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Francesco Domenico Guerrazzi
Beatrice Cènci

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CAPITOLO XXX.

 

LA MOGLIE.

 

Mulier diligens est corona viro suo.

Proverbii.

 

Ma l'amore non dorme. Guido aveva avuto modo di sapere la sentenza funesta appena segnata. Non la temendo così imminente, rimase colto quasi alla sprovvista: non per questo sbigottivasi punto dell'animo, e, ricorso ai banditi suoi novelli amici, mandò sollecito per essi pregando, e quasi ordinando (imperciocchè la sua autorità di giorno in giorno appo loro fosse venuta crescendo) che travestiti di varie maniere si avessero a trovare adunati, senza frapporre indugio, nello Anfiteatro Flavio.

Infatti due ore prima che l'alba spuntasse incominciarono i masnadieri a riunirsi in drappelletti di due, di tre, di quattro, quale abbigliato da abbate, tale altro da frate: parecchi mantennero le vesti rusticane, mancarono di quelli che comparvero con abito da gentiluomo; e tanto è falso il proverbio «la tonaca non fa il monaco», che i nostri banditi incamuffati da gentiluomini non si sarieno distinti in cento volte co' veri gentiluomini bagnati e cimati. Però, fatto il conto, i raccolti non si trovarono a superare i quaranta, numero troppo piccolo per cimentarsi in impresa di rilievo. Guido e gli altri però non erano uomini da peritarsi per questo a mettersi allo sbaraglio; in ispecie Guido, il quale vi si sarebbe cacciato anche solo. Udite le opinioni di tutti, Guido ordinò prendessero per segnale un pampano di vite, e se lo mettessero al cappello, ovvero al cappuccio, e provvisti di armi corte si frapponessero nella processione mentr'essa accostavasi al palco. Colà sbarattati i fratelli della Misericordia, e sbirri, e soldati, levassero di peso la Beatrice e la trasportassero dov'egli, salito su di un polledro che fulminava, l'avrebbe tolta in groppa, e menatala fuori delle mura alla dirotta: eglino poi in mezzo alla baruffa, giovandosi del trambusto, si sbandassero, e procurassero guadagnare Tivoli, ov'esso gli avrebbe aspettati. I masnadieri concorsero tutti di gran cuore in cotesta sentenza, come quelli che per natura propendevano a cotesti fatti arrisicati; e poi, conoscendo lo affetto smisurato che la universa Roma portava alla Beatrice, fidavano procacciarsi grandissima rinomanza, della quale pure erano teneri: per ultimo il premio promesso, se giungevano a salvare la fanciulla, era veramente da Cesare, com'eglino stessi ebbero luogo in seguito di dire più volte.

Cosa stupenda, e nonpertanto riportata dai ricordi del tempo: poca ora dopo, nella stessa Roma, altri meditava la medesima impresa! Fu creduto che questi fossero mossi segretamente da Maffeo Barberini col mezzo dei suoi fidati: forse non era vero, ma egli procedeva molto acceso in questo negozio. Il fato della Beatrice, e la sua inclita bellezza lo avevano tocco profondamente. La diligenza ch'egli pose a procurarsene il ritratto, di cui parlerò fra poco, e gli onori che ottenne si rendessero alla salma della gentil donzella, assai aperto il dimostrano. Forse fu bontà somma in lui, educato alle ottime discipline e cultore non infelice della poesia; forse amicizia fervente per Guido, e potrebbe darsi anco amore per la Beatrice; avvegnadio porpora cardinalizia, rispetto di amico possano impedire amore d'insinuarsi nel seno degli uomini, ma solo che, prorompendo, trapassi i confini dell'onesto: questo solo possono, e qualche volta facciano.

Se Guido avesse le proprie congiunto con le forze di Maffeo avrebbero per avventura conseguito lo intento; ma parendogli di essersi prevalso anche troppo del suo amico, non volle, per intempestiva discretezza, impegnarlo in nuove fortune difficili, e piene di pericolo.

