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Francesco Domenico Guerrazzi Beatrice Cènci IntraText CT - Lettura del testo |
LA CONFESSIONE
Di sante preci il frate soccorrea
La derelitta alla tremenda andata;
Benedicendo, dalle sue peccata.
Il Papa si era riposto nel seno la sentenza come un pugnale, e, a modo di sicario, luogo e tempo studia per adoperarla. Il compianto del popolo gli giungeva al Vaticano come il fiotto della marea in tempesta, ed egli aspetta che quei cavalloni dello impeto popolare posino alquanto per condurre a fine lo immutabile proponimento.
Mentr'ei così speculando attende la occasione, ecco la fortuna mettergliene una nelle mani, ch'egli stesso non avrebbe potuto immaginare più tempestiva, o migliore. Francesco Cènci, come sovente a se medesimo augurava, fu fatale alla sua famiglia non pure in vita, ma parve davvero che anche dopo morto stendesse la destra fuori del sepolcro per afferrare i suoi parenti, e cacciarveli dentro insieme con lui. Quel Paolo Santa Croce parente delta famiglia Cènci, di cui fu tenuto proposito sul principio di questa storia dolorosa, sempre fisso nel proponimento di ammazzare sua madre donna Costanza, non aveva fino allora rinvenuto modo per poterlo fare senza suo manifesto pericolo. Ora accadde che cotesta sciagurata signora si recasse a Subiaco, per curare col vivido aere della campagna la declinata salute. Don Paolo, avvertito di ciò, si conduceva di celato in quelle parti, e presentatolesi dinanzi la uccise senza misericordia a colpi di stile: poi, fatta raccolta del meglio si trovava nel feudo dell'Oriuolo, fuggì la giustizia del mondo, non quella di Dio; conciossiachè si ricavi dalla storia del signor Novaes, come indi a breve egli si conducesse a fare tristissima fine. Per questo caso si sparse per Roma maraviglioso terrore; e il Papa, usufruttandolo in pro suo, si dispose a spiegare rigidezza. Pertanto ordinava si arrestasse don Onofrio marchese dell'Oriuolo fratello di don Paolo, indiziato di complicità con lui. Il bargello eseguì il comando mentre questo povero signore tornava a casa, dopo aver giuocato una partita al pallone nel palazzo Orsini a Montegiordano; e comecchè dal processo non si ricavasse altra prova, oltre quella di avere scritto al fratello che se le turpitudini materne affermategli da lui fossero vere si comportasse da cavaliere, fu condannato a morte. La casa Orsina, potentissima di aderenze e di credito, a cui per la morte naturale e civile dei Santa Croce ricadeva il feudo dell'Oriuolo, si mise a celebrare a piena gola le lodi del papa pel salutare rigore, e trasse seco buona parte della nobiltà. Questi elogi poi crebbero smodati quando la Camera, senza contrasto, acconsentì che il feudo mentovato si devolvesse a casa Orsina; e ciò fu fatto col sottile accorgimento di fuggir faccia di cupidigia, ed appianarsi la strada a ingoiare i beni di casa Cincia, a cui miravano gli Aldobrandini: ancora il cardinale San Giorgio aguzzando il cervello faceva foco nell'orcio, spargendo ad arte discorsi dattorno per impaurire i già troppo atterriti cittadini. Non padre, non madre, diceva la gente sobillata, essere ormai più sicuri nelle domestiche pareti; ogni vincolo di natura disciogliersi; pericolo procreare figliuoli, pericolo allevarli lattanti, più imminente pericolo tenerli in casa adulti. Lo sgomento universale prendeva mille voci e mille aspetti, senza trascurare, come sempre avviene, anche il grottesco; dacchè padre Zanobi, maestro dei novizii nel collegio dei Padri Gesuiti, levando gli occhi al cielo con un grosso sospiro affermava, che ai giorni nostri i poveri genitori correvano pericolo di addormentarsi vivi, e di svegliarsi ammazzati.
