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Francesco Domenico Guerrazzi
Beatrice Cènci

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CAPITOLO XVI

 

IL MEMORIALE.

 

«Per il che non potendo durare in così infelice

vita prese la strada della sorella Olimpia, e

mandò al Papa un buono e ben composto memoriale;

ma o che quello fosse dato, o no, la

sua ragionevole inchiesta non ebbe effetto,

si è trovato in segreteria dei memoriali quando

ne faceva bisogno mentr'era in prigione...»

Manoscritto del tempo.

 

Il vento ne portava le parole.

Petrarca, Sonetti

 

Beatrice tenne dietro a Marzio, il quale arrivato alla prigione di Olimpio lo chiamò a nome: non si sentendo rispondere, con molta ansietà gridava:

- Olimpio! Olimpio!

Una voce fioca rispose:

- Vattene via, malvagio traditore... liberami dalle tue tentazioni... mi acconcerò come potrò con Dio, per morire in pace...

Marzio schiuse la porta; e a tale debolezza era arrivato il masnadiere pel digiuno e per le tenebre, che il poco di lume della lanterna valse a ferirgli dolorosamente gli occhi, e a farlo traballare. Marzio lo sostenne, e lo indusse a bere alcun sorso di liquore cordiale, che aveva portato seco lui. Dopo brevi momenti di conforto riarse in Olimpio la rabbia della fame e della sete; come fiera si slanciò sul paniere, Marzio avrebbe potuto impedirlo s'egli non era ridotto in cotesto stato di debolezza. Marzio lo ammonì che se non faceva senno, scampato dal morire di fame lo avrebbe ucciso il cibo.

Beatrice attonita considerava il masnadiero, orribile a vedersi; imperciocchè i suoi lunghi capelli ingrommati gli pendessero giù dalle tempie come mignatte ripiene di sangue; il colore della faccia di bronzato era divenuto cenerino; le labbra nere; gli occhi verdi, e lucenti come vetro.

Riavutosi con discreta quantità di cibo e di bevanda, Olimpio così prese a favellare in mezzo al singhiozzo che lo assalse:

- Rinnegato! Cane di traditore! Marrano! Morire di fame, eh? Confessare senza corda non è di regola... il morto disseppellito ammazza il vivo: non m'importa... io voglio dire... bisogna che io mi sfoghi... Iniquo vecchio, tu volevi farmi tacere... lo capisco... ho ammazzato cinque per conto tuo - quattro di coltello, e l'ultimo, il falegname, bruciato... povero giovane!... bruciato come una talpa intrisa di acqua di ragia... Ah! ah! Requiem aeternam dona ei, Domine. E la sua moglie Angiolina? - Angiolo vero di nome e di fatto. Donna Luisa! - Santa Vergine, esaltatela voi! - Guarda te, se io sto propriamente giù in fondo del male!... ebbene; donna Luisa sta anche più su, in cima del bene. - Le fiamme della casa del falegname, il furto del curato, il ratto della Lucrezia - tutto commesso, tutto ordinato da lui; - io prestai la mano, egli la diresse: - infame mano! io ti taglierei, se non fosse la bocca che vuol mangiare. O bestie del campo, voi trovate da pascervi, noi no; quanti delitti per pane! La volpe aveva teso la tagliòla al lupo per mandarlo a dare dei calci al rovaio: - ora lo vedo espresso... tradimento di tradimento... partita doppia... bravo, per dio! - Ferito, inseguito dai mastini della corte, riparo qua dentro... allora il Conte disse: quest'uomo vuole essere nascosto; mettiamolo tre braccia sotto terra... meglio di così non può stare: ma bravo! E poi il Conte ha detto ancora: quest'uomo è cercato dalla giustizia; se fosse messo al martoro potrebbe pregiudicarsi con le sue confessioni; quando è morto, la corda non lo farà più parlare. - Marzio, da bere. - Non è egli uomo serviziato il Conte Cènci? - Per la Vergine sì. - Don Francesco, se questa è la ospitalità che riservate agli amici, e ai servitori vostri... in di Dio non vi scemeranno le entrate... no... da bere.