Questa seconda congiura per salvare Beatrice si componeva di Artisti, i quali comecchè sieno usi ad effigiare la bellezza fisica, tuttavolta, per quel secreto vincolo di parentela che stringe fra loro tutte le cose buone e leggiadre, agevolmente s'innamorano anche della bellezza morale. Quando ti senti l'occhio afflitto dalla diuturna contemplazione della turpitudine umana, volgilo sopra gli Artisti, in ispecie giovani, e lo riposerai.

A questa schiera di giovani facevano capo molti familiari delle più cospicue casate di Roma, messi su sotto mano dai loro patroni, ai quali pareva ricevere gravissimo torto in cotesta strage Cinciana. Su tutti gli altri, ci raccontano le storie del tempo, sentivasi agitato da smania irrequieta Ubaldino Ubaldini, giovane fiorentino artista di grandi speranze, che sarebbe salito in alta fama se la morte non lo coglieva immaturamente: egli fu il pittore che disegnò la testa di Beatrice come amore disperato gliela impresse nel cuore, nell'atto di essere condotta al supplizio. Guido Reni in quel tempo non si era anche mosso da Bologna, sua patria, a Roma: vi andò sul finire dell'anno 1599, o su i primi del 1600, come si ricava apertamente dalla sua vita stampata nella Felsina pittrice. La tradizione pietosa narra avere Guido Reni dipinto il ritratto della Beatrice nella vigilia della sua morte: però, come erronea, vuolsi emendare; imperciocchè se il caso fosse vero, tornerebbe in massimo disdoro così della vergine come del pittore. Della Beatrice, perchè si tirerebbe addosso la taccia di biasimevole vanità, dovendo l'anima sua in cotesti solenni momenti stare, siccome veramente stette, assorbita nel pensiero di Dio, e negli affetti più puri: del Reni, però che la mano del pittore che vale a dipingere, senza tremito, un caro infelice prossimo ad esser tratto a morte immeritata, svela un cuore stupido, o perverso. - Questo ritratto dipinto da Guido Reni, ai giorni nostri conservasi a Roma nel palazzo dei Principi Barberini, e va attorno inciso dal Volpato, e meglio dal Morghen.

Anche di questi congiurati era disegno fare impeto nella processione, rapire Beatrice, e gli altri condannati; riporli dentro una carrozza attaccata a poderosi cavalli, e trasportarli al mare. In numero costoro sorpassavano i compagni di Guido, ma n'erano superati per valore, e per abito di mettersi allo sbaraglio nelle più sanguinose baruffe. Per segno fu destinato un tassello bianco sul capo. L'Ubaldini terrebbe lo sportello della carrozza apparecchiata, le redini dei cavalli certo artista francese, il quale si era vantato capace di condurre il carro del Sole senza rischio di fare il tuffo nel Po.

- Per dio! - gridava lo Ubaldini percuotendo forte del pugno la tavola, non ha da morire... e non ha da morire;... meglio sarebbe...

E siccome esitava a compire il suo concetto, un compagno lo veniva stimolando:

- Meglio, che cosa?

- Meglio rompere l'Apollo di Belvedere, o il Laocoonte...

- E la cupola del Vaticano la do per giunta, arrose un terzo.

- Molto più che queste cose noi le possiamo rifare, osservò il francese offertosi a sostenere le parti di Automedonte; ma l'Ubaldino, sbirciatolo di traverso, tra la rabbia e il riso gli disse:

- No, francese proprio di Francia, coteste cose non si rifanno; ma è meglio periscano esse, che una creatura innocente.

- O preti! - esclamò un giovane artista, e tacque. Poi, dopo essersi soffermato alquanto per trovare nella sua mente convenevole epiteto, soggiunse: - O preti, preti! Chè ho detto tutto, e a dire più di così io ve lo do per bazza; voi ci volete assassinare i nostri modelli. E tolti essi di mezzo, cui ci rimarrà a studiare per farci onore? Forse voi altri? Oh! non capita tutti i giorni dipingere su le mura di qualche camposanto l'Arca di Noè.

- Ah! se la Beatrice fosse nata nei tuoi panni, buon per lei! che adesso non si troverebbe al duro passo a cui l'hanno condotta.

