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Modesto Rastrelli Fatti attinenti all'Inquisizione e sua istoria generale e particolare di Toscana IntraText CT - Lettura del testo |
Noi Frate Accursio di Firenze dell’Ordine de’ Frati Predicatori per autorità Apostolica Inquisitore dell’eretica pravità nella Provincia di Toscana, facciamo noto a tutti, che mentre facevamo il nostro ufizio commessoci dall’Inquisizione, per fama pubblica, anzi piuttosto infamia, e per fede di molti uomini degni, che ad una voce hanno riferito con giuramento, come Maestro Cecco figliolo di Maestro Simone degli Stabili della Città di Ascoli, in ruina sua e degli altri, e pericolo non piccolo delle anime spargeva molte e diverse eresìe per la Città di Firenze, e quello che è più detestabile un certo suo eretico e profano libretto a suggestione del Diavolo, composto sopra la sfera, quale contro la promessa e giuramento suo proprio, come cane che ritorna al vomito, lo dettava per le scuole; onde non volendo noi mancare a norma dell’obbligo nostro di rintracciare la verità, lo abbiamo ritrovato per asserzione di testimonj, degni di fede, pieno di contumelie, scandolo e mormorazione, e non conforme al vero, perciò lo facemmo condurre alla nostra presenza e costituito avanti a noi pigliammo da esso il giuramento corporale di dire la verità, tanto riguardo a se che riguardo agli altri, e avendo confessate le seguenti empie ed inique proposizioni, assegnatoli e datoli le difese di tutte quelle cose che gli erano opposte, che in invido disprezzo della fede Ortodossa, ha spacciatamente sostenute ed insegnate, alla presenza del Sig. Conte di Santo Stefano, Vicario Generale del Venerabil Padre e Monsignore Francesco per la grazia di Dio Vescovo Fiorentino, e di molte altre persone provide e onorate, e Dottori di legge chiamati per consultare se si deva procedere a sentenza, con matura deliberazione e considerazione: invocata la grazia di Dio, e dello Spirito Santo sedendo pro Tribunali ec. Di consenso ec. Del Venerabil Padre e Signore Vescovo Fiorentino sopraddetto a questo delegato, per lui, ed in questa parte a noi plenariamente commettendo.
Pronunziamo e dichiariamo il predetto Maestro Cecco eretico costituito in nostra presenza, esser ricaduto nell’eresia abiurata, essere stato relasso e recidivo, e per questo doversi consegnare al giudizio Secolare, e perciò lo rilasciamo in potere del Sig. Jacopo da Brescia Vicario Fiorentino presente e recipiente, perchè lo faccia punire con debita considerazione, e di più che il libretto superstizioso, pazzo, e negromantico fatto dal detto Maestro Cecco di Ascoli sopra la sfera, pieno di eresìa, falsità, ed inganno, e altro libretto volgare, ne’ quali sono state ritrovate molte acerbità e massime ereticali, e principalmente quando v’include molte cose, che si appartengono alle virtù, e costumi, che riduce ogni cosa alle stelle come in causa con ogni altra sua opera, scritto e dottrina, siano dati alle fiamme, ne si possano leggere o ritenere da alcuno sotto pena di scomunica, e altre pene spirituali e corporali, secondo le Leggi Canoniche ec. L’anno dell’Incarnazione del Signore 1327. Indizione Decima, nel dì 20. Settembre nella Chiesa de’ Padri Minori Conventuali di Firenze presenti ec. ec.53.
Di una tale esecuzione assai parlossi in que’ tempi, e apparve a molti piuttosto dettata dallo spirito di vendetta, che dalla volontà di perseguitare ed estinguere il delitto di eresìa L’istesso Papa Giovanni XXII., chiamato avanti che fosse promosso al Pontificato Jacopo d’Ossat, essendo stato amico di Cecco d’Ascoli e ammiratore di sua scienza, appena che ricevè in Avignone l’avviso di sua sentenza, si vuole che dicesse pubblicamente alla presenza di tutta la Corte, che i Frati Minori aveano perseguitato ed ucciso il Principe de Filosofi Peripatetici. E’ ben vero che l’Inquisizione in Firenze prese dopo la medesima maggior piede, ne lasciò nulla d’intentato per ampliare la sua giurisdizione anche sopra ogni genere di persone. Fra Pietro dell’Aquila Inquisitore succeduto a Frate Accursio giunse a segno di far arrestare un certo Silvestro Baroncelli Ministro della Ragione Acciaioli poch’anzi fallita, mentre usciva dal Palazzo de’ Priori accompagnato da loro ministri, essendo andato avanti i medesimi e il Gonfaloniere di Giustizia Primerano Serragli, per trattare sotto la loro parola di affari concernenti la detta Ragione, e ciò nel mese di Febbraio dell’anno 1346. il motivo dell’arresto fu perchè il prefato Inquisitore era stato munito di procura dal Cardinale Don Pietro di Toledo Spagnuolo, che andava creditore dalla mancata Ragione di 12. mila fiorini d’oro. Un tale arbitrio, che nulla avea di comune con le cose della fede e della religione, sembrando eccedente alla Signoria, e in pregiudizio della dignità e Sovranità della Repubblica, fecero liberare immediatamente il carcerato Baroncelli, e a Famigli del Potestà che aveano fatta l’esecuzione fecero tagliar le mani, confinandoli per 10. anni fuori del dominio Fiorentino. Il Potestà scusando l’error successo, e impetrando il perdono della Signoria si trasse d’intrigo, ma l’Inquisitore piccato scomunicò immediatamente il Gonfaloniere e i Priori, e lasciata la Città interdetta se ne andò a Siena. Alla scomunica fu subito per mezzo di due Notari Sindaci del Comune appellato di nullità, e vennero mandati sei Ambasciatori in Avignone a Papa Clemente VI. fra quali il Canonico Buonaccorso de’ Frescobaldi, e Ugo della Stufa Cavaliere, per rappresentare la cattiva condotta dell’Inquisitore, e pregare il Santo Padre a rimuoverlo da quella carica, esponendo, che in sette anni che l’avea amministrata, avea ricavati più di 7. mila fiorini d’oro da diversi Cittadini condannati in pene pecuniarie come sospetti di Eresìa. Frattanto imitando uno Statuto, che era allora in vigore a Perugia, e nel Regno di Castiglia, venne in Firenze emanata una legge, che veruno Inquisitore si dovesse intromettere in altro che nel suo ufizio senza uscir punto da i termini dell’eresìa, e che gli eretici secondo la qualità de’ loro delitti condannati fossero nella persona, e non ne beni o in danaro. Che non potessero gl’Inquisitori tener carceri private, ma si dovessero servir delle pubbliche, e nessun Capitano, Potestà, o esecutore potesse fare arrestare cittadino o forestiero col mandato del S. Ufizio senza previa licenza de’ Priori, e così s’intendesse relativamente a’ Vescovi di Firenze e di Fiesole. Fu tolta anche la facoltà di dar le patenti di portar armi se non per soli sei familiari dell’Inquisizione, e perchè questi articoli fossero puntualmente