Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giorgio Cicogna
Canti per i nostri giorni

IntraText CT - Lettura del testo

  • ALLA NATURA
Precedente - Successivo

Clicca qui per attivare i link alle concordanze

ALLA NATURA

 

 

Madre ladre benigna, misericordiosa

natura

Dàcci la rigogliosa uva che nella tua vigna

matura

Largìscici con l’eterno tuo amore

i doni del tuo materno

cuore.

 

 

Dà, dà al mendíco le raffiche dei tuoi venti

per riscaldarlo

Dà al fanciullo le zanne dei tuoi lupi

per trastullarlo

Màcera il corpo e spegni

Gli occhi al vegliardo ma avvíncilo, coi tortigli

della speranza al suo buio, che bràncoli

in esso, cercandovi i figli.

Strazia ai vivi la carne, che ùrlino, e l’urlo suoni alto,

Strappa il figlio alla madre, l’amante all’amante, le fronde

al ramo, le radici profonde

al ceppo; fa strame

dei fiori: buon concio per la tua terra fa, dolce

natura, del sangue e dell’ossa

delle tue creature, chè possa

rinnovellarsi il messaggio

tuo d’amore, ogni maggio.

E sèmina, sèmina, natura

per la mietitura futura.

Pianta i tuoi tralci per la vendemmia

chè la tua ancella, la sorte,

possa offrirti bei grappoli

di morte.

 

 

Ma falcia dunque, spàzzala, cancèllala

dalla faccia del mondo

questa gregge; ma stèrminala tutta,

Madre, ch’io non oda più oltre

questo belare! Non vedi

che più la schiacci, e più ai piedi

ti striscia? Tu che sola

una cosa ci hai dato

di grande, augusto, l’ansia di combatterti

e superarti, e, superata, imprimere

sopra ogni cosa il segno, il marchio, l’orma

nostri! Tu che ci hai detto: Va! che hai l’arma

per la tua guerra! Distruggi

chè puoi creare! Sfa, lacera

la mia tela, e ritèssila

con le tue mani! Ma i trepidi

pigmei tremano e orrore hanno, se un lembo

si strappa; e brulicando come nere

formìcole s’affannano, e dai glomi

viscidi del pensiero il filo tràggono

che la rammendi, e chiuda, e chiuda, e màscheri

lo squarcio, anche se marcio

sia l’ordito, e la trama a falda a falda

se ne cada, purchè dallo spiraglio

non entri il cielo, un cielo troppo azzurro

e luminoso, e un sole che li abbàcini

troppo, che troppo fólgori i lor occhi

miopi... Rammendate, rammendate,

fratelli del bruco laborioso,

Fatevi anzi un bòzzolo, e state

ben dentro, che nulla turbi il riposo.

Anch’io, anch’io vedo i prati

fiorire, e il grano maturare

anch’io tra lo stormire delle fronde qualche volta ascolto

il vento sibilare, e vedo a onde

a onde susseguirsi lungo i secoli le stirpi.

Ma penso — Povera natura

quanta terra, ed acqua, e sole, per un pane!

Quanto inane

impeto di vento per il volo

breve di un tuo solo

seme! quante vane

prove, per far nascere dal grembo

di una stirpe un uomo!

 

 

Basta, basta, natura.

Troppo il tuo gioco è durato.

Basta con questa immensa paura

di leggi e di fato.

Vili ignudi feroci

ci hai fatti; l’orto e la vigna

del mondo infestati hai di gramigna.

Strappammo, arammo, bagnammo

le zolle di sangue e di sudore.

Piantammo nell’arido cuore

il seme di un a te ignoto

amore.

 

 

Vinceremo. Sorgerà, sui calvi

graniti, la città futura.

Leverà dalle sue dure fondamenta al cielo gli alti

pinnàcoli sicura.

Ruoterà, spazzato dalle arboree

muffe e dalle gromme

delle viti inutili il pianeta.

Brillerà negli occhi all’irrequieta

specie una più pura

luce.

Guarderanno i figli dei remoti

figli al luminoso

segno.

Stringeranno in pugno il più glorioso

scettro d’un più vasto

regno.

Con gli aratri e il ferro delle spade

tra le cose morte

senza ormai più sorte

dormiranno il loro sonno, finalmente

muti

ultimi nostalgici esegéti di perduti

secoli, i poeti.




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License