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Francesco Domenico Guerrazzi
Beatrice Cènci

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CAPITOLO XIV.

 

MONSIGNORE GUIDO GUERRA.

 

......... Quello amico

Non chiama. Invoca un Dio, che l'abbandona

E la condanna a disperarsi. È desta,

E delira.

Anfossi, Beatrice Cènci.

 

Pallida, pallida, bianco vestita con una lampada nelle mani, Beatrice rassembra una vestale compagna di Eloisa, che muova per la notte sotto le volte del Paracleto a piangere sul sepolcro dell'amica defunta; - ella rade la terra con passi presti e fugaci come quelli della felicità nelle dimore dei figliuoli di Adamo.

Depone la lampada sul pavimento, apre guardinga una porta, si guarda sospettosa dintorno, e si slancia nel giardino.

Dove va a questa ora Beatrice Cènci, l'animosa fanciulla? Forse a vagheggiare il volume dei cieli, dove Dio ha scritto la sua gloria in caratteri di stelle?81 Il cielo è ingombro di nuvoli neri, e l'aria mormora inquieta agitata dallo incubo della tempesta. - Fors'ella scende per non perdere alcuna delle meste note di cui l'usignòlo empie i silenzii della notte? Ma i tuoni squarciano i fianchi dello emisfero, e spaventano tutti gli animali che si stringono paurosi nelle caverne, o si appiattano sotto le fronde della foresta. La invoglia forse desìo del mormorare delle acque, che per la notte sembra un pianto arcano sopra le miserie degli uomini, - ora soltanto felici - ora perchè in balìa del sonno fratello della morte? Ma le acque flagellate dalla sferza del vento si arricciano come le vipere della testa di Medusa. Il riso della primavera, ch'è l'anima dei fiori, andò a rallegrare quella parte di mondo dove lo invita la gioventù dell'anno. L'autunno qui dona ai primi aliti gelati le sue foglie inaridite e gialle, - simile al vecchio avaro il quale sul letto di morte, tardamente liberale, spartisce il suo retaggio ai parenti accorsi all'odore del sepolcro - belve affamate, che divorano brontolando.

Ella viene, misera! in traccia di un astro, che la guidi per tenebre più buie del cielo di questa notte infernale. Ella viene a cercare un fiore caduto dai giardini celesti nell'anima umana - la speranza. Fiore troppo spesso appassito nel calice, prima che dalle aperte foglie mandi profumo: - fiore troppo spesso roso dal verme sopra lo stelo, sicchè colto appena lascia cadere tutte le sue foglie ludibrio dei venti, mostrando su la nuda corolla una goccia di rugiada infeconda, - lacrima di amarezza pianta dal disinganno. E perchè esiterò io a traccia di un fidato amatore.

E come, e quando ella sentiva amore? In qual modo l'amore potè mettere radice in cotesta anima desolata? - Sopra una roccia di granito incognita ad orma mortale, dove lo smergo si sofferma talvolta a riposare le ali, lieta e gentile io vidi ondulare la viola alla brezza del mattino. Chi portò lassù quel pugno di terra vegetale onde ricavasse nutrimento il fiore pudico? La Provvidenza; - che non volle creare deserto senza una fontana, alpe senza fiore, sventura senza conforto di consolazione.

Ed il suo amore era degno di lei. Monsignore Guido Guerra, secondo che ci vengono narrando le storie dei tempi, nato d'illustre lignaggio, fu grande e bello e di gentile aspetto; e, come Beatrice, di bionda chioma e di occhi azzurri. I costumi allora, io non saprei dire se più sciolti o meno ipocriti dei nostri, non si adontavano grandemente di prelati vaghi delle cose di arme, o di amore. Sovente i grandi dignitarii della Chiesa spogliavano l'abito clericale; le case delle amanti scalavano: cappa e spada vestivano; si trovavano nelle battaglie ad armeggiare; davano, o ricevevano di buone stoccate. I concilii non approvavano, anzi da tempo rimotissimo riprendevano acremente coteste pratiche; ma il costume vinceva i concilii. Il coadiutore dello Arcivescovo di Parigi de' Gondi, che fu poi cardinale di Retz, travestito da cavaliere si condusse notte tempo a visitare Anna di Austria reggente di Francia, e in pieno giorno comparve in corte con la daga sotto il roccetto; pel quale successo cotesta arme indi in poi acquistò il nome di breviario di monsignor coadiutore82.