osservati, eretto venne un Magistrato di 14. Cittadini chiamati i difensori della libertà, da quali con l’andar del tempo ne è derivato il Tribunale della Regia Giurisdizione. La scomunica fu tolta, e l’Inquisitore rimosso con l’essere stato fatto Vescovo di S. Angelo. Giunto l’anno 1375. Gregorio XI. sdegnato co’ Fiorentini perchè credea, che avessero dato mano alla ribellione di alcune Città dello Stato Ecclesiastico, pubblicò solennemente in Avignone la sentenza di scomunica ed interdetto contro la Città di Firenze, alla quale trovandosi presente Donato Barbadori Ambasciatore della Repubblica, si rivolse a un Crocifisso ed esclamò, Dio Signore nostro a te dalla sentenza del tuo Vicario iniquamente pronunziata contro di noi ci appelliamo e invochiamo la tua rettissima equità. L’Interdetto non ebbe effetto, e per ordine preciso della Signoria continuarono i Preti a celebrare i Divini Ufizi non ostante gli ordini dell’Inquisizione, ma morto il predetto Pontefice, che ricondotta avea la S. Sede a Roma, e assunto sulla Cattedra di S. Pietro Urbano VI., questi a cui da Francesi era stato eletto un Antipapa col nome di Clemente VII. ribenedisse i Fiorentini i quali però dovettero alquanto rilasciare il loro rigore in materie giurisdizionali, e l’Inquisizione acquistò nuova forza nella venuta in Firenze di Martino V. nel 1420 e di Eugenio IV. nel 1439. Fu di nuovo rimessa l’Inquisizione dalla Signoria ne’ limiti della legge, dopo che nel 1478. il Pontefice Sisto IV. intruso nella famosa congiura de’ Pazzi scomunicò e mosse guerra a’ Fiorentini servendosi del pretesto di avere essi fatto impiccare alle finestre del pubblico palazzo l’Arcivescovo di Pisa di casa Salviati. Quei fieri repubblicani consultati avendo Bartolommeo Socini, e Bulgarino Bulgarini, stati Avvocati Concistoriali, Lanciotto Decio, Andrea Panormita, Pier Filippo Cornio, Francesco Accolti, Girolamo Torri Lettore di Pavia, e altri Professori di Diritto Canonico, e Maestri in Teologia giustificarono con pubblico manifesto la causa loro avanti a tutti i Principi, e conclusero a forma de ricevuti pareri, che non sussistendo la realtà del delitto in riguardo di cui era stata fulminata la scomunica, la sentenza diveniva nulla, e perciò nuovamente obbligarono i Sacerdoti a celebrare i Divini Ufizi. In oltre adunarono un Concilio di tutti i Prelati del Dominio Fiorentino, e in questo solennemente si appellarono dal Papa al futuro Concilio, e a tutti i popoli e Sovrani Cattolici: Dipoi per consiglio di varie Corti, si mitigarono alquanto, e mandati Oratori a Roma furono dal prefato Papa ribenedetti, e annullato l’interdetto. Venuto in seguito il governo della Repubblica in mano di Leone X. e Clemente VII. questi rimisero la potestà del S. Ufizio nel primiero grado.54
Il timore, che non s’introducesse in Italia l’Eresia di Lutero, che velocemente si era estesa sul principio del secolo XVI. per la Germania e pe’ Regni del Settentrione, fece sì che il detto Clemente VII. desse una più estesa ed ampia forma alla suprema Inquisizione di Roma, e Paolo III, dilui successore nel 1542. con sua Bolla, che comincia Licet ab initio istituì una Congregazione di sei Cardinali col titolo d’Inquisitori Generali dell’eretica pravità in tutto il mondo Cristiano. Pio IV nel 1564. dilatò maggiormente la loro potestà contro qualunque persona, benchè costituita in dignità di Vescovo, Arcivescovo, Patriarca, Cardinale ec. Questa ebbe la facoltà di eleggere in Firenze tre Commissarj, che unitamente con l’Inquisitore conoscevano le cause di religione e partecipavano al Governo le condanne da eseguirsi. Nel 1551. alla metà di Dicembre regnando Cosimo I. ed essendo assistenti il Vicario dell’Arcivescovo Antonio Altuiti, il Proposto Alessandro Strozzi, e lo Spedalingo di S. Maria Nuova, fu dato alla Città un lugubre spettacolo sull’idea del descritto Atto di Fede di Spagna, consistente in una Processione proceduta da uno stendardo con una croce nodosa in campo nero in mezzo a una spada e un ramo di olivo, con le parole intorno exurge Domine et Judica Causam tuam. P.S. 73. Consisteva essa in 22. soggetti alla testa de quali vi era Bartolommeo Panciatichi ricco gentiluomo, che servito avea il Duca alla Corte di Francia in qualità di Ambasciatore. Erano essi vestiti con cappe e sambeniti dipinti di Croci e di Diavoli, e condotti alla Metropolitana furono quivi pubblicamente ribenedetti mentre si abbruciavano sulla piazza i loro libri. Alcune donne sospette di aver creduto alle nuove massime oltramontane sottoposte vennero all’istessa formalità privatamente nella Chiesa di S. Simone. Poco dopo Lodovico Domenichi venuto a Firenze nel marzo 1547. per dedicare al Duca le sue traduzioni di Zenofonte, e da esso era pensionato per accudire alla letteratura, fu condannato dall’Inquisizione, per aver tradotta e stampata in Firenze con la data di Basilea la Nicomediana del Calvino, benchè negasse di aver mai tenuta alcuna cattiva opinione contro la fede, ed abiurare pubblicamente con un libro appeso al collo, e a dieci anni di carcere per aver trasgredito alle leggi emanate in materia di stampe. Cosimo scosso dalle calunnie, che erano state pubblicate a Roma contro di lui in occasione di aver intimato lo sfratto da suoi Stati a Frati di S. Marco, assunse per smentirle con grande impegno l’invigilare alla conservazione della purità della fede, ben persuaso che la religione è il sostegno del trono.
Nel 1557. fu accresciuto dall’Inquisizione Fiorentina ad istanza di Paolo IV. un altro Deputato, ma il Duca nel tempo istesso che aderiva a quanto era necessario per tener lontana l’eresia, stette cauto in non lasciarla uscire da prescritti confini, poichè in quell’istesso anno tentato avea di acquistare giurisdizione sopra varj altri delitti giudicati sempre in addietro da’ Tribunali secolari. In varie occasioni mosso dall’amore della verità si degnò giustificare diverse persone, che giudicava accusate per oggetto di malignità o d’invidia, e divenuto Sovrano di Siena non volle ascoltare quanto reiteratamente gli veniva rappresentato dalle nuove opinioni che Lelio e fratelli Socini, e suoi aderenti sparso aveano in quella Città. Per mantenere intatta la purità del culto, volle che osservata fosse a rigore la legge sopra la proibizione de’ libri di autori eretici, e nel 1553 permesse che si pubblicasse nel suo Dominio un Editto della Romana Inquisizione contro i libri degli Ebrei, e particolarmente il Talmud, tollerando che si usasse contro di loro ogni perquisizione e vessazione, e questo fu il primo passo della Santa Sede per mettersi in possesso di proibire i libri in Toscana.
