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Francesco Domenico Guerrazzi
Beatrice Cènci

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CAPITOLO XV.

 

L'AMMAZZATA DI VITTANA.

 

«Vendetta ampia ed intera, che, simile al fuoco,

distrugga tutto come in quel giorno in cui il

mare morto agghiacciò le ceneri di due città».

Byron, Marino Faliero.

 

Sarebbe pure stata pietà accogliere cotesta anima dolente, la quale, dopo il breve pellegrinaggio di sedici anni sopra la terra, non trovava altro asilo fuorchè nella ombra della morte! A Dio piacque altrimenti. Il volume delle chiome copiosissime ammortendo il colpo, impedì che riuscisse mortale. Quante ore nel miserrìmo stato ella durasse, male sapremmo dire: quando risensò si pose a stento a sedere dove era caduta appoggiando le spalle al muro, immemore del luogo e del come vi fosse stata condotta. Con le mani si comprimeva dolcemente il capo e la bocca che le dolevano forte, e non sapeva il perchè. Ode profferire il suo nome; tende ansiosa le orecchie, e la chiamata si rinnuova: allora ricordò il racconto di Virgilio, quando gli parve che lo chiamasse sua madre; e la voce, che adesso ascoltava, aveva in se un suono misto di quella del fratello, e della materna. Tenne che per intercessione loro la misericordia divina l'avesse fatta salva dalla eterna dannazione, e consolata in questa idea si levò in piedi esultante; e, battendo palma a palma, con sentimento ineffabile di gioia esclamò:

- Gran mercè, Madre mia; gran mercè, Virgilio, amor mio: comparitemi davanti, via!... che io vi vegga!... Apritemi le braccia... io vi terrò stretti con amplesso eterno. Guido mio perchè non è con voi? Com'è morto giovane! Ma se viene qui con voi... con me, che sono sua sposa, non gli dorrà essere morto; ed io adesso potrò baciarlo. È vero, Madre, potrò baciarlo, anche al cospetto vostro, perchè è mio sposo?

Ma la voce facendosi sempre più prossima insisteva:

- Signora Beatrice... su, scuotetevi... non vi perdete di animo... O Signora Beatrice, coraggio, sono io... è Marzio che vi chiama.

- Marzio! Questo nel mondo di era il nome di certo fante, che mi voleva bene... egli fu, che voleva rompere il capo al Conte Cènci il giorno del convito... era delitto... ma la pietà di me lo aveva vinto: - preghiamo tutti Dio che lo perdoni; metta piuttosto il peccato sul conto mio, e lo faccia scontare a me nel purgatorio.

- Oh fanciulla mia! io temo, sì, che Dio mi castighi, ma per non averlo levato dal mondo.

- E adesso Marzio che fa? È morto egli pure? La fatalità, che usciva da me, provò ancora egli come fosse contagiosa? Ha imparato, misero, come ferisse mortale la jettatura dei miei occhi?

- Signora Beatrice non vaneggiate, per amore di Dio... tornate in voi stessa... aiutatevi... venite qua... udite... lo scellerato vecchio... il Conte Cènci, adesso dorme... volete voi che non si svegli più?

- Che parlate, Marzio? Io non ho compreso bene... qui nel capo ho come una nebbia...

- Colui, che vi generò per tormentarvi - quegli, che si dice vostro padre... quegli, che vivendo vi farà morire... volete voi che muoia... stanotte... fra cinque minuti? - La sua vita sta nel taglio del mio coltello.

- No, no - proruppe Beatrice, recuperando di subito la pienezza del suo intelletto - Marzio... guardatevene, per lo amore di Dio... io vi odierei... io vi accuserei. Viva, e si penta... egli si pentirà un giorno - forse.

- Pentirsi! Si sono mai veduti lupi a confessione? Io ve l'ho detto; egli vivrà, e voi morrete.

- Che importa? Non aveva forse io tentato morire? Quanto è grande dolore tornare a vivere! Marzio... mio fedele, - io non ho più lena... io vorrei dissetarmi nella morte. Hai tu mai sentito raccontare dei nostri antichi, i quali si tenevano attorno qualche amico o servo sviscerato, onde se la necessità imponesse uscire da questo mondo, con pietosa ferita gli uccidessero? Marzio, - io non chiedo tanto da te... portami solo un sugo di erba che abbia virtù di chiudere gli occhi ad una pace, che non ho mai goduto in vita.

- No, per l'anima santa di Anna Riparella; se io basto, vivrete. Sciagurata fanciulla! non vi lasciate cogliere dalla disperazione. In breve tornerò da voi; adesso mi è forza andare dal vostro orribile genitore... s'egli si svegliasse e noi sorprendesse, non vi sarebbe più luogo a scampo. - E si allontanava piangente, tanta pietà lo vinse vedendo il misero stato in cui si trovava ridotta Beatrice. - Tutto assorto in cotesto pensiero stava per uscire dai sotterranei, quando gli risovvenne del lamento udito nella notte decorsa; rifece prestamente i passi, ma non udì più nulla: allora prese a percuotere lieve lieve gli usci che gli si paravano davanti, ed ecco ad un tratto ricominciare il pianto più doloroso che mai.

