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Modesto Rastrelli
Fatti attinenti all'Inquisizione e sua istoria generale e particolare di Toscana

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RELAZIONE67

 

Della carcerazione del Dottor Tommaso Crudeli di Poppi, e della processura

formata contro di lui nel Tribunale del S. Ufizio di Firenze l’anno 1739.

 

La notte del dì 9. Maggio 1739. fu arrestato e condotto al Tribunale della Sacra Inquisizione di Firenze il Dottore Tommaso Crudeli di Poppi, dove ricevuto dal Padre Inquisitore, e Padre Vicario del S. Ufizio, espose tosto a medesimi le gravi sue indisposizioni, per le quali averebbe poco tempo potuto sopravivere, ma senza che si avesse uno special riguardo alla pessima costituzione del suo corpo, che attese le forti e frequenti strettezze di petto, a le quali da lungo tempo era sottoposto, più che tutt’altro aveva bisogno d’abitare una stanza non molto angusta, ed ariosa per agevolargli il respiro. Gli promisero i Padri tutta l’assistenza possibile, e trattarlo con quella carità, che è degna di tutti i Cattolici, e massime de’ Religiosi, dargli un’ottima carcere, nella quale averebbe potuto vivere con tutto il comodo immaginabile; in ordine a questa promessa fu posto il Crudeli in una carcere segreta, lunga sei passi in circa di figura triangolare come quella, che era stata cavata in un angolo di un’altra stanza, ove era un piccolo, e mal fornito lettuccio posto presso a un luogo, che per non avere alcuno sfogo esalava un gravissimo cattivo odore, che infettava l’aria di quella piccola segrete, punto atta respirarsi da qualunque robusto uomo, non che dal Crudeli, il quale come è noto a tutti, era di un gracile temperamento, emaciato per le continove malattie che soffriva, e particolarmente da un’asma convulsiva, la quale ancorchè vivesse per l’avanti agiatamente, e con ogni riguardo, l’aveva alcune volte con tal violenza attaccato, da far temere i Medici che lo curavano della sua vita; piombava la luce nella detta segrete da un angusta feritoia, che riesciva in un andito, che riceveva la medesima da una finestra di un cortile posta sotto un doppio ordine di tetti, muniti ambedue di una gronda non poco sporgente in fuora; l’angustia di detto ingresso, che impediva all’aria di poter passare con libertà, e che solamente permetteva che s’introducesse uno stracco, e debole filo di luce, e il non avere alcuna apertura la detta segrete, impediva all’aria di potersi rinnovare, e cagionava in essa quell’umidità, la quale siccome dopo breve tempo macera irreparabilmente i corpi umani, così mantiene vegeti quelli delle tarantole, ragni, e scorpioni, de’ quali le pareti della medesima erano copiosamente adornate.

 Il Fratello del carcerato morso da quella pietà, che sogliono risentire tutti gli uomini, e particolarmente i congiunti degli oppressi ed afflitti, fece qualche istanza al Governo Secolare perchè gli fosse mutata la prigione per riguardo almeno alle di lui frequenti malattie, e su tal reflesso fu impetrato dopo trentasei giorni dalla sua cattura, che fosse posto in altra stanza alquanto migliore.

Voleva il Santo Tribunale assicurarsi di quest’uomo spacciato ancor prima d’averne alcun ragionevole riscontro per un Eresiarca, che come disse l’istesso Padre Inquisitore, costava tanto alla Chiesa, perciò fu ordinato porsi alla ferrata della prigione, dove era stato stabilito doversi trasportare, un riparo di legno per la parte esteriore di essa, atto più a togliere l’aria, e la luce, che da quello impedita non poteva scendere nella carcere se non per una piccola fessura, che ad impedire la fuga di esso, quando l’avesse potuta, o voluta tentare, e terminata in breve tempo la detta macchina, cioè apposto alla finestra il detto riparo, i Padri del S. Tribunale dissero, che tre soli giorni dopo il suo arresto avevano mutata la carcere al Crudeli, quando la verità è, che per lo spazio di trentasei giorni fu tenuto a macerarsi nella detta pessima segrete dove l’avevano posto da principio.