Aveano i Principi finora preso sopra di se indipendentemente questo assunto, e Carlo V. temendo i progressi delle massime di Lutero ne’ Paesi Bassi, pensò a vietare l’introduzione e lo spaccio in quelle contrade de’ loro libri, incaricando l’Università di Lovanio a fare nel 1546. un catalogo di quelle opere che giudicate fossero perniciose. Sul suo esempio Cosimo I. proibì lo stampare libri di eresìa, e Paolo IV. uno de’ più intenti Pontefici ad ampliare la sua autorità, pubblicò nel 1559. un Indice di libri proibiti accompagnato dalla comminazione delle più rigorose pene di arbitrio, privazione di benefizi, infamia, e censure per chi li ritenesse e non li presentasse detro un determinato tempo al S. Ufizio. Era il prefato Indice diviso in tre classi, e in fondo vi si aggiungeva un catalogo di più di 60. stampatori, le produzioni de’ quali in qualunque genere e materia restavano assolutamente proscritte. I Deputati dell’Inquisizione di Firenze vennero tosto incaricati da Roma a pubblicare il catalogo e il Decreto, che lo autorizzava, ma sapendo Cosimo, che Paolo IV. non conosceva limite alcuno in tutte le sue risoluzioni, volle esaminarne le conseguenze. Dette perciò incombenza a Lelio Torelli celebre Giureconsulto e suo ministro per gli affari Ecclesiastici, di prendere la cosa in considerazione, essendochè non si trattava di nulla meno che immergere di nuovo la Toscana in quell’antica barbarie, da cui l’avean tratta i Danti, i Petrarca, i Boccacci, i Leonardi Aretini, i Macchiavelli, i Marsuppini, e altri belli ingegni. Fece il Torelli in poco tempo vedere, che il danno de’ particolari nel privarli di questi libri oltrepassava i cento mila scudi, e che era un’indiscretezza e un’ingiustizia il proscrivere tutti i libri stampati di là da monti, fra quali si noveravano le opere degli autori più classici Greci, e Latini, e specialmente quelli sopra Medicina. Determinò pertanto il Duca, che i Deputati dell’Inquisizione eseguissero l’Editto del Papa soltanto per i libri contrari alla Religione, e che trattassero di magia, e astrologia giudiciaria, sospendendo l’esecuzione per quelli che non aveano relazione alle classi predette. I Padri di S. Marco avrebbero voluto tosto abbruciare quanti libri si trovavano in loro potere, ma Cosimo vi si oppose altamente come patrono della Biblioteca e del Convento, onde non si perdessero tante Opere utilissime, presso loro depositate a tempo di Lorenzo il magnifico e altri suoi Progenitori. Nel dì 8. di Marzo 1559. furono consegnati in preda alle fiamme avanti le Chiese di S. Giovanni, e di S. Croce, sul modello di quanto era stato fatto altre volte a tempi del Savonarola, moltissimi libri, che trattavano delle descritte materie, non senza però gran nocumento delle scienze, e de’ poveri librai.55
Se in queste cose si mostrò il Duca Cosimo facile a condescendere alla volontà della Corte di Roma: stette sempre forte e costante nell’opporsi all’idea venuta in capo a Pio V. di togliere l’Inquisizione di Toscana a Padri Minori Conventuali, e restituirla a Domenicani, per essere stati essi troppo aderenti a nemici di Casa Medici, alloraquando furono la prima volta scacciati da Firenze nel 1494. Il rigore di questo Papa fu anche superiore a quello di Paolo IV. Egli fu che abolì in Firenze la Deputazione del S. Ufizio lasciata sussistere da Pio IV. ed escluse fino il Nunzio dalla medesima; e col pretesto di non dilatare in tanti il segreto di quel Tribunale ne restrinse la giurisdizione nel solo Inquisitore. Covavano in Siena le massime sparse dai Socini, e a Cornelio Socino fu fatto il processo come aderente a Fausto Socini, indi inviato all’Inquisizione di Roma. Antonio Paleario, che prima era stato maestro di scuola in quella Città, e poi passato a far l’istesso esercizio a Colle, avea colà sparse delle erronee proposizioni, che poco incontravano il genio della Corte di Roma. Grandi furono i reclami dell’Inquisizione di quella Metropoli, perchè nella terra di S. Gimignano alcuni scolare de suddetto Paleario in un’Accademia eretta per l’interpretazione di Dante, sostenuto aveano, che la volontà potea esser costretta dall’amor femminile. Giunse perciò anche colà la persecuzione, e molti furono costretti a sottrarsi con la fuga, altri furono processati ed inquisiti: altri trasportati nelle carceri del Romano S. Ufizio. Vennero arrestati, e dati in potere del Papa alcuni giovani Tedeschi, che erano a fare il corso de’ loro studi nell’Università di Siena, e che tranquillamente riposavano sotto la fede della pubblica sicurezza. Molti sospetti di aderire alle massime di Calvino fuggirono di Firenze, ove l’Inquisizione per far pompa di zelo e di attività, non lasciava occasione alcuna di vessare qualunque ceto e rango di persone, e interrogando gl’idioti sopra i sacrosanti Misteri della Religione, imputava quel che era crassa e vera ignoranza, ad eresìa e delitto. Francesco de’ Medici figlio primogenito di Cosimo a cui dal Padre era stato ceduto il governo dello Stato col titolo di Reggente, non potendo soffrire ne’ suoi sudditi una si strana vessazione, fece istanza a Roma nel 1567., che nuovamente aggiunti fossero all’Inquisitore l’Arcivescovo e il Nunzio, ma la sola mutazione della persona dell’Inquisitore fu quanto si potè ottenere da Pio V. I Forestieri non erano esenti in Firenze da l’essere molestati stante il sospetto che aveasi, che dalla Germania e dalla Francia si spargessero in Italia degli emissari per diffondere le nuove dottrine colà in così prodigiosa maniera diffuse. Tutti questi rigori però non toglievano, che gli uomini non pensassero a lor modo, e che non prendessero maggior piede nel basso popolo le illusioni e la falsa credenza degli incantesimi e delle malie, con l’assistenza del Demonio, e che non vi fossero molti impostori, che si spacciassero per negromanti. A Siena nel 1569. furono nella pubblica piazza bruciate 5. donne dichiarate ree di aver renunziato al Battesimo, di aver fatta scritta col Diavolo, e avere ammaliati e stregati 18. bambini. L’arte tipografica, che avea fatti in Firenze tanti fausti progressi dopo il suo ritrovamento, stante la pubblicazione dell’Indice di Paolo IV. cadde in breve tempo nel massimo avvilimento, e passò negli Svizzeri e nelle Città libere delle Germania. Il Torrentino, che si era reso così famoso per sue nitide e corrette edizioni andò ad abitare negli Stati del Duca di Savoia, e i Giunti posero casa e negozio a Venezia, che seppe ben presto mettere a profitto la loro abilità, e attirare dentro di se gran somme da tutti gli altri paesi Italiani per la maggior libertà, che il Senato concedea in materia di stampe.56