- Ahimè! Muoio di fame - muoio di sete; così non aveva da essere... impiccato a suo tempo, andava bene; io ci aveva fatto il mio assegnamento sopra... ma confessato, e comunicato; - col cappuccino accanto... ogni cosa secondo le regole...

- Chi sei? Rispondi, e fa' presto...

- Eccellenza, oh! non lo sapete chi sono io? Apritemi, per carità, che io mi sento voglia di mangiarmi le mani...

- Rispondi breve, ti dico, o che io ti lascio.

- Sono un uomo che ha conto aperto con la giustizia; ma in verità per bazzecole... nel rimanente bandito onorato, e soprattutto fedele: mi chiamo Olimpio. Qui mi ha chiuso il Conte Cènci; da due giorni, credo, perchè qui non vedo quando sorge, quando tramonta il sole; promise tornare, e lo aspetto ancora. Deh! se tu sei cristiano battezzato dammi un po' d'acqua... un po' di pane... un po' di lume... in carità.

- Orribile! Far morire un cristiano di fame, e senza sacramenti! L'anima di cotesto scellerato è come l'inferno, di cui non si trova mai il fondo. Olimpio, per ora non posso aiutarti: abbi pazienza, presto tornerò per te; adesso mi manca la chiave.

- E voi chi siete?

- Sono Marzio.

- Tu sei venuto a godere della mia agonìa?

- Io non ho mai tradito nessuno; sta' di buon animo... addio.

- Una volta fra noi non ci tradivamo. Aspetterò... spererò... soffrirò in silenzio; ma deh! Marzio, torna presto se vuoi trovarmi vivo... ho fame... ho freddo... la sete mi consuma.

Il sangue acceso dalla ira, e il moto violento avevano gonfiato al Conte Cènci la gamba offesa per modo, che non poteva muoversi da giacere. Aveva chiuso gli occhi a torbido sonno; quando si svegliò si provava ad alzarsi, ma la doglia acerbissima non glielo concesse. Digrignava i denti per rabbia, e fra le bestemmie esclamava: e' mi bisognerà fidarmi di cotesto traditore! Allora chiamò Marzio, e questi accorse pronto e taciturno.

- Marzio, vedi se di te mi fido; prendi la chiave del carcere di Beatrice, e portale pane e acqua....

- Altro?

- No... Marzio; mettiti addosso qualche santa medaglia per cacciare via gli spiriti, se mai ti apparissero. Dove qualche voce ti giungesse all'orecchio, non la badare; coteste sono illusioni del demonio: soprattutto scansa i sotterranei a mano manca ... moriva di fame il nemico di mio nonno....

- Eccellenza, perchè non andiamo insieme?

- Non vedi, morte di Dio! che non posso muovermi?

- Se vostra figlia fosse ferita l'ho da medicare?

- No. Ma la credi ferita?

- Mi sembra, e la sua bellezza potrebbe rimanerne guasta.

- Io no voglio, per ora, che perda la sua bellezza; più tardi. Costà nell'armario vi è balsamo e terra sigillata85; se farà bisogno la medicherai.

Marzio s'impadronì destramente delle altre chiavi, chè quella del carcere di Beatrice aveva sottratto mentre il Conte dormiva, e ritornò nel sotterraneo.

- Signora Beatrice, tostochè la vide Marzio disse amaramente, ecco i doni che vi manda vostro padre; e levata la lanterna contemplò quella angelica sembianza insanguinata. Compresse un ruggito di sdegno, e quanto seppe meglio amorevole soggiunse: - venite qua - permettete che vi lavi il volto ... vi faccio male? - Intanto le andava astergendo le ferite, le medicava con la terra sigillata, e gliele fasciava. Ahi! Dio, di tratto in tratto ripeteva, vedi tu queste empietà? E se le vedi, come puoi patirle?

Compita l'opera, Marzio riprese a dire:

- Fanciulla mia, eccovi i doni che vi manda colui, che chiamate vostro padre - pane ed acqua; io, contro il suo espresso divieto, vi ho aggiunto altri cibi; ma io davvero non so confortarvi a prolungare una vita, che supera ogni più crudele supplizio; - e quello che maggiormente mi trapassa il cuore è, che da ora in poi io non potrò giovarvi più in nulla, perchè - e qui la voce gli diventava fioca - oggi ho deliberato lasciare casa vostra.

- Beatrice declinò il capo come persona tanto sazia di affanno, che ormai, se sente, non sa più lagnarsi dello strale di nuovi dolori.

- Guido è morto, e tu mi abbandoni?

- E chi vi ha detto, che monsignor Guido sia morto?

- Vivrebbe forse?

- Vive, e sano e salvo.

Beatrice piegò la faccia sopra la spalla di Marzio; ve la tenne lungamente, poi sommessa gli disse:

- Guido vive, e tu mi abbandoni?

