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Francesco Domenico Guerrazzi
Beatrice Cènci

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CAPITOLO XX.

 

LA NOTTE SCELLERATA.

 

. . . . Con mano empia tentava

I misteri di amore in quelle membra,

Ma lo respinse un Dio che lei vegliava.

Il Dio che pura se la tolse in cielo,

Come quando ella uscìa dal suo pensiero.

Anfossi, Beatrice Cènci.

 

Ecco come si ammenda il Conte Cènci.

Sparsa le bionde chiome, con la fronte volta al cielo, le braccia abbandonate, genuflessa sul pavimento sta Beatrice Cènci dentro una stanza della Rocca Petrella. Alla bellezza, e all'atto rassomiglia la inclita statua della Fiducia in Dio, nella quale lo Artefice della «terra dei morti» ha infuso un'anima, ch'egli stesso non aveva124.

La stanza in cui si trova è una prigione: - ormai la sua vita sembra un tristo cammino, del quale le prigionie sieno le colonne milliarie per distinguerne gli spazii. L'aspetto della stanza apparisce strano a vedersi: splendido è il letto per cortine ampissime di damasco, e cornici dorate; ricopre il pavimento uno arazzo rappresentante Enea, che ascolta i presagi maligni dell'arpia Celeno: sopra una rozza tavola di albero stanno vasi e bacili di argento: le pareti squallide, e tracciate col carbone dalle sentenze, che la tristezza, o l'ira, o il rammarico spremono dal cuore del carcerato... stille di essenza di angoscia, uscite fuori per la gran forza dello strettoio della necessità. -

Il cielo si contemplava per breve tratto traverso una ferrata, davanti alla quale il Conte Cènci, quel perfido ingegno, aveva fatto inchiodare uno assito a modo di tramoggia; sopra la tramoggia ordinò adattassero una graticola fitta di filo di ferro. qui si fermava la vile crudeltà del Conte Cènci; chè col declinare del giorno procurava calassero sopra la tramoggia una ribalta circondata intorno da festoni di tela, togliendo a un punto la luce del cielo e l'aria, conforto supremo alle viscere straziate. La carcere allora pareva chiudere la bocca, ed ingoiare intera la sua vittima, come fece di Giona la balena125.

Povera Beatrice! Il cielo, che tu amavi cotanto; il cielo, consapevole dei gentili pensieri dell'anima tua; il cielo, da cui attingevi conforto negl'ineffabili dolori; il cielo, che sovente chiamavi in testimonio della rettitudine del tuo cuore; il cielo, che desiderando contemplavi come la patria libera del tuo spirito divino, adesso o ti si mostra traverso le sbarre e le graticole di ferro, o ti si toglie affatto nella guisa, che Dio vela la sua faccia ai dannati nelle pene eterne dello inferno.

Il sole getta obliquo lo sguardo dentro; i suoi raggi pesano, ed ei si affretta a ritirarli, quasi per paura che gli rimangano avvinti, e presi alla rete delle graticole126.

Se durante la notte l'aria viene tolta a Beatrice, durante il giorno non gliela ministrano a larga misura; anzi sottile come il cibo dentro città bloccata. Se il Conte Cènci avesse potuto dargliela chiusa in un vaso senza mai sollevare la ribalta, oh come volentieri lo avrebbe egli fatto! imperciocchè gli ultimi casi lo avessero reso alquanto pusillanime; e quando la codardìa ha sussurrato nell'orecchio alla crudeltà: trema, non vi ha cosa o tanto assurdamente spietata, o tanto atrocemente ridicola, che queste rifuggano da mettere in opera.

Beatrice si affaticò sovente arrampicarsi fino alla parte superiore della inferriata, tentando quinci scuoprire o cima di albero o vetta di colle, che le fossero all'anima come un ricordo della bella natura: e quantunque tre, quattro volte e sei rimanesse delusa, non per questo cessò ritentare; perocchè sia amaro rassegnarsi alla perdita dell'aria, della luce, e della vista del creato, che Dio benigno concesse all'animale più abietto. Dotata d'anima di poeta, capace di rendere eco dalla sua più sottile e recondita fibra alle sensazioni del bello, almeno per le fessure s'ingegnò vedere i colli azzurri, le verdi vallate, il fiume, boa immenso delle acque, che serpeggia per la pianura, ma non le fu dato. Malignamente invidioso di quell'aura di refrigerio, il Conte più volte il giorno, e più sovente nelle ore matutine, mentre un po' di sonno le rinfrescava il sangue infiammato, mandò fabbri, che sospesi a corde aeree (non veduti da Beatrice) martellavano, conficcavano, ristuccavano, ristoppavano, calafatavano, tormentavano insomma con quel fragore continuo, che è proprietà dello inferno; - onde il capo l'era diventato come infranto, e in qualsivoglia parte, comecchè leggermente, lo toccasse si sentiva dolere per tutta la persona.

