tesero la insidia per malignanza, il giovane v'incappò dentro per vanità; - forse col concetto segreto di supplantarli un giorno nel favore del padrone. Tristi tutti, come per ordinario avviene della famiglia dei servi guidata sempre dallo iniquo istinto del pane.
- Eccellenza, inchinata la persona come il primo quarto di luna, parlò Ciriaco pervenuto al cospetto del Conte; - sta qui fuori certa gentildonna, la quale si annunzia per nuora della Eccellenza vostra, e desidera udienza.
- Chi, dite voi? -
Gridò il Conte dando un balzo sopra la sedia. Egli procedeva verso i servi con sembianze sempre severe: oggi poi comparivano paurose; molto più che teneva il volto avviluppato dentro fasce di tela, e nella guancia tumefatta sentisse acerbissimo il dolore della scottatura.
- La nuora di vostra Eccellenza...
Il Conte squadrava il servo con occhi così truci, ch'egli sentì venirsi addosso il freddo della quartana: pure, sostenuto dalla virtù del pane, e vie più curvandosi verso terra, soggiungeva Ciriaco:
- Quantunque non mi sia sfuggito d'occhio che la sua gente, per cento motivi uno più plausibile dell'altro, non va a genio di vostra Eccellenza...
- Voi avete osservato questo?
- Questo ed altro, perchè egli è proprio il mio gusto non lasciare nulla inosservato nelle voglie dei miei padroni per antivenire i desiderii loro; ciò nonostante mi parve villania rimandarla, attesa la riverenza della clarissima casa di cui la gentildonna afferma portare lo illustrissimo nome.
Don Francesco sorrise un tal suo riso di sdegno considerando come quel gaglioffo, a prova di lusinghe, s'ingegnasse insinuarglisi nel cuore; e poichè quegli ebbe posto fine al parlare, egli tenendogli gli occhi fitti nel volto così prese a dire:
- E qual cosa vi ha dato motivo di supporre che i parenti miei, ed in ispecial modo donna Luisa mia signora nuora, potessero riuscirmi molesti? Voi spiate gli andamenti dei vostri padroni, ed è gran male; voi interpretate alla rovescia le loro intenzioni, e questo è peggio. Andate dal mio maestro di casa; fatevi pagare l'annata intera, e spogliate la mia livrea; - stasera non avete a dormire in palazzo52.
Il servo rimase come colui, che cercando sotto un albero rifugio dalla pioggia, sente cascarsi sul capo un ramo rotto dal fulmine; volle prostrarsi, s'ingegnò parlare, e così con voce e con cenni domandare mercede; se non che il Conte, mal sofferendo che il servo si trattenesse dopo il suo comando, con suono al quale era impossibile resistere aggiunse:
- Uscite...
- Ah! clarissima ed illustrissima donna Luisa, - diceva il servo con parole ardenti - vede... per aver fatto entrare vostra signoria tocca adesso uscire a me. Lascio considerare a lei se sia giusta. Io mi trovo proprio per le strade: - non dirò per colpa sua, Dio me ne guardi!; ma finalmente per renderle servizio mi capita addosso questo male: - veda un po' di ripararlo: mi raccomando a lei, gliene va di coscienza...
L'anima del servo, mezzo supplicando e mezzo rinfacciando, stretta dalla agonia del pane, si attaccava a donna Luisa (disprezzata poco anzi) come ultima àncora di speranza.
Luisa per vero dire sentì stringersi al cuore pel duro caso, e più per quel meschino; e stette in forse se dovesse andare oltre, o ritornarsene a casa; come quella a cui pareva avere avuto schiarimento abbastanza, ed essercene di avanzo: tuttavolta prevalse in lei il consiglio peggiore, ed entrò.
I vecchi servi furono attorno al compagno disgraziato, e sottilmente deridendolo gli medicavano la ferita con l'olio di vetriolo.
Luisa, con atto nè umile nè superbo, si fece accosto al banco dove il suocero l'aspettava in piedi; e poichè, ella per onorarlo come padre, voleva prostrarglisi davanti, egli non lo permise; ma rilevandola prontamente, con voce benigna favellò:
- No, figlia mia, io non ho le orecchie nei piedi. Non sia per rimprovero; ma la creatura umana non deve prostrarsi ad altri, che a Dio.