- Olimpio non affaticarti, taci; nudrisciti a bello agio... riposati... rifa' le forze... fra poche ore io verrò a levarti.

- Mai no, che non mi rinchiuderai più; - adesso ho fame e sete di aria: mi pare avere sul petto la cattedrale di San Pietro. San Pietro! Ho io rammentato San Pietro? Ebbene; io non mi fido neanche di lui che tiene sempre le chiavi in mano, perchè anch'egli patisce del mestiere, e le mette più in opera per chiudere che per aprire.

- Olimpio quietati; ormai tu vedi che fin qui non ti ho tradito.

- Il minuto che passa è forse mallevadore del minuto che entra? Una volta tra dodici apostoli appena si trovava un Giuda; adesso tra dodici uomini undici, sono traditori, e il dodicesimo un po' tarlato. - Se ho da morire... lasciami bere un altro bicchiere di vino, e andiamo; ma come devono morire gli eroi, e i banditi romani... a cielo aperto...

- Ribaldo! Ti pare che questa bottega porti insegna di traditore? - disse Marzio scuoprendosi con la destra la fronte; - ho promesso salvarti, e ti salverò: non vedi che tu barcolli come ebbro, e le tue ginocchia si urtano insieme? Il vino ti ha dato alla testa. - Adesso ci scuoprirebbero, e ammazzerebbero tutti e due.

- Ma colei, ch'è teco, che femmina è? - Non è la sua figlia? - O come ci entra teco? - proseguiva Olimpio fregandosi gli occhi.

- Veramente ella è la signora Beatrice; ma va sicuro che non venne qui per nuocerti.

- Poichè non posso rimediarla meglio mi fiderò... brutta parola è cotesta! - Marzio, siccome io ho veduto che tra gentiluomini e gente altra cotale, che va per la maggiore, si fa conto dei giuramenti e delle promesse quanto dei grilli dell'anno passato, così mi presumo che fra noi la faccenda sarà diversa perchè fra me, e te, - mi pare che ci corra quanto fra te, e me - misura giusta; e noi siamo villani. Marzio, io vorrei legarti con la promessa di un premio; ma la mia anima si trova ormai ipotecata al diavolo, e pel corpo tu avresti lite con mastro Alessandro. Se tu avessi qualche nemico, che patisse del male di angina... - e con la destra si toccò la gola.

Marzio alzò le spalle, quasi volesse dire: cotesto so molto ben fare da me. Allora Beatrice si attentò di favellare:

- Marzio vi salverà, non ne dubitate; ed io, in mercede, vi domando cosa che mi potrete donare molto agevolmente, e nella quale il guadagno sarà tutto per parte vostra. Voi mi avete a promettere, che uscendo da questo pericolo muterete vita.

- Oh Signore! che si può mutar vita come si muta la camicia? Io non ho imparato altro che maneggiare il ferro, e il ferro è fatto per ferire...

- Il ferro è fatto non per ferire il cuore dei fratelli, donde viene la morte; ma sì per lavorare la terra, ch'è sorgente di vita. Muta il tuo ferro in vanga, e la misericordia di Dio si distenderà fino a te...

Questa risposta Beatrice dava al bandito pacatamente, senza petulanza, e con voce soave per modo, che Olimpio, il quale per costume era solito piegarsi agli avvertimenti altrui a un di presso come un campanile al vento di primavera, sentì un non so che nello stomaco, che non capiva bene se dovesse attribuire alle parole udite, o al digiuno sofferto. Ci pensò sopra un pezzo, e non gli riuscendo bene a sciogliere il nodo, gli parve attenersi al più certo; onde concluse la sua meditazione dicendo: sarà il digiuno!