Il popolo, seguendo l'antico costume, dopo avere gonfiato il flutto della sua passione fino all'altezza jemale andava di mano in mano decrescendolo, per quietarlo finalmente nella inerzia. La compassione popolare aveva accompagnato Beatrice fino alla soglia del carcere: colà essendole state chiuse le porte in faccia si pose in sentinella, e vigilò tutto quel giorno e buona parte anche della notte: finalmente si sentì stanca, e digiuna; il sonno le prese gli occhi, la fame i visceri: aggiungi che la notte si faceva buia, e nessuno la vedeva. Ora la compassione, sia pur della buona, se non è vista si scolora; e per di più la notte stringeva fredda; ond'ella, dopo avere tentennato un pezzo fra il sì e il no, decise ridursi a casa per tornare il giorno appresso per tempo. Colà giunta ella bevve, mangiò, e giacque nel letto: quando la mattina si levò aveva quasi dimenticato la Beatrice, e una volta che fu per la strada le occorse un caso che la fece piangere, e quello che cadde sotto i suoi sensi ebbe virtù di farle obliare quanto aveva raccomandato alla memoria. Il cuore del popolo deve bastare per tante sciagure, che non può affannarsi lungamente ed intero per taluna di quelle.
Beatrice si rimase sola co' suoi dolori. Oh! questi, sì, ci rimangono fedeli, e non ci abbandonano mai finchè non ci abbiano consegnato alla morte in proprie mani. Gli uomini costumano dire: fedele come un cane. S'ingannano; e' dovrieno dire: fedele come il dolore, e direbbero meglio.
Quando al Papa parve tempo di muovere l'antenna e sciogliere la vela, chiamato a se monsignore Ferdinando Taverna, che stava in agonia del cardinalato conferitogli più tardi sotto il titolo di Santo Eusebio, gli consegnò la sentenza dicendogli:
- Vi renuncio la causa dei Cènci, acciò quanto prima ne facciate la debita giustizia.
E subito dopo, per sottrarsi alle molestie, ed alla paura di doventare pietoso, se ne andava a Montecavallo, sotto pretesto di trovarsi più sollecito la mattina seguente a consacrare monsignore Drikestein, vescovo di Ulma nella Svevia; in verità poi affinchè gli ordini dati sortissero tostano, e pieno compimento.
Monsignor Taverna, arnese docilissimo delle volontà papali, si ridusse di corsa al palazzo, dove, adunata senza indugio la congregazione dei giudici criminali, divisarono insieme il modo di dare esecuzione la mattina veniente alla senitenza.
Nello aulico estratto del Giornale della confraternita di San Giovanni decollato in Roma, l. 16. carte 66, leggiamo:
«Venerdì ai 10 settembre 1599 a due hore di notte fu fatto intendere che la mattina seguente si doveva fare giustizia di alcuni nella Torre di Nona, e di Carcere Savella, et però a cinque hore di notte adunai la confraternita, cappellano, sagrestano, e fattore, et andati alle carceri di Torre di Nona, et fatte le horationi ci furono consegnati gl'infrascritti a morte condannati, il signore Jacomo Cènci et il signor Bernardino Cènci fratelli, del quondam signor Francesco Cènci. In Corte Savella alla medesima hora andata una parte dei confratelli, et entrati nella nostra cappella, et fatte le solite horationi ci furono consegnate le infrascritte a morte condannate, la signora Beatrice Cènci figlia del quondam signore Francesco Cènci, e la signora Lucrezia Petroni moglie del quondam Francesco Cènci gentildonne romane».
E poichè mi par debito, dopo due secoli e mezzo, rammentare ai presenti il nome di coloro che assisterono alla miserabile tragedia, non mi fie grave trascriverli qui come io li trovo registrati nel medesimo estratto.
«Alle predette carceri di Torre di Nona furono presenti messere Giovanni Aldobrandini, messere Aurelio del Migliore, messere Cammillo Moretti, messere Francesco Vai, e messere Migliore Guidotti; chiamati in supplemento Domenico Sogliani segretario, e l'illustrissimo Cappellano. A quelle di Corte Savella andarono Anton Maria Corazza, Horatio Ansaldi, Anton Coppoli, Ruggiero Ruggieri confortatore, Giovambattista Nannoni sagrestano, Pierino fattore et il nostro Cappellano, et io Santi Vannini, che scrissi».
Intanto che questa mano di pietosi toscani si affatica a renderle meno amara la morte, Beatrice che fa?
