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Giorgio Cicogna Canti per i nostri giorni IntraText CT - Lettura del testo |
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INNO ALLA MATEMATICA
Lontanissimo lontanissimo dove il cielo tocca la terra c’è un castello; c’è da antichissimo tempo un castello; vi stanno rinchiuse Furie e Grazie, Fate e Muse. Ombre e forme, larve e immagini che nei secoli l’uomo ha create giù nel parco tutte discendono nelle tiepide notti d’estate; Poi tra gli alberi, poi tra le fronde tutte danzano sotto la luna; Liete o irose, tristi o gioiose, tutte cantano, fuor che una: Fuor che una piccola Cenerentola che sta al fuoco, e svéntola, svéntola.
Gridano le Erinni «Suscitiamo gl’inni diamo fuoco ai cuori che la vampa rossa degli incendi li divori! Lampo nelle spade Sibilo nel piombo Liévito nel sangue a ferro e fuoco ariamo il mondo; seme d’ossa dà grano di riscossa; terra rossa esprime messi opime; grida e sfida il nostro canto cielo e terra: Guerra! Guerra!»
Ascolta Cenerentola e non parla; curva alla pentola guarda il fuoco, e svéntola, svéntola.
«Vergini stelle, vergini stelle, cantan le Grazie — dolci sorelle, siamo le ancelle di un solo Signore, ha nome l’Amore, germoglia nel cuore, radice ha oltre il mondo, nell’ansia infinita che ha, il Tutto, di vita... ancelle divine ancelle e regine, rechiamo il messaggio che allieta ogni viaggio lenisce ogni pena fiorisce ogni strada terrena...»
Ed a gara, gioiosa fanfara, ecco irromper le voci limpide, argute, d’altre creature del vecchio castello «Gioia degli occhi, festa dell’anima, nel mio pennello reco il Creato!» — «Dal più profondo delle montagne cavo la forma, creo, stampo l’orma di Dio nel masso!» — «Chiudo il futuro nelle mie sillabe; prostro, ed esalto; mostro le mète; chiamo, e sfavillo! Brillo, e conduco!» — «Mormoro, piango, canto... Nell’íride delle mie note v’è pace e guerra, v’è cielo e terra...» — «Droghe non reco filtri non porto, meco ho una fiaccola, rompo le tenebre, traccio il sentiero, guido, scorto...»
Alza gli occhi Cenerentola su dal fuoco, su dalla pentola, Alza gli occhi e un sorriso la sfiora: Forse domani, forse fra un’ora...
Ma le Virtù tutte azzurrovestite le candide mani sul petto riunite rispondono: «Gioia che passa, di un’ora, è la vostra; non dura, se infiora! Gioia è quella dell’anima, che scende nel più profondo, splende nel cuore, lo illumina, lo fa più limpido e mondo... Il sorriso di chi perdona! La ricchezza di chi non ha, e dona! La gloria di chi gloria non brama! La carità di chi ama! La pace, ch’è nelle vene di chi per male offre bene!»
«Pace prego anch’io, ma la pace di Dio, sola pace che acquieta, sola che porta a una mèta, tepore di vera luce che al solo porto conduce; dove ha tregua il pensiero dove finisce il mistero...»
Così cantano, nella notte, sotto la luna, Muse e Fate, Furie ed ombre, tranne che una. Ma ad un tratto voci e danze sono interrotte; si dileguano Muse e Fate via per la notte. Cenerentola, Cenerentola, lascia il fuoco, lascia la pentola, corri ad aprire, corri al cancello, qualcuno bussa al vecchio castello Pellegrino all’antico maniero, Cenerentola, batte il pensiero.
Non la magica pantofola della favola per un piedino; ma un enigma forte a risolvere ha portato il pellegrino. L’enigma grande, profondo, d’ogni cosa, di tutto il mondo; dell’Universo che non si dipinge che non si canta, che non si finge; l’enigma che risolto mostra agli uomini Dio col suo volto. Ombre e forme, Grazie e Muse, mute e attonite stanno confuse, nella notte sotto la luna più non cantano, fuor che una; Fuor che una piccola Cenerentola che s’avanza; e la chioma le svéntola. D’oro liquido, che trabocca ha tra le mani ricolma una coppa l’alza e canta, e il viso le splende canta e all’ospite muto la tende.
— «Non mi chiedere come mi chiami Bevi il filtro dalle mie mani Goccia a goccia l’ho distillato nei millenni che t’ho aspettato. Non ho avuto templi dove m’adorassero Non ho avuto mani che m’inghirlandassero Non ho, come le mie sorelle, cantato l’azzurro e le stelle. Sola, senza lauri nè carmi ho compiuto il cammino, corrusche non furono le mie armi nè il mio destino. Non serbo rancore ai poeti non seppero mai, di me, nulla non videro, oltre i segni segreti, la risplendente fanciulla. Ma i segni e i simboli attorti incatenavano senza posa; i numeri serravan, più forti di strambe, ogni cosa a ogni cosa. Tessuto nella mia veste, ora, guarda! è il Tutto; nè v’è disegno più bello; Vedi, nella gran fiamma, come arda fioco questo vecchio castello!
E l’Ospite bevve il filtro; il guarnello lògoro, di Cenerentola, sparve. Spàrvero, via per la notte, fantàsime urlanti, Furie e Càriti e larve; e nell’aurora, splendente del suo divino fulgore, balenò, sorridente il volto di una legge d’Amore. |
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