Tornando al carcere di Beatrice Marzio favellava:

- Vostro padre è una miniera di delitti; più se ne scava, e più se ne trova. Io, che pure non mi spavento per poco, quando mi affaccio a quel pozzo disperato rabbrividisco, e non comprendo più nulla. Voi dunque non volete consentire alla morte di lui; meglio così: conservatevi rosa bianca, e pura, quantunque, a parer mio, ove si tinga in vermiglio per sangue scellerato non perda pregio davanti agli uomini, davanti a Dio. State lieta però; i giorni della vostra schiavitù saranno meno lunghi di quello che voi poteste temere.

- Dio disperda lo augurio perchè so a qual patto sia la mia libertà; e, Marzio, se voi mi amaste davvero, come dite, se le mie angosce vi avessero toccato il cuore, ah! voi non persistereste a rendermi la femmina più desolata del mondo macchinando togliermi il padre...

- Dite un carnefice...

- Mio padre... però che da lui ebbi la vita, e per lui senta, e per lui spiri...

- Vi diè la vita per contaminarvela, o per togliervela.

- E sia così; ma se egli dimentica le parti di padre, dovrò io obliare quelle di figlia?

- No; dunque ognuno la sua parte: a me spetta quella di vendicatore. - Cessate... vi ripeto, Signora... voi vi affaticate invano; voi potreste trasportare più prestamente con le vostre mani gli obelischi di Papa Sisto fuori di Roma, che rimuovere me dal mio proponimento.

- Di voi non sono signora, di me sì.

- io ve lo contrasto...

- Guardate, chè io mi dispongo ad avvertire il Conte ond'egli stia su lo avvisato.

- Avvertitelo. Non sarò io la volpe, che insidia la gallina: - prima di rovinargli addosso io ruggirò, perchè senta che il leone si accosta.

- Ma s'egli uccidesse voi?

- Ho sentito raccontare che, anticamente, nei giudizii di Dio era tratta una bara sola; uno dei due combattenti la doveva empire. Se la Provvidenza giudica delle cose umane, vi pare che debba essere io quegli che la riempirà? - Poche più ore mi avanzano a starmi qui in casa vostra: - avete nulla a raccomandarmi, signora Beatrice? Io per me niente sono; una moneta di rame; pure, se data di buon cuore al poverello, frutta una di quelle preghiere che fanno proprio diritta la via del paradiso.

- E notate ancora, che io vi attraverserò con ogni mia possa.

- Voi?

- Anche la formica salvò il colombo pungendo il piede allo arciere. - Ed ora che vi ho detto tutto questo, non vi sentite sdegnato meco, Marzio?

- Niente affatto. Non ve lo espressi pur dianzi? Ogni uomo è forza che fili la stoppa che gli pose in mano il destino. Forse, chi sa? Dove io vi avessi trovato diversa da quello che siete, vi avrei tenuta di maggior senno, ma vi avrei amata meno.

- Ebbene, Marzio, per favore estremo io vi chiedo lasciarmi per breve ora la lanterna, e recarmi quanto abbisogna per iscrivere. - Io non voglio omettere di tentare argomento alcuno di salute piuttosto per non avermi a rimproverare di negligenza, che per isperanza che io ne abbia: distenderò un memoriale a Sua Santità, supplicandola per le viscere di Gesù Cristo che provveda a me come fece a Olimpia. Questo parmi il partito migliore. La fuga con Guido, che immaginai esaltata dalla passione, io riprovo adesso: conosco che desterebbe scandalo; il torto sarebbe mio, e il mondo, ignaro delle cause che mi mossero, confonderebbe la mia deliberazione col volgare amore d'invereconda fanciulla, che sottomette la ragione al talento. Inoltre per cagione mia andrebbe guasto ogni disegno di Guido: sembra che a lui prema tenersi il Papa bene edificato, e tanto basta per amante discreta onde abbia a rispettare la volontà sua. Ogni via ultima di salute sta in questo, che Guido si adoperi a fare pervenire prestamente il memoriale al Pontefice, e ne ottenga risoluzione sollecita. Voi poi, per accendere Guido a non indugiare, gli confiderete quello, che io morirei di vergogna a palesare, non che ad altrui, a mia madre. - No... no... sciagurata! non gli dite nulla... promettetemi, Marzio, che non gli direte nulla.