Oh quanto riso di cielo balena di da coteste luride tavole, oh come la natura esulta nella sua bellezza oltre cotesto sozzo assito! Maledetta la mano, che si pone fra gli occhi dell'uomo e la natura! L'anima si strugge di desìo; e se vede trapassare un uccello, si posa sopra la sua ala e gli raccomanda di portare per lei un saluto ai cari parenti, e ai luoghi della sua infanzia.

O nuvoletta bianca, che traversi questo palmo di cielo che mi è dato fruire, io non vedrò quando arrivi a baciare la luna; o stella cadente, io ti ho veduto muovere, ma non posso vedere dove vai a finire; o foglia, che voli sopra l'apertura del mio carcere, dove terminerà di trasportarti il vento? Farfalla, le rose che desideri sono lontane di qui; io non vedrò quando, innamorata, tu accarezzerai con l'ale il tuo fiore diletto... No, viva Dio; per negare la vista di queste immagini non basta che la crudeltà e la paura avviluppino nello loro spire un'anima maligna, come i serpenti di Laocoonte; bisogna che al lurido sabbato dei suoi pensieri intervengano ancora la superstizione e la invidia: la prima, furia di fuoco che osò seppellire vive le tenere fanciulle, le quali, odiati i riti infecondi di Vesta, sagrificarono a Venere alma genitrice della Natura; la seconda, furia di ghiaccio che accecherebbe il genere umano, caccerebbe dal cielo l'occhio del Sole, vorrebbe insano anche Dio perchè essa è cieca, e folle.

Lo insetto dalle ali dorate penetrò in questo sepolcro di vivi, ma presto ne usciva cruccioso ronzando: «dalle cure del carcerato non si fa mèle, ma tossico». L'uccello per un momento ha posato i piedi sopra queste graticole; ma è fuggito via gittandovi dentro un pianto, come se intendesse dire in sua favella: «tu sei infelice, ed io non posso aiutarti».

Dentro il carcere, dietro la infame tramoggia, Beatrice invece di ricevere le impressioni esterne, e consolarsi contemplando, o ascoltando: - invece di blandire la memoria implacabile, e sopire la febbrile attività del pensiero riducendosi in condizione, più che potesse, passiva, ha dovuto all'opposto suscitare le fiamme divoranti della immaginazione; alimentare la ferita.

Ha sentito, quando sparisce l'allegrezza del giorno, e la crescente mestizia delle tenebre persuade ricorrere per consolazione alla Vergine dei cieli, - lontano lontano alternarsi il canto delle litanie dinanzi la immagine della Madonna dei Dolori, che sotto il suo gran manto celeste ripara tutto il genere umano (tranne quelli che fanno piangere), ma non ha potuto mescolarsi con le altre donne alla santa preghiera. - Lei percosse a vespro la voce rozza, ma lieve come l'aura dei poggi, della montanina, che riduceva a casa le capre, e non potè conoscere dall'alacrità degli occhi rivolti frequentemente in giro, dallo incesso irrequieto, dal simbolo dei fiori intorno al cappello se pei suoi amori correva la stagione dei sospiri, o quella delle lacrime. - Su l'alba udì scoppii di archibugi, e latrati di cani, e grida di uomini, e non potè seguitare lietamente curiosa le vicende della caccia, o sovvenire ai feriti, se i masnadieri avevano assaltato gl'improvvidi viaggiatori. La campana suonò invano alla messa; invano ai funerali: poca cura ci punge pei morti ignoti; e recitarci con le proprie labbra il de profundis è cura troppo molesta. - Per dio! A tale l'aveva ridotta il vecchio maligno, che ella veggente non sapeva che cosa farsi della luce degli occhi; ella viva non sapeva in che cosa adoperare la vita. - Ma tempi di ferro erano cotesti, e Francesco Cènci per cupa scelleraggine singolare, non raro.

meno turbavano la desolata il passo della scolta, che per lo aperto verone le camminava sopra la testa, e il frequente gridare all'erta, e lo squillo della campana ogni quarto di ora, - conciosiachè noi tutti, è vero, sappiamo che il Tempo va e fa andare, cacciandosi davanti senza posa, e giorni e secoli verso la Eternità, a guisa di mandriano che affretta gli armenti al presepio quando minaccia tempesta; - ma starci seduti sopra la riva a vedere inerti sparire veloce il torrente della propria esistenza, è troppo acerbo travaglio. Nel tumulto della vita affetti, sensazioni e pensieri ci fanno dimenticare troppo più spesso che non conviene la fuga della nostra vita; ma nel carcere sentirsi misurare i minuti che passano dall'orma del carceriere sul capo, è supplizio che supera la immaginazione. Tu provi quanto tormenti acerbo il Tempo, allorchè deposta la falce prende la lima, e lento, continuo, implacabile ti sega il cranio; e quanto sia angoscioso contemplare speranze, ingegno, anima e corpo disfarsi in atomi, e cadere come limatura di ferro ai tuoi piedi.