Ella dorme come nella notte in che fu desta dal singulto di un moribondo, e questo moribondo era suo padre a piè del letto ammazzato. - Non la svegliamo; solo accostatevi taciti a contemplarne anche una volta la divina bellezza. Non vi pare ella davvero creatura celeste? Guardate le guance polite, che non poterono perdere tutto il roseo della vergine anima sua; il sonno tranquillo gliele dipinge di una tinta più vermiglia, e le lumeggia col riflesso dell'ale candide, che le distende su tutta la persona. Mirate i labbri; essi bevvero molte, ahi! troppe, delle sue lacrime, e non pertanto mezzo schiusi sorridono un mesto, eppure dolcissimo sorriso: - una volta questo sorriso apparve raggio di stella traverso la rugiada di una rosa; adesso potrebbe rassomigliarsi alla luce sinistra, che il sole all'occaso manda alla nuvola pregna della procella. Più tardi verrà la procella; più tardi scoppierà l'affannosa passione; adesso il raggio par tutto porpora ed oro; adesso quel sorriso sembra posato sopra cotesti labbri dall'angiolo custode di Beatrice.
Guardate... no, non le guardiamo gli occhi: un dì, quando ella girava gli occhi dintorno, l'aere si faceva più chiaro, il raggio del sole raddoppiava di splendore, vinceva le fiammelle del giocondo festino; adesso il pianto gli ha oscurati; per essi solo si comprende quanta mole di miseria siasi aggravata sopra di lei. Deh! non l'abbandoni il sonno; - potesse essere eterno! Invero, e qual sarebbe pietà desiderarle di riaprire le pupille alla luce? Luce, e dolore non sono la stessa cosa per lei? Se si svegliasse nello amplesso di Dio, pei campi eterni, lontano lontano dalle angosce di questa terra maledetta... quanta sarebbe misericordia per lei! Signore, non farla ridestare mai più; ritira a te il tuo fiato, col quale animasti un giorno questa cara fanciulla; mesci nella tua grande anima la scintilla spirituale, che in lei sente e ragiona: la farfalletta leggiadra e passeggera ebbe le ale infrante; - non imporle nuovo volo, o chiamala piuttosto al volo immortale. Invano! Dio tiene il dito fisso inesorabilmente sopra la fronte di ogni creatura, ed i fati forza è che si compiano. Le sue pupille devono aprirsi a nuove, e più tremende visioni; le fibre del suo cuore hanno a stridere per lo strazio di più pungenti sensazioni, e poi morrà: vuole Dio che la sua vita si consumi al fuoco del dolore, e la fiamma ne duri finchè la possa alimentare frammento di osso, o filo di nervo.
Ella dorme ancora; ma il sorriso svanisce dai suoi labbri, e le si contraggono i sopraccigli. Sopra cotesta fronte così liscia, così piana, in breve ora col vomere di fuoco tracciò profondo il suo solco la sventura. A che pensa? Le si avvolgono per la mente i ricordi ultimi dello amore, che però sono divini? O rammenta piuttosto le furie paterne, e il lampo del ferro che gli squarciò la gola, o le patite torture? - Udiamo; ella parla.
- Ma perchè mi sei così nemico, Dio? Che cosa ti ho fatto?
E sollevata con violenza la destra, le catene di cui l'avevano avvinta da pochi giorni a questa parte mandarono un suono che percosse acuto, e si disperse lento per l'aere cieco del carcere: pure non valse a destarla; ella geme, e dorme. - Però di un tratto le stette davanti una larva, che vestì intera la sembianza del suo fratello don Giacomo; la quale essendosi pianamente accostata al letto, le disse: «Su, levati, è l'ora». Al che avendo ella risposto interrogando: «dove abbiamo ad andare?» la larva si curvò, quasi volesse sussurrarglielo negli orecchi, e la testa con un profluvio di sangue le cascò giù dalle spalle rotolando sopra il lenzuolo. Allora Beatrice proruppe in un grido disperato, e si svegliò.
Si svegliò; e sollevato risoluta il fianco, lanciò intorno a se le pupille atterrite. Nulla appariva mutato: la lampada ardeva a capo del letto davanti la immagine della Vergine; oltre il letto discerneva poco; il silenzio profondissimo occupava la prigione, e non pertanto in un angolo di quella, ed essa non gli aveva veduti, due genuflessi oravano mentalmente il Signore per l'anima di lei.
Ella sentì un passo, poi due. Alfine si staccò dalle ombre un'ombra meno fosca, che inoltrandosi lenta lenta dentro la zona dei raggi tramandati dalla lampada rivelò il venerando aspetto di un cappuccino, attrito dal digiuno e dagli anni. Gli sguardi smarriti Beatrice posa intenti sopra quella pallida faccia, e non pronunzia parola. Il vecchio leva la mano benedicendo; e recita la orazione che ha virtù di scacciare, nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spiritossanto, lo spirito maligno dal corpo degli ossessi. Ella lasciò che fluisse la orazione, poi dolce in atto gli disse:
- Padre! meco non ha abitato il demonio mai.