- Farò come volete. Signora Beatrice, date ascolto: per me oggimai nulla temo perchè disposto a uscirmene infra brevi ore di qui, e perchè vostro padre non è tanto astuto che io non lo sopravanzi. Egli mi sospetta, ed i suoi sospetti si convertono in punte di ferro: egli lo ha palesato. La confidenza mostratami stamani è finta per ingannarmi: ad ogni modo non temo. Voi debole, inerme, inoffensiva, dovete troppo più paventare di me: io voglio farvi un dono, che ad ogni estremità possa giovarvi; egli vale quanto noi vogliamo che valga... Eccovi un coltello...

- Grazie; quando non mi rimanga altro scampo, con questo sarà più certa la morte.... e meno dolorosa...

- Or ora io vi porterò da scrivere; voi mettetevi subito alla opera. Io simulerò di nettare le mie pistole nel giardino: dove mai vedessi don Francesco piegare verso il sotterraneo per sorprendervi, io sparerò la pistola, come se avesse preso fuoco a caso: voi, avvertita dal colpo, spegnerete la lanterna, e nasconderete ogni oggetto, prima che il vecchio arrivi...

- Così farò. Addio...

Quando Marzio tornò in camera di Francesco Cènci lo rinvenne sempre giacente in letto, e, secondo ch'ei dava ad intendere, afflitto da dolori atrocissimi. Non senza maraviglia Marzio vide di qua e di del capezzale due frati domenicani, che dal viso poco angelico, e meno serafico pareva ch'eglino pure andassero persuasi di non possedere grande aria di santità, imperciocchè tenessero i cappucci tirati giù sopra gli occhi. Il Conte ordinò a Marzio posasse le chiavi, e si ritirasse. Partito ch'ei fu, il Conte, ridendo, disse loro:

- Reverendi Padri, lo avete notato bene? Domani egli partirà per Rocca Petrella; le vostre paternità lo aspetteranno nel luogo che reputeranno più adattato, e voi me lo manderete allo inferno, o in paradiso (che in quanto a questo poco m'importa) con due palle traverso il corpo... avvertite, che quattro non guastano nulla: poi gli celebrerete due messe in suffragio dell'anima. Intanto prendete la elemosina; - e porgeva loro un gruppo di moneta.

- Eccellenza dormite fra due guanciali, che noi vi serviremo da pari vostro; - rispose uno dei frati.

- Anime elette! Anzi, per non dar luogo a svarioni, osservate questo mantello scarlatto; voi lo vedrete o addosso al vostro uomo, o davanti alla sella del suo cavallo.

- Oh! non fa al caso perchè io l'ho in pratica.

- Davvero? E come?

- Eccellenza ve lo dirò un'altra volta, perchè stando qui in Roma mi sembra camminare sopra la zolfatara... mi si bruciano le scarpe.

 

*

* *

 

- Marzio, accompagnate coteste Reverenze. Padri, io mi raccomando alle vostre orazioni.

- La pace sia con voi.

- Amen.

Marzio accompagnò cotesti frati di cui lo strano aspetto era tale, da fare rabbrividire Cristo comunque crocifisso: tentò ficcare gli occhi sotto al costoro cappuccio, ma non gli venne fatto di bene ravvisarli: mentre stavano per uscire, uno di loro, voltandosi per salutare col solito ritornello la pace sia con voi, lasciò cadere un largo coltello; il quale raccolto prestamente da Marzio, fu con gesto umile presentato al frate dabbene.

- Reverendo Padre, vedete che vi è caduta la corona.

- Figlio mio, il Signore non vieta difendere la nostra vita dalle aggressioni degli scellerati; anche i santi lo hanno fatto.

- Sicuro!... Perchè per diventare santi non importa mica essere anche martiri. All'opposto, Padre, invece di scandalizzarmi, voi mi avete edificato per modo, che io supplico devotamente la vostra Reverenza a volere ascoltare la confessione di certo peccato, che mi pesa su l'anima.

