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Giorgio Cicogna
Canti per i nostri giorni

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  • L’INNOCENTE
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L’INNOCENTE

 

 

Il nido era soffice e caldo

lassù in vetta all’olmo; sospeso

ma saldo; ricolmo

di nati, gli alati

volastri dell’ultima cova.

E un dìttero, un piccolo nulla,

ronzando leggero,

accanto alla pènsile culla

passò; troppo accanto; e lo scorse e si sporse

ingordo, un dei piccoli, e cadde.

 

 

Ora nella polvere della strada

lo scrìcciolo arrancava arrancava.

Batteva le alucce e non poteva

alzarsi; e frullava e ricadeva

spaurito, ansante. Dalla strada

un’ombra, un mostro, a gran passi

giungeva; il cielo, gigantesco,

oscurava.

 

 

Veniva dalla strada deserta

un vecchio randagio di tutte

le strade del male, segnato

di rughe e di colpe.

Rottame d’ogni umano naufragio

veniva rugumando i suoi neri

pensieri di lupo e di volpe.

 

 

E vide la creatura che annaspava

nella polvere, e un palpito nel duro

cuore gli corse; e accorse

e la raccolse; e dalla nocchieruta

mano trarre la tremula dolcezza

seppe d’una carezza; ed i due sguardi

dei due sperduti, il torbido

ed il lìmpido, un àttimo

s’incontrarono.

Va, va, vecchio; lascia

l’innocente. Altre mani, altre incolpevoli

mani, non le grifagne tue, racchiudano

la dolce preda. Eccolo, viene, guarda,

un fanciullo. I suoi cèruli occhi immensi

specchiano il cielo; e supplice ti tende

le sue piccole mani dalle rosee

dita, simili ai pètali di un fiore

contro la luce. O vecchio, o vecchio, e questo

questo che tu sorridi è forse l’ultimo

dei tuoi sorrisi, l’ultimo fugace

lampo del bene sulla dura scorza

della tua faccia...

E il bimbo ebbe il suo dono

lieve, e rise felice, e se lo strinse

al petto. Oh bello, oh morbido

fascio di piume! Palpitava il piccolo

cuore della creatura nella tiepida

stretta; ma più che un nido

caldo è il concavo seno delle tènere

mani d’un bimbo... Il vecchio

era già lungi, via, col suo destino,

solo, in cammino.

 

 

E il bimbo dagli occhi cerulei

rimase, anche solo, al suo gioco.

Si divertì per un poco

assorto; poi, con gli aculei

d’un pruno, attento, — e teneva

il respiro nella fatica — uno ad uno

gli cavò diligentemente gli occhi. Oh come

buffo si contorceva ora, oh che splendidi

guizzi! Battè le mani il piccolo

e rise. E nella limpida

chiara ignara pupilla era il riverbero

della tua gloria, o pura

santa, cara ai poeti, imperitura

madre, Natura.




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