Trasferito in tanto nella nuova prigione ed avvisato il di lui Fratello, che facesse portare il proprio letto del Carcerato, onde potesse più liberamente prender riposo, siccome nel riceverlo fu osservato esservi le panchette di ferro, così il P. Inquisitore, che non voleva la morte del peccatore, ma che si convertisse e vivesse, sul dubbio, che colle medesime potesse torgli la vita, glie le convertì in altra di legno, materia quanto meno atta ad uccidersi, tanto più propria a generare e nutrire una certa specie d’insetti, quali sì per il loro cattivo odore, sì per le nojose loro punture inquietarono molto quell’infelice.

Frattanto non aveva egli libertà di poter vedere alcuna persona, e neppure il proprio fratello, col quale aveva necessità di parlare per ragione di molti interessi, e particolarmente per alcune liti a loro comuni, delle quali, avendone egli avuta la direzione, non sapevano i di lui congiunti le più importanti notizie, cosa che in sì fatti casi colle dovute cautele non suol negarsi da alcun Tribunale.

Non solamente non era a lui permesso di scrivere a veruno, ma neppure alcuna cosa per semplice suo trattenimento, essendo inoltre stato tenuto e la sera, e la notte per lo spazio d’interi sei mesi senza alcuna luce artificiale, quantunque non cessasse di chiederla, non solo per alleggerirsi l’orrore del carcere, ma ancora perchè questa gli giovasse negli attacchi dell’asma, che frequentemente l’incomodavano, come aveva più volte sperimentato; ma lo zelo inflessibile de’ Religiosi non si lasciò mai piegare nè dalle umili preci di esso, nè dalle raccomandazioni procurateli da suo fratello, ne da di lui gravi incomodi, onde ne seguì, che non ostante la regola universale, che la carcere prima che alcuno sia convinto di delitto debbi essere per sicurezza, e non per tormento, sicchè non si dia la pena dove non è certa la colpa, gli convenne soffrire tutti i disagi che porta seco la lunghezza della più nojosa, e crudele prigionia, non per alcun suo privato delitto, ma solamente perchè i Padri del S. Tribunale per fini soltanto ad essi noti avevano stabilita la di lui rovina.

Non lasciava però il solo Padre Vicario di andare di tempo in tempo a visitare il Crudeli, e di fargli le più vive dichiarazioni di amicizia ostentando pietà della sua disgrazia, ed assicurandolo di ogni assistenza, sì perchè gli fosse amministrata pronta e retta giustizia, sì perchè gli fusse usata dall’innata clemenza del Padre Inquisitore ogni agevolezza atteso lo stato deplorabile della sua sanità, di che il povero carcerato se gli protestava al sommo obbligato, e lo pregava a procurargli la spedizione della sua causa, e quindi a essere esaminato, non potendo capire la cagione dell’indugio in un Tribunale, che avea in uso di non arrestare il preteso reo, se non dopo compilato il processo, e provati concludentemente i di lui delitti. L’amico Padre Vicario gli prometteva d’interporre la sua mediazione per la spedizione della di lui causa, e glie ne dava vicine le speranze, ma per lo spazio di tre mesi non se ne vidde effetto veruno, solo che entrato un giorno il detto Padre Vicario nella prigione del Crudeli, disse al medesimo, che gli era riuscito d’indurre l’Inquisitore a degnarsi di ricevere da lui un biglietto, onde gli averebbe portato tutto il bisognevole per poterlo scrivere, e che in esso averebbe potuto chiedere la tanto bramata grazia di essere esaminato; questa promessa gli fu più volte dal Padre Vicario replicata, ma non mai attesa, se non che dopo molto tempo gli disse, che gli aveva impetrato un abboccamento con Sua Paternità Reverendissima, onde in tal congiuntura potesse chiedergli da se stesso quel tanto, che avesse giudicato essergli vantaggioso; in fatti fu condotto il carcerato nella Cappella del S. Ufizio, luogo del quale si serve il Tribunale per esaminare, dove invece d’abboccarsi strajudicialmente col Padre Reverendissimo, come gli era stato falsamente promesso, fu formalmente esaminato sopra la Società de’ Liberi Muratori, e gli furono fatte quarantatrè interrogazioni, nessuna delle quali fu scritta, quantunque egli chiedesse colla maggiore efficacia, che tutto fosse registrato dal Cancelliere secondo i principj di ogni Canonica e Civil ragione, e secondo la consuetudine del S. Ufizio, e di tutti i Tribunali, ne’ quali non il capriccio, ma l’ordine della giustizia s’abbia in veduta, adducendo egli inutilmente i Canoni, le Bolle de’ Santi Pontefici, e le leggi, che ciò prescrivono, al che non altro gli fu risposto dal Padre Inquisitore, se non che tutto era fatto per suo vantaggio, poichè era molto più per giovargli una confessione spontanea che un’esposizione del fatto ricavata da lui per via di un esame formale, ed in fatti alla testa di tutto questo esame fu posto il titolo di spontanea confessione; con questo nuovo irregolar metodo di procedere venne trasformato il costituto fatto al Crudeli in un’Istoria supposta fatta da lui, la lettura della quale fa per altro in moltissimi luoghi vedere, che ella non è altro, che una catena di risposte date alle diverse domande del Processante.