Beatrice nel volgere gli occhi al cielo non prega, e non rampogna; sembra piuttosto che interroghi: «Dio! mi hai tu abbandonato

Le sue parole furono uguali alle estreme che profferì Cristo sopra la croce, prima di declinare il capo, e spirare.

Io conosco bene la mente selvaggia di uomini superbi, che le avrebbero risposto così: «E chi ti ha detto, folle, che Dio protegge, ed abbandona? Dio non abbandona, protegge. La forza misteriosa della sua azione, che si manifesta con la moltitudine delle cose create, getta assidua nello abisso pugni d'arena di oro, e cotesta arena sono stelle. Egli le costringe a moti diversi secondo la legge della loro durata. Se la polvere di questi mondi, animata o no, avvalla o s'inalza, seppellisce sotto di se lo esercito di Cambise127, o si lascia arare, zappare, e si sottomette a produrre frutto: se piange, o ride, o sta immota superficie di camposanto: se si agglomera in mastodonte, o si sperpera in formiche: se si trasforma in penne di aquila, o nelle fibre inerti del tardigrado, egli non cura questo, e non lo può curare. Ai fini della natura basta che nulla giaccia infecondo, o si disperda sterilmente; poi, che aumentino mille avvoltoi, e diminuiscano dieci mila colombe poco le importa. Immensa macina che infrange reami ed acini, imperatori e lumbrichi per crearne nuovamente lupi, o pecore, od altri animali. La dottrina della trasmigrazione insegnata a Pittagora dai Sapienti di Egitto, una volta presa a scherno da insensati filosofi, è cosa tanto evidente, che sembra impossibile come possa essere stata impugnata. Difficile è spiegare quello che non si comprende, e non si può intendere; follìa disprezzare, o negare ciò che supera la nostra intelligenza; ma che il Supremo Fattore abbia a tenere conto, non che della specie, dello individuo, non sembra che possa dirittamente credersi. La natura recasi in mano l'universo, e lo soppesa; se torna il volume non le importa la forma.

«E poichè gli uomini sortirono questa vita e questa forma senza chiederle, e molti ancora senza desiderarle, perchè le non si possono rassegnare senza offesa della natura? Singolari ella fece le vie del nascimento, infinite quelle della morte; sicchè può ritenersi, che a lei piaccia la vertigine delle trasformazioni. Se gli orecchi nostri potessero udire la voce della natura, noi sentiremmo ch'ella predica sempre ai mortali: =Ospite, io non ti trattengo a forza alla mensa della vita; tra le bevande, che io ti appresto davanti, scegli quella che meglio ti talenta; e se ti piace l'oblìo, bevilo, e vattene=.

«Veramente, come se l'uomo non fosse presuntuoso abbastanza, gli hanno dato ad intendere, e la sua superbia glielo ha di leggieri persuaso, sentinella infedele non poter disertare il posto al quale la Provvidenza lo commise; lui essere re dell'universo; la favola di Atlante adombrare il simbolo dell'uomo chiamato a sostenere il mondo sopra le sue spalle. Il sole fu appeso nel firmamento per riscaldarlo, la luna per illuminarlo, le stelle per divertirlo nelle notti di estate. - Fin qui pazienza; le adulazioni da un lato, e la superbia dall'altro erano follemente innocenti; ma diventarono crudeli quando gli dissero: =tutte le creature che vedi furono fatte per te=. Allora il vanaglorioso spietato stese la mano sopra gli enti che hanno anima e sangue, e prese a vivere della loro morte, ed osò senza ribrezzo convertirsi in sepolcro palpitante.

«Ora questo vampiro nudrito di superbia s'irrita di ogni lieve sciagura, non vuole sopportare le infermità, aborre la morte. Cadono i cedri del Libano, caddero le querce secolari delle foreste druidiche; scomparvero città, popoli, imperi, e perfino rovine d'imperi. Nel cielo aprono, e chiudono del continuo le palpebre i pianeti, e questo verme petulante presume vivere eterno, e felice - satrapo della natura. - Mora come fa morire. Si rassegni al fato comune; torni senza mormorare alla terra donde è nato: polvere è, polvere ritorni».