Quel che più di tutto però sparse il terrore e la costernazione del Pubblico, fu la consegna fatta nel 1566. al Maestro del Sacro Palazzo di Pio V., spedito a bella posta in Toscana, di Pietro Carnesecchi Gentiluomo Fiorentino uno de’ più illustri letterati de’ suoi tempi, se non avesse deviato dalla retta via della salute. Nacque egli in Firenze di nobil famiglia ora estinta, che seguì la fortuna della Casa de’ Medici, e per le rare doti del suo ingegno e vasta erudizione fu da Clemente VII. fin dalla prima sua gioventù promosso al posto di suo Segretario, il che gli meritò i favori di Caterina Regina di Francia, la benevolenza di Cosimo, l’acquisto di competente Patrimonio Ecclesiastico, e il titolo di Protonotario Apostolico. Morto Clemente passò in Francia, dipoi a Napoli, dove nel 1540. contrasse amicizia con Pietro Valdes Spagnuolo, Marco Antonio Flaminio d’Imola, Bernardino Ochino Senese, e fu molto famigliare di Pietro Martire Vermigli, e di Galeazzo Caraccioli. In Viterbo nell’anno susseguente conobbe Vittore Soranzo Vescovo di Bergamo, Appollonio Merenda, Luigi Priuli, Pietro Paolo Vergario Vescovo di Giustinopoli, e Lattanzio Rognoni di Siena, i quali tutti erano Valdesiani, Zuingliani, o Calvinisti, e s’imbevve perciò delle loro erronee opinioni. Pieno per loro di affetto gli aiutava e sosteneva co’ mezzi e col danaro. Godendo la grazia di Giulia Gonzaga Principessa di Mantova, le raccomandò con molto ardore due eretici, tenendo aperta corrispondenza con molti Principi e cospicui Personaggi. Fu per molto tempo ammesso alla conversazione di Margherita Duchessa di Savoja, di Vettoria Colonna Marchesa di Pescara, di Renata di Francia Consorte di Ercole II. Duca di Ferrara, di Lavinia della Rovere Orsini, e altre illustri femmine credute propense a nuovi errori. Passato in Francia volle personalmente vedere e trattare con Melantone Capo degli eretici di quel Regno. Ritornato nel 1552. in Italia si trattenne alquanto in Padova, e in Venezia dove non tralasciò il carteggio con gli eretici. Giunto ciò a notizia di Paolo IV. lo fece citare nel dì 6. di Novembre a comparire avanti l’Inquisizione di Roma, ma non comparendo fu dichiarato incorso nelle censure espresse nel Munitorio, e scomunicato. Il Carnesecchi non essendosi di ciò curato, venne da’ Cardinali Inquisitori dichiarato nel dì 6. Aprile 1559. contumace ed eretico. Nonostante aiutava e commendava coloro che si rifugiavano in Ginevra, lodò pubblicamente la confessione di Fede, che fece Giovanni Waldes sulla fine dell’empia sua vita, e scrivendo a’ seguaci di Calvino o Lutero gli chiamava nostri innocenti Fratelli, pii Amici, ed eletti di Dio. Succeduto all’inesorabile Paolo IV., Pio IV. per mezzo del Duca Cosimo, chiese di esser sentito da questo Pontefice e l’ottenne, e appresso il medesimo seppe tanto parlare e difendersi con quel profluvio di eloquenza, che possedeva, che fu intieramente assoluto e ricevuto di nuovo nel grembo della Chiesa. Dopo tanti travagli e disastri nondimeno prevalse in lui l’imprudenza e il fanatismo, poichè non solo rimesse danaro a Pietro Gelido Sacramentario, e a Pier Leone Marioni, che erano fuggiti in Ginevra, ma tenne mano alla fuga del d. Pietro Gelido da S. Miniato Sacerdote di molta dottrina, e che era pure stato Segretario di Clemente VII. in Roma, e del Duca Cosimo I. presso la Corte di Francia, ove per opera della nominata Renata Duchessa di Ferrara ritornata al natìo suo Paese, avea apprese le nuove opinioni di Calvino. Stava nonostante i suoi deliri il Carnesecchi in Firenze sua Patria, godendo del favore del Duca, e conversando seco domesticamente, quando fu richiesto dal Papa Pio V. a Cosimo, il quale volendo conservarsi la benevolenza di S.S. da cui sperava l’aumento del titolo, che poi ottenne nel 1566., dette ordine che fosse arrestato e consegnato nelle forze Pontificie nel dì 4. Luglio di detto anno 1566. Condotto a Roma fu rinchiuso nelle carceri dell’Inquisizione, da cui gli fu formato rigoroso processo, e seriamente esaminato, dopo varie tergiversazioni, confessò di propria bocca la sua credenza, e si aggravò molto ne’ suoi costituti. Nel dì 21 Settembre 1567. fu letta pubblicamente in S. Maria della Minerva la sua sentenza che lo dichiarava reo convinto di 34. opinioni condannate, e privato di tutti gli onori, dignità, benefizj; di poi col Sambenito indosso dipinto con fiamme e diavoli fu degradato. Un Cappuccino Pistoiese fu incaricato d’esortarlo a pentirsi con speranza della vita, ma egli sprezzator della morte godeva di disputare e non di pentirsi, onde consegnato al braccio Secolare fu nel dì 3. Ottobre decapitato e bruciato, conservando fino agli estremi il suo fanatismo57.
La facilità di Cosimo verso la Corte di Roma aumentò l’ansietà negl’Inquisitori Toscani di far maggior intraprese sotto Francesco I. suo figlio e successore. I più rumorosi attentati non si eseguivano mai in Firenze, ove stante la residenza della Corte si procurava di collocare un Inquisitore fornito della necessaria prudenza e cautela. Ma a Siena, ed a Pisa si credeano essi permessa qualunque autorità, stando in perpetua contesa con i Ministri del Principe, la di cui giurisdizione direttamente attaccavano. Reclamava il Duca presso Gregorio XIII., che per contentarlo in qualche maniera, revocava l’Inquisitore inviandone un altro ugualmente indiscreto e altero, e forse munito dell’istesse istruzioni. In Spagna, come si è veduto, uno de’ mezzi per propagare la potestà del S. Ufizio era stato quello di ascrivere al medesimo una quantità considerabile per ogni dove di famigliari e satelliti dell’uno e dell’altro sesso, che faceano giuramento di assistere e favorire contro gli eretici e loro fautori l’Inquisizione e suoi Ministri, contentandosi per ricompensa di ottenere delle Indulgenze Plenarie, e delle facili esecuzioni. Essendo un tale espediente riuscito nella Lombardia, mettersi volea in pratica anche in Toscana, dando a’ descritti per distintivo una piccola croce rossa sull’uso de’ Crocesignati di Linguadoca, e di quelli istituiti da S. Pier Martire contro i Paterini. Nel 1579. si era incominciato a formare in Siena una Confraternita di queste pericolose persone, e il Governatore Conte di Montauto non si era opposto come dovea a una tale istituzione, onde i più saggi fra que’ Cittadini portarono direttamente al Trono i loro ricorsi, rappresentando quanto esser potea dannoso al Principe, che in uno Stato, nuovo nella soggezione, e che peranche nutriva i semi dell’antica sua tumultuasa libertà, si formasse una Società di persone, che coll’appoggio del S. Ufizio pretendesse esimersi dalla Potestà Secolare, e si rendesse prepotente sopra gli altri. Aggiunsero che una tale invenzione era un mero artifizio degl’Inquisitori per esimersi dall’atto di soggezione di dovere implorare il braccio del Governo in ogni occorrenza, e servirsi nel fare le catture degli esecutori de’ Tribunali Laici. Sentì malamente il Granduca che vi fosse chi ne’ suoi Stati volesse rendersi indipendente dalla sua Sovranità, ne rimproverò altamente il Governatore prefato, e mandò gli ordini i più pressanti sotte le più rigorose pene per lo scioglimento della Congregazione de’ famigliari Crocesignati, facendo intendere, che in casa sua non voleva altri padroni che lui. Inviate al Papa le sue doglianze fu cambiato al solito l’Inquisitore, ma non il tenore di procedere, poichè ne venne un altro più audace e temerario, che incominciò subito dal costituire de’ Vicari in tutti i Villaggi, spargendo ovunque la costernazione e il terrore, onde fu d’uopo astringerlo con la forza a revocare le Patenti, ed esiliare i patentati. Mostravasi questi così furibondo che ne’ giorni di cibo magro scorreva da un capo all’altro tutta la Città suddetta di Siena per scuoprire dall’odore delle cucine se vi era chi contravvenisse al precetto di non mangiar carne, e si lagnava di non poter far questa ronda seguito da una falange di armati ministri.
