Lontanissimo lontanissimo
dove il cielo tocca la terra
c’è un castello; c’è da antichissimo
tempo un castello; vi stanno
rinchiuse
Furie e Grazie, Fate e Muse.
Ombre e forme, larve e immagini
che nei secoli l’uomo ha create
giù nel parco tutte discendono
nelle tiepide notti d’estate;
Poi tra gli alberi, poi tra le fronde
tutte danzano sotto la luna;
Liete o irose, tristi o gioiose,
tutte cantano, fuor che una:
Fuor che una piccola Cenerentola
che sta al fuoco, e svéntola,
svéntola.
Gridano le Erinni
«Suscitiamo gl’inni
diamo fuoco ai cuori
che la vampa rossa degli incendi
li divori!
Lampo nelle spade
Sibilo nel piombo
Liévito nel sangue a ferro e fuoco
ariamo il mondo; seme d’ossa
dà grano di riscossa; terra
rossa esprime messi opime; grida
e sfida il nostro canto cielo e
terra: Guerra!
Guerra!»
Ascolta
Cenerentola
e non parla;
curva alla pentola
guarda il
fuoco, e svéntola, svéntola.
«Vergini stelle, vergini stelle,
cantan
le Grazie — dolci sorelle,
siamo le ancelle di un solo
Signore,
ha nome l’Amore,
germoglia nel cuore, radice ha oltre
il mondo,
nell’ansia infinita
che ha, il Tutto, di vita...
ancelle divine
ancelle e regine,
rechiamo il messaggio che allieta
ogni viaggio
lenisce ogni pena
fiorisce ogni strada
terrena...»
Ed a gara,
gioiosa fanfara, ecco irromper le
voci
limpide, argute,
d’altre creature del vecchio castello
«Gioia degli occhi, festa dell’anima,
nel mio pennello
reco il Creato!» — «Dal più
profondo
delle montagne cavo la forma,
creo, stampo l’orma
di Dio nel masso!» — «Chiudo il
futuro
nelle mie sillabe; prostro, ed
esalto; mostro le mète;
chiamo, e sfavillo! Brillo, e
conduco!» — «Mormoro, piango,
canto... Nell’íride
delle mie note v’è pace e guerra,
v’è cielo e terra...» — «Droghe non
reco
filtri non porto, meco ho una
fiaccola, rompo le tenebre,
traccio il sentiero, guido,
scorto...»
Alza gli occhi
Cenerentola
su dal fuoco,
su dalla pentola,
Alza gli occhi
e un sorriso la sfiora:
Forse domani,
forse fra un’ora...
Ma le Virtù tutte azzurrovestite
le candide mani sul petto riunite
rispondono: «Gioia che passa, di
un’ora,
è la vostra; non dura, se
infiora!
Gioia è quella dell’anima,
che scende nel più profondo,
splende nel cuore, lo illumina,
lo fa più limpido e mondo...
Il sorriso di chi perdona!
La ricchezza di chi non ha, e
dona!
La gloria di chi gloria non
brama!
La carità di chi ama!
La pace, ch’è nelle vene
di chi per male offre bene!»
«Pace prego anch’io,
ma la pace di Dio,
sola pace che acquieta,
sola che porta a una mèta,
tepore di vera luce
che al solo porto conduce;
dove ha tregua il pensiero
dove finisce il mistero...»
Così cantano, nella notte, sotto la
luna,
Muse e Fate, Furie ed ombre, tranne
che una.
Ma ad un tratto voci e danze sono
interrotte;
si dileguano Muse e Fate via per
la notte.
Cenerentola, Cenerentola,
lascia il fuoco, lascia la
pentola,
corri ad aprire, corri al
cancello,
qualcuno bussa al vecchio
castello
Pellegrino all’antico maniero,
Cenerentola, batte il pensiero.
Non la magica pantofola
della favola per un piedino;
ma un enigma forte a risolvere
ha portato il pellegrino.
L’enigma grande, profondo,
d’ogni cosa, di tutto il mondo;
dell’Universo che non si dipinge
che non si canta, che non si
finge;
l’enigma che risolto
mostra agli uomini Dio col suo
volto.
Ombre e forme, Grazie e Muse,
mute e attonite stanno confuse,
nella notte sotto la luna
più non cantano, fuor che una;
Fuor che una piccola Cenerentola
che s’avanza; e la chioma le svéntola.
D’oro liquido, che trabocca
ha tra le mani ricolma una coppa
l’alza e canta, e il viso le
splende
canta e all’ospite muto la tende.
— «Non mi
chiedere come mi chiami
Bevi il filtro dalle mie mani
Goccia a
goccia l’ho distillato
nei millenni che
t’ho aspettato.
Non ho avuto
templi dove m’adorassero
Non ho avuto
mani che m’inghirlandassero
Non ho, come
le mie sorelle,
cantato
l’azzurro e le stelle.
Sola, senza
lauri nè carmi
ho compiuto il
cammino,
corrusche non
furono le mie armi
nè il mio destino.
Non serbo
rancore ai poeti
non seppero
mai, di me, nulla
non videro,
oltre i segni segreti,
la
risplendente fanciulla.
Ma i segni e i
simboli attorti
incatenavano
senza posa;
i numeri serravan, più forti
di strambe,
ogni cosa a ogni cosa.
Tessuto nella
mia veste, ora, guarda!
è il Tutto; nè v’è disegno più bello;
Vedi, nella
gran fiamma, come arda
fioco questo
vecchio castello!
E l’Ospite bevve il filtro; il guarnello
lògoro,
di Cenerentola, sparve.
Spàrvero, via per la notte, fantàsime
urlanti, Furie e Càriti e larve;
e nell’aurora,
splendente
del suo divino
fulgore,
balenò,
sorridente
il volto di una legge d’Amore.
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