Però Beatrice, purissima donzella, avrebbe rifuggito da qualunque amore il quale non fosse stato laudabile in tutto; e sappiamo come cosa certa, che sebbene monsignore Guido Guerra usasse abito prelatizio, non fosse però vincolato con la Chiesa mediante voti, ed ordini sacri; sicchè spogliando la mantellina egli poteva condurre sposa quando meglio gli fosse piaciuto: possedè copia non mediocre di beni, e rimase unico figlio di madre vedova. Le storie ce lo dicono ancora fornito di sottile intendimento; destro a qualsivoglia opera avesse tolto ad imprendere, cultore delle buone discipline, e tanto avventuroso, che non aveva mai meditato disegno, che non gli fosse riuscito di portare a felice compimento. La fortuna parve volesse riunire sopra di lui, in due tempi separati, tutto il bene e tutto il male che per lei possa farsi, e ch'ella sperpera ordinariamente sopra molti capi di uomini con infinite, e continue alternative. La signora Lucrezia Petroni, consapevole di cotesto affetto, lo aveva favorito con ogni studio per la pietà grande che sentiva verso la fanciulla, la quale desiderava salvare dalle persecuzioni oscenamente feroci del padre, e vederla felice.

Nei brevi intervalli che don Francesco si allontanava pei suoi negozii da casa o da Roma, Guido, avvertito da messi fedeli, saliva tosto in palazzo, e visitate le donne, come meglio poteva le consolava. Quantunque avesse data, con giuramento, fede di sposo a Beatrice, pure godendo la grazia del Papa, e conoscendolo d'indole severa, e desideroso ch'ei non lasciasse lo stato ecclesiastico, dove gli prometteva amplissime promozioni, andava così trattenendosi accortamente di giorno in giorno, cercando il destro di scuoprire l'animo suo al Pontefice senza inimicarselo, e riportare l'approvazione di quello. Ma don Francesco dalle sue spie, fu informato dei disegni di monsignore Guerra, o forse gli sospettò soltanto; e questo gli bastò per ammonirlo, che cessasse da visitare la sua famiglia e deponesse ogni pensiero su Beatrice, se gli era cara la vita. Il nome del Conte Cènci dissuadeva i più audaci da accattare briga con lui, e chiunque avesse avuto inimicizia con esso non si sarebbe reputato sicuro neanche nel letto; ma è da credersi che monsignore Guido avrebbe sfidato le sue minacce, se la fama della fanciulla amata, che ad ogni caldo amatore deve tornare sopra tutte cose carissima, non lo avesse trattenuto da muovere scandalo: però la vedeva rado, ed alle accese voglie davano i male arrivati amanti scarso refrigerio di lettere, che, come avverte il Pope,

 

Trasportano un sospir dall'Indo al polo83.

 

Chi, di voi che leggete, non ha, almeno una volta durante la sua vita, ricevuto simili lettere? Vi ricordate come le toccaste tremanti, come le spiegaste tremanti, e come impazienti d'indugio tentaste leggerle allo incerto albore del crepuscolo, o al fievole raggio della luna crescente? Vi rammentate come vi battessero le tempie, tintinnassero le orecchie, e per gli occhi vi girassero globi di atomi infuocati? Vi rammentate come con un baleno del guardo le percorrevate tutte, e poi rileggendole a bello agio parola per parola, riscontravate in molto tempo quello che avevate compreso in un attimo solo? Baciate e ribaciate ce le riponevamo in seno, rimedio di zolfo allo ardore che ci divorava; così lo incauto fanciullo Spartano, per nascondere la volpe se la riponeva nel seno.