- Ma siete voi che abbandonate voi stessa. Sentite; io voglio confessarvi cosa, che non paleserei a mio padre se tornasse di dai morti. Io sono entrato in casa Cènci per adempire un voto; e sapete voi qual voto? Quello di ammazzare il Conte Cènci. Le scelleraggini quotidiane di cotesto maledetto mi hanno sempre più confermato nel mio proponimento; perchè levandolo dal mondo, oltre a satisfare la mia vendetta, mi parrà acquistarne merito presso gli uomini e presso Dio. Ma poichè questo caso vi addolora, io nol commetterò sotto i vostri occhi: di più non posso fare per voi... non vi affaticate a parlare... nessuno potrebbe dissuadermi - nessuno; ciò che deve compirsi si compirà: di ferro ha ucciso, di ferro ha da morire... sono parole di Cristo.

- E come potè recarvi offesa il Conte? Quando veniste ad accomodarvi in casa, sua, io penso che voi gli eravate sconosciuto del tutto.

- Ma io conoscevo lui. Se mi avesse oltraggiato, se ferito, io avrei saputo perdonargli. Certo, gran peccatore sono; ma pure una volta ebbi cuore di cristiano. Egli mi ha ucciso l'anima, e mi ha lasciato la vita: ora io sono morto a tutto, tranne ad una cosa sola, e questa io vi ho detto. Sentite, veh! se io conosceva Francesco Cènci prima di entrare in casa sua; ciò non varrà a dimostrarvelo più iniquo, perchè in lui delitto più, delitto meno non conta; ma tratterrà forse su le vostre labbra le imprecazioni contro il suo uccisore. Io poco so di lettere; vi racconto così come mi porge il cuore, e voi potete credere a tutto come se fosse evangelo. Nacqui in Tagliacozzo; mio padre morì quando io era fanciullo, e mi lasciò selve ed armenti: mia madre cadde inferma, sicchè poco potè guardarmi. Crebbi; presto mi si misero attorno tristi compagni; mi avviluppai per ogni maniera di vizii come dentro un mantello; in breve, tra per danari rubatimi al giuoco, tra per le ingorde usure io venni al verde di ogni mia sostanza: con l'ultimo bicchiere di vino bevuto in casa mia gli amici bevvero l'oblio di me; sparirono col fumo dell'ultima vivanda; ma allo sparire di costoro comparvero altre genti, e furono i creditori; mi spogliarono di tutto, mi cacciarono di casa ... spietati! di pieno giorno ebbi a caricarmi la mia povera madre sopra le spalle per trasportarla all'ospedale; i fanciulli maligni mi beffarono per la via; qualcheduno tirò sassi contro di me, e la inferma.... Iniqua stirpe è l'uomo! - qui l'agonìa finisce: prima di arrivare all'ospedale mi circondano gli sbirri, mi tolgono dalle braccia la madre, la depongono in mezzo della strada, e me traggono in prigione. I creditori, non sazii di ogni mia sostanza, volevano anche bevermi il sangue: - udiva un singhiozzare soffocato... ed era mia madre che piangeva: mi voltai per consolarla, ma non la potei vedere perchè i miei occhi erano pieni di lacrime di sangue. Tentai parlare... neppure... sta bene. -

Marzio tacque alquanto; poi, asciugatosi il sudore dalla fronte, riprese:

- Ruppi la prigione, presi la macchia, mi vendicai di tutti. Al fanciullo, che gittò sassi contro mia madre, ruppi il cranio sopra una pietra; sta bene. Indi in poi segnai il calendario con la punta del mio coltello - ogni giorno fu un rigo di sangue: mi ardeva la pelle; il sangue ubbriaca peggio del vino. Dio giudicherà se io avrei potuto resistere al demonio, che prese possesso dell'anima mia; io non addurrò scusa; se merito pietà voglia perdonarmi, se no mi condanni; ma di quello che ho fatto, e dell'altro che intendo fare, io non so pentirmi... il compito che la vendetta ha posto in mano della morte non è ancora terminato; al mio rosario manca un paternostro - una testa di morto - quella del padre vostro. Nel regno faceva mal'aria per me; venni su quel della Chiesa, ed entrai nella compagnia di Marco Sciarra.

