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Francesco Domenico Guerrazzi
Beatrice Cènci

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CAPITOLO XXVIII.

 

LA FIGLIA DEL CARNEFICE.

 

E cortesia fu lui esser villano.

Dante, Inferno.

 

Virginia sentiva morirsi dentro; parlare non osava, e dal piangere quanto più poteva frenavasi. Per non caderle morta ai piedi, colto il destro che Beatrice si fece a mutare alquante parole col cappuccino, uscì pianamente di carcere. Appena le fu dietro le spalle chiusa la porta, l'aria fresca la colpì nel mezzo della fronte come il taglio di una mannaia: vacillò; la colse un fierissimo capogiro, le mancarono sotto le gambe, ed una languidezza ghiacciata le strinse il cuore: volle aiutarsi appoggiandosi al muro con ambe le mani aperte, ma non potè, e cadde giù con un singulto lungo la parete.

I fratelli della Misericordia, i quali vigilavano solertissimi per adempire ogni più lieve desiderio dei condannati, la rilevarono da terra; ed avendola riconosciuta per la figliuola del carnefice, la posero su di una seggiola e la portarono nella sua stanza, immaginando che per dimorare lunga pezza in luogo chiuso l'aria le avesse fatto male. In vero, chi di loro avrebbe dubitato che la figlia del carnefice avesse racchiuso un cuore capace di rompersi per la pietà?

Il padre era già in piedi, ed occupato, in fede di Dio, in piacevole studio: egli attendeva a dare il filo alla mannaia. Quando i fratelli della Misericordia entrarono egli stava giù curvo, e lo guardava tentando con l'ugna se fosse riuscito a dovere.

- Mastro Alessandro, gli dissero gl'incappucciati, mirate qua; è venuto male alla vostra figliuola: mettetela a letto, e procurate di farla rinvenire.

E pronunziate appena queste parole se ne andarono via; imperciocchè chi di loro avrebbe voluto prodigare le sue cure al sangue del carnefice? La gente di giustizia pagasi, ed odiasi, sia alta o bassa: le gittiamo l'osso, e le diamo una pedata; e quei medesimi che hanno per istituto esercitare atti di carità credono avertene praticata abbastanza quando la raccattano caduta. - Alessandro tolse di peso la sua figliuola, la scinse; e persuaso che fosse una mancanza, appoggiata in un canto la mannaia, si dette a cercare penne di gallina per abbrustolirgliele sotto il naso: riuscito questo esperimento invano, prese aceto e glielo spruzzò sopra la fronte. La fanciulla non rinveniva; il padre incominciò a spaventarsi: la guardò meglio in faccia... quelle bolle vermiglie, quella bava sanguigna che il boia aveva osservato sopra la bocca di Marzio morto nei tormenti, adesso il padre osserva sopra la faccia della sua figliuola. Si diè di un pugno nel capo, e corse all'uscio mugolando: aiuto! aiuto!

Appena egli ebbe messo il piede nel pianerottolo, una voce da basso sinistramente roca lo chiamò:

- Oe! mastro Alessandro... avacciatevi; prendete la mannaia, e correte a Torre di Nona, che colà vi aspettano.

- Non posso.

- O bella questa! Vale un ducato nuovo di zecca! O che voi avete facoltà di dire: posso, o non posso? Anima e corpo voi siete venduto agl'Illustrissimi che vi comandano...

- Non posso... non posso: sgombrami la scala, chè ho bisogno di andare pel medico...

- Che medico, e non medico? Dove ci siete voi non vi ha mestiero medico... voi avete a venire a tagliare quattro teste...

- E se io non voglio venire? - E se io butto la mia vita e la mia scure dicendovi: Infami quanto me; più di me, perchè alla malvagità accoppiate la ipocrisia; ammazzate da per voi col ferro coloro, che avete prima assassinato con la penna. Mi muore la figlia, e m'impedite di andare a cercarle soccorso! Io non ho nulla, assolutamente nulla, che mi rammenti nel mondo di essere uomo, tranne questa misera, e cara figliuola; e mi contrastate il diritto di porgerle aiuto? Se ella, la Virginia, è morta, e che cosa importa a me essere giustiziato, piuttostochè giustiziare? Se posso salvare Virginia io me ne andrò con lei in un deserto, in una isola disabitata, lontano lontano da voi: - meglio mangiare corbezzole salvatiche, che il vostro pane fatto di veleno e di farina d'ossa di morto...

E rientrato in casa afferra furiosamente la mannaia, e la scaglia giù per la scala imprecando:

- Va, uomo dabbene, porta la mannaia al tuo padrone, e digli che d'ora in poi scriva con questa penna i suoi atti di accusa. Io renuncio alla mia carica; il procuratore fiscale ne può fare tutt'una colla sua, com'era prima che la Ipocrisia lo dividesse in procuratore, ed in carnefice - va...