L’Inquisitore di Pisa non usava maggior moderazione e discretezza, poichè promoveva continue controversie ora con gli Scolari, ora co’ Professori di quell’Università, tacciando di ereticale ogni leggerezza o spiritoso motto giovenile, oppure ogni nuova scoperta nelle materie Filosofiche. Essendo state per suo ordine messe nelle pubbliche carceri due donne accusate di essersi serviti di mezzi diabolici e superstiziosi per esser sempre amate dagli uomini, pensò dare alla Città uno spettacolo con far leggere in pubblico la loro condanna, e il loro processo. Invitò dunque pel’ dì 22. di Dicembre 1582. tutto il popolo a concorrere nella Chiesa de’ Minori Conventuali, ordinando che in quel giorno sospesi fossero tutti i divini Ufizi, e che non si suonassero neppure le campane. Adunata una folla immensa di ogni ceto e di ogni rango in detta Chiesa apparata di nero, ed in mezzo a cui era eretto un magnifico Tribunale ornato a lutto, per imprimere lo spavento negli spettatori, inviò a chiedere le due donne carcerate al Commissario, che gli replicò per due volte, che non potea consegnarle senza l’ordine preciso del Principe. Assalito il Religioso non ostante la claustrale umiltà, da furiosa collera nel vedersi deluso in faccia alla Città tutta, ed esser fatto scopo delle derisioni, e de motteggi, ascese sul suo seggio, e di là fulminò la scomunica contro il Commissario e tutti i suoi sottoposti, accompagnando l’atto con le più atroci invettive, e contumelie. Inviato venne tosto un corriere al Ministro Granducale presso la S. Sede per avere soddisfazione all’insulto fatto a diritto del Trono, e per vero dire si ottenne col cambio del Religioso predetto, ma si proseguì sempre dal S. Ufizio il metodo istesso di procedere. Bisognò però poco dopo consegnare nelle forze del Pontefice tre pubblici Lettori nella Università surriferita di Pisa, fra quali Girolamo Borro eccellente Filosofo languì per molto tempo nelle angustie delle carceri per accuse di eresìa dategli dal figliolo del Cisalpino, che scoperta la sua malignità fu susseguentemente punito. In Siena vennero di nuovo arrestati e mandati a Roma alcuni scolari Austriaci sudditi dell’Imperator Massimiliano II. che ne fece di gran reclami e minacce, e tali violenze non si può dire quai danni recassero a’ progressi delle scienze, e alla tranquillità delle due Università, che il fanatismo e l’ignoranza avrebbe voluto totalmente distruggere.58
Arrigo IV. primo Re di Francia della Casa di Borbone grande amico del Granduca Ferdinando I. che lo aiutava con i consigli, e con i danari a conquistare il suo Regno, e scacciare gli Spagnuoli, che sotto pretesto di tener lontano da quel Trono un Re Protestante lo aveano invaso in gran parte per farne dichiarare Regina l’Infanta Isabella Chiara Eugenia figlia di Filippo II., risolse aderendo alle persuasioni de’ suoi benevoli per viepiù stabilirsi la corona in fronte di farsi Cattolico, e abiurare gli errori de’ quali era imbevuto. Nel dì 25. Luglio pertanto dell’anno 1593. fece la sua pubblica abiura nella Chiesa di S. Dionigi, e inviò in seguito una solenne ambasciata a Roma a Clemente VIII. Aldobrandini Fiorentino affine di prestare obbedienza alla Chiesa, ambasciata, che per qualche tempo non fu attesa dal Papa stante il timore, che avea della Corte di Madrid, e la di lui assoluzione sarebbe andata molto tempo in lungo se francamente l’Auditor Serafini pure Fiorentino non avesse detto a S. Santità; Santo Padre permettetemi di dirvi che Clemente VII. perdette l’Inghilterra per essere stato troppo compiacente con Carlo V., e Clemente VIII. perderà la Francia se vuol seguitare a farsi schiavo delle insinuazioni di Filippo II. Appena quel gran Monarca abbracciato ebbe il Cattolicismo, che i suoi nemici vedendo l’impossibilità di vincerlo a forza aperta, tramarono diverse congiure per torgli la vita come finalmente loro riuscì. La prima tra queste fu quella ordita da un tal Pietro la Barriere, di professione prima navicellaio, poi soldato, messo su forse da qualche segreto emissario di Madrid. Era quelli uno spirito malinconico e feroce, che credendo di potere andare più facilmente in Paradiso se uccideva il suo Monarca, che egli non giudicava sinceramente riconciliato con Dio fino a che non era assoluto dal Papa, si accinse a trovare i mezzi di mettere in esecuzione il suo perverso disegno. Essendosi però confidato con più e diverse persone, e fra queste con Fra Serafino Banchi Domenicano Fiorentino stazionato di Convento a Parigi, il suddetto andò a rivelare al Re la cospirazione, contro la quale furono prese tali misure, che non ebbe veruno effetto, e l’autore della medesima fu nel dì 26. impiccato a Melun per sentenza del Parlamento. Giunta la notizia del fatto alla Romana Inquisizione, citò quella il Frate a comparire avanti a lei, come reo di aver salvata la vita a un Re non per anche riconosciuto Cattolico dalla Santa Sede, pretendendo che rilevato avesse il sigillo della Confessione. Spediti furono al Priore dei Domenicani suddetti i mandati di cattura per farlo trasportare cinto di catene in Avignone, e di là in Italia, e certo sarebbe rimasto quel religioso vittima della vendetta de nemici di Enrico, se S.M. non l’avesse animosamente sottratto di mano a suoi persecutori, e fattolo pervenire sicuro a Firenze sotto la protezione del surriferito Granduca suo Principe naturale, che vi impiegò tutta la sua fermezza ed autorità perchè non gli fosse insidiata la libertà e la vita, essendochè il S. Ufizio lo volea a forza nelle mani o vivo o morto. Riconciliato solennemente il Re Cristianissimo col Papa, una delle segrete condizioni del trattato fu quella di lasciar vivere tranquillamente il Padre Bianchi.59
L’universale ammirazione che pel mondo tutto, riscuoteva il Principe della rinascente Filosofia, l’immortal Galileo Galilei scuopritore di nove stelle, e di tanti sistemi bellissimi, suscitata avea contro di lui l’invidia di varj religiosi, ed in specie de Gesuiti, che mal volentieri soffrivano di vedersi contrastato quell’universale primato che pretendeano sulla filosofia, e sulle lettere. Unitisi in ciò con i Conventuali incominciarono a fargli la guerra prima occultamente, poi palesemente, e tanto fecero, che facil cosa gli fu trovare un alleato nella persona di Urbano VIII. il quale benchè nato suddito studiava tutte le occasioni di far de dispetti alla Casa de’ Medici, e nutriva una personale inimicizia e rivalità con Galileo, quantunque suo compatriotto, perchè sapea più di lui, che si stimava eccellente nella poesia, filosofia, ed erudizione, scienze delle quali S.S. appena sapeva il nome. Fra le vanità di questo Fiorentino successore di S. Pietro non era la minore di far sentire a tutti certi suoi meschini poetici componimenti fatti sullo stile male imitato del Petrarca, con tutto però il cattivo gusto che regnava verso la metà del secolo XVII. Gli fu fatto credere, che ne Dialoghi del prelodato Galileo sotto il nome di Simplicio indicata fosse la persona del Papa onde questo libro fu preso per arme contro di esso, e per oggetto delle perquisizioni del S. Ufizio, che volea avvilirlo ed infamarlo. Venne perciò nel 1632. citato a portarsi a Roma per render conto al Supremo Tribunale dell’Inquisizione delle sue proposizioni, e specialmente del moto della Terra intorno al Sole, che si volea contraria alle sacre Carte. L’intimazione notificata venne alla Corte perchè le fosse dato adempimento, e Cristina di Lorena, che ancora poteva molto nell’animo del Granduca Ferdinando II. suo Nipote poch’anzi uscito dalla sua tutela, lo persuase ad aver la debolezza di annuire alla richiesta del Papa, e dare in balia de’ suoi persecutori il più dotto fra suoi sudditi, e il migliore ornamento della Corte da cui era stipendiato. Il Ministro Andrea Cioli Cortonese poco amico del Galileo coronò l’opera. Nulla valse l’implorar clemenza, e impetrar proroghe; bisognò che il dì 20. Gennaio 1633. non ostante la sua età settuagenaria, e il rigore della stagione, partisse il filosofo dalla Patria, e si mettesse in viaggio per Roma, ove dall’Inquisizione fu costretto a ritrattarsi pubblicamente di quanto avea scritto per contentare i maligni, e potè ascrivere a gran fortuna se gli fu restituita la libertà di ritornare a terminare i suoi giorni ove era nato benchè coperto di avvilimento.