Quanto commisi da bandito non importa che voi sappiate; così non lo sapesse la Giustizia eterna! Un giorno di sabato, al tramontare del sole, seduto sopra una selce fuori le ultime piante della macchia, teneva le gomita appoggiate su l'archibugio, l'archibugio traverso alle ginocchia, e la faccia appuntellata ai pugni. Aspettava i compagni presso la quercia della Rocca Odorisi per fare le nostre preghiere della sera davanti alla immagine della Madonna attaccata alla querce, e metterci d'accordo su le faccende del domani. L'aria pareva una bocca di forno; il sole, che tramontava, aveva sembianza di un cuore insanguinato dentro un catino di sangue; i capelli lunghi mi si erano rovesciati su gli occhi; e, visti così traverso i raggi vermigli, apparivano anch'essi pieni di sangue come per certa infermità, della quale ho udito ragionare un compagno che ha dimorato un tempo nelle parti della Polonia86: me li tirai dietro le orecchie; invano. Tutte le cose mi si mostravano vermiglie: il cielo, i campi e gli animali; i tronchi degli alberi erano colore di rame, e le foglie, lucide di un verde smeraldo, riflettevano pure raggi di sangue: ebbi orrore di me! Fosse una itterizia di sangue! - Ho paura, mormorai; perchè sono solo? Oh avessi qui la compagnia di una creatura vivente per liberarmi dai miei terrori! In questo momento volgo attorno i torbidi sguardi, e vedo apparirmi davanti una sembianza angelica, signora Beatrice, proprio una Madonna staccata dal quadro, e venuta a rallegrare la terra... e poi... sentite... e non vi offendete, veh! meno ch'ella era un po' riarsa dal sole, e della persona di voi più poderosa assai... vi rassomigliava affatto: portava una mezzina sul capo, e veniva a prendere acqua dalla prossima sorgente. Io, senza pensarlo, mi rinvenni su le labbra il salus infirmorum delle litanie. Costei vedendomi vestito da masnadiero, ed armato, non soprastette, fece atto alcuno di viltà; e invero, di che cosa doveva ella temere? Contro la rapina la difendeva la povertà, contro la violenza la difendeva un cuore di Lucrezia, e lo stile attraversato alle trecce dei capelli: proseguì il cammino, e quando mi passò davanti, con voce di foglie novelle ventilate dai primi fiati di primavera, mi disse: la Beata Vergine vi consoli! - Non levai la faccia, non risposi; solo voltai gli occhi, e le tenni dietro finchè potei scorgerla. Allora, pensando al modo e al punto in cui mi era comparsa davanti, esclamai: il Signore ha pietà di te! - Ma poi, leggendo la storia dei misfatti commessi nel cielo e nella terra, che continuavano a parermi tinti di sangue, irridendo me stesso, aggiunsi: sì, certo, Cristo ha altro a fare, che prendersi cura di me. - E qui ecco la medesima voce, come lo arbusto messo dalla Provvidenza sul ciglio di una balza per salvare chi precipita, scendermi improvvisa sul cuore, ripetendo: la Vergine vi consoli! - Era la fanciulla che, attinta l'acqua, tornava a casa pel medesimo cammino. La sera successiva tornai alla Querce della Vergine, e la fanciulla venne consolandomi col solito saluto, e l'altra, e l'altra poi. Che vi dirò io più? Durare un giorno intero senza cibo sapeva, senza vederla no. - Passò un buon mese senza che la fanciulla io, per tempo ventoso o per pioggia, ci rimanessimo da convenire tutte le sere alla Querce della Madonna; e per tutto questo spazio di tempo ella a me non disse altro, che: la Vergine vi consoli! ed io a lei: Dio vi rimeriti, Annetta! - Ella aveva nome Annetta Riparella, ed era del paese di Vittana, figliuola di un pastore del contado. Certa sera, senza muovermi dalla selce dove stava seduto, con voce umile la chiamai: «Annetta, mettete giù la mezzina, se vi piace - e venite a sedervi presso a me, se non vi rincresce». Depose subito la mezzina, mi guardò fisso negli occhi, e con le sue pupille condusse le mie alla santa Immagine della Querce. Io intesi ch'ella con quel muto linguaggio volle significare: mi metto sotto la protezione della Madonna. - Allora io mi levai, la presi per mano, e, condottala davanti alla Immagine devota, le favellai così: «Annetta, dove andiamo noi? - Egli è vero, che camminiamo da un pezzo senza sapere dove dobbiamo riuscire? - La casa di mio padre abita gente straniera; su i campi, che furono miei, altri semina, ed altri miete. Di bene io nulla posso offerirti, e nulla ti offro. All'opposto, ascoltami attentamente perchè io non ti voglio ingannare: sopra la mia testa fu messa la taglia; - tutta l'acqua che hai attinto alla fontana non basterebbe a lavarmi le mani... non me le guardare, tu non vi puoi scorgere nulla; il sangue di cui vanno contaminate non possono vedere che i miei occhi, e quelli di Dio. Unendo la tua vita alla mia ti aspettano giorni di pericolo, notti di paura, tempi di patimento, e vita di vergogna. Ai figli, se mai ce ne desse la disgrazia, sai tu qual retaggio potrei lasciare io? Una camicia insanguinata. A te qual vedovile? Il nome di moglie dello impiccato. - Se do ascolto al mio cuore, vorrei che tu mi scegliessi per marito; se al mio giudizio, amerei che tu mi rifiutassi; però ti prego, ti sconsiglio: ho gittato i dadi, e accetto il tiro che mi manderà il destino: aprimi dunque schiettamente il tuo cuore, e non temere di recarmi offesa, - perchè, per questa Santa Vergine che ci ascolta, se desideri rimanere libera, io ti giuro che da questa sera innanzi tu non vedrai più la mia faccia. - «Marzio, rispose risoluta la fanciulla, conosco i vostri misfatti, e voi; e che da gran tempo io avessi scelto, pensava che i miei occhi ve lo avessero appreso: meglio con Marzio il dolore, che con altro allegrezza. Che cosa importa a me, che abbiano posto la taglia sopra la vostra testa? Se la giustizia vi cerca, noi ci nasconderemo insieme; se ci trova insieme, ci difenderemo; se ci prende, moriremo insieme. Ma non è di questa giustizia che il mio cuore si affanna; vi ha una giustizia, che non cercando trova; un occhio, che non chiude mai le palpebre sul peccato; e questa giustizia io vorrei che voi placaste, Marzio; quello che non può fare tutta l'acqua del fiume lo fa una lacrima sola, - la lacrima della penitenza». Così favellava Annetta semplice fanciulla, che ogni sua educazione aveva ricavata dallo amore che portava ardentissimo alla Madre di Dio. Mi sentii come rompere una ghiaia in mezzo del petto, e sommesso ripresi: «Annetta, io mi ti lego per fede di abbandonare i compagni quanto prima mi venga fatto, perchè lasciandoli allo improvviso sospetterebbero di tradimento, e al sospetto terrebbe dietro la morte mia; - molti essi sono, e potenti. Frattanto io giuro astenermi da ogni opera malvagia, e giuro ancora condurti per mia legittima sposa, e amarti sempre. E così dicendo mi trassi dal dito uno anello, che fu della madre mia; e accostatolo al volto della Immagine santa come per consacrarlo, lo posi nel suo soggiungendo: tu sei mia sposa. - «Io non possiedo anella, favellò Annetta; ma taglia una ciocca dei miei capelli, e conservala per promessa di unirmi in santo matrimonio con te». Trassi il coltello, ed ella piegò il collo; così feci, ma la mano mi tremò, e i capelli caddero, e il vento gli sparpagliò sopra la terra. Malaugurio era quello. Ella levò il capo, e sorridendo disse: «e tu tagliane un'altra, che importa? Tanto, se la ventura sarà buona ne ringrazierò Dio; se avversa, mi piacerà ugualmente; non ti ho detto che sono parata a tutto?»