- Mastro Alessandro ha dato di volta alle girelle, esclamò messere Ventura levando un salto maraviglioso; e ben ei seppe esser destro, che la scure balzando giù precipitosa mandò faville su gli scalini, e dove mai lo avesse colto gli avrebbe tagliato le gambe nette come giunchi: poi, trattosi prudentemente da parte, commise alla squadra degli sbirri, che gli faceva corteggio, salisse; a forza lo traesse, e se bisognasse si adoperassero le funi. Ieri aveva il furfante ricevuto la paga, e più cento ducati per lo apparecchio del palco, le carrozze, le tanaglie, il fuoco, la segatura, spugne eccetera; epperò, che va egli fantasticando di figliuola, e non figliuola? Se sarà morta gliela seppelliranno, e per boia non sarà poco: intanto l'esecutore della legge obbedisca prima alla legge. Fortuna fu che mastro Alessandro si fosse disarmato della mannaia, altrimenti giù per cotesta scala sarebbe corso un fiume di sangue: pure sul pianerottolo accadde una fiera baruffa, in cui da un lato e dall'altro si avvicendarono colpi tremendi. Il carnefice, schermendosi da un nugolo di sbirri, ruggiva, pregava, e tuttavia percuoteva.

- Lasciatemi prima aiutare Virginia, e poi ritaglio il capo anche a San Paolo... La figlia!... la figlia mia! Ma che siete peggio dei lupi? Ve lo domando in carità! Quando mi capiterete sotto, vi leverò la testa senza che ve ne accorgiate... fede di boia onorato!

- È matto. - Ti è morta la figliuola? Allegri! Meno galline, manco pipite! O che la serbavi perchè te la sposasse un marchese? O che hai paura che delle baldracche vada sperso il seme?

Così gli rispondeva la sbirraglia, a cui, vinto dal numero, cesse mastro Alessandro. Stretto nelle braccia, lo spinsero per le spalle giù nella scala accompagnandolo con schiamazzi e grida oscene, le quali irridevano cotesta sua nuova tenerezza paterna.

Mastro Alessandro superato dalla forza troncò di un tratto le querele, e tacque.

Volgendo però la faccia alla stanza dove lasciava la figlia, anzi l'anima sua, senza poterla aiutare vedere fino a sera, dacchè tutti andavano seco lui, scoppiò in un gemito, e forse scoppiava anche in pianto; ma lo trattenne, udendo moltiplicare le scede degli sbirri non solo, ma di quanti altri ancora l'accompagnavano. Certo i suoi labbri non proffersero il voto di Caligola, ma il suo cuore desiderò che il popolo romano avesse un capo solo per troncarglielo di un colpo. Mentre così da Corte Savella lo traevano a Tordinona, fortuna volle che s'imbattesse in un fratello della Misericordia fuori di servizio, il quale sovente aveva veduto ed udito esercitare con carità veramente cristiana lo ufficio di confortatore. Laonde chiamatolo col cenno, così gli si raccomandava:

- Cristiano, per quanto amore portate a Gesù Cristo, vi supplico di recarvi a casa mia, in Corte Bavella, ad aiutare la mia figliuola che si muore.

- Caro mio oggi non sono di guardia, ed ho negozii da sbrigare in Banchi; incombenzatene qualche altro.

E passò via.

Poco dopo occorse in un prete: era il priore di San Simone, e con voce sempre più umile lo supplicò:

- Uomo del Signore, ho la mia figliuola... la mia unica figliuola, che mi muore. Deh! per le piaghe di Gesù Cristo, fatemi la carità di arrivare fino a casa mia, e datele soccorso.

Il Priore lo guardò in cagnesco, come se egli lo avesse ricercato di andare ad amministrare la eucarestia a un lupo; poi ipocritamente soave gli rispose:

- Figliuolo mio, vi pare?... Coteste le son faccende da donna.

- Ebbene, fate di mandarci una donna... io le darò dieci... venti scudi... il guadagno della giornata...

Il prete aveva svoltato il canto.

Finalmente gli venne incontro una specie di bruto, scalzo, coi piedi imbrattati di fango fino oltre la noce; della brache portava una parte rovesciata sopra il ginocchio, l'altra cascante per terra, e strette sopra i fianchi con una sozza corda; il rimanente nudo, se togli uno straccio di tela sopra le spalle, ed un berretto, che una volta fu rosso, tirato su gli occhi: era colore di rame, camminava a gambe larghe, e tentennava: in quel punto destavasi da una ubbriachezza, che lo aveva tenuto per morto da bene ventotto ore. Il popolo lo chiamava Otre. Se qualche borghese tornando tardi a casa veniva, nel buio della notte, tra la mota e il letamaio ad inciampare dentro qualche corpo morvido che rispondesse alla pedata con un grugnito, tirava innanzi senza darsi un pensiero al mondo, dicendo: è Otre. Tanta era la tristizia ed abiettezza sua, che sarebbesi creduto far torto al più immondo animale paragonandolo con lui! A questo pertanto si volse il derelitto Alessandro con la solita preghiera; ma Otre lo squadrò in faccia fra stupido e spaventato, e gli rispose grugnando:

- Vino! vino!

- Fratello, va a dare aiuto alla mia figliuola, e ti rivestirò di nuovo da capo a piedi...

- Vino! vino!...

- Sì, ti darò vino quanto ne vuoi: anzi va a casa, e, dopo avermi soccorso Virginia, bevi tutto il mio vino che trovi.

- Il tuo vino? No... è mescolato col sangue. Io non voglio del tuo vino.

E si allontanò con un grugnito.


 

 

 




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