Sotto il Pontificato di Urbano VIII. il S. Ufizio in Toscana animato dal maltalento dei Barberini suoi Nipoti scosse affatto ogni soggezione, nè conobbe più limite alcuno, ed ostentando l’indipendenza esercitò senza ritegno il suo furore. Fede ne fa la strepitosa condanna, che apportò tanto scandolo all’Italia del Canonico Pandolfo Ricasoli, del Prete Jacopo Fantoni, e della Faustina Mainardi. Nato era il primo in Firenze nel 1581. dalla nobil Famiglia di tal Casato dei Baroni della Trappola. Ebbe gran possesso delle lingue Latina, Greca, ed Ebraica, co’ quali mezzi riuscì eccellente Oratore, Filosofo, e Teologo. Nell’età di anni 20. si fece Gesuita, e ne vestì l’abito in Roma, ma dopo il corso di 10. anni tornò a secolarizzarsi, non avendo ancora fatta la professione, e quindi conseguì un Canonicato nella Metropolitana Fiorentina. Scrisse molte opere parte ascetiche, altre di erudizione, fra le quali resta inedita quella, che porta il titolo: De Unitate et Trinitate Dei, Tomi III. ec. Era assiduo al coro, indefesso alla predicazione, applicato alle confessioni, e frequentante tutte le sacre adunanze, e specialmente quelle dirette dal venerabile Ippolito Galantini. Nell’età di anni 51. cadde infelicemente in un abisso d’empietà e di errori. Una certa Faustina Mainardi donna di bassa lega, tessitora di professione, si era data a ciò che si chiama spiritualità, e avea preso a formare con questo spirito una scuola di zitelle, che tenea seco in convitto in una casa di sua pertinenza in via Ghibellina. Fu egli eletto per direttore spirituale di questo Conservatorio, e benchè in un’età oramai superiore all’impero delle passioni, ivi trovò appoco appoco l’occasione del suo precipizio. La direzione oltrepassò i limiti della spiritualità, e fu abusato della religione per sedurre quelle innocenti colombe, dandosi ad esse ad intendere, che ogni atto il più lubrico potea esser meritorio purchè rettificato dall’intenzione di perfezionarsi nella via della salute. Da ciò ne nacque, che col libertinaggio il più sfrenato s’introdusse un pernicioso quietismo. Per meglio sostenersi in questo, non si sà se impostura o intima persuasione di spirito prevaricato, tirò nel suo partito il Padre Serafino Lupi dell’Ordine de’ Servi di Maria noto già per alcune opere di mistica Teologia, e il detto Prete Jacopo60 Fantoni. Prima che si scuoprisse durò la seduzione circa 8. anni, essendochè in questo tempo non tralasciò mai il Ricasoli i suoi favoriti studi, gli esercizi Ecclesiastici e la di lui esteriore compostezza.
Parimente in questo tempo fece il suo testamento in cui lasciò a titolo di legato la di lui insigne libreria a’ Religiosi Carmelitani Scalzi di S. Paolino in Firenze da esso frequentati continuamente ed amati, per lo studio profondo della Teologia e per la perizia di alcuni nelle lingue Orientali. Sparsasi la voce de’ suoi indecenti congressi ne fu data parte al Tribunale dell’Inquisizione. Allora o né(61 fosse avvertito, o se nè accorgesse da per se stesso, entrato nel giusto timore del meritato gastigo andò spontaneamente ad accusarsi, confessò i suoi traviamenti, onde fu subito arrestato e posto nelle carceri, che il S. Ufizio durante Urbano VIII. avea nuovamente costruite, dove pure furono separatamente fatti condurre Faustina Mainardi e Jacopo Fantoni suoi compagni. Fatto il processo facil cosa si fu il convincere i rei ed i complici di tali eccessi, e quel che fa credere che egli avesse sovvertito il cuore, e non la mente, si è, che al primo costituto confessò di nuovo senza principio di ostinazione i suoi delitti, e ne ebbe tal contrizione, e dimostrò tali segni di sincero ravvedimento, che si meritò che gli fossero alquanto mitigati i meritati gastighi. Non fu la pena ingiustamente pronunziata a’ delinquenti ma il modo con cui venne presa la risoluzione dall’Inquisitore Fra Angiolo Muzzarelli da Fanano di rivelare al pubblico col maggior fasto ed apparato cose, che doveano essere assolutamente tenute celate. Nel dì 28. novembre dunque dell’anno 1641. nel vasto refettorio del Convento di S. Croce apparato al solito di nero in forma lugubre e ad uso di funerale, alla presenza del Cardinal Carlo e di tutti gli altri Principi di Casa Medici, Teologi, Religiosi, Nobiltà, e persone qualificate, furono esposti all’altrui vista i rei sopra un palco vestiti di cappe e sambeniti con diavoli, e fiamme, inginocchiati a piedi dell’Inquisitore. Un Religioso lesse dal pulpito ad alta voce il processo, e pronunziando quanto aveano i delinquenti confessato, la maggior parte dell’udienza se ne partì al sommo scandalizzata. Il Ricasoli venne dichiarato incorso a perpetua carcere con l’abito di penitenza, privato di tutti i benefizi Ecclesiastici e beni di qualsivoglia sorte, riservato quanto era bastante per supplire agli alimenti tanto di lui che di Faustina Mainardi sua complice, con quanto si trova in detta sentenza emanata dal sopraespresso Fra Giovanni Muzzarelli da Fanano sotto di 20. Novembre di detto anno, e che noi tralasciamo di riportare per brevità, e per non offendere la modestia. Questa, chi avesse piacere di vederla potrà trovarla nella celebre libreria Riccardiana alla scansia R. Ord. I.N. 46. All’istessa pena soggetto venne parimente condannato il Prete Jacopo Fantoni. Il Muzzarelli però da Roma venne acerbamente ripreso per aver usata troppa dolcezza e moderazione nella determinazione delle pene, e gli fu sostituito un successore di carattere più severo62.