Pochi giorni dopo, mediante spie fidatissime, pervenne notizia al signor Marco, come dal regno e dallo stato della Chiesa ci muovessero incontro grosse bande di armati per toglierci in mezzo, e prenderci a man salva. Il signor Marco, che quantunque dalla sorte maligna fosse ridotto alla condizione di capo-bandito, pure possedeva copiosamente le qualità che convengono a esperto uomo di guerra, mi spedì senza indugio negli Abruzzi a tenere di occhio la corte di Napoli, per sorprenderla in qualche imboscata. M'istruiva a parte a parte dei luoghi, e del modo da praticarsi; e mercè la virtù dell'ottimo capitano così riusciva fortunata la impresa, che non uno, - non uno sbirro rimase vivo per riportare a casa la nuova della sconfitta. Dopo dieci giorni di lontananza io ritorno: con qual palpito io mi avvicinassi alla Querce della Vergine lascio considerarlo a voi, che intendete a prova gli affanni dello amore. - A piè della querce trovai Annetta, - la trovai - ma ammazzata.

Aveva stracciati i capelli, le membra lacere, e le vesti; nel viso io le vidi le orme di piedi che l'avevano calpestata; un coltello fitto nel seno le trapassava il corpo fino dietro le spalle, e la punta per bene quattro dita stava conficcata nella terra....

Comprai un panno scarlatto; feci lavorare una bara di legno dorato; ve la riposi dentro con le mie mani, copersi coi fiori le lividure, e le ferite ... come era mai bella anche morta! - e accompagnato dai popoli del contado, in mezzo al pianto universale, io stesso dava sepoltura al cuor mio: nel calarla giù nella fossa mi mancò il lume dagli occhi, e vi caddi sopra. Quando rinvenni mi trovai seduto in terra; la fossa era riempita, il prete mi sorreggeva piangendo, e alcune donne pietose mi consolarono piangendo. Mi alzai, e me ne andai senza profferire parola.