- Signor padre, poichè voi così benigno mi concedete il diritto di adoperare questo nome, permettete che innanzi tratto vi domandi perdono di non essermi mai presentata al vostro cospetto. Mi avevano assicurato che voi mi avreste bandita da casa vostra... questa onta, voi intendete, è insopportabile per una gentildonna romana...
- Certo, farvi moglie del mio figliuolo primogenito sul quale aveva riposto ogni mia tenerezza come ogni mio orgoglio, - senza pure impetrare il mio consenso, - anzi senza domandarmi la benedizione paterna: - ma che parlo di benedizione e di consenso? senza pur farmene un semplice motto, - parmi tale oblìo di ogni autorità, - tale un disprezzo di qualunque reverenza, che il cuore di un padre non può astenersi di gemerne profondamente. In quanto poi al cacciarvi dalla mia presenza, perdonate, - ma la mia nuora, come colei che sente essere gentildonna romana, dovrebbe sapere, che un barone romano non può mai mancare di cortesia verso una donna, anche quando potesse riuscirgli per avventura molesta...
E siccome Luisa, punta dalla sottile allusione al suo umile lignaggio, stava per rispondere con vivezza, l'astuto vecchio, che bene se ne accorse dal colore vermiglio che le si diffuse su per le guance, si affrettava soggiungere con voce soavissima:
- Molto più che avendo voi sortito onesti natali, e predicandovi la fama valorosa donna, io non avrei trovato ragionevole causa per oppormi a queste nozze. Neppure avrebbero fatto ostacolo le mediocri sostanze della vostra famiglia sia perchè la mia casa non ne abbisogni, sia perchè la fortuna faccia delle ricchezze come il mare delle acque, che ne cuopre e ne discuopre i lidi senza posa; e a me talentò sempre piuttosto virtù senza danaro, che dovizie con superbia, con malignità, o con istolidezza...
- Don Francesco, duolmi per iscolpare me dovere appuntare altrui; ma importa che sappiate come Giacomo, vinto dalla sua passione, m'ingannasse affermandomi, sotto parola di gentiluomo onorato, voi sciente e consenziente le nostre nozze: solo per certi particolari riguardi desiderare, che i nostri sponsali rimanessero per alcun tempo celati...
- Ed ecco come - esclamò il Conte percuotendo di forza con un piede il pavimento - il disprezzo del primo dovere di gentiluomo, ch'è la lealtà, conduce sempre in miserabili rovine. Voi pertanto foste ingannata; io tradito. Forse potrei riprendervi di soverchia facilità a credere; - forse potrei chiamare incauti i vostri parenti, e voi; - ma, in qualunque caso, qual colpa mai avrebbero i vostri figliuoli?
- Ed è appunto per questi, che pure sono sangue vostro, e devono continuare la vostra discendenza...
- E ne avete?...
- Quattro, e leggiadrissimi tutti - angioli d'innocenza e di beltà - rispose vivacemente Luisa mentre le pupille le sfolgoravano traverso due grosse lacrime, figlie dell'orgoglio materno...
- Com'è feconda la razza delle vipere! - pensò nel suo segreto il Conte Cènci; - poi con labbra sorridenti riprese:
- Padre mio le vostre parole mi ridonano gli spiriti. Ascoltatemi dunque, perocchè io sia venuta appunto per favellarvi dei vostri nepoti. Voi vedete in me una madre desolata, una vera madre del Pianto. Di me non parlo. Non badate a questo abbigliamento vilissimo, per cui divenni favola poco anzi dei vostri medesimi staffieri.....ma sappiate che i figliuoli miei, i nepoti vostri, non hanno vesti che bastino a cuoprire la loro nudità; - mancano spesso di pane per saziare la fame. -
E le lacrime d'orgoglio, che versava poco anzi liete e rare, si convertirono nella povera madre in pianto dirotto, e pieno di dolore.