Era a questo termine ridotta la condizione degli amanti, quando certa sera monsignore Guerra travestito passava sotto le finestre del palazzo Cènci: egli procedeva a testa alta, cercando scuoprire nella camera di Beatrice un lume, che gli sarà desiato più del faro al nocchiero nella notte di procella. Mentre si accosta all'arco dei Cènci, donde per mezzo della cordonata si arriva alla chiesa di san Tommaso, ecco che sente investirsi di fianco da un uomo che corre. Stette per rimanerne rovesciato; ma raffermatosi su le gambe afferrò il sopraggiunto pel collo, minacciandolo con voce sdegnosa. L'altro, appena parve riconoscerlo, disse:

- Zitto, per amore di Dio. Prendete questa lettera: vi viene da parte di donna Beatrice; - e svincolandosi da lui fuggì via.

Guido, diventato incauto per soverchia passione, si guardò attorno per iscorgere un lume, che in cotesta ansietà lo sovvenisse. In fondo all'arco, al termine della cordonata, gli occorse una lampada che ardeva davanti la immagine della Madonna. Senz'altro pensare colà si avvia, apre il foglio, e appena conosce i caratteri dell'amata donzella, tanto comparivano vergati con mano tremante. Lo scritto breve supplicava: per quanto amore portava a Dio, in quella stessa notte procurasse all'un'ora penetrare nel giardino, e l'attendesse nel boschetto degli allori. Se voleva non saperla morta, non mancasse.

Guardingo ripose la lettera, e si allontanò. Recatosi a casa tolse la spada, e una scala uncinata, e quando gli parve tempo opportuno uscì solo: pervenne sotto al recinto del giardino dei Cènci, lo scavalcò, ed attese celato nel luogo del convegno.

Di tratto in tratto Guido, tese le orecchie, credeva intendere stormire le fronde del bosco; muoveva un passo fuori del nascondiglio, girava gli occhi intorno, e non vedendo comparire persona si ritirava con un sospiro. L'ora indicata passò. Oh Dio! La sciagura, accennata misteriosamente nella lettera, sarebbe ormai senza rimedio accaduta? Sentì mancarsi, e si appoggiò a un albero vacillando.

Ma una voce lo riscosse: «Guido! - Beatrice!» La donzella stringe tremante la mano del suo amatore, che tremava come foglia sbattuta del lauro a cui si appoggiava; di repente Beatrice, come percossa da cosa che le mettesse incomportabile paura, dimentica del verginale ritegno gli si avvinghia alla vita, e sì favella a modo di delirante:

- Guido, amor mio, salvami. - Guido, conducimi via - subito - senza frapporre un minuto di tempo... qui il terreno mi brucia i piedi,... l'aria che respiro è veleno... Guido... andiamo.

- Beatrice!...

- Non parole... partiamo, ti scongiuro, prima che cessi il battere di occhio della occasione. - Se non mi vuoi sposa, non importa... mi riporrai dentro un convento... qualunque... anche in quello delle Clarisse, dove si mura la porta dietro alla votata;... ma salvami, ti comando, da questo luogo maledetto...

- Oh Dio, diletta mia, che cosa è mai questo furore? - Le carni ti scottano come per febbre.

- Qui... qui dentro ho la morte. Toglimi alla disperazione... alla dannazione eterna... Che cosa ho io? Immagina delitti, che fanno impallidire uomini di sangue... delitti, che drizzano i capelli sopra la fronte ai parricidi... che stringono le ossa di ghiaccio, - che fanno battere i denti come pel ribrezzo della quartana, - che impediscono il varco alla voce, e impietrano le lacrime: - immagina tutti i delitti, che la favola racconta della famiglia degli Atridi... che fanno balzare l'Eterno sopra il suo trono immortale, e stendere le mani al fulmine... che avvampano di vergogna le gote dello stesso demonio... immagina... immagina ancora... tu non troverai le infamie, che si tramano e si compiono in Roma - qui - dentro il palazzo dei Conti Cènci.

- Tu mi empi di terrore... ma parla... ma dimmi...