- Così sia, figlia; ma egli ci gira sempre dintorno come lione che rugge, epperò giova starci apparecchiati a sostenerne l'assalto. Volete, figlia mia, accostarvi al tribunale della penitenza? Io sono qui disposto ad ascoltarvi.
- Domani.
- Domani! E perchè vogliamo rimandare a domani quello che possiamo fare adesso? L'uomo è egli padrone del domani?
- Così impreparata, - colta alla sprovvista, - svegliata a forza da un sogno di terrore!
- E la morte ci assegna forse un'ora per sorprenderci? Non giunge ella inaspettata come il ladro fra le tenebre? Cristo lo ha detto...
In questa la porta del carcere stridendo sopra i suoi cardini si aperse, ed al chiarore di una torcia furono visti entrare il sostituto dell'avvocato fiscale accompagnato da alcuni cursori, i quali con volto cupo, ma senza amarezza, come senza benevolenza, si accostarono al letto di Beatrice. Il signor Ventura, che tale era il nome del sostituto, così incominciò:
- Se differendone la notizia potessi, gentil donzella, mutare il vostro destino, volentieri io lo farei. Il mio penoso ufficio mi obbliga leggervi la sentenza...
- Di morte? - esclamò Beatrice.
Il cappuccino si coperse la faccia con ambedue le mani; gli altri la declinarono. Beatrice si aggrappò smaniosa al mantello del padre, e gemè dal profondo del cuore:
- Oh Dio! Dio!, ella gridava, com'è possibile che io, così giovane, abbia a morire? Nata appena, perchè vogliono in modo tanto acerbo cacciarmi via dalla vita? Signore... Signore, qual colpa ho io commesso? - La vita! Ma sapete voi, la vita a quindici anni che sia?...
- La vita, le risponde il cappuccino, è soma che va crescendo con gli anni. Felici i non nati a portarla! Dopo loro, felici quelli a cui Dio concede di deporla presto! Che cosa trovi, o figliuola, nei tuoi giorni decorsi, che t'invogli a prolungarne la trama?
- Nulla, - replica precipitosa Beatrice; poi si ferma sopra un punto, che la memoria parve presentarle luminoso; ma fissatolo appena, si ecclissò; ond'ella umiliata, a voce via via più spenta aggiunse:
- Nulla... nulla...
- Ebbene, dunque, animo! leviamoci presto da questa mensa dove i cibi sono cenere, e bevanda le lacrime...
- Ma il modo, Padre mio, ma il modo... oh!
- Mille vie, e tu lo vedi o figliuola, appresta la Provvidenza per uscire di vita; una sola per entrarvi: la più sollecita è la migliore; ma benedette tutte, purchè conducano al paradiso.
- E la infamia, Padre, l'obbrobrio rovesciato sopra la mia memoria?
- Questi sono i pensieri della polvere. Davanti al giudizio di Dio, il giudizio degli uomini che cosa importa? Che sono i secoli davanti al soffio del Signore? La fama passa, e il tempo che seco se la porta. Sopra la soglia dello Infinito gli anni non si distinguono neanche come polvere. Volgi, o figlia, il tuo sguardo al cielo, e dimentica le cose terrene.
- Ah! la morte... - mormorò Beatrice, e la funesta parola passando per le labbra vermiglie, le ghiacciò, le imbianchì; subito dopo il freddo sudore le cosperse la fronte, raccapricciò per tutte le membra, e i sopraccigli declinando gravi le adombrarono le pupille smarrite.
- Soccorso! - gridò Virginia; e già muoveva in traccia di spirito e sale per farla rinvenire, quando Beatrice ricuperando i sensi disse:
- È passato; - e con le mani si spartì sopra la fronte i capelli bagnati di sudore. Poi, rivolta agli astanti, riprese: - Perdono, signori, e' fu un momento di debolezza. Lo ebbe anche Gesù... scusatelo dunque in me, che sono una grande peccatrice. Adesso, signore, potete adempire il vostro ufficio: io vi ascolto.