- Come può essere questo? Certo io non vorrò negare di essermi mostrato sempre a Giacomo piuttosto scarso, che no; però che la esperienza mi avesse ammaestrato, com'egli crescesse nei costumi poco lodevoli in proporzione della facoltà ch'ei possedeva per alimentarli. La botte delle Danaidi fu favola, ma la prodigalità di mio figlio è vizio pur troppo irreparabile. A me repugnò sempre contribuire a renderlo peggiore di quello ch'ei sia. Mi ha ognora trattenuto dal mostrarmi largo soverchiamente con lui una sorte di rimorso, e il timore di doverne rendere un giorno conto a Dio. Se i nostri antenati non avessero fondato i fidecommissi, ed io non attendessi a imitarli in questa lodevolissima pratica, ma sapete mia cara Signora, e spettabile nuora mia, che io andrei pensoso - ma pensoso davvero intorno alla sorte dei vostri figli, e miei nepoti? - Nonostante ciò, mi sembra che con duemila ducati annui si possa provvedere alle necessità, ed anche alle comodità della vostra famiglia.
- Ma Giacomo afferma che voi gliela trattenete, e che gli gettate pochi scudi, così di tanto in tanto, piuttosto in segno di oltraggio, che in sollievo della sua miseria...
- Egli lo afferma? E forse anche lo giura con la stessa parola di gentiluomo onorato con la quale vi accertava me sciente, e consenziente del vostro matrimonio? - Io non vi giuro, perchè mi è stato insegnato che il parlare del Cristiano ha da essere: sì, sì; no, no...Ma ecco, chiaritevi di per voi stessa sopra i libri di casa (e preso un libro di ricordi lo aperse, glielo pose sott'occhio segnandole col dito diverse partite, che la nuora si astenne di leggere) se gli sia stata pagata, o no, la pensione pattuita. Poichè questo sciagurato riduce il suo genitore alla umiliazione di giustificarsi, le pietre stesse insorgeranno per fare testimonianza contro di lui. - Calunnia - e sempre calunnia ingiustissima; eppure non è la più trista delle colpe, che deva rimproverare a Giacomo il mio cuore paterno! Ma i miei dolori devono rimanere sepolti qua dentro. Ahimè! Francesco Cènci, quanto sei misero padre, ed infelice vecchio...Ahimè! - E si cuopriva con ambedue le mani la faccia.
Luisa alla venerabile sembianza, allo accento di uno affanno così profondo si sentiva commossa. Il perverso, sempre con voce di lamento, proseguiva dicendo:
- Potessi almeno trovare un cuore col quale sfogare la immensa amarezza dell'anima mia!...
- Padre mio! - Signor Conte...ed io pure sono madre e sposa infelicissima, - sfogatevi...noi piangeremo segretamente insieme...
- Egregia donna! Mia buona figliuola! No - no - la religione della moglie consiste nello stare attaccata come osso a osso all'uomo, che scelse a suo compagno nella vita: - però io devo astenermi dalle parole, e forse ne ho favellate troppe, chè potrebbero farvelo amare meno... O Giacomo! quanta notte di angoscia tu versi sopra gli estremi anni del tuo povero padre! Ecco mi è ignota la faccia dei miei nepoti - gentile orgoglio degli avi. - Noi potremmo vivere tutti sotto il medesimo tetto, uniti nella benedizione di Dio! Questo palazzo è troppo vasto per me; io lo percorro solitario, e assiderato; io, che dovrei specchiare le mie sembianze rinnuovate nelle sembianze dei miei nepoti - io, che dovrei riscaldarmi nelle loro carezze; tra i cuori nostri, che anelerebbero accostarsi, e le nostre persone sorge un muro di bronzo; e tu, sciagurato Giacomo, ne sei stato l'artefice!
Luisa, considerando la sembianza del vecchio tinta nella cenere dell'odio, temè avere aggravata soverchiamente la sorte del marito. Onde cauta si ritrasse domandando pacata:
- E tanto vi offendono, Padre mio, le colpe del vostro figlio, che la speranza di un meritato perdono non possa scendere mai dentro il vostro cuore paterno?
- Io lascio giudicarlo a voi. Vi rammenterò cosa, la quale per essere conosciuta universalmente mi dispensa da rinnuovarne l'acerbo racconto. E chi fu quegli che condusse Olimpia a dettare lo scellerato memoriale al Papa, per cui mi svelsero dalle braccia cotesta figlia traviata con tanta ferita al mio cuore, e danno della mia reputazione? - Giacomo. - Chi procurò che cotesto libello infamatorio pervenisse nelle mani di Sua Santità? - Giacomo. - Chi fu che, prosteso ai piedi del Vicario di Cristo, lo scongiurò con sospiri e con lacrime della mia morte? - Chi? - Un nemico, forse? L'erede di uno, a cui io avessi dato la morte? - No - Giacomo - l'uomo, che mi deve la vita...