Ricercando seppi come da alcuni giorni il conte Francesco Cènci fosse venuto ad abitare la Rocca Petrella, che tra noi si chiama ancora Rocca Ribalda; le tracce di costui erano di sangue. Una voce nel cuore mi disse: egli è l'omicida. Presi a investigare più sottilmente il caso, e per relazione di un garzoncello pastore conobbi, che tutte le sere Annetta andava alla Querce della Vergine, e genuflessa si tratteneva lunga ora a pregare davanti la Immagine. Certa sera il garzone vide passare a cavallo un uomo, che alle vesti ed al portamento gli parve un barone. Costui fermò il cavallo, e stette a considerare la fanciulla finchè essa non ebbe terminata la preghiera: allora andatole incontro, parve che s'ingegnasse di entrare in colloquio con lei; ma essa lo aveva salutato, e tirato innanzi pel suo cammino. La sera successiva il garzone, stando nel medesimo luogo a pascere pecore, vide sbucare dal macchione due bravi, che sorpresa la giovane le bendarono gli occhi e la bocca, e lei, invano dibattentesi, strascinarono via. Il pastore aveva taciuto per paura, adesso parlava per guadagno; sicchè con diligenza ne cavai fuori informazioni precise su le vesti, e su le fattezze dei ribaldi. Presi a tenere di occhio alla ròcca; nella notte mi aggirava intorno alle sue mura come un lupo, nel giorno mi appiattava dietro le siepi, o su pei rami degli alberi. La ròcca stava chiusa come la cassa dello avaro. Ma un giorno si aperse, e ne uscì fuori un uomo, che ai panni riconobbi per uno dei bravi veduti dal pastore: procedeva cauto, e portava, come diciamo noi, la barba sopra la spalla; ma io gli piombai addosso a guisa di falco: egli era atterrato, sotto i miei ginocchi, ed io gli teneva le mani alla strozza, prima che avesse avuto tempo di sapere che cosa fosse. - Ti salverò la vita, gridai, se mi confessi come uccidesti la fanciulla della Querce. Livido dalla paura, egli mi narrò che il suo padrone Conte Cènci vista la fanciulla, e trovatala bella, concepì desiderio di averla alle sue voglie; però che a lui e ad un altro servo ordinava rapirla, e portarla nella ròcca, reputandola facile acquisto; ma vedendo che con la fanciulla tornavano corte le lusinghe, e le minacce non riuscivano meglio, e parendo al Conte di fare anche troppo onore a cotesta villana, era ricorso alle violenze, alle quali la fanciulla aveva risposto menando valorosamente le mani. Onde il Conte l'aveva presa pel collo, ed essa lui, e caduti per terra vi si erano rotolati dandosi a vicenda morsi e percosse. Alla fine la giovane, come più svelta, per la prima si levava in piedi, ed aveva dato di un calcio nel viso al Conte, dicendo: «Togli, vecchio ribaldo: se avessi avuto il mio stile, a quest'ora ti avrei scannato; - ma ti sta meglio un calcio; - fra giorni ha da tornare mio marito, e, per la Vergine benedetta, non avrò pace finchè non mi porti le tue orecchie in regalo». Don Francesco si levò a sua posta senza profferire parola; e prima che la disgraziata avesse potuto schermirsi l'arrivò con sì terribile coltellata, che la passò fuor fuori dalle spalle, ed ella cadde senza potere pur dire: Gesù, e Maria! Un singulto, e basta. Poi la pestò, in vendetta del calcio ignominioso, come si pesta l'uva. Venuta la notte ci comandò portassimo il cadavere a piè della Querce della Vergine, e noi lo portammo, perchè chi mangia il pane altrui ha da obbedire. Il Conte ci tenne dietro con la lanterna; e quando avemmo depositato supino il cadavere sopra la terra egli cavò il coltello, lo rimise dentro alla ferita, e pigiando forte ne conficcò la punta nelle zolle. «Quando verrà tuo marito, esclamò il Conte, tu gli racconterai ancora questo». Udendo ciò m'invase il furore, nemico sempre al buon fine dei concepiti disegni, e gridai al vassallo: «va dunque, avverti il tuo padrone che il marito di Annetta Riparella è ritornato, e che stanotte lo visiterà in casa sua com'è dovere». E non mancai alla promessa, perchè, sovvenuto dai più arrisicati fra i miei compagni, assaltai la ròcca, saccheggiai ed arsi il palazzo. Bruciai il covo, ma la volpe si era salvata. Il Conte non avendo forza da resistere, partì subito a precipizio; e tanta fu la fretta di cansarsi di , che penetrato nella sua stanza io rinvenni sul tavolino una lettera a mezzo scritta87. Se mai un giorno andrete alla ròcca, voi potrete vedere i segni della mia vendetta impressi col fuoco sopra le muraglie. Che cosa mi avanzava nel mondo, e che cosa mi avanza adesso? Vendicarmi, e morire. Però avendo contato discretamente tutto il mio caso al signor Marco, egli lodommi molto nel partito preso, mi confortò a perseverarvi, e mi fece offerte da fratello; poi, comecchè malvolentieri, richiedendola io, mi dava licenza. Rasi i capelli e la barba, mutate le vesti mi ridussi a Roma, giurando per l'anima della defunta di temperare con la prudenza ogni intempestivo furore.

Mentre io stavo mulinando la maniera di entrare come famiglio in casa vostra, ecco la fortuna che volle favorirmi con istrano accidente. Andando per piazza di Spagna sento dietro di me un rovinìo, uno schiamazzo di voci, che gridavano: «alla vita, bada alla vita!» - Mi volto, e vedo una carrozza trasportata a furia da cavalli che avevano preso il morso co' denti. Il cocchiere, balestrato giù dal sedile, aveva percosso il capo sopra un piuolo, e giaceva col cranio aperto da un lato della strada; chi fuggiva, chi si affacciava alle finestre, chi su lo sporto delle botteghe, senza dare aiuto e senza neppure pensare a darlo; stupidi e spietati, per vedere soltanto come si sarebbero rotto il collo bestie e cristiani, e poi cavarne i numeri per giuocarseli al lotto88... Umana razza! Io mi gittai al morso di un cavallo; e quantunque per buono spazio seco mi strascinasse a furia, pure giunsi a fermarlo. Allora mise fuori dello sportello la faccia tranquilla e mansueta un barone di età matura, il quale, dopo avere commendato molto il mio coraggio, mi pregò a volermi presentare in giornata al palazzo del Conte Cènci.