Dispiacevano queste pubblicità infinitamente a Ferdinando II. ma egli a cui non si potea apporre altro difetto, che una soverchia prudenza, non volendo entrare in brighe con la Corte di Roma se ne restava in silenzio. Cosimo III. suo figliolo privo di quel genio che anima i Principi a meritarsi la vera gloria, adottate ciecamente tutte le massime Spagnuole, e affettando in tutti i suoi passi la santità, e la venerazione al Vaticano, dette all’Inquisizione un braccio più esteso di tutti i suoi antecessori. I Frati sotto il suo governo esercitarono un’illimitata autorità penetrando fino negli affari domestici de’ particolari, oltraggiandosi in tal guisa la libertà civile de popoli. Oltre la severità del Sant’Ufizio in materia di Fede, vi fu aggiunta un’Inquisizione sopra i costumi. Un Religioso Domenicano nativo di Volterra scorreva ogni anno con magnifico equipaggio, e plenipotenza per varie provincie del Granducato ad oggetto d’informarsi dell’osservanza della Religione, dei costumi de sudditi, e della quiete e tranquillità di ciascheduna Città subalterna, Terra, o Castello, proponendo al suo ritorno al Sovrano quelle riforme, che giudicava opportuno eseguirsi, e perseguitando tutti quelli che mostravano retinenza di sottoporsi al suo arbitrio. L’immunità Ecclesiastica era tenuta in maggior vigore che nell’istesso Stato Pontificio. Ma tutti questi atti di ossequio o per meglio di feudal soggezione, non liberarono Cosimo III. dalle vessazioni, e dalle contese con l’Inquisizione. In Siena essendo stati arrestati nel 1689. con armi proibite alcuni familiari del S. Ufizio, l’Inquisitore sdegnato fece affiggere pubblicamente i munitori contro i Ministri del Principe, e dimandò altamente la loro scarcerazione. Essendosi chiesta a Innocenzo XI. soddisfazione alla insultata Regia autorità, fu corrisposto dopo la sua morte, che seguì in quel tempo con la pretensione, che il Granduca facesse egli al contrario una riparazione per l’ingiuria fatta al Sacro Tribunale, e pubblicamente si veddero attaccare alla Porta di S. Pietro le citazioni, e detti Ministri intimati a comparire dentro un determinato numero di giorni in quella Capitale per giustificare le loro risoluzioni. L’alterigia del Granduca si scosse a sì strepitosa offesa, e superando per allora la devozione, gli fece mettere in opra la penna de suoi numerosi Teologi per provare la nullità delle Censure, e che senza scrupolo di coscienza si potea costringere a andar fuori dallo Stato l’arrogante Inquisitore. Intanto vennero affissi alle predette porte del Vaticano i cedoloni di scomunica contro i surriferiti ministri, onde allora il Cardinal Francesco de Medici fratello del Granduca perdette la pazienza e minacciò partirsi dal Conclave ove si era chiuso per l’elezione del nuovo Pontefice, che fu poi Alessandro VIII. Avendo egli un gran partito fra Cardinali ascoltate vennero le sue ragioni, e l’Inquisitore di Siena fu richiamato e passato il tutto sotto silenzio63.
Pochi anni avanti cioè nel dì 14. Aprile 1686. giorno della Pasqua di Resurrezione una donna alterata dal vino, essendosi introdotta sull’imbrunir della sera in una casa posta nella strada detta via delle Ruote, non avendo trovato alcuno per essere aperta la porta si pose accanto al fuoco per ripararsi dal freddo essendo in età avanzata e alquanto debole di mente. Quivi stette fino all’ore 5. di notte allora quando ritornati i padroni, e veduta una tal donna vecchia e di brutto aspetto, che timida e quasi ascosa se ne stava in un canto del cammino, credettero che si fosse calata per la gola di quello, onde levarono gran rumore chiamandola strega, e facendole ruzzolare la scala. Accorsero i vicini allo strepito, e veduta tremante quella misera donna ne avvisarono la giustizia, che subito la pose in carcere previo il consenso dell’Inquisitore. Tanto però fu nell’atto della carcerazione strapazzata e percossa, che allora quando la mattina al tardi le fu dal carceriere portato il cibo, acciò si refocillasse prima di esser trasferita alle prigioni del Sant’Ufizio, fu ritrovata priva miseramente di vita. Il cadavere dopo essere stato esposto al pubblico disprezzo venne portato a seppellirsi lungo le mura della Città in luogo non sacro. Dopo alquanto tempo venuto l’affare alla cognizione di Monsignore Arcivescovo, poi Cardinal Morigia Milanese, fatti gli opportuni esami si trovò, che la detta donna non era strega altrimenti, ma piuttosto scema di cervello, onde fu ordinata una pubblica riparazione all’onore della defunta coll’esser pubblicamente dissotterata, e condotta ad essere umata in luogo sacro, tanto ancora potea nelle menti degli uomini la credulità e il fanatismo. Nel dì 27. Febbraio 1695. fu creduto che un tal Jacopo Balestri di nascita vilissima e abietta educazione, di professione tessitore di seta eccellente nella sua arte, fosse un Eresiarca peggiore di Lutero, e Calvino, benchè non sapesse nè leggere nè scrivere, onde per essere addetto a qualche autorevole Personaggio, ebbe a contare per somma grazia il poter far l’abiura privata di quelli errori di domma, che egli assolutamente non conosceva, avanti il Padre Inquisitor nella così detta Compagnia de’ Tessitori, e soffrir poi dieci anni di occulta prigionìa nelle carceri del S. Ufizio come ateista, essendogli stato fatto credere, che il costituirsi in esse non era che una semplice formalità. Nel dì 13. Maggio 1670. il nobile Alessandro Martini Fiorentino fu astretto parimente a far l’abiura de’ suoi errori avanti l’Inquisizione, a cui fu accusato di servirsi dei passi della Sacra Scrittura per sedurre gli animi incauti e deboli, e abitando sempre in villa avere sparse delle massime simili a quelle del Prete Michele Molinos Spagnuolo condannato poch’anzi dalla Romana Congregazione del S. Ufizio, per giungere a suoi illeciti fini per mezzo della perfida ipocrisia, vizio orribile che era in gran voga a que’ tempi. Egli fu sentenziato a perpetua carcere ove morì 10. anni dopo.