O filosofo dalla mente selvaggia! io conosco questi argomenti, e il mio intelletto li comprende; ma questo cervello che pensa, questo cuore che soffre, tutto il mio ente, che si agita, non si appaga di sermoni e di sofismi. Poichè la natura infuse nell'uomo lo amore, anzi la smania della propria conservazione, non può averlo legato alla vita, come Cristo alla colonna, per dargli seimilaseicentosessantasei battiture. L'uomo ha diritto di essere felice, e nella natura si hanno a trovare facoltà per diventarlo; che se così non fosse, l'uomo avrebbe ragione di volgersi al cielo, e domandare: «Dio! perchè mi hai creato

E questa domanda umile tornerebbe assai più terribile al trono di Dio, che la minaccia di Encelado, o la ribellione di Lucifero.

Se tali fossero i pensieri, che tennero occupata la mente della donzella finchè stette genuflessa, io non saprei; ma certo doverono essere strazianti, però che quando si rilevò da terra come spossata lasciasse cadersi sul letto.

E il sonno le fu meglio amico della veglia.

Sognò il mare Jonio dove il cielo e l'acqua sembra che vengano a contesa di limpidezza, di azzurro e di luce; imperciocchè se il cielo ostenta i suoi fuochi di stelle, le acque sfolgoreggiano di fosforo; e se il cielo si ammanta di nuvole di madre perla, il mare si vagheggia nel dorso dei suoi delfini dalle scaglie di mille colori: gli abitanti dei due elementi paiono colà bramosi di stringere parentela fra loro; lo smergo e lo alcione scendono a battere l'onda con le ale, e vi si posano in grembo come dentro al nido; all'opposto i pesci volanti si sollevano descrivendo leggiadre parabole nell'aria con le pinne verdi e dorate. Il Creatore volge uno sguardo al cielo, ed uno al mare; e vedendoli entrambi stupendamente belli, ride compiacendosi della opera sua: cotesto sorriso si spande dintorno, ed empie di allegrezza ogni cosa.

In mezzo al mare sorge il promontorio di Santa Maura, l'antica Leucade, come un'ara dedicata allo amore infelice. Quinci soltanto Saffo, la derelitta, spense nel mare sottoposto l'amore a un punto e la vita; e le acque memori nei pleniluni sereni lungo le spiagge ricurve si lamentano in suono di lira128.

A lei parve trovarsi sopra cotesto scoglio sola, e abbandonata da tutti. Lungi di Sotto vedea le vergini oceanine intrecciare carole, e instituire giuochi per la chiara faccia delle onde. Di tratto in tratto le fanciulle a lei si volgevano, e lei chiamavano co' cenni onde ai loro cori si mescolasse. Allo improvviso un rombo di ale sopra il suo capo le fece levare gli occhi in alto, ed ecco apparirle, in sembianza di Amore in traccia della rapita Psiche, il biondo Guido, l'amico del suo cuore, che scendendo le tendeva le braccia: ella con impeto grande alzò le sue, e le loro labbra s'incontrarono...

Canova ritrovò la immagine di quel sogno quando scolpì il gruppo divino di Amore e Psiche.

Beatrice si desta: teneva tuttavia le braccia sollevate; ella le lascia cadere di peso su la coltre, e sospira. Crucciosa di essersi lasciata illudere da un sogno, si chiude sotto i lini; il seno candidissimo si affonda fra le piume, e i biondi capelli si spandono pei guanciali. Irridendo se stessa ella diceva:

- Misera! Ormai avresti dovuto imparare a prova come i contenti per te sieno sogni, le sole amarezze vere. Guido con braccia di carne potrà rompere la verga ferrea del destino? - E forse a questa ora gli sarà venuta in fastidio la vittima segnata dalla sventura. Poveretto! Io non lo vorrei mica biasimare: no davvero, perchè il contagio allontana il padre dal figliuolo, il marito dalla moglie, senza che per questo ne venga loro la taccia di cattivo cuore. Ora lo infortunio non s'insinua più inevitabile, e più fatale dello stesso contagio? Ed io come potrei in coscienza desiderare, o pretendere, ch'egli si sprofondasse giù nel precipizio, dal quale uomo Dio pare che possano, o vogliano salvarmi! - Volga il suo affetto su donna meno infelice di me, e sia sposo avventuroso... e padre... io glielo desidero... ah! no... sì - io devo desiderarglielo con tutta l'anima: - ma intanto ella bagnava l'origliere di molte lacrime involontarie.