- In questo luogo? Adesso?

- Ogni momento non è buono per salvare un cristiano? Forse Gesù rispondeva a coloro, che si voltavano a lui, venite domani? Padre, non mi rimandate sconsolato; vedrete, ella è cosa di pochi minuti; entrate in questa stanza terrena, e tutto andrà d'incanto.

E così dicendo lo prese a forza per le braccia per menarlo seco. Il frate non oppose resistenza, e, avvertito il compagno di attenderlo alquanto, entrò con Marzio nella stanza terrena.

- O Grimo, e' ti ho riconosciuto, sai... - disse Marzio levando risoluto il cappuccio al frate.

- Ed io te, Marzio... come ti sei avvilito! Chi ti avrebbe creduto capace di ridurti a fare lo staffiere...

- E tu frate? - Quali negozii ti chiamano qui dentro?

- Te lo dirò; ma tu, come servitore in casa Cènci?

- Per ammazzare il Conte assassino di Annetta Riparella, la fanciulla di Vittana.

- Ed io per ammazzare domani un certo Marzio, il quale penso che deva essere un po' tuo parente.

- Me?

- Come hai indovinato giusto! Ma io l'ho detto sempre, che tu contieni più seme di un cocomero.

- E tu lo farai?

- Ho riscosso il prezzo; e tu sai la regola di sicario onorato.

- In questo caso troverai giusto, che io ammazzi prima te.

- Niente affatto; vi è modo di aggiustare tutte le cose. Noi fummo compagni antichi nella banda del signor Marco, dove imparammo sempre onorati esempii di virtù; cane non mangia carne di cane: qualche volta, per rabbia, un occhietto di più, che ci facciamo, non guasta la buona amicizia; ma dietro la siepe mai: questo operiamo per conto dei Signori contro gli Signori perchè ci sono tutti nemici vecchi. Però quando si è ricevuto il prezzo dell'omicidio bisogna adempire il patto; altrimenti il nostro mestiere, come conosci al pari di me, scapiterebbe di credito e di avventori. Io mi sono legato per fede ad aspettare domani, su la strada per Ròcca Petrella, un uomo che porterà addosso o sul cavallo un mantello di scarlatto, e ammazzarlo. Io lo aspetto, egli non passa; il mio obbligo è soddisfatto, e posso tornarmene in buona coscienza alla macchia. Ti garba così?

- Eh! non ci è di male. E il tuo compagno chi è egli?

- Gli è figliuolo di Trofimo il molinaro. Vedi un po' come è cresciuto; ha fatto a occhiate: trovò la sua amorosa a discorrere con un giovanotto di Rieti, e gli accadde di scannarli tutti e due - una vera ragazzata: - saranno sei mesi che ha preso la macchia, e promette bene. Ora lasciami andare, e occhio alla penna perchè il vecchio è mastino di buona razza.

- C'ingegneremo, fra Grimo; non fosse altro per non fare torto alla reputazione della compagnia. Ma, senti, mi è venuto in capo una fantasia; dove mai mi occorresse bisogno di adoperarti (pagando, s'intende) con questo tuo garzone di belle speranze, dove avrei da cercarti?

- Alla osteria dell'Acqua ferrata, dove si prendono i muli per Rio freddo, tu troverai un ragazzo sordo e mutolo, che s'ingegna come stalliere; se gli dirai con garbo, e più sotto voce che potrai: su Monte Bove deserta è la via, forse avverrà ch'egli t'intenda, ed anche che ti risponda. In ogni caso egli mi farà sapere quello che tu vorrai da me. E per ora ego te absolvo.