- E potrei dirle io, e tu ascoltarle? Se io le palesassi, tu vedresti il mio rossore rompere il buio della notte che ne circonda... io morirei di vergogna ai tuoi piedi. Ti basti saperne questo, che io vergine e gentil donzella romana... io dai cui labbri non uscì parola che vereconda non fosse, - io che non concepii pensiero il quale non potesse confidarsi all'Angiolo Custode... torrei vivere piuttosto la vita infame della cortigiana, che rimanere più oltre un'ora, un minuto dentro queste soglie, traboccanti della ira di Dio. - Misteri di orrore che non devono rivelarsi, possono. -

- Ma dove potrai venire meco così? Come farai a salire, ingombra dalle vesti? Aspetta a domani...

- Domani! Ahi sciagurato! forse è già tardi adesso. - Io non ti lascio... a te mi attacco come tanaglia infuocata... Via... via... corri, chè io ti tengo dietro.

- Sia dunque come vuoi; andiamo con lo aiuto di Dio...

- Insalutato il padrone di casa? - Questa non è cortesia... gridò una voce beffarda, e al tempo stesso un gran colpo di scure venne abbrivato contro la persona di Guido. Per buona ventura lui non colse, chè lo avrebbe fesso pel mezzo; ma dette in pieno nel tronco dello alloro presso il quale si trattenevano gli amanti, e lo recise non altrimenti che un giunco si fosse; rovinò il legno, e cadendo percosse, e disgiunse le mani per cui Guido e Beatrice stavano uniti. - Infausto auspicio di amore sventurato!

Guido fieramente commosso, non atterrito, errava tentoni per l'aere nero in traccia della mano di Beatrice, quando un fiero urto lo sospinse per molti passi lontano, e ad un punto un uomo gli fu sopra dicendogli con voce sommessa:

- Sconsigliato! fuggite, o siete morto. Io v'inseguirò per salvarvi - e poi a voce alta - Ah! traditore, non iscamperai... a te... to' quest'altra botta...

Per tutto il giardino confusi al fragore del vento si udivano gridi di contumelia, e terribili minacce. La voce stridula del Conte Cènci, come l'uccello di sinistro augurio, strillava continua:

- Carne!... carne!... scannatelo come un cane...

Guido correva stordito dal fiero caso: però, vergognando a un tratto di avere lasciato sola Beatrice esposta alla rabbia del terribile genitore, sebbene improvvido del come poterla aiutare, si ferma, volta di repente la faccia, e mette mano alla spada; ma prima che l'avesse potuta cavare lo raggiunge il persecutore, e gli dice:

- A che state? Per dio, perchè non fuggite?

- E la donzella?...

- Vi è chi veglia sopra di lei. Via - presto - voi non potete salvare lei, e perdete voi. - E lo spinse contro la scala, che gli tenne ferma onde fosse più destro a salire; poi menò un colpo così violento di daga nel muro, che la lama si ruppe in minutissime schegge mandando faville; aggiungendo urli, e sacramenti da far tremare le volte del cielo.

Ranchettando smanioso sopraggiunge don Francesco, e domanda:

- Dov'è l'ammazzato? Lumi, qua, lumi - che io possa vedergli le ferite; - lume, che io possa strappargli il cuore dal petto e sbatterglielo nel viso: dov'è l'ammazzato?

- Egli è fuggito - rispose dolente Marzio.

- Come fuggito! Non è vero; egli ha da essere qui... egli deve essere scannato. Fuggito! Ah! cani traditori... voi lo avete lasciato fuggire. Di chi mai fidarci? La mano destra fa da Giuda alla sinistra... e di te, Marzio,... di te da gran tempo sospetto... badati... chè i miei sospetti si traducono in punte di ferro... - Appena questa parola era volata, il Conte conobbe quanto incautamente l'avesse profferita; si morse le labbra per castigarle di averla lasciata fuggire, e ingegnandosi subito di ripararne gli effetti, con voce più mite soggiunse: - Marzio, tu da un pezzo in qua mi riesci meno diligente a servirmi: io non ti tengo: - quantunque se tu mi venissi a mancare mi parrebbe far senza una mano, pure amo meglio perderti, che provarti servo poco attento e poco fedele.