Adesso si riprova a confortare col sonno lo spirito affaticato; invano però, chè agli occhi vigili sotto le chiuse palpebre apparisce muovere dalle lontane mura di Roma un punto oscuro, e avanzarsi, avanzarsi per piani e per colline come polvere sospinta dal turbine: cotesto punto nello accostarsi assumeva sembianza umana; si avviluppava dentro una cappa bruna; teneva il nero cappello abbassato su le ciglia: arrivato sotto la torre della Rocca Ribalda, ecco al raggio della luna mostrarsi tutto quanto egli era aitante e bello, e chiamarla con la mano. Il cuore con lo affrettare dei palpiti le aveva svelato chi fosse lo straniero.

Giù a piè del colle, accanto al torrente delle acque perenni dove la forra si chiude più ombrosa, mezzo celata tra le fronde degli olmi s'innalza una cappelletta ufficiata da certo santo Eremita, a cui veruno afflitto cuore ricorse mai invano. Egli, richiesto, consente ad unire in matrimonio Beatrice e Guido. Ella tende la destra, e maravigliando forte non essere prevenuta, chiede la destra di Guido; ma questi si ricusa, e la tiene nascosta sotto la cappa. Ella insiste: alla fine arriva a impadronirsene; la sente umida, e viscosa: ritira la sua spaventata, e se la vede, ahimè! intrisa di sangue: che sangue è questo? dimmi.... Guido sparì, sparì lo Eremita; ella si trova circondata da uno inferno di tenebre.

 

*

* *

 

Un lieve tocco sospinge la porta; ecco si muove silenziosa sopra i cardini: prima il capo; - poi il petto; - finalmente tutta la persona apparisce di un uomo canuto, avvolto dentro ampia zimarra, col tòcco rosso sul capo. - È il Conte Cènci strascinato dal destino. Tende l'orecchio... ascolta... l'alito di Beatrice. Appoggia il corpo intero sul piede di dietro, muove cauto l'altro, e sempre va innanzi; si ferma in fondo al letto.

Beatrice ha chiuso gli occhi a sonno travagliato, e agitandosi irrequieta si è scomposta la chioma, che le sta vagamente sparsa pel seno divino.

Egli la guarda. La vista di forme così stupendamente leggiadre rallegra l'anima; chè rosa e donna, quanto meno si mostrano tanto più appaiono belle...

Che ardisce costui? Non basta, ed è anche troppo, vedere quel seno che palpita?

Prassitele scolpì due Veneri: una velata, l'altra ignuda. Quei di Gnido comperarono la nuda, modellata sopra le membra di Frine; per la qual cosa ritenendo ella più della cortegiana che della dea, venne laidamente contaminata, e la religione della divinità si dipartì dal simulacro; ma i cittadini di Coo acquistarono la Venere velata, sicchè n'ebbero fama di pii, e lunga si produsse la devozione pel tempio di loro. Quivi convennero tutti, giovani e vecchi; i primi perchè la vedevano pudicamente leggiadra; gli altri perchè leggiadramente pudica129.

Il truce vecchio stende le scarne braccia, e trae a se cautissimo i lini. I tesori di coteste membra appaiono manifesti... di coteste membra, che lo stesso Amore avrebbe velato con le sue ale agli occhi di uno amante.

Cheta, cheta la porta della stanza torna di nuovo a volgersi sopra gli arpioni: entra un altro uomo, e si ferma: - guarda... stupisce... e non ravvisa il Conte al fioco chiarore del lume, che veglia fra loro, egli solo innocente. Il Conte lussuriando per ogni fibra, trema; gli occhi gli si aggrinziscono a modo di vipera: una striscia di fiamma di etico gl'imporpora il sommo delle gote; lascia cadersi giù dalle spalle la zimarra, e appaiono le pallide membra del vecchio... piega un ginocchio sopra la estrema sponda del letto, e delirante si curva protendendo le mani...

La grande rabbia di amore sconvolge l'anima di Guido; però che il nuovo venuto sia Guido: prima di volerlo si è trovato nella mano ignudo il coltello. - Il Conte intende un fremito alle spalle, e volge la testa. Guido ha scagliato dentro gli occhi del vecchio un baleno, ch'è morte. Il Conte atterrito lascia le tende, ma Guido lo arriva con uno slancio... lo ghermisce per le chiome incanutite nel delitto. - Il Conte apre la bocca con una contrazione convulsa... prega egli, o minaccia? Invano: il ferro fulminando gli squarcia la gola, gli rompe le arterie, e così profondo gli penetra nel petto, che non può profferire la parola. - Vacillò... rovinò... percosse aspramente sul pavimento gorgogliando dalle aperte fauci sangue a rivi, e un borbottìo confuso. -

Beatrice mette un gemito, apre languidi gli occhi... Dio del cielo! non è illusione adesso... gli ferma nel volto dello amante desiderato. L'Amore con le mani di rosa schiuse i suoi labbri al più gentile dei sorrisi - ma cadde su l'anima dello amante come sopra statua di bronzo... egli la fissò inferocito, e col pugnale grondante le accennò il caduto.