Nel dì 15. Agosto di detto anno fu fatto prigione da famigli dell’Arcivescovado Fiorentino, e condotto nelle carceri dell’Inquisizione un Sacerdote di Casa Salvini uomo di ottima reputazione, e Confessore64 attualmente delle Monache di S. Matteo in Arcetri. Venne egli dichiarato reo di confessione rivelata per avere eccitata la Badessa di quel Monastero a far mettere fuori da una Monaca servente, che era in concetto di santa vita, una corrispondenza di lettere mistiche tenuta per molto tempo col Padre Gabburri Cappuccino, della qual corrispondenza scrupoleggiando si era accusata in confessione. Dopo molto tempo, il detto Prete per ordine del Cardinale Arcivescovo Morigia fu trasportato a Roma, ove restò condannato a dieci anni di ergastolo ne mai più rivedde la Toscana. Nel dì 19. Ottobre fu pure arrestato e condotto nelle carceri del S. Ufizio il Canonico Vanni della Laurenziana Basilica sospetto disseminatore di massime ereticali date fuori in una sua piccola opera intitolata i Barlumi. Molti autorevoli personaggi a quali era cognita la di lui integrità di mente, s’interposero per salvarlo dai rigori dell’Inquisizione, ed in specie il Marchese Francesco Riccardi, che ebbe modo di far portar la sua Causa a Roma. Terminati 16. mesi di penosa prigionia fu lasciato in libertà, senza che però pubblicamente costasse di sua innocenza65. Morto poi nel 1723. Cosimo III., il Granduca Gio. Gastone suo figlio che non professava tanto ossequio e deferenza a Religiosi come il padre, procurò prudentemente, che meno pubbliche e clamorose fossero le sentenze dell’Inquisizione, senza però apparentemente attentare alla diminuzione dell’autorità che si era arrogata in Toscana, e lasciando in qualunque luogo nell’istessa situazione in cui gli avea trovati quando salì sul trono, gli Inquisitori e i loro Vicari. Uno dei più belli ingegni, che fiorissero sulla fine del suo regno, cioè il Dottor Tommaso Crudeli da Poppi, celebre poeta dotato di somma lepidezza e leggiadri talenti, ma non fornito di quella necessaria prudenza, che insegna a non esternare soverchiamente i propri sentimenti e pensieri, fu lo scopo della vendetta dell’Inquisizione armata dal potere. Avendo egli in un suo poetico componimento recitato la morte del celebre Senator Filippo Buonarroti Segretario della Regia Giurisdizione, usata l’espressione, Ei che frenar solea, il tempestoso procellar del Clero ec., una tal frase non gli fu mai perdonata, e in fatti non molto dopo fu posto nelle carceri del S. Ufizio, quale ateista e uomo di niuna Religione, come vedrassi dall’annesso fatto che corredato degli opportuni autentici documenti, si riporta come troppo importante al nostro soggetto, appiè dell’Opera. Quest’avvenimento, (e l’altro accaduto in Siena contemporaneamente di Fra Cimino Cancelliere dell’Inquisitore Padre Pesenti allora assente, che amato da bella matrona moglie di un mercante di cera, non potendo come era solito frequentarne la casa, stante le gelose insinuazioni che fatte aveano al di lei marito gli amanti di due sue figlie, lo fece arrestare da suoi famigliari, e ritenere con uno de giovani sposi nelle carceri del S. Ufizio, ove più volte percossi vennero da uomini vestiti da diavoli, inputandoseli il delitto di essere spiriti forti;) produsse l’effetto, che il Conte Emanuelle di Richecourt saggio e spregiudicato Ministro Capo della Reggenza di Toscana, istituita dal nuovo Granduca, poi Imperatore Augusto FRANCESCO STEFANO di Lorena, portossi nel 1744. in persona ad aprir le carceri dell’Inquisizione, e ne sospese l’esercizio dell’autorità per tutto lo Stato. Dipoi nel 1754. nella convenzione fissata con la Corte di Roma in occasione di riaprirsi la Nunziatura di Firenze, restata chiusa per dieci anni dopo la partenza di Monsignore Archinto, rimase accordato con Benedetto XIV. d’immortal memoria, che l’Inquisizione di Toscana fosse rimessa sull’esempio di quella di Venezia.
In aumento di quanto si è detto di sopra su tale articolo fa d’uopo osservare che a norma degli ultimi regolamenti emanati in Venezia nel 1767. non può colà il Santo Ufizio far cosa alcuna senza il consenso di tre Senatori, che assistono a nome del Principe a tutte le sue deliberazioni. Non vi succede cosa alcuna di cui il Senato non sia pienamente informato. Gl’Inquisitori non possono neppure citare, sentire un testimonio, o fare il minimo atto sotto pena di nullità, se non in presenza di questi tre Senatori, in vigore del concordato fatto nel 1551. fra Giulio III. del Monte, e la Repubblica; trattato più volte rinnovato, e a cui giammai non si è in veruna maniera derogato. L’autorità di detti assistenti è tanto più grande in quanto possono, quando lo giudicano a proposito, sospendere le deliberazioni dell’Inquisitore, arrestare l’esecuzione delle sue sentenze, non solamente allorchè son giudicate contrarie alle leggi e a costumi dello Stato, ma ancora quando essi hanno degli ordini o istruzioni particolari dal Senato. Ciò li rende assolutamente dispotici e Giudici del Tribunale in tutte le cause, che riguardano sì gli Ecclesiastici, che i Secolari, poichè a Venezia l’eresìa, o qualunque altro delitto contro la Religione è riguardato, come interessante la Chiesa e lo Stato. I Signori Assistenti invigilano inoltre attentamente, che gl’Inquisitori non pubblichino, e non mettano in esecuzione alcuna Bolla tanto nuova che vecchia, se prima non è stata approvata dal Senato, e che si limitino esattamente a sei articoli, che sono loro riserbati dalle leggi veglianti, cioè: I. Gli Eretici e quelli che gli conoscono e non li denunziano. II. Quelli che tengono assemblee o conferenze in pregiudizio alla Religione. III. Quelli che colle loro bestemmie danno luogo di credere di esser caduti in qualche errore contro la Fede. IV. Quelli che celebrano la Messa, o amministrano i Sacramenti senza essere Sacerdoti. V. Quelli che si oppongono all’autorità dell’Inquisizione, e ne impediscono per quanto possono l’esercizio. VI. Quelli che stampano, vendono, o spacciano i libri manifestamente eretici. Ha l’Inquisizione il diritto di esaminare gli affari solamente sù questi punti. Il Senato si è riserbato ciò che riguarda gli Ebrei, i Greci, li Scismatici che hanno stabilimenti ne’ suoi Stati, dove li vien permesso vivere secondo il loro Rito; l’esame di tutti i libri fuori di quelli specialmente riserbati al S. Ufizio; le usure, e quelli che in disprezzo delle leggi della Chiesa per avidità o per altro motivo vendessero carni pubblicamente in tempi e giorni vietati. Tutti questi delitti che sono ugualmente contro la polizia, e la Religione appartengono a Tribunali Secolari. Oltre di questo in virtù di un Editto del Consiglio de’ Dieci del 1568. fu stabilito, che i beni confiscati addetti alle persone condannate dall’Inquisizione passino a loro legittimi eredi, a condizione di non renderli al colpevole, onde l’Inquisizione ha pochissimo interesse di esercitare la sua giurisdizione sù questo punto66.
In Firenze nel detto anno 1754. si convenne che il S. Ufizio fosse composto dell’Inquisitore Minor Conventuale, e suo Vicario, e ne le Congregazioni intervenissero l’Arcivescovo, Locale e il Nunzio con tre Consultori, e tre Deputati assistenti Secolari rappresentanti la persona del Principe a cui si dovesse stare pel’ voto decisivo. Su questo piede appresso a poco si è mantenuta l’Inquisizione fino alla metà del corrente anno 1782., essendo Inquisitore il P. Maestro Antonio Nenci, quando è piaciuto al Regnante Granduca PIETRO LEOPOLDO I. Totalmente abolirla per le ragioni che espresse sono nel seguente graziosissimo Editto.