Gli antichi compagni si separarono più amici di prima. Marzio tornò in camera al Conte, il quale, dopo avergli comandato certi servizietti, che quegli adempì con la solita diligenza, così prese a favellargli umanamente:

- Marzio; se io odio, ciò avviene perchè gli altri mi odiano; sopportare questa vita è lieve cosa, poichè, tranne te, tutti m'insidiano la vita, tutti agognano le mie sostanze. Io solo sto contro tutti; ma, come Orazio, non ho ponte dietro le spalle. I miei figli poi sopra gli altri mi abboniscono, spinti a questo da due ragioni, negli uomini potentissime: bisogno di vendetta, e cupidigia di averi. Una cosa m'inacerbisce, e consiste nelle forze che scemano, e nella perduta prestanza del corpo. È inutile dissimularlo; gli anni incominciano a pesare; onde io non vorrei ridarmi al caso del lione, che ebbe a sopportare i calci perfino dello asino. È prudenza uscire di teatro prima che spengano i lumi: ho deciso pertanto ritirarmi alla Rocca Petrella, feudo che possiedo su i confini del regno. Ne conosci le vie?

- Credo di sì. Si prende da Tivoli; e poi domandando si va a Roma, dice il proverbio.

- Domani, dunque, tu monterai a cavallo con nostre lettere pel castellano, e partirai per quella volta: colà, come persona pratica e sufficiente, tu invigilerai i lavori, che ordino per porre in assetto il castello; farai mettere nuovi serrami alle porte: intanto apparecchiami alcune stanze, e attendi a fare scomparire le tracce dello incendio...

- Incendio! dite voi? O che abbruciò la ròcca?

- I banditi, mentr'era poco guardata, me la saccheggiarono, ed arsero. A quei tempi si riparava molto nei boschi circonvicini il signor Marco Sciarra, e dove la sua banda passava ti so dire che non metteva più erba...

- Ma io non udii mai che la banda del signor Marco ardesse, e guastasse...

- Accattai briga con uno dei suoi uomini per una follìa, che non meritava la spesa. Certa volta mi prese vaghezza di una villana, di una capraia, che so io? - Lo crederesti, Marzio? Costei ebbe ardimento di resistermi, e di minacciarmi la vendetta del suo marito. Siccome ella era devota della Beata Vergine dei dolori, io la resi simile affatto alla sua santa avvocata piantandole un coltello nel cuore. Il marito, o amante che fosse, prese la burla sul serio, e, aiutato dai compagni, mi fece il tiro di bruciarmi la ròcca.

- In verità egli ebbe torto. Al diavolo lo zotico, che non capiva l'onore che gli faceva un conte di contaminarsi con la sua villana.

- Ma!... tanto è, non la vogliono capire. - Orsù, mettiamo da banda queste freddure. Danari non importa che tu prenda teco; il castaldo deve avere riscosso a questa ora i canoni dei fittaiòli; - solo per amore mio porterai questo mantello, che ti dono; egli ti riparerà dalla guazza, dalla quale importa riguardarci bene.

- Eccellenza, un tabarro scarlatto trinato di oro, ma vi pare che sia abito conveniente per un povero vassallo come sono io? - E' mi parrebbe di fare la figura di uno dei re maghi.

- Chi dona considera la sua larghezza, non la umiltà di cui riceve; e poi anche di cotesta pasta si fabbricano baroni. Che cosa ti pensi che ci voglia, ai giorni nostri di decadenza, per mutare un contadino in conte? Un mantello rosso, e qualche migliaia di scudi. I titoli sono diventati le indulgenze dei Principi, e col miscuglio della piccola gente essi guastano la vera ed antica nobiltà; un giorno se ne avvedranno, e se ne pentiranno. A me non importa nulla. Intanto, Marzio, prendi il tabarro, e pei danari pensa che il Conte Cènci possiede tanto che basta per mutare quindici mendichi in principi romani; e rammenta ancora, che a patto che la mia roba non vada agli odiatissimi figli, io mi contento che si spartisca fra i miei servitori. Dunque o stanotte, o domani sellerai lo storno, che tra i miei cavalli è il più poderoso, e mettiti in cammino; io ti terrò dietro fra cinque giorni, o sei. Intanto rendimi le chiavi del sotterraneo: alla ribelle figliuola provvederò da me stesso.