Dopo questo costituto non mancò il Padre Vicario di fare più frequenti visite al carcerato sotto la solita ostentazione di amorevolezza, e di pietà, che diceva di sentire per la sua disgrazia, ma in verità per vedere d’indurre a confessare tuttociò, che si faceva, e si diceva nella Società de’ Liberi Muratori, supponendo che vi si trattassero cose di Religione, come hanno sempre erroneamente creduto, o almeno mostrato di credere i Padri del S. Ufizio, i quali è certo, che fino dal 1736. fecero infinite ricerche in questo proposito, e fino d’allora presero di mira il Crudeli come uno di detta Società, le quali ricerche poi dettero causa di falso insorto romore, che vi fussero in Toscana trentamila eretici sotto il nome di Liberi Muratori.

Il Carcerato, che sapeva benissimo non esservi in quella la minima cosa che potesse interessare il Tribunale del S. Ufizio, non altro poteva rispondere, che quando fosse stato Membro di quella non poteva essere gastigato, non essendo ciò nè contro l’onore d’Iddio, nè contro le leggi della Chiesa, e che ne sperava, che il Tribunale della S. Inquisizione sarebbe venuto in chiaro, mediante le giuste notizie che ne potevano avere, ma il Padre Vicario gli replicò, che non poteva sapere quali notizie avesse il S. Ufizio di sì fatta Società, e che riflettesse, che era stata emanata da Clemente XII. una bolla contro di essa, e però si risolvesse a palesare tuttociò, che era nell’Istituto de’ Liberi Muratori, i nomi de’ Soci, e quello del Protettore, assicurandolo che poteva mentovare senza alcun timore ogni genere di persone di qualunque rango, e condizione si fossero, ancorchè Principi, poichè quanto si diceva in quel Tribunale era occulto per sempre, aggiungendo, che lo scoprire la verità averebbe molto cooperato alla sua pronta liberazione, offerendogli per sì fatto modo una specie d’impunità; il Carcerato rispose a tutte le questioni di tal natura fattegli frequentemente in occasione delle visite del Padre Vicario, che aveva detta la mera verità, alla quale non aveva che aggiungere, pregandolo instantemente di stimolare l’Inquisitore a spedire la sua causa, che così sarebbe venuta in chiaro la sua innocenza, e la calunnia de’ suoi avversari.

