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Modesto Rastrelli Fatti attinenti all'Inquisizione e sua istoria generale e particolare di Toscana IntraText CT - Lettura del testo |
Il Libro
Il testo che qui viene presentato è tratto dalla prima edizione dell’opera, pubblicata a Firenze nel settembre del 1782. Uscito anonimo, il libro è stato talvolta5 erroneamente attribuito all’abate Modesto Rastrelli6, una figura minore d’instancabile, quanto sfortunato, pubblicista fiorentino.
Come ben sapevano i contemporanei dell’epoca, l’anonimo autore era invece Francesco Becattini. La Gazzetta Universale che veniva pubblicata a Firenze, nel numero del 10 settembre 1782 riportava infatti: «è stata pubblicata dall’autore medesimo della Vita di Maria Teresa, e dell’Istoria Austriaca un’esatta Istoria dell’Inquisizione (....). In essa si sviluppa, e si narra l’origine di quel Tribunale, la sua introduzione in Francia, Spagna, Portogallo, Italia, Sicilia, Malta ecc., con la descrizione degli Atti di Fede; molti avvenimenti, e aneddoti di somma importanza. Si passa poi specialmente in Firenze e, dopo la narrativa di varj accidenti, si termina col famoso fatto del celebre Crudeli, che dette motivo a una riforma totale del S. Ufizio in Toscana. Vi sono pure due rami, il primo de’ quali rappresenta i martirj che si davano, e l’altro le vestiture di quelli che andavano a morte. Si vende da Anton Giuseppe, e Giovacchino Pagani al tenue prezzo di 3 paoli».7
I motivi della pubblicazione senza nome dell’autore, saranno spiegati dal Becattini, con una certa vivacità, nella prefazione alla terza edizione dell’opera8, edita a Milano nel 1797, con il titolo Istoria dell’Inquisizione ossia S. Uffizio, corredata di opportuni e rari documenti, data per la terza volta alla luce con aggiunte da Francesco Becattini, accademico apatista, che qui riportiamo:
L’autore a chi legge.
“Abolita per sempre dall’Imperatore Giuseppe II nel 1775 l’Inquisizione o s. Uffizio in Milano, e successivamente da Ferdinando IV di Borbone nell’Isola di Sicilia e dall’Arciduca poi Imperatore Leopoldo II Granduca di Toscana nel 1782 in Firenze, mi venne in mente di tessere il primo fra tutti gli Italiani una breve Istoria di quel terribile tribunale; non per denigrare la religione de’ nostri padri, ma a solo oggetto di far vedere quanto di essa si era abusato. Passato il manoscritto in mano dell’avidissimo prete Vincenzo Piombi9 stupratore e mercante di giornali e di gazzette, fu dato alla luce in Firenze suddetta in detto anno con le stampe di Anton Giuseppe Pagani, e sì bene accolto dal pubblico che tosto ne comparvero varie ristampe, e tra le altre una in Venezia del 1786 per mezzo del famoso ed erudito editore Vincenzo Formaleoni, ultimamente morto di fame nelle carceri di Mantova tre giorni prima della sua resa alle armi trionfanti della Repubblica Francese. Avendo io in seguito creduto a proposito di abbandonare per sempre le patrie amenissime sponde dell’Arno, per non più respirare in una atmosfera ottenebrata da un’Inquisizione civile, allora più arbitraria e assai peggiore dell’ecclesiastica, fui invitato a darne in Napoli una più completa edizione, ed arricchita di nuove notizie, come feci mediante i torchi di Donato Campo. Il popolo Napolitano tra cui risiede per anche una magistratura composta di vari cittadini incaricati d’invigilare acciò non s’introduca mai in quella capitale né nel regno di qua dal Faro il sì temuto predetto tribunale, applaudì alla mia fatica e dimostrommi la sua gratitudine. In poco tempo però sparirono per segreto maneggio dell’ipocrisia e della prepotenza quasi tutti gli esemplari; l’istorico fu soggetto ad una quasi sempre rinascente persecuzione, talché dovetti pure pel quieto vivere scordarmi di un’opera per me funesta, sebbene ovunque ansiosamente letta e gradita. Ora poi che sotto il Cisalpino cielo splende una beata stella di libertà di stampa ardisco di riprodurla alla luce quasi duplicata nelle sue notizie ed esposizione di nuovi fatti, sulla certa fiducia che le anime libere ed i buoni cittadini vi getteranno un occhio benigno, e compatiranno le vicende di uno scrittore perseguitato perché fu sempre seguace della nuda e semplice verità, da esso cercata a traverso d’infiniti stenti, pericoli, detrazioni e sudori.”10
Nei Fatti attenenti... il Becattini non si presenta tanto come ricercatore o storico, quanto come un autore che riporta e riassume, con una certa efficacia, notizie e fatti tratti da vari autori. Se il fine è quello divulgativo, il libro può dirsi riuscito. Infatti, fu accolto con un buon successo11, come provano le varie edizioni. In poco più di duecento pagine viene dipinto un quadro dell’Inquisizione che ha oltre settecento anni di vita. È stringatissimo ma, per quanto riguarda le procedure inquisitoriali, esse emergono, nella loro essenza, in modo particolarmente completo e attendibile.