Il clarissimo signor Ventura allora lesse la sentenza, non omettendo clausula e nè un eccetera, con voce lenta, monotona, lugubre come i tocchi della campana che suona per gli agonizzanti. Quando ebbe finito levò gli occhi verso Beatrice, perchè aveva già ritrovato nella sua memoria certo discorsetto intorno alla virtù della pazienza, altre volte in pari occasioni da lui favellato, e, per quanto glien'era parso, con moltissimo frutto; ond'ei, mutatis mutandis, si accingeva applicarlo al caso; ma vistala inconcussa, non è da dire se rimanesse contento di risparmiarselo. Inchinata pertanto la persona, usciva co' suoi cursori incamminandosi a rinnuovare lo ufficio con gli altri condannati. «Il discorso, pensava fra se, mi gioverà con quelli che parranno averne bisogno: niente di troppo!»
- Virginia, soggiunse Beatrice prendendo per mano la fanciulla, di grazia esci per un momento. Il tempo, come sai, stringe; domani... e prima di morire ho da confessarmi, ed assettare le cose dell'anima. Va, sorella mia, ti chiamerò...
Virginia si sentiva scoppiare il cuore; partì senza aprir bocca, e quando avesse voluto farlo non le sarebbe riuscito. Beatrice avendo avvezzato il guardo alla scarsa luce, vede nello angolo della prigione un genuflesso che teneva il volto nascosto nelle mani: anche lui cuopre un cappuccio, nè trapela parte alcuna delle sue sembianze: sta immoto così, che non rassembra animato. Perchè si trattiene costui? E chi è egli, che presumerebbe essere messo a parte dei segreti del cielo? La confessione non può ascoltarsi se non da uno solo: così è sacramento; in diverso modo sarebbe sacrilegio.
Ella tace esitante; il cappuccino, anch'egli esitante, non sa schiudere il labbro. Beatrice guarda ora l'uno, ora l'altro; nè capace a penetrare quel mistero, prolunga il silenzio.
Quel prostrato è Guido Guerra, l'amante disperato di Beatrice. E a che vien egli in cotesta ora solenne? Perchè si attenta a contristarle i suoi estremi momenti? Non gli basta ancora? A nessuna creatura l'odio altrui tornò così funesto, come lo amore suo a Beatrice. Fu egli che suscitò in quel cuore di vergine uno affetto, che poi spense nel sangue. Fu egli che intendendo, mal cauto, a salvarla, oltre la vita le tolse la fama, reliquia ultima degli infelici traditi. Sia pago a tanto, e si allontani. Viene egli forse a tentare se in lei duri tuttavia amore? A che monta ciò? Se cotesta fiamma arde pur sempre, ahimè! come la lampada della Vestale sepolta, arde per morire, arde per illuminare il sepolcro. O forse viene egli a bere l'ultima lagrima della desolata? - Addietro; cotesta sarebbe voluttà di vampiro. O piuttosto viene a ravvivare nell'anima di lei speranze ch'ella depose già, nella guisa stessa con la quale le antiche vergini della Grecia si recidevano le chiome sopra le tombe dei trapassati? La lasci morire in pace: tanto, anco vivendo, entrambi sarebbero divisi (ed ella non glielo tacque) da una fiumana di sangue, e lungo le sponde vagolerebbero perpetuamente senza poterla, nè volerla valicare giammai. Quando il destino mette in moto la ruota dello infortunio a frantumare la umana creatura, o che cosa è l'uomo per presumere di porsi tra mezzo la macina e il macinato? Lo ufficio supremo ed unico, che rimanga allo amico dello sventurato, consiste nello applicare un bacio su le commessure della lapide sepolcrale come il suggello di una epistola finita. Il Signore, che vede cotesto atto, romperà fra breve quel suggello, e riparerà nella pace eterna il superstite inconsolabile.
Ma Guido ormai penetrò nella prigione di Beatrice. Se un Dio o un demonio lo abbia spinto, egli non attese, nè sa. Vedere volle Beatrice, e la vede adesso: ogni altro ignora; e adesso sente eziandio che stringerebbe volentieri la mano della fanciulla, dove le fosse stesa, quando anco in quel punto cadendo una scure le recidesse, così intrecciate, ambedue. - Sente che vorrebbe la sua testa posata accanto alla testa di lei, le sue labbra incollate alle sue labbra, fosse pure giù dentro la cesta che raccoglie i capi mozzi dal carnefice. Ed ella quando, gittato il cappuccio sopra le spalle, avrà riconosciuto colui che fu prima radice di ogni suo male, come sosterrà il suo sguardo? Quali parole profferirà?