Parola detta, e sasso lanciato non tornano mai indietro. I rabeschi sul fodero e le cisellature sopra la impugnatura non rendono meno tagliente il filo del pugnale. La parola del Cènci si era immersa nel cuore di Marzio come pietra nell'acqua; ma la superficie turbata appena, ritornò piana, ed egli rispose in suono di lamento:

- Dite piuttosto, Eccellenza, che vi ha preso fastidio di me. Questa è la sorte comune dei servi. Non vi è inchiostro che valga a scrivere durevolmente nel cuore dei padroni la lunga, e fedele servitù. Per una volta che la fortuna ti tradisca, ecco la ingratitudine che con la spugna cancella ogni cosa: pazienza!... domani mi torrò la vostra livrea.

Corre un proverbio trito che dice, che in pellicceria non vi sono altro che pelli di volpe, e dice bene; imperciocchè gli uomini presuntuosi confidino troppo nello ingegno, nella forza, o nella fortuna loro; onde avviene che spesso, quando meno e da cui meno se lo aspettano, si lascino avviluppare. Cesare non dubitò di Bruto, e fu spento. Enrico di Guisa credeva che Enrico Valesio non avrebbe ardito, nonchè ammazzarlo, guardarlo, e lo ammazzò. Il Cènci ebbe fede avere ingannato Marzio, e Marzio, come vedremo, ingannò lui.

- Marzio... che cosa sono le parole pronunziate nella ira? Vento che passa. Io ti tengo pel più leale servitore che io mi abbia, e adesso intendo provartelo.

Il Conte, accompagnato dai famigli che portavano torcie di bitume, si dava a cercare Beatrice, e in breve, gli venne ritrovata; dacchè percossa dall'accaduto si era rimasta immobile. Appena ei la vide riarse in lui il bestiale furore; onde abbrancatala forte nelle braccia, e squassandola rabbiosissimamente, incominciò a dirle con amaro sarcasmo:

- E tu se' la pudica, cui le parole di amore e di voluttà suonano incomprensibili come voci di lingua ignorata? E tu la casta, che custodisci il giglio che deve accrescere le glorie del paradiso? Svergognata!... ribalda!... tu accoglitrice di segreti amanti... provocatrice tu d'infami piaceri... non cercata ricerchi. - Dimmi, chi era costui col quale ti mescevi poco anzi in osceni abbracciamenti?

Beatrice lo guardava e taceva. Il vecchio, inviperito da cotesta calma, ed era stupidità, replicava urlando:

- Dimmelo, se non vuoi che io ti scanni; - ma persistendo Beatrice nel silenzio, colui preso da rabbia le caccia le mani entro i bei capelli, e glieli straccia a ciocca a ciocca; qui restando, imperversava a dirle vituperio quale mai non fu detto a rea femmina, e con isconce percosse pestarla pel seno, pel collo e per la faccia. Oh! per pietà volgiamo altrove lo sguardo; imperciocchè chi, senza fremito, potrebbe vedere la fronte dilicata e le guance solcate da profonde graffiature, e gli occhi divini gonfi di nere ecchimosi, e dal naso ammaccato scendere su i cari labbri un rivo di sangue, e miste col sangue insinuarlesi in bocca le lacrime? La rovesciò sul terreno, la strascinò per le chiome, e di tratto in tratto si riposava da quello strazio per cominciarne un altro - per conculcarla, ed essa sempre tacque; solo una volta le uscì dal profondo del petto una parola, e fu questa:

- È fatale!

- Sgombrate tutti di qua - ordinava il Conte ai famigli; - tu, Marzio, rimanti... Senti! aveva divisato darti in custodia costei, in prova della fede che in te ripongo... ma sarà meglio la guardi io stesso, onde ella non ti affascini... Tu va su nel mio studio; nel banco, nella prima cantera a mano destra, troverai un mazzo di chiavi; prendile, e portamele... Affrettati... va... e non se' tornato ancora?

Marzio, costretto a rimanere spettatore dolente dello iniquo caso, andò, e tornò in un baleno con le chiavi: egli rialza la donzella, e, interponendosi fra lei e il padre, finge spingerla aspramente davanti a se dentro i sotterranei.