Per l’aspetto storico, il Becattini si appoggia e si attiene alle notizie attinte da seri e importanti autori come Limborch, Marsollier, Sarpi, Dellon, Lami12, ma è soprattutto dall’Histoire des inquisitions di Claude Pierre Goujet che egli trae spunto per l’impianto generale della sua opera. In un caso, tuttavia, il nostro autore decide di fare un’eccezione: riprende una vicenda che poco ha di storico ed è piuttosto una leggenda. Sono gli avvenimenti accaduti a Carlo II, erede al trono di Spagna. Utilizzati originariamente in chiave di propaganda antispagnola, servirono, poi, come trama per la pubblicazione nel 1672, di una novella, il Dom Carlos di Saint-Réal, che ebbe un tale successo in Europa da richiedere, nei soli primi venti anni dalla sua comparsa, non meno di dodici edizioni e costituendo, anche ai nostri giorni13, motivo d’interesse.
Ma bisogna comprendere il Becattini... Su questa “storia”14, aveva costruito una sua Tragedia, il Don Carlo Principe d’Asturie15, che non solo fu rappresentata a Firenze nel 1772 nel Teatro di via del Cocomero “per due sere consecutive con universale applauso”, ma fu anche accolta nel celebre annuale Concorso per autori di Tragedie e Commedie in verso sciolto, che si teneva nella città di Parma. Con ciò precorrendo altri autori che si mostreranno interessati alla “storia”, come Alfieri, Schiller e Verdi, tutti più o meno influenzati dagli scritti del Saint-Réal o del Leti.
Di matrice illuminista, il primo libro italiano sulla storia dell’Inquisizione non poteva che evidenziare la crudeltà e l’oscurantismo di questa Istituzione, descrivendo, nella sua parte finale, il martirio di alcuni dei dissidenti toscani dell’età moderna dal Paleario ai Sozzini, dal Carnesecchi a Galileo, dalle streghe senesi a Pandolfo Ricasoli.
Una annotazione particolare merita la «Relazione» posta al termine del libro e che può definirsi una vera e propria appendice. Si tratta «Della carcerazione del Dottor Tommaso Crudeli di Poppi, e della processura formata contro di lui nel Tribunale del S. Ufizio di Firenze l’anno 1739», che, presentata anonimamente, parrebbe opera del Becattini. In realtà la «Relazione» ha come autori Luca Antonio Corsi e lo stesso Crudeli. È merito del Becattini aver pubblicato il manoscritto per la prima volta anche se, purtroppo, con tagli e censure arbitrarie.16
Il libro del Becattini fu posto all’Indice nel 1817, entrando così a pieno titolo nella serie di quelle opere anti-inquisitoriali nate, con la pubblicazione rocambolesca nel 1553 del Tractatus de arte & modo inquirendi Haereticos17 da parte di Hieronjmus Marius o Massarius18, quasi contestualmente con l’istituzione stessa dell’Inquisizione romana.