Un mese dopo il primo suo costituto, e quattro dopo il suo arresto venne di nuovo esaminato il Crudeli, e gli furono contestati varj mostruosi delitti da lui supposti commessi in casa del Barone Stoch, de’ quali si pretendeva accusato da N.N. (a cui per via di un indegno maneggio del suo Confessore, e di mille suggestioni, e minacce de’ PP. Del S. Ufizio, i quali contarono sulla di lui notoria stolidità, s’era maliziosamente fatto deporre, che egli era stato introdotto in casa di detto Stoch, ove si pretendea che si adunasse la Società de’ Liberi Muratori, a cui disse di essere stato ammesso, e in cui aggiunse essere, ed avervi veduto il Crudeli, e che nelle sognate adunanze di essa Società si facevano e dicevano cose enormi contro la Religione e contro il Governo, fingendo quelle a capriccio, ed ascrivendo a detta Società un gran numero di scelte persone, cioè tutte quelle nominate, ed a lui suggerite da chi l’esaminava, contro le quali voleva intentarsi una ingiustissima persecuzione.) Ciò era tutta impostura, poichè in casa di Stoch non s’era mai tenuta tale adunanza, e il detto...., non era mai stato nella prefata casa, nè egli, nè la massima parte delle persone fattegli nominare, molte delle quali si sapea essere non amiche di Stoch, e fra queste il Crudeli. Dopo di ciò gli fu detto dal Padre Inquisitore che non poteva ammetterlo prontamente alle difese per dovere attendere l’ordine di Roma, ma che frattanto averebbe insistito per la spedizione della sua causa.

Seguito questo nuovo esame rinforzò il Padre Vicario le familiari sue visite al carcerato, sempre sotto l’istesso colore di compassione, e di amicizia, ma in fatti non per altro, che per persuaderlo a confessare secondo ciò che pretendeva il S. Ufizio, la supposta Società de’ Liberi Muratori in casa Stoch, e quello che sembra ancora più strano, arrivò fino a promettergli la libertà, se vero o falso che fosse, avesse confermato col suo deposto ciò che era stato detto, o piuttosto fatto dire al......., avendo avuta l’imprudenza di dirgli chiaramente, che non sarebbe escito dalle carceri del S. Ufizio, fino a che non avesse confessata in tutte le sue parti per vera l’ideale adunanza supposta dal detto...... Non ostante tutti questi maneggiati persistè sempre l’inquisito nel suo proposito di non tradire la verità, e se medesimo, ne altro chiese al P. Vicario, che la sua interposizione per ottenere le difese, colle quali s’assicurava, che averebbe messo in chiaro la calunnia e la pazzia de’ querelanti, e la falsità dei supposti testimoni, che avevano deposto di questa immaginaria Assemblea. Ma consapevoli il Padre Vicario e il Padre Inquisitore di qual metodo s’erano serviti per opprimere questo infelice, e molte persone per rango e per merito assai rispettabili, procurarono sempre di operare in maniera colla Sacra Congregazione in Roma, che fosse ritardato l’ordine di ammettere alle difese l’inquisito, per cercare intanto nuovi illegittimi mezzi, onde tirare a fine la loro meditata impresa, vedendo di non avere ancora in mano con che venire a capo di quella, mentre sapevano che il deposto di uno de’ due singolari testimoni, sopra del quale fondavasi la loro calunnia, era stato suggestivamente estorto per via di minacce abusandosi della stolidità del Testimone, nota alla Città di Firenze, e che il deposto dell’altro Testimone, col quale pretesero di ammenicolare il primo, era stato scritto gratuitamente dal loro Cancelliere, ma non proferito dal Testimone, come fu chiaramente provato da un breve Processo difeso a Livorno dal celebre Auditore, allora Avvocato Querci, che ne aveva avuta la commissione dal Governo, dal qual Processo resulta, che egli non aveva mai deposto avanti al Padre Inquisitore di alcuna di quelle proposizioni contestate al Crudeli, ne averebbe potuto farlo, perchè non s’era mai trovato con lui in casa di Stoch, onde rovinando la base sopra la quale i Padri avevano appoggiata questa loro male architettata macchina, dubitarono che il carcerato colle sue difese, non solo averebbe fatto costare che esso non andava in casa Stoch di cui non era amico, ma che la detta mal supposta Assemblea non era altro, che un inventata favola de’ Padri del S. Ufizio colorita con gli estorti suggestivi, ed alterati deposti de’ mentovati due Testimoni68, e in tal guisa non averebbero potuto ottenere il loro intento di rovinare per sempre quest’infelice, e di passare sull’istesso piede alla rovina degli altri.