Guido si leva in piedi, muta alcuni passi vacillando; poi sta, e piange. La fanciulla udiva scenderle sopra l'anima quelle lacrime, soavi come il pianto della sua genitrice.
- Chi è che piange? - ella disse; - io non avrei creduto che in questo luogo si chiudessero anime più desolate della mia.
E guardando il cielo sospirò mestamente.
Cotesta voce, che si partì dalle labbra affettuose di Beatrice, suonò all'orecchio di Guido armonia di paradiso. Quello che non avrebbe osato la sua passione, egli fece vinto dalla virtù della voce: superata la paura tirò addietro precipitoso il cappuccio, ed ecco appare la faccia di Guido, parlante e bella come una testa del Correggio. Tacito e tremante si accosta a Beatrice: Beatrice lo ravvisa, e indietreggia tremando; allora anche Guido dà indietro un passo: nè quel misero amante, nè la donzella ardivano, non che profferire parole, alitare; solo in quel silenzio si udiva il cigolìo delle catene, scosse dai polsi convulsi di Beatrice.
Come uccelli non ancora pennuti, levata appena l'ala l'abbassono affaticati, così costoro alzano appena gli occhi per declinarli subito al pavimento. Ella, Beatrice, fuggendo, e cercando lo sguardo di Guido, avviene alfine che posi i suoi occhi sopra i mestissimi occhi di lui. L'anima trabocca tutta dalle loro pupille: dalle loro labbra, strette come il cuore, non muove nè anche un sospiro. La bocca di Beatrice non parlerà; assai hanno favellato i suoi occhi; però che lo spirito dello amore passandole davanti come quello di Dio, le abbia detto: «E tu presso di lui accusasti tuo padre; e tu nel petto gli rovesciasti una furia implacabile; s'egli ti amava meno non sarebbe diventato omicida: egli ti fece palese amarti di amore supremo allorquando recise a un punto la vita altrui, e la propria speranza; Guido ti amò piuttosto santa, che sua». - E lo spirito dello amore balenò dai suoi occhi amore e perdono. - Guido... fate di ricordarvi le teste di San Francesco che riceve le stimate, dipinte da Andrea del Sarto, dal Ghirlandaio, e dagli altri gloriosi maestri dell'arte, - tale Guido inebbriato di passione adorava. Beatrice, cedendo allo impeto che la strascina, muove per abbracciarlo; poi si trattiene vereconda, e piange, e al suo pianto gli altri piangevano.
I suoi labbri, rinfrescati da cotesta rugiada di lacrime, forse si sarebbero aperti ad una voce, quando il frate, che presso loro spiava i dubbiosi desiri, mettendo la sua in mezzo alle loro teste, ed adombrandole in parte con la barba canuta che gli pendeva in copia giù dal mento, con voce sommessa così favellò:
- Silenzio! Una parola uscita dai vostri labbri sarebbe morte a qualche altro di voi, e vituperio a me. Voi siete congiunti in matrimonio. Quello che Dio lega lassù, l'uomo può separare, non sciogliere. Ora basti, figliuoli...
E con fermo braccio gli separava. Mansueta Beatrice, di leggieri acconsente alla preghiera; ma Guido, iroso, respinge il frate; onde questi con dolce rimprovero così lo raumilia:
- Dunque tu vuoi spargere la vergogna sopra i miei capelli canuti perchè ti fui pietoso?
Guido piegò la testa, e baciò la manetta di ferro che serrava il polso destro di Beatrice; vide l'anello di oro ch'egli le aveva mandato per mezzo del Farinaccio, e sospirò una parola, che Beatrice o non intese, o non curò. Il frate intanto acconcia il cappuccio sul capo a Guido, e ricingendolo col braccio a mezza vita lo trae verso la porta. Il frate disse ai sospettosi custodi che il suo compagno, estenuato dalle vigilie, non aveva potuto reggere al desolante spettacolo, e lo commise alla carità dei fratelli della Misericordia; i quali accoltolo con ogni maniera di benevolenza, lo scortarono fuori della prigione. Egli scendendo le scale tortuose bagnava ogni scalino di lacrime.