Aveva Marzio lasciato di alcuno spazio lontano Francesco Cènci, quando un doloroso guaìto gli giunse agli orecchi, che lamentava:

- Morire così... senza pane, e senza sacramenti. Ah Conte traditore!...

Marzio conobbe come altri misteri di delitto rinchiudessero cotesti sotterranei oltre quelli che contemplava, e drizzò il volto dalla parte donde veniva la voce; ma Francesco Cènci sopraggiunge ansante in quel momento, e lancia contro il servo temuto uno sguardo pieno di bile e di sangue; - sprillo di veleno uguale a quello che getta il rospo inacerbito.

- Hai tu inteso un lamento? - interrogò il Conte.

- Lamento!

- Sì, come di anima in pena...

- Mi è parso... cigolìo di vento, che fa molinello in questi sotterranei...

- No... no... sono lamenti... perchè qui dentro tenne prigione il mio avo un suo nemico, e ve lo fece morire di fame. Indi in poi è voce, che nei sotterranei si veggano spettri; ed io ci credo...

- Domine aiutami! Io per me non entrerei qua dentro anche con l'Agnus Dei in tasca.

- E tu faresti bene. Apri quell'uscio, ... a destra... il terzo... cotesto... va bene.

- Marzio lo aperse, e il Conte vi cacciò dentro Beatrice con una impetuosissima spinta.

- Va' maledetta, tu proverai adesso di che sappia il pane della penitenza, e l'acqua del dolore.

Beatrice spinta dall'urto precipitò sul pavimento; tanto potè la misera aiutarsi con le braccia, che non desse con la bocca sopra un sasso sporgente, facendosi nuova ferita su le labbra: vinta dallo spasimo, svenne. Quando l'anima della desolata tornò agli uffici consueti della vita si alzò da terra; si trovò sola, in mezzo alle tenebre; onde sostenendo il corpo alla parete, meditò:

- Fatale! fatale! Dio mi ha abbandonata. Vivente alcuno non ardisce, o può aitarmi; - alcuno. Il destino mi rovina addosso come la volta di San Pietro. Oh! troppo vento adunato per rompere una canna; e poichè tuoi sono, o Signore, i furori della tempesta, non mi condannerai se al suo impeto io mi sono prostrata. - Guido... ahimè! anch'egli adesso sarà morto di certo... adesso ragionerà di me con Virgilio... ed entrambi mi aspettano. Deh! Guido, non m'incolpare della tua morte... ora, che senza vergogna io posso parlarti, - io ti chiarirò quanto immenso, quanto infinito fosse l'amore mio per te. Ma perchè, Dio ti perdoni, Guido, hai voluto unire il tuo destino al mio? Non ti aveva detto che i miei giorni scorrevano come acque di desolazione, le quali ovunque si spandano portano la morte? Non te lo aveva detto?... puoi negarlo? Oh! perchè io sono viva? E non posso morire? Dicono che noi non ci possiamo distruggere! No? L'anima deve sentire, soffrire, e non volere. Le generazioni umane hanno da essere onde, spinte dalla mano del destino a cuoprire e a scuoprire le rive del mondo senza volerlo, senza anche saperlo. Ed io sopporterei queste sorti, se non mi conoscessi seme di sventura nato a crescere in messe di pianto a tutti coloro che mi amano... Ecco, i miei anni si dilatano come i rami dell'albero maligno, che uccide lo sciagurato il quale si riposa alla sua ombra84. È carità sradicarmi pianta maledetta da questa terra, spegnermi torcia accesa nello inferno, che si consuma consumando... di cui ogni goccia infuocata suscita uno incendio? Ma l'anima! - E che? Dio vorrà tenerla a bersaglio del suo furore in questa vita e nell'altra? Dio, di misericordia per tutti, si ostinerà soltanto ad essermi persecutore finchè dura la eternità? E quando dovessi soffrire i tormenti dei dannati... supereranno forse quelli che io patisco in questa vita? Nello inferno almeno non sarò avvilita... dannata, non farò dannare altrui. Signore, io non ti accuso. Tu ponesti sopra le spalle del tuo figliuolo una croce di legno, ed egli vi cadde sotto tre volte; sopra le mie tu l'aggravasti di piombo... io non ho forza per sopportarla, e la getto per terra. - Abbia chi vuole quest'anima desolata... il patto della mia vita è troppo duro, ed io lo rompo. -