- E questo come ci entra?

- Ci entra benissimo, perchè e' dicono che l'ammazzano per carpirle i suoi scudi. Ora a te possono bene strappare i denti; ma in quanto scudi, gli è tempo perso.

- Silenzio voi altri! La bellezza, che noi vagheggiamo, ricordate che non è di cortigiana, bensì bellezza purissima, celeste; però ond'ella discenda sopra i nostri cuori, come lo Spiritossanto nel giorno della Pentecoste, ed infonda in loro virtù di operare magnanimamente, importa mantenerli disposti con gravi, e religiose meditazioni.

Questo discorso, favellato dal giovane Ubaldini salito su di un trespolo, troncò in un attimo le arguzie intempestive; e tutti cotesti strepitosi, e svagati artisti diventarono serii quanto i Padri del Concilio di Trento.

Il primo raggio di sole che spuntò dai colli di Roma rischiarava nella prigione di Torre di Nona un molto lacrimevole spettacolo. Giacomo e Bernardino incontratisi, corsero ad abbracciarsi; onde poter confondere insieme lacrime e baci, si erano provati a entrare l'uno fra le catene dell'altro; ed essendovi riusciti, si vedevano ricingersi scambievolmente con bracci, e catene.

- Vieni, caro, stringimi... mi pare stringere i miei figliuoli. Te beato, Bernardino, che non hai figliuoli! Tu senti men che mezzo l'affanno della morte.

- E non ho nepoti?

- Ahimè! I miei figli... orfani... figli di parricida, perseguitati da un uomo maligno che può tutto quello che vuole, e che vuole la loro sostanza! Tutti, per piacere al potente, ammantano la viltà con la sembianza di santa abbominazione, e cacciano via i maladetti. Dove sono gli amici? Diventarono nemici, e fanno scontare ai figliuoli la vergogna di averne conosciuto il padre. - Contendono ai loro petti affamati il pane; chi li difende? Gli percuotono; essi piangono, e perchè tacciano li percuotono da capo... La madre, rifinita anch'essa, si adonta che il suo seno sia diventato nido di vipere... Ah! no, no, Luisa, la mia Luisa non abbandonerà i miei figliuoli; e quando le verrà meno il latte, gli nudrirà di sangue.

- Poveretti! E li priveranno proprio di tutto? Anche della roba mia? Ma io non so niente di tutte queste diavolerie, e l'ho assicurato poc'anzi al padre confessore, che non ci voleva credere. Egli caparbio urlava: no; ed io fermo gridava più di lui: sì; finchè sono venuti a prendermi.

- E che innocentissimo tu sia, fratel mio, chi lo sa meglio di me? Tu almeno conservi una consolazione, ed è che da questa vita trapasserai alle gioie celesti. A me poi dubito forte che questo mi venga concesso; perocchè, quantunque io non abbia parte nella morte di Francesco Cènci, pure mi è forza rendermi in colpa per avere altra volta macchinato contro la sua vita, ed acconsentito che lo uccidessero.

- E non pertanto ci siamo accusati di averlo trafitto noi stessi! Io ammazzare il signor padre, che al solo vederlo mi metteva i brividi addosso?... Ma, comecchè fanciullo, io mi sono troppo bene accorto, sai, che anche negando ci avrebbero fatti morire fra mille strazii; così, confessando, almeno ci daranno morte ad un tratto, e mi pare un bel guadagno. Dimmi, fratello, tu che sei uso a vivere nel mondo, la giustizia è sempre fatta così?

- Giacomo rispose co' sospiri; - ma il fanciullo, tendendo le orecchie, prosegue:

- Senti! Giacomo, senti! Che cos'è questa campana che ci piange sul capo?

E Giacomo allora, stringendosi al seno più forte Bernardino, gli domandò tutto smarrito:

- Come ti senti, Bernardino?

- Io? Bene.

- E di morire ti rincresce?