- O Padre mio, deh! via, placatevi: forse vi riportarono di Giacomo più, e peggio di quello ch'ei dicesse o facesse. Il vostro antico senno conosce l'usanza pessima dei servi di mettere male del caduto in disgrazia presso il padrone, ingegnandosi di venirgli in grado coll'aggiungere legna al fuoco. - E se anche i falli del vostro figliuolo fossero gravi come voi dite, risovvengavi ch'egli è vostro sangue; - risovvengavi che il nostro Signore Gesù Cristo perdonò a coloro che lo avevano crocifisso, perchè non sapevano quello che facevano...
- Ma Giacomo sa troppo bene quello che si faccia. Ogni giorno egli cresce nella sua empietà: - ogni ora egli si affatica a togliermi la fama, e questo avanzo infelice di vita ... - Ferocemente impaziente il figliuolo meraviglia della lentezza della mia morte, a cui crebbe le ali con tanti desiderii. - Senti, figlia mia; e se lo impeto gitta l'argine e trabocca, tu vogli perdonarmelo. Però questi orrori, io ti raccomando stieno fra Dio, me e te: soprattutto i miei nepoti gl'ignorino sempre, onde non imparino ad aborrire il padre loro. - Ora sono pochi giorni egli venne qui a pervertirmi Beatrice e Bernardino, persuadendoli perfidamente avere io procurato la morte di Virgilio; come se cotesto infelice fanciullo, per somma sventura sua e di me, non fosse colto dal male insanabile del tisico. Nè questo è tutto: giù nella Chiesa di san Tommaso, eretta dalla pietà dei nostri avi, e da me restaurata, mentre si celebravano esequie solenni all'anima del defunto figliuolo, convertita la bara in cattedra di abominazione, senza rispetto alla santità del luogo, ai sacri altari, alla religione del rito, al Dio presente, congiurava con gli altri traviati figliuoli e la consorte - la morte mia... - Tu fremi, buona Luisa? - Sospendi il tuo orrore, chè avrai a fremere di bene altre cose poi. Quando io, misero padre! mi faccio a piangere sul cadavere dell'angelica creatura, avanti tempo chiamata a vita migliore, io non so quale o nuova insania, o inaudita rabbia gli strascinasse... ecco mi rovesciano addosso il morticino... mi percuotono... mi feriscono... Guarda, figlia, di per te stessa, esamina... io porto impressi nel volto i segni del sacrilego attentato...
Qui si fermò come rifinito dall'atroce memoria; quindi, in suono di pianto, riprese a favellare:
- D'ora in avanti, quando mi verranno incontro i miei figliuoli... Giacomo sopra tutti... sai tu, che cosa mi toccherà a fare? Tentare se mi abbiano bene affibbiato il giaco... frugare se mi sia dimenticato il pugnale. Tra lui e me porre un cane fedele, che dal suo furore mi preservi la vita... Sì, un cane; poichè il mio sangue mi procede siffattamente nemico. Sfiduciato della razza umana, bene è forza che io cerchi la mia difesa fra le bestie: - anzi questo cane io aveva, e fedelissimo a prova... ed essi me lo hanno ammazzato di un colpo di spada nel cuore... truce presagio di ciò che riserbano al padre loro. - Già da qualche tempo m'invade un pensiero... che, nato sul mio doloroso guanciale, ha preso a impadronirsi di me come idea fissa... ed è se io debba permettere ch'essi consumino il parricidio, o piuttosto, troncando con le mie proprie mani questa misera vita, risparmiare in un punto a loro la infamia e la pena del delitto, a me il supplizio incomportabile di vivere. Ah! Signore, quanto è dura necessità questa di perdere l'anima loro, o la mia!
Qui piegata alquanto la faccia fissava certa lettera di Spagna, la quale gli porgeva notizia della morte che si presagiva imminente di Filippo II, da lui sopra ogni altro re ammirato, e nel suo segreto pensava: - lui avventuroso che prima di morire potè fare strangolare il figliuolo, e ne fu benedetto da Santa Madre Chiesa!53 -
Intanto fu bussato pian piano all'uscio della stanza. Il Conte, rialzato il capo, con voce ferma ordinava:
- Avanti...