In fatti furono fatte minutissime ricerche in Firenze, ed in Poppi Patria del carcerato sopra i di lui costumi, sopra il concetto che si aveva di esso, se frequentava le Chiese, se s’inginocchiava al suono dell’Ave Maria della sera, o del mezzo giorno, ed in specie ricercarono a molte persone, se gli avevano sentito dire, che la Santissima Eucaristia non era, che una cialda, la quale proposizione non essendogli mai stata contestata, è un manifesto segno, che non era stato querelato, e che però non si poteva secondo le regole del Tribunale medesimo del S. Ufizio farsene a capriccio alcuna ricerca; ma chi avea fatto il primo passo falso si credette in impegno, per non soffrire il rossore di essersi ingannato, o di avere maliziosamente tentato con vergognosi mezzi l’oppressione di un innocente, di farne degli altri, onde venire a fine del mal concepito disegno.

Non cessava intanto l’infelice Dottore Crudeli di pregare il Padre Vicario in occasione delle solite cortesi visite, delle quali bene spesso veniva onorato, acciò gli fossero assegnate le difese, parendogli impossibile, che un Tribunale come quello della Sacra Inquisizione, che Santo si chiamava, volesse ritardargli le difese senza alcun giusto apparente motivo, quando effettivamente [il]69 Padre Inquisitore non avesse frapposto qualche difficoltà, al che non s’astenne di rispondere una volta al Padre Vicario, che a suo tempo gli sarebbero state assegnate, ma che il Tribunale non aveva fretta; dall’altra parte non cessava il suo fratello d’interporre tutti i mezzi più efficaci appresso l’Inquisitore, perchè mosso una volta dalle indisposizioni e da disastri, che soffriva il carcerato gli avesse finalmente conceduta la sospirata grazia di potersi difendere; avendolo più e più volte anche da per se stesso richiesto di quest’atto di giustizia, che da tutte le Divine Leggi, ed umane viene a rei ordinato accordarsi con tutta l’immaginabile prontezza, ma ne riportò sempre ottime parole, rispondendo, che la ragione dell’indugio derivava da Roma, con aggiungere che neppure detto Inquisitore poteva capire, come nella causa di questo carcerato non si fosse conservato l’ordine consueto, ma si fosse contro ogni regola in moltissime circostanze alterato, mentre per altra via si sapeva, come l’Inquisitore studiava nel tempo medesimo tutti i modi per mandare in lungo la causa, ed usava ogni arte per trovare nuova cagione di ritardare le difese dell’Inquisito, quali date una volta che fossero ben prevedeva, che si sarebbe fatta conoscere al Mondo l’innocenza del Crudeli, e la propria e l’altrui malvagità, dimodochè vedendo il detto suo fratello, che nulla poteva concludersi col ricorrere al Tribunale dell’Inquisizione di Firenze, si risolvè di scrivere come fece ad alcuni suoi amici a Roma, perchè eleggessero un Avvocato, che sollecitasse appresso la Sacra Congregazione la spedizione di questa causa, mandando a tal’ effetto lettere di cambio per sodisfare il medesimo, ma nulla pure giovando questa ulteriore diligenza, argomentando da ciò, che con aver chiusi tutti i passi, avessero i Padri del S. Ufizio irreparabilmente stabilita la rovina del suo fratello, studiando di recare a lui quell’aiuto maggiore che in tali angustie poteva, pensò e potè trovare la via di fargli avere una corda, la quale poteva il carcerato senza essere veduto, calare ogni sabato notte, in cui restava aperto l’ingresso del Chiostro, al quale corrispondeva la finestra della sua carcere, e così ebbe agio di dare, e ricevere de’ biglietti, e qualche altra piccola cosa per suo ristoro, avendo per tal modo acquistato tutto il necessario per scrivere. Con tale espediente indi suo fratello l’avvisò, che gli sarebbero fatti pervenire alcuni ordigni per tentare la fuga, e salvarsi, e quantunque gli rispondesse il carcerato, che voleva perdere la vita sotto i rigori della carcere piuttosto che la sua innocenza con intraprendere la fuga, attaccò una notte alla cordicella una grossa fune con molti nodi, e un piccolo pugnale, scrivendogli, che tentasse in qualche maniera di salvarsi, poichè si vedeva dall’irregolare dilazione delle sue difese, che si voleva ad ogni patto il suo sacrifizio. Si trovò sorpreso il Crudeli vedendo la fune, e il pugnale appeso al cordone che aveva calato per ricevere il biglietto del fratello, e la solita cioccolata, che per tal via gli mandava ogni sabato per cibarsi di essa, giacchè temeva nascosto il veleno nelle vivande, ne sapendo a qual partito appigliarsi, cacciò il pugnale sotto la panchetta del letto, e ridottolo in tre pezzi lo gettò sopra la finestra della sua prigione. La mattina seguente avendo il Padre Inquisitore, non si sa per qual via penetrato, che erano state somministrate all’Inquisito le cose suddette, gli fece la perquisizione nella carcere, nella quale gli furono trovati i detti ordigni, e furono successivamente scritti per tre sabati da alcuno de’ vigilanti Padri del S. Ufizio tre biglietti al fratello del carcerato calandogli nella forma suddetta con avere contraffatta la mano del Crudeli, i quali non tendevano ad altro che a scoprire il modo col quale supponevano i Padri, che fosse da esso meditata la fuga, il luogo dove esso avesse pensato di portarsi, e le persone che gl’averebbero prestato aiuto, ma siccome non era ciò, che un ridicolo pensiero venuto in capo a suo fratello, che a dir vero non era l’Uomo più avveduto del mondo e che gli aveva mandati i detti arnesi, perchè riuscendoli se ne servisse in fuggire, senza aver considerato più oltre, così credendo di continovare col carcerato il carteggio, rispose sempre in modo, che non poterono ricavarne i Padri se non una difesa per il preteso reo ma l’Inquisitore non si degnò di mai contestare, o di fare alcun conto de’ biglietti scritti dal fratello in risposta al carcerato, da quali si ricavava chiaramente la di lui costante intenzione di non uscire dalle prigioni del S. Ufizio, se non per la via ordinaria, e dichiarato innocente, come sapeva d’essere, qual sua intenzione aveva altre volte manifestata, ed in specie un giorno, in cui casualmente il Custode delle carceri aveva lasciato aperto l’uscio della sua prigione, che perciò fu da lui richiamato, ed avvisato a ferrarlo.