Marzio gliele dette senza esitare, ma nel porgergliele pensò: Ribaldo vecchio! e non sai, che quando il tuo diavolo nacque il mio andava ritto alla panca? - E questo avvertiva perchè. come quello che industriosissimo uomo era, non aveva messo tempo fra mezzo, e con suoi arnesi saputo in breve ora ridurre altre chiavi, e adattarle alle serrature dei sotterranei.

Tolto commiato, fingendo apparecchiarsi al viaggio, si pose in guardia nella stanza terrena, dove metteva capo il corridore che riusciva alla porta dei sotterranei: quivi prese la valigia da trasportarsi sopra le groppe del cavallo; riguardò la briglia, le cinghie, la sella e le armi; e come se avesse rinvenute queste irrugginite pel non uso, con olio e smeriglio si tratteneva a polirle, stando sempre con l'occhio avvertito.

Al Cènci, quando parve tempo, persuaso sorprendere Beatrice con qualche foglio scritto da lei, o ricevuto di fuori mercè il soccorso di Marzio, cauto, ed obliquo a modo del gatto, strascinandosi a stento per via della sua infermità, s'ingegnava penetrare inosservato nella prigione di Beatrice. Marzio, appena con la coda dell'occhio lo vide comparire alla lontana, scattò la pistola, la quale sparando levava immenso rimbombo in cotesti luoghi chiusi. Lo astuto Conte penetra di un baleno la trama; freme in cuore, ma in volto non muta colore, non istringe sopracciglio: oggimai per cotesto segnale Beatrice era stata avvertita, e la sorpresa riusciva invano. Si appressava pacato a Marzio, e con ipocrita ingenuità gli diceva:

- Ma badaci, figliuol mio, un'altra volta; chè ti potresti guastare una mano.

- Figuratevi! gli è stato proprio casaccio. Restare inabile per tutto il tempo della vita preme ancora a me. - Lasciate però che io mi rallegri con voi, vedendovi così presto guarito della gamba da potere uscire da letto.

- Veramente cotesti buoni Religiosi, che tu hai veduto, mi avevano portato una reliquia capace di operare questo, ed altri miracoli; ma io non ho consentito che per me disturbassero Dio nello eterno suo soglio: mi attengo modestamente allo empiastro di malva. Io mi sento tutto altro che sanato; il bisogno di prendere un poco d'aria pura, il fastidio insopportabile di tenermi giacente in camera mi ha spinto a perigliarmi fino qua. Marzio porgimi il braccio, tanto che io possa un po' riconfortarmi qui allo aperto.

Marzio gli diè braccio; sicchè a vederli parevano i più amorevoli padrone, e servo, che da un pezzo in qua avessero rallegrato il mondo.

Io non so davvero qual pazzia sia questa dei poeti, di ricorrere alle bestie per paragone delle umane passioni. Vogliono dare ad intendere una immanità inaudita, ed eccoti in ballo la tigre, e, per di più, ircana: qualche grossissima ira fra due uomini arrabbiati, e, o Ariosto, o Tasso, o Tassoni, o Poliziano, o gli altri infiniti (imperciocchè questa similitudine io credo che pel molto uso caschi in pezzi) ti cantano

 

E si vanno a incontrar, non altrimenti

Che due cani (o due tauri) furiosi, e d'ira ardenti.

 

Se due persone, che si aborrano fra loro, si dice: stanno d'accordo come cane, e gatto. Sicuramente che cane e gatto, se non fossero aizzati l'uno contro l'altro, starebbero d'accordo; ed io ho veduto una cagna allattare due gattini orfani: cosa da intenerire i sassi, e le Signore patrone degli Asili infantili. A che giova importunare le bestie che non possono renderci la pariglia, non componendo poemi, e non possedendo stamperie? Vi hanno forse rabbia, o ira, o ipocrisia bestiali che superino quelle dell'uomo? Questa creatura è pari a se stessa, a nessuna seconda; a molti facilmente prima. Se volete proprio dare idea di persone che si odiino con tutte le potenze dell'anima, dite piuttosto che si accordano come padrone e servo, e parlerete più dritto. Certo io non nego, che se i servi possedessero metà delle virtù che i padroni pretendono da loro, non vi sarebbe servitore che non meritasse avere al suo servizio una mezza dozzina di padroni; almeno tale era il parere di Figaro: ma per altra parte troppo spesso i servi così si mostrano o cupidi, o ingrati, che sarebbe risparmio grande di afflizione fare da se. Marzio e il Conte procedevano braccio a braccio, e si scambiavano parole di benevolenza.