Comparve Marzio, il quale dopo qualche esitanza, veduta ch'ebbe la donna, favellò:
- Eccellenza... il tabellione...
- Aspetti. Fatelo passare nella stanza verde onde possa assettarsi a bell'agio...
- Eccellenza, egli mi ha commesso annunziarle, che faccende urgentissime lo chiamano altrove...
- Per dio! Chi è costui, che ardisce avere una volontà diversa dalla mia - e per di più in mia casa? - Quasi, quasi io sarei tentato fargli come a Conte Ugolino, e gittare le chiavi nel Tevere. Andate, e non gli permettete uscire senza il mio consenso...
La rabbia appena repressa con la quale il Conte fremeva queste parole, avrebbe fatto avvertito agevolmente chiunque vi avesse posto mediocre attenzione, della ipocrisia da lui adoperata nei suoi colloquii fin qui; ma Luisa teneva la mente rivolta altrove, e lunga ora stette col capo dimesso al pavimento come persona affatto avvilita, incapace a formare un concetto, o profferire una parola. Il Conte la sogguardò sospettoso, e poi riassicurato riprese:
- Però non mi diparto dal mio proponimento, che i figli non hanno a portare il peso delle iniquità paterne. Questa legge, severa troppo, venne mitigata dalla dottrina di Cristo... ed io sono cristiano. Voi mi cogliete nel punto in cui vado a ridurre ad effetto questa mia convinzione. Ho disposto instituire eredi delle mie facoltà libere i vostri figliuoli: pei fidecommissi sto sicuro perchè non possono essere ipotecati, molto meno alienati; dalle rendite dei fidecommissi in fuori altro non può sprecare Giacomo vostro, e dovrà suo malgrado rendere un giorno i fondi inalterati al maggiorasco. Voi nominerò amministratrice dei beni liberi; e spero, che dopo aver provveduto onoratamente alla famiglia, potrete avanzare tanto che valga a crescere il patrimonio. Io desiderava consultarvi in proposito; ma non poteva rivolvermi a mandarvi a chiamare, dubbioso se voi avreste tenuto lo invito. Ora poi che siete venuta spontanea, confesso che Dio vi ha proprio ispirata. Anche i ciechi dovrebbero vedere qui dentro il dito della Provvidenza.
Quantunque Luisa, come tutte le madri, sentisse maravigliosa compiacenza delle ottime disposizioni dell'avo a favore dei suoi figliuoli, pure, come donna virtuosa, non potè trattenersi da osservare:
- E la signora Beatrice, e don Bernardino?...
- Beatrice ha già stanziata la dote, sufficientissima a qualsivoglia gran dama. Bernardino ha da tirarsi innanzi per la prelatura, e Casa Cènci possiede in copia giuspatronati fra i più cospicui di Roma.
- E gli altri figli?
- Chi figli?...
- Don Cristofano e don Felice...
- Essi? Oh! essi, la Dio mercede, sono già provveduti, e non hanno bisogno di niente - rispose il Conte; e i suoi occhi si raggrinzarono, e la pupilla costretta mandò fuori un lampo di riso maligno...
- Don Francesco non mi muove curiosità, ma voglia di non comparire alla mia coscienza cupida del bene altrui, nello insistere a sapere come venne provveduto ai miei signori Cognati...
- Essi hanno sposato una potentissima dama che fa loro le spese, e come a loro le può fare, e le fa ad altri ben molti... - Di ciò, se vi piace, parleremo altra volta, donna Luisa, e con agio maggiore...
- Signor Conte, prima di lasciarvi - e donna Luisa esitò uno istante; poi amore di madre vincendo la donnesca alterezza, fattasi coraggio riprese: - io vorrei esporvi la causa, che mi persuase di venire a inchinarvi...
- Ditela...
- Se i miei voti saranno ascoltati in cielo voi vivrete anche cento anni; e i miei figli, intanto, stremi di tutto...
- Ah sono pure il solenne smemorato! - incominciò a dire don Francesco toccandosi lieve lieve il capo, e come se favellasse seco medesimo. - Povera donna! ha ragione. - Sopra il piatto di cotesto sciagurato ella non può fare assegnamento, dacchè ei lo spende fuori di casa con altra femmina che ama; con altri figli, che più dei legittimi formano la sua tenerezza...