Così favellando, un desiderio inenarrabile di distruggersi le invase la mente; deliberata, con la morte dipinta sopra la faccia, l'anima traboccante di fredda disperazione si slancia di piena corsa contro il muro, e vi percuote la testa... Ahimè! - vacilla, apre le braccia, e cade irrigidita a piè della muraglia.


 

 

 




81 Il mondo è libro dove il senno eterno

Scrisse i proprii concetti....

Fra Tommaso Campanella.

 

Poesie scritte da lui durante la ventisettenne sua prigionia.

 



82 È cosa universalmente nota, come i chierici nei tempi feudali fossero guerrieri. Carlo Magno avendo osservato che un vescovo, novellamente eletto da lui, invece di farsi accostare il destriero al muricciòlo, vi saltò sopra di un lancio così abbrivato, che per poco non cadde dall'altra parte, lo ritenne per suo compagno di arme. Le orazioni dei vescovi per ordinario finivano così: «fu buon chierico, e prode uomo di arme». In Allemagna furono deposti parecchi vescovi perchè poco valorosi. Il Vescovo di Ratisbona, combattendo per lo imperatore Ludovico il Bavaro contro gli Ungheresi, n'ebbe mozzo uno orecchio. Alla battaglia di Hastings, dalla parte dei Normanni, il Vescovo di Bayeux, fratellastro di Guglielmo il bastardo, dopo avere celebrato la messa allo esercito montò sopra un gran corsiero di guerra, e si mise alla testa della sua banda: dalla parte dei Sassoni combatterono l'Abbate d'Hida con dodici monaci, e vi rimasero tutti morti. Riccardo Cuor-di-leone guerreggiando contro Filippo re di Francia fece prigioniero il Vescovo di Beauvais della casa di Dreux. Il Papa avendolo reclamato come suo figliuolo, ricevè un giorno per parte di Riccardo la corazza del vescovo intrisa di sangue, con le parole dei figli di Giacobbe al padre: «guarda se questa è la vesta del tuo figliuolo». Non si finirebbe più con simili esempii. Nei tempi prossimi alla nostra storia il terribile Cardinale di Richelieu, vestito da cavaliere, andava a visitare la cortigiana Marion Delorme, e conduceva in persona l'assedio della Roccella contro gli Ugonotti. Il suo successore Cardinale Mazzarino, travestito parimente da cavaliere, recavasi notte tempo nelle stanze di Anna di Austria madre del re. Del Cardinale di Retz non importa parlare, dacchè ci rimangono le sue memorie per informarci dei suoi detti, e gesti. In Italia, circa a questi tempi, ebbe qualche celebrità Napoleone Orsini abate di Farfa, condottiero di ventura, che, dopo avere militato pei Fiorentini contro il Papa, tornato in grazia di questo, fu contro Firenze per sottoporla al giogo dei Medici.



83 Pope, Lettera di Eloisa ad Abelardo - Il verso citato è tolto dalla versione italiana, fatta con assai bel garbo in terza rima dallo abate Conti.



84 L'Upas di Giava, pianta che cresce nelle solitudini, e rara. I giavanesi n'estraggono il famoso upas tiente, col quale avvelenano di mortalissimo tossico le loro frecce. Le altre qualità attribuite a questo albero, come quella di far morire chi si addormenta alla sua ombra, alcuni naturalisti ritengono per favolose. Avvi un altro albero, che i francesi chiamano Mancinelliero, e noi Mancinella, a cui si attribuiscono le medesime qualità dell'Upas, credute dei pari esagerate. Eppure anche fra i nostri alberi se ne annoverano alcuni dei quali l'ombra è certamente funesta, come, per esempio, il noce. - Darwin, Amori delle Piante.






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