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Giorgio Cicogna
Canti per i nostri giorni

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  • INTERMEZZO TRAGICO
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INTERMEZZO TRAGICO

 

 

A Mariano e Zappi

 

L’Altro era già caduto, era già assorto

nel suo gran sogno. Non chiedeva aiuto

più; muto, si sognava morto.

 

 

Morto. In pace. Giù, via, con la corrente

lenta, senza più freddo, senza più

pena; in pace; serenamente. Un blando

scender nell’ombra, e inabissárvisi, ecco,

come inghiottito. E il Nulla immenso, morbido

come bambagia; nuvole lievi che urtano

senza far male; e se si capovolgono

pare si capovolga il cielo... Chi ànsima

cosí vicino? e questa luce?... Dio,

perché c’è questa luce atroce? Basta

ghiacci! basta acqua! basta andare! Immergersi

dove che sia, dove che sia, tra spasimi

di qualunque agonía, sùbito! Pèrdersi

senza aspettare più! Gli abiti paiono

lame alla carne... è freddo... basta... oh, madre,

mamma... Un singhiozzo

forse, sommessamente, ebbe; e riscosso

tentò sorgere, e cadde, e non aveva

lena, e gemé: non posso...

 

 

Poi solo gli occhi rimasero

vivi, fissi sul tragico

indugio di voi due. La morte

batteva, forte, più forte

ogni ora. Oh, aprire! aprire! quali porte

dunque eran chiuse? — Avanti,

Morte! Essi no! I compagni no! Me solo,

Morte! — Voi, muti,

guardavate in quel volto il vostro volto

di domani, nel suo delirio il vostro

di fra poche ore, in quel comando l’ultimo

gesto d’un vostro stesso amore... Presto...

pur che uno giunga... Il gelo

vi stagnò il pianto; ed il più esausto: — Avanti —

disse. Un sorriso errò lieve nei chiari

occhi dell’olocausto.

 

 

Questo fu l’ultimo giorno,

giorno di morte e di gloria.

Egli è ancora, tra cielo

e gelo, con la sua muta Vittoria.

Forse — nessuno gli occhi gli ha chiusi

guarda le lunghe aurore invernali.

Forse — gli ultimi ghiacci già fusi

fluttua sulle verdi acque glaciali.

Forse. Ma nelle pupille sbarrate

serba il vostro ultimo dono:

le stille che vide, disperate,

brillare nel vostro sguardo buono...

 

 

Non ebbe, Egli, come voi, straziate

le carni dai denti dell’uomo!




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