- Come! come! - proruppe Luisa afferrando con ambedue le mani il braccio destro al suocero. - Dunque, don Francesco, lo sapete anche voi?
- Signora nuora - replicò il Conte con volto austero - io vo' che sappiate, il cuore d'un padre non essere meno geloso della fama dei figli, di quello che il cuore delle mogli nol sia per lo affetto dei loro mariti; ma nel naufragio di ogni onesto sentimento di Giacomo tutti dovevamo perdere... voi uno sposo... io un figlio.
- Luisa mandò un profondo sospiro.
- Ora uditemi, donna Luisa. Io vi somministrerò volentieri il danaro necessario ai bisogni della vostra famiglia; se non che intendo che voi vi leghiate con giuramento ad osservare certa condizione, che vi dirò. Io poi non esigo che voi v'impegniate a chiusi occhi; mai no: io vi dichiarerò la condizione, e la causa della medesima; onde se voi troverete, come non dubito, quella discreta, e questa tendente al bene dei vostri figliuoli, voi la giuriate con libertà e coscienza.
- Voi altre buone femmine, comprese interamente da un solo amore, presto ponete giù l'ira che v'infiamma contro l'oggetto delle vostre legittime affezioni: - voi siete vele, che vi sgonfiate ad ogni lieve calare del vento... Oh! so bene io quanta virtù abbiano due lagrimette e un bacio a placare le più fiere procelle matrimoniali. Giacomo già parmi vederlo assoluto, e a mille doppii più amato da voi amantissima sposa: allora voi gli confiderete il danaro, e il modo col quale lo avete ottenuto da me; ed egli (lasciate fare a lui!) troverà bene la via di carpirvi la moneta; - ed io, invece che serva ad alimentare i miei nepoti, vedrò con dolore averla data ad alimentare i suoi laidi costumi. D'altronde io presagisco, che anche da questo atto trarrà argomento di calunnia contro di me: ed io non vorrei che un benefizio mi fruttasse nuove amarezze. Non paionvi sufficienti quelle che patisco? Sono indiscreto forse, se io procuro non crescerne il carico? Ora io desidero, che per cosa al mondo voi non gli riveliate possedere moneta; e molto meno poi la parte dalla quale vi viene. Sembravi questa condizione tale, che possa rifiutarsi da voi?
- No certo; voi mi consigliate perbene, ed anche senza condizione io mi sarei comportata nel modo che vi piacque indicarmi.
- Tanto meglio. Ecco qua una santa reliquia. - Così dicendo il Conte si trasse dal seno una crocellina di oro, e, presentatala alla nuora, aggiunse: - giurate per questa croce benedetta sul sepolcro del nostro Signore, per la salute dell'anima vostra, per la vita dei vostri figliuoli, che voi osserverete la promessa...
- Non fa mestiero di riti tanto solenni, rispose Luisa sorridendo a fiore di labbri: - ecco, io ve lo giuro...
- Sta bene: adesso togliete quanto vi aggrada; e sì dicendo aperse uno scrigno pieno di monete d'oro di varia ragione; - e siccome la gentildonna vergognando si peritava, il Conte insisteva: - ma prendete - prendete... sarebbe strana davvero, che tra padre e figlia si facessero tanti rispetti. Orsù, via, farò da me; - e riempita una borsa gliela consegnò. La gentildonna diventata vermiglia, lo ringraziava con un cenno affettuosissimo del capo.
- Prima però che prendiate commiato, mia cara signora nuora, udite un'altra parola... - perchè voi comprendete ottimamente come malgrado le ingiurie atroci con le quali Giacomo mi ha offeso - e continuerà pur troppo ad offendermi - egli sia sempre mio sangue. - Non vi stancate di tentare ogni mezzo per ricondurre cotesto traviato al mio seno... chiudete l'occhio alle sue infedeltà... soffrite gl'insulti... obliate ch'egli ha procreato altri figli, che non sono vostri;... che mentre ai legittimissimi vostri fa mancare le cose al vivere necessarie, prodiga ai figli naturali altrui - anzi adulterini - moneta, onde compaiano vestiti di broccatello di argento, e di oro... Perdonatelo, convertitelo, riconducetemelo insomma; le mie braccia stanno sempre aperte per lui.... il mio cuore sempre pronto a dimenticare ogni cosa in un amplesso sincero: - affaticandovi a ridonarmi un figlio voi ricupererete in un punto il padre ai figli vostri, lo sposo a voi. Oh se questo potesse accadere prima che i miei occhi si chiudessero!... Certo la mia vita non è stata altro che affanno, e già sta presso a cessare.... ma qualche volta accade che i giorni procellosi si rasserenino verso sera, e un raggio di sole languido, ma benedetto, - tardo, ma desiderato, - venga a salutare con uno addio di amico colui che sta per partire....