Beatrice, come impietrita, stava fissa sopra la porta donde era scomparso Guido; le pareva sognare; senonchè le catene, scosse di tratto in tratto, la rendevano avvertita ch'ella vegliava pur troppo. Involontaria guardò la manetta baciata da Guido, e vide le sue lacrime decomporre, a modo d'iride, la luce della lampada che in quelle si rifletteva; parevano gemme, e tali sembrarono anche a lei, dacchè sospirando esclamasse:
- Ecco le gioie nuziali, che mi ha donato il mio sposo.
Quando Padre Angelico tornò nel carcere, ella tutta carezzevole lo interrogò:
- Al convento.
- Ah com'è misero!..
- Misero assai. Non sempre alberga in convento; però spesso, nel fitto della notte, si ode bussare un lieve tocco alle porte, e Guido si presenta. I frati lo accolgono, e lo nascondono per carità e per gratitudine, a cagione delle molte elemosine di cui egli ed i suoi antenati furono larghi al convento. Non domanda cibo, o riposo, nè vuole: va in chiesa, s'inginocchia davanti l'altare maggiore, e passa ore ed ore sopra i freddi scaglioni come rapito in estasi; e se non fosse il pianto, non parrebbe vivo. Grande è la miseria dell'uomo per cui il pianto diventò unica testimonianza di vita. Io per me credo che s'egli avesse qualche nemico, vedendolo ridotto a tale ne sentirebbe pietà.
Così favellava il frate, e le sue parole cancellavano dallo spirito di Beatrice le ultime orme della notte funesta, in cui vide a piè del suo letto trucidato il padre per la mano dello amante.
- Ma negli altri giorni dove si nasconde egli? Padre mio, quando lo rivedrete, vi raccomando dirgli che si allontani da Roma; quest'aria è funesta per lui; qui vivono uomini implacabili, ed io lo so. Sapete voi chi sente un po' di misericordia in Roma sacerdotale? - Il carnefice.
- Glielo dirò...
- E s'ei tentennasse, aggiungerete che di ciò lo pregate da parte mia.
- Sta bene. Orsù dunque, figliuola mia, adesso è tempo di volgere il pensiero al cielo: prostratevi a terra; chè quanto vi umiliate, tanto sarete esaltata. La contrizione è gemella della misericordia; e quando esse si presentano unite al trono di Dio, di rado avviene che la giustizia non deponga la spada.
Beatrice genuflessa apre al confessore i penetrali dell'anima: lievi falli, tenui colpe, e ch'ella pure reputa gravissime, dimostrano quale e quanta sia la innocenza di quel suo spirito fiero e gentile. Il frate nello udirla imprecava alla dura necessità, che l'aveva condotta a spingere le mani nel sangue paterno. - Intanto Beatrice tace, e non si è ancora accusata di parricidio. Il padre, esperto delle passioni umane, attribuisce il silenzio a vergogna, e di questo, invece di adontarsene, la pregia; onde la sollecita discretamente a svelare le sue colpe intere, confortandola a rompere ogni ritegno; ma ella ingenua gli risponde:
- Le mie colpe, per quanto ho potuto rammentarmi, ho confessato tutte; per quelle che omisi involontaria, voglia la Bontà divina usarmi la sua misericordia.
- Ricercherò da capo: e postasi sul meditare, prolungava il silenzio oltre l'aspettativa del padre; al quale sembrando adesso dissimulazione quanto prima reputò vergogna, non senza un cotal poco di asprezza le domandò:
- E Francesco Cènci, dite, da qual mano cadde trucidato?
- Io non devo confessarmi dei peccati degli altri. E queste parole pronunziò con tale candore, che il cappuccino ne rimase sbalordito.
- E non lo ammazzaste voi?
- Io? - Io non lo uccisi.
- E come dunque ve ne siete accusata?
- Io, padre, ho sopportato tormenti così angosciosi, che a ripensarvi sopra mi si agghiacciano le carni, e duro fatica a credere che il mio corpo abbia retto senza disfarsi; e nondimeno io mi era al tutto disposta di morire fra le torture in testimonio del vero; ma con infinite preghiere i parenti, gli amici e i difensori mi supplicarono, e con abbondanza di ragioni mi convinsero ad assumere sopra di me tutta la colpa; imperciocchè in questo modo, essi speravano, avrei salvato la signora madre e i fratelli. Quanto a me poi, sarebbe stato agevole farmi dichiarare scusabile a cagione delle sevizie e degli attentati del Conte Cènci. Veramente le ragioni non mi persuasero troppo, e neanche le preghiere mi avrebbero vinto; sennonchè parendomi mostrare troppa durezza contro i miei, piegai la testa, ed offersi il sagrifizio della mia vita e della mia fama per tentar di salvare quella della signora Lucrezia e dei fratelli. Io presentiva che avrei perduto me senza giovare a loro, e lo dissi: il fatto ha dimostrato che io ben mi apponeva. Pazienza! A Dio piacque così, e così sia; - per me non istette, che i miei cari non andassero assoluti.