Il sorriso morì su i labbri di Beatrice siccome muore il bacio, che sul punto di svegliarci mandiamo ad una visione notturna. Pure la donzella non conosce ancora tutti i misteri di cotesta notte scellerata. Chi è mai quel caduto, e che fa? Egli tiene riversa sul terreno la faccia, non fiata, e scarso giunge il raggio della lampada. Beatrice ha già mosso le labbra per interrogare; Guido ha scorto, comunque visibile appena, cotesto moto, e lo ha temuto... guarda lei... guarda il moribondo; - ella segue con gli occhi lo sguardo di Guido sul caduto, - poi torna a sollevarli su l'amante... egli è sparito...

Una luce funesta ha balenato su l'anima di Beatrice. Immemore del verginale decoro ella balza dal letto, e non rifugge, o non sente di lordare il piè nudo nel sangue, di cui è inondato il pavimento. Appoggia le mani su i capelli del moribondo, - gli volge la testa... è suo padre!- -

Egli agita lieve lieve la bocca nelle estreme convulsioni; i suoi occhi stanno orribilmente fissi nella immobilità della morte. Beatrice si rialza, come molla che scatti, con le braccia tese, curva alquanto della persona, impietrita di spavento: pareva percossa da catalessìa. Gli occhi del Conte si dilatano, si avvivano - mandano uno sguardo lungo - poi diventano colore del piombo... si spengono... è passato.

La mano della Necessità, di cui le dita erano rabbia, spavento, amore, furore, e pietà, tese orribilmente l'arco della intelligenza di Beatrice; e se non lo ruppe, lo stupidì. La fanciulla, immemore di se, stava ferma senza pensare, senza sentire. - Guido, come lo agita il demonio, scende tempestando le scale, traversa la sala dove si trovavano raccolti la signora Lucrezia, Bernardino, Olimpio e Marzio; e, scagliato lungi da se il coltello sanguinoso, grida:

- È morto! - È morto!

- Perchè non lasciaste a noi la cura di saldare i nostri conti vecchi col Cènci? - interrogava Olimpio.

E Marzio, freddo, soggiunse:

- Questo è caso da assicurarcene bene130; - e s'incamminò verso la prigione.

- Singolare natura umana! - Marzio, capace di ammazzare il Conte con la medesima devozione con la quale avrebbe recitato il rosario, appena ebbe visto la nudità della donzella si ritrasse verecondo, scese, e ne avvisò sommesso la matrigna; la quale, superando il ribrezzo, si attentò di entrare nella stanza del delitto. Si fece presso a Beatrice; la chiamò a nome; la scosse; e non ottenendo da lei risposta alcuna, la ricoperse con la zimarra caduta al Conte, e presala per mano la trasse via. Ella lasciò condursi, non oppose resistenza alcuna al lavacro dei piedi insanguinati, alle fregagioni di aceto, allo adagiarla sul letto: guardava stupida, e non profferiva parola. Conobbero essere necessario cavarle sangue; ma non possedevano arnesi adattati, e il modo di adoperarli ignoravano: chiamare il barbiere parve pericoloso, e si rimasero.

Allora Marzio, secondo il suo feroce proponimento, entrò nella stanza seguitato da Olimpio, squassò per le chiome il cadavere, e tratto fuori lo stiletto glielo spinse dentro l'occhio sinistro finchè la lama vi potè affondare.

- Ora mi sono assicurato!

- Non ve n'era mica di bisogno, osservò Olimpio mettendo le dita nella gola squarciata del Conte - vedete mo' che buca! - Potrebbe uscirne l'anima anche in carrozza. Per un'anima questa è propriamente porta da cocchiere. Adesso pensiamo un poco, che cosa dobbiamo farci di costui; - e dette un calcio nel capo al cadavere.

- Portiamolo giù nel giardino, e mettiamolo sotto terra...

- Avete perso tutti il giudizio: - non basta seppellirlo; bisogna innanzi tratto farlo morire in maniera, che abbia senso comune. - Venite qua; prendetelo pei piedi; io lo prenderò pel capo, e trasportiamolo sul terrazzo che sul giardino: ho notato che questo terrazzo mena alle latrine, ed in parte manca di parapetto. Il povero gentiluomo, levatosi per certo suo bisogno, si era condotto notte tempo al destro senza lume... guardate che imprudenza! Forse si era aggravato di cibo a cena, e certo poi di vino più del consueto... Vedete la fatalità! disgraziatamente ha messo il piede in fallo, ed è caduto...