- Don Francesco, voi mi avete riempito così di maraviglia, di tenerezza e di gratitudine, che io non so in qual modo significarvelo con parole. Valga in difetto questo bacio, che io imprimo con tenerezza di figlia sopra la vostra mano paterna. Ma quantunque io senta che dei tanti benefizii, di cui mi avete colma, non sarò per potermene sdebitare giammai, pure vi supplico a degnarvi d'aggiungerne un altro - ed è: di compiacervi a raffermare quel famiglio, che voi avete licenziato per colpa mia...
- Egregia donna! - Non io, Luisa, ma voi gli rimettete il fallo; avvegnachè io lo avessi congedato a cagione della mancanza di rispetto con la quale mi aveva favellato di voi.
Qui agitava il campanello, e apparve uno staffiere di sala.
- Ciriaco.
Ciriaco veniva, umiliando il capo fino a terra.
- Ringraziate donna Luisa dei Cènci mia clarissima nuora, che vi permette rimanere graziandovi il fallo commesso. D'ora innanzi emendatevi, e siate più riverente co' vostri superiori.
- Mia buona padrona e signora, disse Ciriaco gittandosele giù di rifascio in ginocchioni davanti, Dio le ne renda merito per me e per la mia povera famiglia, che senza la sua carità si sarebbe ridotta ad accattare.... e non avrebbe pane...
Luisa gli sorrise. Don Francesco accompagnò lei, invano supplicante a rimanersi seduto, con onesta cortesia fino alla porta; e quindi tornando addietro con presti passi, pose una mano su la spalla di Ciriaco; e squadratolo con biechi sguardi gli favellò così:
- Non solo adesso tu te ne andrai di casa mia; - ma di Roma altresì, - ma da tutti gli stati Pontificii ancora, - e subito; - se domani io ti sapessi qui, penserò da me stesso al tuo viaggio. Va senza guardare indietro: io non ho la potenza di convertirti in istatua di sale; possiedo semplicemente quella di convertirti in morto. Mettiti un sigillo su la bocca, la paura di me nell'anima; se i piedi ti venissero meno, continua il tuo cammino con le ginocchia carponi. Tu, che hai avuto la pericolosa curiosità di esaminare i costumi del tuo padrone, avrai notato com'egli non manchi mai a quello che promette. Esci, e ricorda che Dio non si osserva, ma si adora; ed ogni padrone, pei suoi servi o sudditi, ha da essere un Dio.
Coteste minacce e cotesto piglio gettarono tanto avvilimento nel cuore al servo, che si partì ratto da Roma insalutata la propria famiglia. Ad ogni muovere di foglia gli pareva avere alle costole qualche bravo del Conte Cènci; nè si quietò il suo affanno finchè ei non fu di molte miglia lontano da Roma.
*
* *
- Ai comandi di vostra Eccellenza, disse il Notaro (con la familiarità servile consueta alla gente di toga) entrando nella stanza...
Il Conte, con superbia magnatizia rispose:
- Vi ho chiamato, Sere, per consegnarvi il mio testamento olografo: stendete l'atto di recezione, intanto che mando per testimoni idonei: fate bene, e spedito.
I testimoni vennero, e s'inchinarono; l'atto fu celebrato, e i testimoni partirono, e s'inchinarono senza parole; impassibili, piuttostochè ad uomini somiglievoli ad ombre. Il tabellione mentre ripiegava i suoi scartafacci si sentiva proprio morire non isciogliendo il freno alla garrulità, vizio che aveva comune a tutti i suoi confratelli in protocollo.