Così è; io, più meno, mi era trovato a salvare la vita, senza saperlo, al mio atroce nemico. Non me ne dolsi, anzi me ne compiacqui; perchè se fosse morto in altro modo, che di ferro, e per le mie mani, mi sarebbe parsa vendetta rubata.

Il Conte mi accolse co' modi che si confanno a gentiluomo; prese contezza di me, e sentendo come io stessi ozioso per Roma, egli medesimo mi propose accomodarmi in casa sua. - Era quello che con tanto studio io cercava: certo il pellegrino non bacia tanto devotamente la Madonna della santa casa di Loreto, come io toccai le soglie di questo palazzo, col proponimento di circondare il Cènci di solitudine e di desolazione. - Diseredato di qualunque affetto, superstite ai cari figli, che io disegnava uccidergli con varia morte, orfano del cuore come aveva fatto me... quando la vita gli fosse riuscita di supplizio, la morte sollievo, conservarlo finchè i suoi polsi avessero sentito spasimo di agonìa; quando poi l'anima stupidendosi si fosse adattata alla sventura... allora precipitarla per via di sangue nel sepolcro sanguinoso dei suoi.

Un mostrarmi pronto ad eseguire ogni comando, un consigliare astuto, un proporre immaginosi trovati mi acquistarono mano a mano la sua confidenza, per quanto può fidarsi costui, che sempre, e di tutti e di se stesso diffida. Ora immaginate voi quale sorpresa fosse la mia, quando conobbi nessuno maggior piacere avrei potuto recargli come ammazzargli i figliuoli! Il suo odio snaturato vinse il mio; e dove pure io avessi continuato a portarvi rancore perchè generati dal suo sangue, o come avrei potuto tormentarvi più atrocemente di quello che si facesse vostro padre? Alla ira subentrò una pietà profonda per tutti, ed in ispecie per voi, signora Beatrice;... perchè per voi, povera fanciulla, ho concepito una tenerezza... uno amore sviscerato, che mi rammenta la buona anima della defunta, e mio malgrado mi sforza a lacrimare...

E, vinto dalla passione, Marzio fece atto di piegare le ginocchia davanti a Beatrice; se non che questa con mano pronta lo trattenne, dicendogli:

- Su, Marzio, levatevi; la polvere non ha da prostrarsi al cospetto della polvere, e noi tutti siamo polvere; - e poi soggiunse: Marzio, io vi raccomando di avvertire a quello che vi esce dai labbri; - ma con suono così dolcemente supplichevole, che Marzio non ne rimase per nulla mortificato.

- Gentil donzella, perchè volete impedirmi di genuflettermi davanti a voi? Le cose sacre si adorano in ginocchio, e voi pur troppo consacrò lo infortunio; - certo veruna creatura al mondo si rassomigliò, quanto voi, alla Madonna del Pianto. Non dubitate, no; voi da me non udirete parola di cui possano offendersi le vostre orecchie castissime: - voleva dire, che padre non possa favellare alla propria figliuola; ma lo esempio del Cènci mi ha trattenuto sopra i labbri il paragone. E perchè non dovrò amarvi io, se tanto mi rammentate la mia povera defunta? Ma la mia donna è morta, e il mio amore di amante fu sepolto con lei. Lo affetto che io sento per voi non è di devoto, di padre, e di fratello; e pure partecipa di tutti questi affetti insieme. Io so che voi siete amante riamata di monsignore Guido Guerra, e tengo in altissimo conto questo gentiluomo, come quello che ha collocato lo amore suo in così degna donzella. Più che non pensate, Marzio ha favorito i vostri legittimi amori. Incauti! Quante volte vi avrebbe sorpreso il vecchio maligno se io non era! Ultimamente, per la subitaneità del caso, se non potei prevenire monsignore Guido, io lo costrinsi alla fuga perchè ei repugnava abbandonarvi, e gli salvai la vita. Io gli mostrai che perdeva, e a voi non poteva dare soccorso: e gli promisi ancora di prendermi cura di voi, e manterrei la promessa, se voi non mi attraversaste; però ho statuito partirmi da casa vostra: - vi entrai per condurre a compimento la mia vendetta, ed ora mi è forza allontanarmi se intendo mandarla ad effetto. Da un lato, voi non volete che vi liberi dal perdutissimo vecchio; e quantunque io non possa renunziarvi la mia vendetta, pure, per rincrescervi meno, non voglio ammazzarlo sotto i vostri occhi; dall'altro considero che questa morte avvenendo qui in casa, il sospetto si aggraverebbe sopra voi innocenti; onde il meglio è che io mi allontani, perchè rimanendo non avvantaggio voi, e nuoccio a me. Signora Beatrice, se io vi supplicassi a conservare memoria di un uomo che non ebbe per voi altri sentimenti che di benevolenza e di ossequio; se vi pregassi a non odiarmi affatto, sarei forse troppo presuntuoso?

- Io ricorderò che volete uccidermi il padre: - quando sarete lontano penserò che mi potevate difendere, e che mi avete abbandonata. - Deh! lasciate vivere il Conte; i suoi anni sono molti... non lo mandate al giudizio di Dio; aspettate ch'ei ce lo chiami.