- Mi pare di sì, perchè mi piacciono gli uccelli, e le farfalle, e i fiori pei quali esse svolazzano, e veder correre in giù il Tevere quando è grosso; - e tutto, in somma, mi piace. Qui saluto il sole, che è chiaro e caldo; e di sento che fa buio, e freddo. Qui, dove sono io so; dove vado me lo dicono, e sarà; ma non lo so di certo.

- Ebbene; or sappi, questa campana suonare l'agonìa di noi altri, che ci sentiamo pieni di vita... Questa campana annunzia che dobbiamo partire, a noi che vorremmo rimanere...

Quasi in conferma delle sue sinistre parole, ecco riaffacciarsi improvvisi sopra la porta del carcere i confessori, e i fratelli della Misericordia.

- Su; coraggio, fratelli, l'ora si approssima; disse una voce lugubre.

- Sia fatta la volontà di Dio, rispose don Giacomo; ma lo interruppe Bernardino:

- E sia proprio questa la volontà di Dio Gicomo?

- Sì certo, poichè nulla accada senzachè Dio lo permetta; - e voi a dubitarne peccate gravemente, rispose il confessore in vece di don Giacomo.

- Se così è, padre, me ne pento; e onde acquistarmi merito in paradiso, crederò che per volontà di Dio vengo mandato a morte innocentissimo.

- Chi di noi è incolpevole? Tutti siamo rei al cospetto dei Signore.

- Ma non tutti sono tratti a morte di dodici anni.

- Dio prova chi ama; e voi, figliuolo, ringraziatelo con tutte le viscere per avere tra mille scelto voi a sperimentare la sua bontà infinita.

- Padre, riprese ingenuo il fanciullo, se vorreste prendere il mio posto...

E il frate con atto di compunzione, strette le mani e levati gli occhi al cielo, interruppe:

- Con tutto il cuore, figliuolo mio, se potesse farsi; ma non si può fare.

Mastro Alessandro con la sua faccia di bronzo ruppe gl'indugi. Pareva impossibile, eppure da cotesta sua faccia traspariva una immensità di dolore, - feroce, - minaccevole a coloro cui fortuna gli avesse cacciato tra le mani, e tuttavia dolore. Egli vestì i pazienti di due cappe nere somministrategli dalla fraternita della Misericordia; anzi quella indossata da Giacomo fu già di Francesco Cènci, il quale finchè visse era stato ascritto al pio istituto.

Poi tutti a passo lento incamminaronsi fuori del carcere. Don Giacomo si fermò sopra la soglia della stanza, che abbandonava, testimonio delle sue inenarrabili angosce, e profferì queste parole:

- Settantasette volte maladetto l'uomo, che condanna l'uomo a disperarsi l'anima dentro cotesto avello; quegli che con una spinta lo precipita nel sepolcro, sia maladetto sette volte soltanto.

Le campane continuano lo squillo degli agonizzanti; i tamburi suonano scordati; il cielo e la terra pareva che con quei suoni si scambiassero l'annunzio che la strage stava per compirsi, e ne rimanessero sbigottiti. Giù nel cortile stavano attelati parecchi squadroni di micheletti a cavallo, e un nugolo di sbirri a piedi, e poi i fratelli della Misericordia, e il carnefice, e i valletti del carnefice, e tutto insomma il desolante apparecchio di forza, del quale ha bisogno di circondarsi la giustizia, - quando non è giustizia.

Bernardino guardava tutti cotesti oggetti a modo di smemorato, ma più particolarmente fissò due carrette, dov'entro fornelli di carboni ardenti si arroventavano tanaglie di ferro; e curioso, secondo la indole dei fanciulli, domandava:

- Giacomo, e coteste tanaglie a che devono servire?

Giacomo non rispondeva, e la più parte dei fratelli della Misericordia sotto il cappuccio lacrimava; ma il giovanetto insisteva inquieto:

- Io lo vo' sapere; dimmelo, su, Giacomo: non creder mica di farmi paura; tanto, che io devo morire lo so.

- E' sono per noi, - rispose Giacomo; e più non potè dire.

- Oh! Io non credeva mai che meco ci fosse bisogno di tanti arnesi; con me è presto fatto; lo vedi, ho il collo sottile come un giunco: il boia non avrà a durare molta fatica, io penso.