- Be', be', va d'incanto. Ma l'uomo cadendo da un'altura si rompe il collo, si spezza il cranio, e non riporta ferite operate da un ferro tagliente, ed acuto.

- Ed anche a questo è stato provvisto: lo getteremo sopra gli alberi; poi gli introdurremo la punta dei rami nelle ferite, e così basterà. Credete voi, o Marzio, che vorranno andare a cercare il nodo nel giunco? Chi è morto è morto, e salute a chi resta.

- Qualche volta i morti ritornano: però la proposta mi piace.

E come aveva suggerito Olimpio eseguirono appuntino.

Siccome quando donna Lucrezia, mediante una finestra terrena della rocca che mancava d'inferriata, mise dentro al castello Guido, Marzio ed Olimpio era notte fitta, e la famiglia giaceva tutta nel letto, non furono visti da persona viva; così deliberarono uscire per la medesima via com'erano entrati. Guido venuto a consultare sul modo di porre in libertà Beatrice, poichè si era trovato ad uccidere il Conte, decise partire senza indugio per Roma, Marzio e Olimpio s'incamminarono nella stessa notte ai confini del regno, per quindi ridursi in Sicilia, o a Venezia: ebbero di presente duemila zecchini, oltre la promessa di futuri favori e la grazia, che per la parte di casa Cènci e di monsignore Guerra non sarebbe loro venuta meno giammai.

Guido arrivato alla osteria della Ferrata ordinò gli sellassero subito il cavallo; la qual cosa essendo stata fatta secondo il suo desiderio, l'oste, che lo aveva osservato sottecchi con quei suoi occhi maligni, nel reggergli la staffa gli favellò:

- Oe, gentiluomo! Ieri l'altro mi diceste che andavate su alla Rocca Ribalda per farvi la villeggiatura del Settembre: o che vi siete mangiato in due desinari un mese intero? Misericordia! Questo è appetito!

- L'uomo propone, Dio dispone.

- Direi piuttosto, che siate andato a recitare qualche tragedia: avete fatto la vostra parte, ed ora tornate a casa.

- Che intendete significare con queste parole?

- Nulla; se non che avete la manica del giustacore insanguinata...

Guido guardò atterrito la manica, e conobbe che l'oste diceva la verità; onde rivoltosi a lui, con mal piglio gli disse:

- Sareste voi il bargello di campagna?

- Mi maraviglio dei fatti vostri, gentiluomo. Io sono compare di un certo Marzio, che immagino voi dobbiate conoscere un poco; e faccio come da padre a questi poveri figliuoli del bosco: sono nemico naturale della miseria, ma onorato. Tutto questo ho voluto avvertirvi perchè, al bisogno, facciate caso dell'oste della Ferrata.

Guido entrò da capo nella osteria, e quivi troppo più tempo si trattenne di quello che fosse necessario a lavare il giustacore. Nel separarsi dall'oste egli gli strinse familiarmente la mano, e gli sorrise come se fosse stato suo domestico antico. Strane amicizie fa contrarre il delitto!