- Vivono i tuoi genitori, Marzio?

- Sono orfano; parenti ho da averne di certo; però da gran tempo non udiva notizia di loro.

- E forse i luoghi ritengono qualche vestigio di fiamma antica?

- Fiamma!... Io la ebbi, ma me la spense il vento.

- Davvero! O narrami un po' questo caso.

- È breve; un potente barone se ne invaghì; costei fu temeraria tanto, da rifiutare l'onore che il barone volea farle; il barone la uccise, e la pagò secondo i meriti.

- Motivo forse di sospiri per quindici giorni. Il tempo rimargina presto le ferite.

- Non tutte; dentro alcuna si tronca il coltello, la carne vi cresce sopra, ma la ferita sanguina sempre.

- Marzio, la commedia della vita non si compone di un atto. Hai tu veduto ghirlande di un fiore solo? Sta' lieto; tu sei giovane, tu sei bello; un'altra volta, e due, e dieci tu potrai menare allegri balli con giovani leggiadre intorno ai fuochi di maggio. Io non pretendo che la sorveglianza dei lavori alla ròcca di tanto ti occupi, che tu non possa dare una corsa fino alla tua patria, che se bene mi rammento ha da essere Tagliacozzo, per ritrovare qualche sorriso di vita che dissipi ogni nebbia di sospiri di morte.

- Così farò, don Francesco, poichè me ne date licenza: vo' provare, se mi riesce, a scacciare un diavolo con un altro.

Dio eterno! Mentre si ricambiavano siffatte cortesie, i costoro colli, come sotto ad un medesimo giogo, andavano gravati dal pensiero dello scambievole omicidio: ed anche questo è un pregio, del quale gli uomini possono vantarsi superiori alle bestie. Il Conte dopo breve cammino tornando a dolersi del piede offeso, mostrò voglia di ricondursi in camera; e Marzio lo accompagnò, e lo sovvenne con amorosa assistenza.

Scesa la notte, quando a Marzio parve che tutti dormissero nel palazzo, con veloci passi s'incamminava al giardino: quivi assicurò al muro del recinto una scala; poi, aperte con le doppie chiavi le porte del sotterraneo, liberò Olimpio. Questi col cibo e col riposo aveva recuperato le forze, e con le forze lo acuto desiderio della vendetta, per cui era venuto nel proponimento di appiccare il fuoco al palazzo dei Cènci prima di abbandonarlo; Marzio ebbe a durare piccola fatica per contenerlo, e gli andava dicendo: si quietasse per ora; lui premere smisuratamente più atroce la necessità della vendetta; fra giorni egli ne trarrebbe del Conte una memorabile, e sicura; essere iniquo offendere tanti innocenti per colpa di un reo.

Poi si condusse al carcere di Beatrice; l'animò a fuggirsi seco lui, ma la rinvenne ferma nel suo proposito di sopportare quello che alla Provvidenza fosse piaciuto disporre di lei. Venutogli meno ogni argomento, prese il memoriale; la confortò come seppe, provò allontanarsi, tornò indietro: sentiva, nello abbandonarla, scoppiarsi il cuore come per morte. Finalmente a lei, che non cessava scongiurarlo deporre per lo amore di Dio ogni disegno di vendetta contro il padre suo, baciò, e ribaciò affettuoso le mani, e poi si allontanò con passi concitati esclamando: «Fatale! fatale

Olimpio si salvò per la scala del giardino; Marzio uscì dal palazzo montato sul cavallo storno, portando su le groppe di quello avvoltolato il mantello scarlatto trinato di oro.


 

 

 




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