Ancora guardò un chiodo, un mazzuolo, ed un tabarro rosso trinato di oro, oggetti tutti che, come corpi di delitto, venivano trasportati sopra una delle carrette per essere esposti al pubblico.

- Giacomo, o non ti par egli cotesto tabarro quel desso che adoperava il nostro signor padre? Decisamente il mantello rosso ci perseguita.

I confortatori, a impedire che l'attenzione del fanciullo vagasse dalla meditazione religiosa, posero a lui come al le tavolette, ch'erano una maniera di cassette di legno in cui intoducevano il capo dei pazienti, tenendone obbligata la vista sulla immagine del Crocifisso, e sopra certe devote orazioni fatte al caso da un dotto e pio cappuccino, incollate dintorno alle pareti. Il fanciullo strillava urlando gli togliessero cotesto ingombro, non gli rapissero quello che Dio solo può dare, la vista del cielo. In questa si notò alla porta del cortile uno agitarsi di gente, uno scansarsi di soldati, e lenta procedere in mezzo a loro una carrozza. Le voci del popolo percuotevano turbinose le mura del carcere come ondate di mare in burrasca:

- Grazia! Grazia!

Un lampo di vita passò dinanzi agli occhi di Giacomo, e la sua testa si sollevò a guisa della cima del pioppo quando è passato il turbine. Dalla carrozza scese l'illustrissimo signor Ventura, il quale presentatosi al cospetto dei condannati, trasse una carta dal seno, e favellò:

- Don Bernardo Cènci, nostro Signore vi fa grazia della vita. Compiacetevi però fare compagnia alli vostri parenti, e pregate Dio per le anime loro169.

Compiacetevi. Tu nota, lettore, la parola, e ti apparecchia a vedere pietà di sacerdote che sia. Neanche il demonio, allevato in collegio dai reverendi Padri della Compagnia di Gesù, avrebbe saputo o voluto adoperare parola così satanicamente beffarda, e ipocritamente crudele.

I confortatori allora trassero a don Bernardino le tavolette, chiamate ancora pietà; ed il carnefice riscontrato il placet del Papa, lo liberò dalle manette: e non sapendo con che vestirlo, per torgli l'apparenza di condannato, prese il mantello rosso del Conte Cènci, ed in quello lo avviluppò. Così il destino ordinava, che gli ultimi figli di cotesto scellerato uomo si accostassero al patibolo uno vestito della cappa nera con la quale costui tradì Iddio, e l'altro del tabarro rosso col quale aveva tentato tradire Marzio. Fino le sue spoglie riuscivano funeste alla propria famiglia: come Nesso, tramandava ai suoi impregnata di odio anche la camicia.

Bernardino riveduto il sole aperto, e sentendosi salvo, battè palma a palma, saltò, gridò per allegrezza, chè lo istinto di vita prevalse in quel punto potentissimo sopra ogni altra passione; ma subito dopo si accorse quanta gli rimanesse causa di pianto, e come fosse turpe cosa mostrarsi esultante: rannicchiavasi pertanto ai piedi di Giacomo, e supplice gli chiedeva perdono.

In Giacomo al lampo di vita era subentrata l'ombra della morte; aveva già l'occhio vitreo, e smarrito; tuttavolta dalla gola estenuata profferì a stento queste parole:

- Giubbila, fratel mio; se tu potessi vedermi il cuore, conosceresti come io n'esulti più di te. Il Signore incomincia a placarsi meco, poichè si degna mandare un altro padre ai miei figliuoli. Prendili dunque in custodia, giacchè tu li puoi ricevere: io raccomando a te il sangue mio col medesimo affetto col quale raccomando al Creatore l'anima mia.

- Giacomo, rispose Bernardino abbracciando le ginocchia del fratello, io ti giuro di far voto di castità, onde altri amori non mi disturbino dallo avere pei figliuoli, che mi lasci, viscere di padre.

- Ed ora sia benedetto Dio. Signori, possiamo andare.