- Ma non affermaste voi la vostra colpa con giuramento?
- Gli avvocati mi cerziorarono, come davanti la legge divina ed umana non essendo peccato la difesa della propria vita mediante la morte altrui, molto meno poteva offendersi Dio, che noi la tutelassimo col giurare il falso; ed io giurai...
- O sofisti! O sofisti! E quando mai nella verità vi è perdizione?
- Pareva anche a me; ma egli mi raccomandava che io confidassi pienamente in lui; e tanta è la reputazione di dottrina, che gode, che temei comparire fuori di misura presuntuosa anteponendo il mio al consiglio di lui...
- E chi è quegli che ve lo raccomandava?
- Egli. - Guido, che mi mandò questo anello qui... l'anello che doveva essere benedetto alle nostre nozze. - E mentre così favellava, la faccia per pudore l'era diventata di fiamma. E il frate instava:
- Esponete partitamente, figliuola mia, lo intero successo; forse voi avete peccato, più che non credete, contro voi stessa...
- I segreti di Dio, rispose severo il cappuccino, stanno sepolti nel cuore dell'uomo; e all'uomo, voi lo sapete, puossi bene strappare il cuore, il segreto no.
Allora Beatrice espose distesamente tutto il fatto, senza ometterne la più lieve particolarità. Il frate, che incredulo aveva incominciato a prestare l'orecchio, a mano a mano ebbe a credere alla sembianza ingenua, alla parola pacata, e al candore della vergine magnanima; ond'è, che mentr'ella favellava tuttavia, il frate si desse della mano nella fronte esclamando:
- Signore! Signore! anima più benedetta di questa quando mai fu veduta quaggiù?
E posto ch'ebbe fine la Beatrice alla confessione, il frate sbigottito favellò:
- Anima santa, io ti assolvo dacchè questo sia lo ufficio del ministero; ma io protesto che dovrei prostrarmi davanti a te, e pregarti che tu mi raccomandi a Dio. Da quali labbra potranno giungergli più accette le preghiere, che da queste purissime ed innocentissime tue? Prega da te stessa Dio; io unirò le mie preci alle tue, che certamente giungeranno in paradiso; - nè io già pregherò per te, che non ne hai di bisogno; bensì per questa sventurata città, e per la salute di coloro che ti condannarono.
La fanciulla si prostrò davanti alle sacre Immagini che pendevano dalle pareti; e rivolgendosi, secondochè le donne costumano fare più particolarmente, alla Beata Vergine, la ringraziava di chiamarla così presto da questa vita, e soprattutto di averle fatto grazia di vedere anche una volta quel caro Guido, il quale non le potendo essere compagno in terra, sperava le sarebbe unito eternamente in paradiso...
Ma qui si fermò, quasi avesse tocco del piè la vipera, e sbigottita domandò:
- Padre, ditemi, in carità; ma Guido mio sarà perdonato? Sarà fatto egli degno della salvazione eterna? Potrò io non tremare al suo cospetto? Mi verrà concesso di stringere quella mano che ha trucidato mio padre?
- E pensi tu, figlia mia, che potremmo noi godere le gioie del paradiso se non obliassimo gli affanni terreni? All'anima immortale la memoria di essere rimasta prigioniera dentro il viluppo di creta tornerebbe non solo di gravezza, ma di vergogna.
- Ah! - rispose Beatrice sospirando, - eppure io avrei non voluto dimenticare l'amor mio, - quantunque pieno di affanni...
Allora riprese a pregare fervorosamente Dio; e il frate accanto lo supplicava tacito, affinchè su quella cara innocente non facesse mai venir meno la costanza.
Un confortatore essendosi in quel punto affacciato sopra la soglia della carcere, chiamò col cenno il frate e gli sussurrò a voce bassa una parola; questi avendola raccolta tornava presso alla Beatrice, e sì le diceva:
- Figlia, se desideraste trovarvi insieme con la vostra signora madre vi sarebbe concesso.
- Venga... oh! venga, povera signora madre,... ci consoleremo insieme.