- La vostra voce è potente, ma non vince quella che mi rugge in petto. Impossibile! E non vedete espresso qui dentro il giudizio di Dio, poichè il mio proponimento soddisfacendo alla vendetta della donna, che amai tanto, porta salute a voi, sventurata donzella?...

- Il dito di Dio, Marzio, non iscrive i suoi consigli col sangue...

- Come no? L'Angiolo sterminatore lesse in Egitto la sentenza di Dio impressa su gli stipiti delle porte con nota di sangue: così almeno ho udito sovente predicare ai nostri sacerdoti. Voi vi dimenticate, Signora, che qui in Roma Iddio ebbe per suo vicario Sisto V; quello che regna, Clemente VIII, immaginate già ch'ei si abbia migliori viscere di lui.

- Io non so di sacerdoti; io so di Cristo, che riprova la legge di pagare dente per dente, e occhio per occhio, e vuole che amiamo quelli che ci fanno del male. Marzio, lasciate a Dio i suoi giudizii; quello che in Dio è giustizia, in voi sarà delitto.

- Ma come lasciarlo vivere? - esclamò Marzio percuotendosi la fronte, quasi si risovvenisse di cosa dimenticata; - ma non sapete ch'egli respira di strage? Vedete; se io rimanessi qui, - uno sciagurato avrebbe a morire di fame.

- Come di fame?

- Ahi, me meschino! Ragionando con voi si dimenticherebbe il paradiso... Povero Olimpio!... mentre io mi trattengo, tu conti i minuti con gli spasimi delle tue viscere affamate.

E così favellando prese in fretta la lanterna, il mazzo delle chiavi e il paniere deposto sul pavimento, e con veloci passi si avviò dall'altra parte del sotterraneo.

Beatrice, traendo a fatica la persona inferma, gli tenne dietro, curiosa di chiarire il truce mistero che si adombrava nelle parole di Marzio.


 

 

 




85 Presso la città di Mirina, nella isola di Lenno, sorge il colle dove gli antichi immaginarono cadesse Vulcano: il colle era sacro a Nettuno, e nei tempi vetustissimi vi s'inalzava una cappella consacrata a Filottete. Ogni anno vi saliva un sacerdote, il quale, fattivi i debiti sagrifici spargendo grano ed orzo, raccoglieva certa quantità di terra fulva, o giallo accesa; e postala sul carro la portava dal tempio giù alla pianura, e quivi col sigillo della dea Diana la suggellava. Questa era la terra lemnia, sacra, e sigillata, alla quale gli antichi attribuivano la virtù di saldare le ferite, arrestare i flussi sanguigni, preservare dai veleni, farli vomitare, guarire morsi di animali velenosi ec. Questa terra ai nostri giorni eziandio con gelosissima cura è conservata, e si sigilla col sigillo del Gran-Turco; poca ne portano in cristianità, dove s'incontra di rado. Galeno ne fa menzione nel libro IX, ove tratta delle facoltà dei semplici. - Thomaso Porcacchi, Libro della descrizione delle Isole più famose del mondo, p. 140. Venetia, 1590.



86 Plica polonica; malattia del bulbo dei capelli e dei peli. In questa malattia si osserva uno intrecciamento disordinato, una conglomerazione ed ingrossamento dei capelli o dei peli, accompagnati da nutrizione e sensibilità siffatte, che nel tagliarli grondano sangue con inestimabile dolore. Chiamasi plica a cagione dello intrecciamento, e polonica però che sia infermità quasi endemica della Polonia. - Alibert, Malattie della pelle, t. I.



87 Quando Napoleone, abbandonata l'Elba, giunse inaspettato e repentino a Parigi, il 20 marzo 1815, egli rinvenne lo studio del Re nel medesimo stato nel quale per la subitanea fuga lo aveva lasciato. Occorrevano su le tavole lettere incominciate e non finite, e talune di queste in contumelia di Napoleone medesimo. Questi, distolto da cure maggiori, fece metterle da parte, trovò tempo di occuparsene: per la qual cosa volle fortuna, che quando Luigi XVIII fece nuovamente ritorno alle Tuglierie ritrovasse tutto quanto gli apparteneva senza alterazione, o diminuzione di sorte alcuna. - Las Casas, Memoriale di Santa Elena, Cap. II. p. 167.



88 Il giuoco del lotto, nei tempi del nostro racconto, era stato funestamente inventato da Cristofano Taverna. La prima volta che se ne fa menzione è nel 9 gennaio 1448. Si proponevano alla vincita sette borse, dette della fortuna, e forse furono otto, donde il nome di giuoco dell'otto. In Genova fu instituito nel 1530. Clemente XI lo proibì. Innocenzo XIII aumentò 20 per cento su l'ambo, e 80 per cento sul terno. In Francia questo giuoco datava dal 1776: fu abolito nel 1793: riattivato nel 1797, venne soppresso nel 1836. In trentotto anni rese al Governo due miliardi! Adesso in Toscana crebbero il prezzo della giuocata, e diminuirono il premio della vincita.






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