Uscita fuori del cortile la processione s'incamminò verso Santa Maria in Posterula, dove allora restauravano il collegio dei Celestini, chiamato poi, dal nome del papa regnante, Clementino. A mezzo la strada dell'Orso il carnefice sbarrò la cappa a don Giacomo, facendolo rimanere ignudo fino alla cintura: poi, dato di piglio alle tanaglie roventi, strappò un lembo della carne di don Giacomo...

Le carni sotto l'ardore del ferro si aggricciarono; il ferro fumò, una piaga atrocemente dolorosa si aperse, e mandò leppo insopportabile. Cuore, vista, udito, odorato rimanevano del pari feriti.

Bernardino balzò in piedi furioso, e tentò con le nude mani afferrare le tanaglie infuocate; ma il carnefice le trasse indietro: allora egli, compresa la inanità dei suoi conati, girandosi in ginocchioni con le mani giunte supplicava:

- O, per pietà, non lo toccate; basta; troppo a lui... per le piaghe di Gesù, qualche cosa date anche a me.

E siccome mastro Alessandro, coteste preghiere non badando, tornava a rinnuovare lo strazio, Bernardino gridò:

- Per pietà, signori fratelli, mi ridieno le tavolette... che io non vegga... non senta... oh! oh! mi si spezza il cuore...

E il fanciullo cadde svenuto.

Don Giacomo stringeva quanto più gli era dato le labbra, e la pelle delle guance insinuava fra i denti, sicchè ne aveva la bocca piena di sangue; e ciò faceva per non gemere. Ma giù dalla fronte grondava il sudore a pioggia, i capelli dritti come istrice, convulso tutto, singhiozzava talvolta, ma non gemeva. In questo modo lacerato oscenamente, il misero procedeva per le piazze di Nicosia e Palomba fino alla chiesa di Santo Apollinare; donde piegarono a Piazza Navona, anticamente Circolo Agonale, e quinci per San Pantaleo, li Pollacchi, e piazza delle Pallottole fino a Campo di Fiore, mercato dei rigattieri, dove per privilegio si giustiziavano i condannati dal tribunale del Santo Ufficio.

In questo modo i potenti della terra, ma in ispecie i Pontefici, costumarono un giorno partecipare alla infamia sembianza d'onore, e tuttavia costumano. Freme il mondo, o sibila, o ride; ed ei lo lasciano fremere, ridere, e sibilare, continuando a crear nobili le spie, e concedere indulgenze e croci ai traditori.

Adesso la processione traversa un suolo che arde: egli è la piazza dei Cènci. Giacomo sbalordito dal dolore, in qual luogo lo avessero tratto o non badava, o non sapeva. Giunto a piè dell'arco dove incomincia la cordonata la quale conduce alla chiesa di San Tommaso dei Cènci, caddero sopra il suo capo grida strazianti, ch'ebbero virtù con la tremenda vibrazione loro di superare perfino l'acuto senso di dolore, che trapassava il cervello del derelitto cerne un chiodo. Leva gli occhi, e traverso un velo pargli ravvisare, e ravvisa certo, dalla terrazza che sormonta l'arco dei Cènci, le braccia sporgenti della moglie e dei figli.

La idea di mostrarsi in tale stato di abiettezza e di miseria alla sua famiglia rimescolò tutto il sangue nelle vene di Giacomo, e glielo spinse poi così impetuoso al cuore, che traballò per cadere. Ma l'affetto vinse la vergogna, ond'ei con voce piena di amore esclamò:

- I figli! Oh! i miei figli... datemi i miei figliuoli...

Gli ufficiali preposti alla esecuzione della giustizia intendevano andare oltre; ma il popolo commosso urlò con un grido solo:

- Dategli i figliuoli.

E siccome gli ufficiali nicchiavano ad obbedire, un maroso popolare sbarattò la processione, e mugghiando arrivò fin presso al carro; per la qual cosa gli ufficiali, ammiccatisi coll'occhio, trovarono giustissimo il desiderio del popolo, e bandirono ad alta voce niente star loro più a cuore quanto appagare il voto universale. Fatto pertanto scendere prestamente don Giacomo giù dal carro, e gittatagli sopra le spalle la cappa onde rimanessero coperte le ferite, lo trassero su per la cordonata nel cortile del palazzo. Quali spasimi recasse allo infelice cotesta tela, che confricando inaspriva le carni arse, non è da dire; ma egli divorava i gemiti per pietà dei suoi.