- Per bacco!, proruppe il Notaro, io so che vostra Eccellenza non ama osservazioni, epperò mi sono affrettato a servirla di coppa e di coltello: tutta volta però mi pareva, che vostra Eccellenza non fosse in termini dirimpetto alla età per devenire a questo atto, et voluntas hominis ambulatoria est usque ad mortem; sicchè in tanto si raggiunge meglio lo scopo della testamentifazione, in quanto più si aspetta a farlo. Simili disposizioni patiscono della natura dei meloni, che stando molto colti senza mangiarli infracidano.
- L'uomo è egli padrone del domani? E gli uomini alla età mia si assomigliano agli ebrei nel giorno di Pasqua, col bastone in mano e i calzari in piedi pronti a partire. A me pareva non avere mai pace, finchè non avessi assicurato in modo fermo il destino dei miei figli e nepoti.
Il tabellione, che aveva un muso appuntato a modo di volpe, e il cervello eziandio, gli ficcò addosso due occhini lustri che parevano fatti col succhiello; e stringendo le labbra rise un tal sorriso di sorba acerba, che voleva dire: che con lui coteste lustre non valevano un lupino, e che quando al diavolo del Conte legavano il bellico, il suo andava ritto da se senza bisogno di ciuffolo.
- In quanto a questo poi, Eccellenza, osservò l'astuto notaro, non faceva mestiero che il suo cuore paterno si mettesse in ambasce, imperciocchè la legge provvidissima ripari a tutto. Sa ella, signor Conte, come noi altri, che ce ne intendiamo, si costuma definire il testamento? Atto illegittimo, col quale il padre di famiglia leva la roba a chi va.
Il Conte gli lanciò un'occhiata da tagliargli la faccia; ma il Notaro aveva mutato sembiante: adesso compariva semplice, come se egli avesse mosso coteste osservazioni più per dabbenaggine, che per malizia. Don Francesco non trovò a fare meglio, che imitarlo; sicchè con volto beato rispose:
- O guardate!... che mi troverò ad avere fatto un atto inutile? Ma utile per inutile non vitiatur, come mi pare che insegnate voi altri curiali; e poi, quando non avesse servito ad altro, avrà procurato a me il piacere di essermi trattenuto con voi, a voi il piacere di avere guadagnato qualche ducato...
E largheggiando, come suoleva, nella mercede, don Francesco si levò prontamente dintorno cotesto importuno scrutatore delle cose sue, che si allontanò strisciando come una serpe, e ripetendo col pugno pieno di moneta:
- Troppo generoso! sempre magnifico! Dio la mantenga sano, e verde.
Rimasto solo, il Conte così andava mulinando da se:
- Ora i Cènci non godranno più della mia eredità libera: ho diseredato tutti i miei figli, nel caso che qualcheduno sopravviva54; - peraltro io farò in guisa, per quanto sta in me, che questo non avvenga. La causa della diseredazione è la principale delle quattordici indicate da Giustiniano. Le mie volontà saranno rispettate. Per dio! Se i miei nepoti non si conducessero a divorarsi le mani per fame, io risusciterei per istrozzare i giudici che sentenziassero a loro vantaggio... E poi ho istituito eredi luoghi pii, corporazioni religiose, e simili mani morte. Mani morte! - Chiedea mattoni, e gli portavan rena... che torre di Babele è mai questa? Ormai bisogna riformare la lingua. Mani morte! Ne furono mai vedute in questo mondo più vive a prendere, e più dure a ritenere? Avanzano i fidecommessi! Immenso tesoro! Ora come adopererò io per svincolarli, e disperderli? Bisognerà che io me la intenda col Cardinale Aldobrandino: costui prenderebbe anche lo inferno per raccattarvi cenere. Quale avarizia feroce! Trama di prete romano, e orditura di mercante fiorentino! Io credo fermamente, ch'egli abbia provato a trarre sangue dai sassi del Colosseo. Ma per levare ai lupi mi è d'uopo gettare alle jene... fiere contro fiere... dura necessità! ma sia; - purchè rimangano ignudi i miei figliuoli, venga anche il diavolo, e si vesta del mio mantello. - La onorevole figura che farebbe il diavolo, col mio mantello scarlatto trinato di oro! Nessuno presuma accusarmi di non aver lasciato sostanza ai miei figliuoli e nepoti, chè avrebbe torto. Come Timone lasciava agli Ateniesi il fico del suo campo onde vi si potessero impiccare a loro bell'agio, io lascio in retaggio ai miei discendenti il Tevere perchè vi si affoghino dentro55.