Solo, nella notte, l’eremita
pregava.
Fioca, nella cella, una lucerna
tremava.
Le stelle, su in alto, roteando
passavano; preci, uomini,
terra, assorte nel loro giro ampio,
ignoravano.
Vecchio era l’eremita, il più
vecchio
d’anni degli eremiti.
Sofferto aveva affanni
infiniti; e si batteva col pugno.
Chiedeva misericordia, egli,
immune
da colpa, per il male del mondo.
Pregava, nel silenzio profondo,
per i peccatori, egli, fuori
del gorgo. Non domandava al
destino
che riposo, per sè, del lungo
cammino.
All’alba, consunta, la lampada
guizzava morente.
Già all’ultime stille, guizzava,
finita, la vita
del vecchio eremita.
Accolta era stata la preghiera,
chiusa la lunghissima sera.
Passava. Cercò con lo sguardo
già greve, di là dal muro, un
raggio ultimo
di luce da portar seco nell’ombra
eterna. Gli si spense in sussurro
l’ultima prece. Poi tacque
per sempre e steso al suolo
pesantemente giacque.
Sùbito
intorno al morto si levò e corse un fremito. Di tomba in tomba
rapido si rifrangeva l’eco del
nuovo annunzio, e accorrevano
l’ombre. Fu gran concilio d’anime
nella romita
cella. Sordo al pispiglio
dell’irrequieta
folla, l’anacoreta
dormiva. E un gran silenzio
si fece intorno, e una voce
diede al nuovo venuto
nel paese dei morti il suo saluto.
— Benvenuto, uomo! Che porti
teco, giungendo al nostro regno?
Fama hai di savio. Sei degno
di vivere fra noi morti? —
Chi parlava dell’al di là? Divelta
dal nodo della carne, balzò
l’anima
intenta; e i folti spiriti
guardò sorpresa. Fatue luci,
tremule
fiamme, vampe azzurrine... I
morti! I morti!
Ella era giunta! Era nel regno,
il vero,
l’eterno, il tanto atteso,
l’unico! Il corpo
era lì, steso, enorme e vuoto;
immoto
come la pietra; ed ella, senza
peso,
lieve come aria, libera,
sciolta per sempre, fluttuava, aliava,
ebbra, immemore alfine, alfine
assunta
alla pace infinita, alla serena
pace, di là dal cieco
carcere, oltre la pena
lunga di quella lunga aspra sua
vita...
— Provvida è la sorte, che
arresta
la spola quando il filo è finito.
Come, uomo, nell’ordito
del tempo la tua trama fu intesta?
Certo hai lasciato un tuo dono
o savio! Quale solco hai tracciato?
Vedi i nascituri? Hanno piene
le mani di sementi. Hai tu arato?
—
— O anime, vissuto ho nel
silenzio,
nella preghiera,
oltre le procellose
nubi, fiso alla sfera
del bene... Anime anime, ove andate?
Ove fuggite? Chi m’ascolta? Chi
ode
solo un momento...? Chi m’aiuta?
Ombre! Anime!... —
Solo rimase l’eremita
solo, morto anche alla morte.
Greve di un’inutile vita
percosse avea
le funebri porte.
Vedeva, alla gran soglia, atterrito,
giungere a una ad una
dalla terra, altre anime
di morti; e a ognuna
l’opera fornita risplendeva come
aureola
intorno; e, fioco
albore o rutilare
di splendore,
tutte n’eran
cinte; tutti, un giorno
solo, un’ora, anche i più umili, i
negletti
dal destino, gli ultimi, avean dato
vivi, un segno
di lor
vita: arato
un campo o alzato un tempio; intriso
un pane o vinto un popolo; sorriso
a un figlio, o sciolto il volo
a un canto. Ei solo avea fallito il viaggio.
Ei solo era ombra, intera, buia,
senza raggio.
Fosco in cielo tra nuvole bigie
baluginava il mattino,
l’anima sola e triste riprese il
suo corpo e il cammino.
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