Giù per le ampie scale Luisa, con le chiome sciolte, fu vista precipitarsi tenendo un figliuoletto in collo, ed un altro per mano. La seguitava Angiolina recando seco altri figli, e presto lo ebbero raggiunto giù nel piazzale. Luisa gittò al collo del marito un figliuolo, il quale vi si apprese con atto disperato: ella poi volle prostrarsi, ed abbracciargli le ginocchia; sennonchè al primo muovere che Giacomo fece dei labbri le membra le si prosciolsero; tanta pietà la strinse, che cadde priva di sentimenti ai suoi piedi. Giacomo non la vide, chè il fanciullo pendente dal collo glielo impediva; onde con voce abbastanza ferma favellò:

- Figli miei, fra breve ora un colpo torrà a voi un padre; a vostra madre un marito. Io vi lascio un ben tristo retaggio, e questo pensiero mi tormenta, ahi! più del mio supplizio. Quando mi avranno sepolto qui in questa chiesa di San Tommaso, voi abbiatevi in mente che se sarete cacciati dalla vostra magione, nessuno potrà chiudervi in faccia le porte della chiesa edificata dai vostri maggiori. Venite di notte, procurate che nessuno vi veda, e pregate per l'anima del povero vostro padre. Luisa, io non ti raccomando i tuoi figliuoli, e miei; io so... io so, che prima di giungere a loro bisognerà passarti sul petto. Luisa mia, dove sei?...

Non udendo risposta piegò la persona, e depose in quel modo il figliuolino sul pavimento, dacchè con le braccia non si poteva aitare. Allora la vide stesa priva di sensi; però che levati gli occhi al cielo continuò:

- Signore ti ringrazio, che avendomi dato la contentezza di rivederla prima di morire, hai tolto a lei il dolore di questa ultima separazione. Poi, anch'egli prosteso al suolo, la baciò in volto, e glielo bagnò di lacrime e di sangue. Quindi baciò i figli ad uno ad uno, che gli si strinsero addosso cercando ritenerlo con le infantili loro mani, e mettendo guai così pietosi, che spezzavano il cuore.

- Addio... figli miei, - diceva il misero tra un singulto e l'altro - addio; ci rivedremo in paradiso. Bernardino, adesso sono figliuoli tuoi... rammentalo.

E Bernardino si dava tutto smanioso ad abbracciare, e a baciare quelle creaturine, e come poteva acquetavale, promettendo loro che presto egli sarebbe tornato a casa. Ed essi:

- Ma il babbo, , ce lo rimenerai?

- Io no... ma ve lo riporteranno, non dubitate... Addio.

Piangevano tutti, e si udiva alto dintorno un suono di gemiti, un singhiozzare irrefrenato, come se a ciascheduno degli astanti fosse tratto a morte o figlio, o fratello.

Si riprende la via della passione. Chi si sentiva fra gli spettatori affaticato delle sofferte sensazioni, chi procedeva cupido di nuove più acute... Anime dure!

Angiolina rimasta sola presso la desolata Luisa, si trovava sgomenta a trasportarla nelle sue stanze. - Non uno dei tanti servi, non uno dei tanti clienti, ed amici della famiglia Cènci si trovava costà per sovvenirla nello ufficio pietoso. Uomini ed animali si allontanano dalla casa che minaccia rovina. Ella si fece fin presso la strada pure aspettando che qualcheduno passasse. Alla fine gli occorse il vecchio Giacobbe ebreo, che poco oltre il palazzo Cènci teneva bottega di rigattiere (dacchè parmi avere avvertito, che cotesto palazzo si trovasse in vicinanza del Ghetto). Su le prime Angiolina sentì ribrezzo valersi della opera di tale che, secondo le opinioni del tempo, stimavasi men di un cane; ma vinta dal bisogno, così alla trista, lo richiese a darle una mano per portare in casa la povera gentildonna. E Giacobbe, a cui non erano sfuggiti la superbia delle parole, l'atto acerbo, tentennando il capo rispose:

- Volentieri, donna mia. Il Signore nella via sua ha visitato questa casa, e tutti i miseri hanno da essere fratelli.