Il giorno seguente, che fu il dieci Settembre, la Rocca Petrella risuonò di pianti e di gemiti, i quali echeggiarono tanto più romorosi quanto meno sinceri. Gli abitanti del paese e i popoli del contado dintorno accorsero a frotte per vedere lo spettacolo. Il cadavere del Conte, non senza consiglio, fu lasciato lunga pezza confitto dentro i rami di un sambuco. Le comari del vicinato, stando in circolo intorno a cotesto albero con la faccia levata in su, contavano le più strane novelle del mondo. Chi diceva che quel vecchio peccatore, recandosi al Barlotto di Benevento per rendere obbedienza al diavolo, si era levato in aria a cavalluccio su di un manico di granata, il quale, come sapete, è cavalcatura ordinaria degli stregoni; ma sul più bello essendogli venuto di nominare Gesù, il manico di granata gli si era rotto fra le gambe precipitandolo a terra da un'altezza di quattro miglia e mezzo avvantaggiate. Altre poi sostenevano che fosse scaduto il termine della scritta, con la quale si sapeva di certo, ch'egli avesse venduto la sua anima al diavolo; e questi, come di giusta, gli era comparso per prenderne possesso. Confermava in questa opinione il vedere quel corpo appeso al sambuco, che, come la savina, il noce, ed altri alberi parecchi, è pianta consacrata allo spirito maligno: se non che a indebolirla usciva la levatrice della Petrella, la quale assicurava come andando fuori di casa per affari del suo mestiero aveva udito un grande scatenìo per l'aria, e tutti i gatti miagolare su i tetti, e poco dopo un barbagianni averle spento la lanterna con un colpo di ale: - cose tutte che stavano a significare, che qualcheduno in quel punto passava per aria. Insomma tornerebbe fastidioso di troppo raccontare tutte le novelle che solevano mettere fuori a quei tempi intorno a simili casi, le quali venivano credute non solo dalle femminucce e dalle genti grosse del contado, ma sì ancora da uomini dottissimi, e da giureconsulti di gran nome; dei preti non parlo perchè a figurare di crederci onde altri ci credesse era affare di mestiere, e ci trovavano il conto. Chi campa di grano semina grano, e chi d'errore vive non ischianta errore: e questo è chiaro. Poco oltre il cerchio delle comari occorreva un gruppo di uomini, in mezzo ai quali sembrava che facesse le carte il Curato, e tutti insieme stavano speculando, come diavolo mai cotesto corpo avesse potuto rimanersi così penzoloni per aria; ma ad interrompere coteste indagini importune sopraggiunse un servo da parte di sua Eccellenza la Contessa, che gl'invitava tutti a entrare in palazzo. Andarono, e trovarono donna Lucrezia inconsolabile, giusta il costume di tutte le vedove consolabili o no, la quale dopo favellato un pezzo, interrotta ad ora ad ora da lacrime, e da sospiri del miserando caso, ordinò al Curato apparecchiasse al defunto funerali quanto meglio sapesse magnifici, e corrispondenti alla nobiltà, e potenza della famiglia Cènci: invitò poi i montanari di convenire incappati alla ròcca per associare il morto, promettendo elemosine larghissime in sollievo delle povere famiglie, affinchè pregassero pace per cotesta povera anima. - Uscirono pertanto edificati della pietà di Sua Eccellenza, e per la strada non rifinirono di magnificare la mansuetudine e la benevolenza sue. Quando tornarono per levare il corpo del Conte lo trovarono non pure calato dal sambuco, ma chiuso, e confitto dentro due casse di rovere.


 

 

 




124 Lorenzo, o come fai

A infonder nella creta

L'anima, che non hai?

Versi stupendi della magnifica poesia di Giuseppe Giusti, intitolata la terra dei morti. Però, a vero dire, anima ebbe più lo interrogato Bartolini, che lo interrogatore Giusti. Questi con braccia di Sansone scosse il luttuoso edifizio della odierna società, e poi ebbe paura dei calcinacci che cascavano. Chi sa dire, non sempre sa fare.



125 Di queste immanità io molta parte soffersi: et quorum magna pars fui... Qual fosse la causa del tormi e vista e luce, si legge in un libro stampato dal conte Guglielmo Digny. La Commissione, informata di certi segnali che si facevano da una villa, temè fossero per darmi avviso di quanto accadeva in giornata: chiarita meglio la cosa, seppe che in quel modo si ragguagliava della salute di uno infermo giacente in villa i suoi congiunti dimoranti alla città: non pertanto le truci precauzioni non si dismisero, anzi crebbero. Altro di cotesto libro non dico, e quello che ne ho detto è anche troppo per me.



126 Ella è immagine del Redi, comecchè da argomento festoso io l'abbia trasportata a soggetto dolente:

bel raggio è un raggio acceso

Di quel sol, che in ciel vedete,

Che rimase avvinto e preso

Di più grappoli alla rete.

Redi, Ditirambo.



127 Erodoto. Storie, lib. III, § 26.



128 Ebbe in quel mar la culla,

Ivi erra ignudo spirito

Di Faon la fanciulla:

E se il notturno zeffiro

Blando su i flutti spira,

Suonano i liti un lamentar di lira.

Foscolo. Ode. All'amica risanata.



129 Plinio, Hist. Nat. lib. 36. c. V.



130 Roberto Bruce palesa in assemblea generale ai nobili scozzesi, quivi ragunati, il suo proponimento di liberare la patria: assentano tutti, tranne Cummin. Bruce indignato lo assalta nel chiostro dei Francescani, e lo lascia per morto. - Sir Tommaso Kirpatric, amico di Bruce, lo interroga se lo abbia ucciso; a cui quegli rispondendo - crederlo, - soggiunse: «Io voglio assicurarmene»; e andato colà dove giaceva, gli passò il cuore con la spada. La famiglia di Kirpatric in memoria di questa azione assunse per istemma una mano, che brandisce una spada insanguinata, con le parole: «Io voglio assicurarmene». Hume. Storia d'Inghilterra, tom. II.






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