Giacobbe entrò in mezzo ai fanciulli, i quali in ginocchioni stavano piangendo intorno alla caduta reputandola morta, e si recò in collo la Luisa consolando tuttavia i fanciulli, ed assicurandoli che la mamma era viva. Ei la depose sul letto, le sottomise al capo gli origlieri, e per ultimo, tenendosi ritto ed ossequioso, disse ad Angiolina:

- Nati a soffrire e a morire, anche noi, che voi maledite, abbiamo un cuore qui dentro. Se più volete da me, domandate, vi prego, e le creature di Dio divise dalla ingiustizia sieno almeno riunite dal dolore. Angiolina lo accomiatava, attentandosi per fino a stringergli la mano. Luisa dopo lunga ora rinvenne: girando attorno al letto gli occhi smarriti vide i figliuoli, come Niobe un giorno contemplò i suoi, trafitti dalle saette della sventura. Si appoggiò sopra un gomito sollevando alquanto la persona, e con voce languida disse loro queste parole:

- Noi non lo rivedremo più! In breve, fanciulli, noi non avremo più tetto che ci ricovri: - tutto perderemo in un punto; padre, congiunti, amici, fama, e sostanze. Dimenticate chi foste, per rammentarvi quello che siete. Quando gli amici di vostro padre fingeranno di non riconoscervi, non ve ne adontate: i servi vi hanno abbandonato, compatiteli; essi stanno attaccati al pane, e voi non avete più pane: i figli dei gentiluomini si vergogneranno di voi; bastate a voi stessi: i figli del popolo vi fuggiranno; riconduceteli a voi con lo affetto: la mano di tutti sarà contro voi, la mano vostra non si alzi contro nessuno. Non maledite al padre vostro però che egli fosse misero, non colpevole; e fosse stato anche reo, non istà ai figliuoli giudicare dei proprii genitori: ma io vi affermo ch'ei fu infelice, e innocente; però pregate che se egli non può più venire verso di noi, a Dio piaccia ricondurci tosto presso di lui. Siamo soli; raddoppiamo fra noi i vincoli dello amore, e noi non ci accorgeremo della nostra solitudine...

A questo punto degli accenti desolati fu udito dietro di loro un rammarichìo, che gli accompagnava. Luisa piegata la faccia conobbe essere Angiolina, la quale a rispettosa distanza genuflessa aveva giunto le manine al suo pargolo, e quelle levate con le proprie verso il cielo plorando pregava. In cotesto modo la gentile intendeva significare alla Luisa Cènci, che non tutti i cuori l'avevano disertata; e gliene avanzava sempre qualcheduno il quale parteciperebbe alle sciagure della sua famiglia, e piangerebbe con lei.

Comprese la Luisa la rampogna amorosa, e chiamata a se Angiolina le cinse di un braccio il collo, e baciatala riprese:

- Sorella, ti domando perdono; e levati gli occhi al cielo soggiunse: Signore, ti prenda pietà di due vedove desolate; - se tu non ci sovvieni, noi non ne possiamo più.

E chinata la testa stette alquanto in silenzio. Poi continuò:

- Ecco, figliuoli, voi non sarete soli: adesso avete acquistato due creature dalle quali sarete amati. Dio vi toglie un padre, e vi manda una seconda madre: ultima a perdersi è la speranza, ma finalmente anch'essa si perde; una amica provata dalla sventura non si perde mai.

Le donne continuarono a piangere; però da quel punto in poi sentirono sgorgar meno amare le lacrime. Quando Dio dall'alto dei cieli contempla l'amico che si stringe all'amico nel giorno del dolore, si compiace aver creato l'uomo; ed allora soltanto si rammenta averlo creato ad immagine sua.


 

 

 




169 Precise parole, conservate dalle cronache del tempo.






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