Accortosi finalmente il fratello del carcerato che i Padri, e non esso avevano scritti gli ultimi biglietti, vedendosi scoperto sul timore, che il Tribunale del S. Ufizio potesse procedere contro di esso per aver somministrati al carcerato ordigni per fuggire, e salvarsi, si determinò a denunziarsi, e narrata come era passata la cosa assicurò il Padre Inquisitore che il suo fratello non aveva mai pensato a fuggire.

Accettò la denunzia l’Inquisitore, ma seguitando il suo stile di nulla rilevare di ciò che ridondava in favore del Crudeli, non stimò opportuno di ridurla in scritto, giacchè dalla medesima non solamente costava, che esso non voleva salvarsi colla fuga, ma che anzi aveva fatta un’azione eroica col disapprovare il consiglio del fratello, e far comprendere che era costantemente risoluto o di finalmente soccombere sotto i rigori della sua prigione, o d’essere per sentenza dichiarato innocente, ciò che non poco giovava al medesimo, mentre siccome la fuga, o il manifesto desiderio di essa è un legale indizio di reità, così il non intraprendere quella potendo, e rigettarne costantemente i consigli, e l’esibita assistenza massimamente in chi già trovasi oppresso dal timore, e da fieri disastri d’una crudel prigionia, egli è certamente uno de’ più forti riscontri dell’innocenza di esso.

Dopo questo fatto i Ministri del S. Ufizio usarono sempre più stretti i rigori al carcerato, e benchè dicessero che ogni sera l’estraevano dalla prigione per fargli respirare un poca di aria più libera, la verità è che fu una sol’ volta cavato di segrete in tempo di notte nella quale fu così fieramente attaccato dall’asma, che dette da dubitare della sua vita.

Frattanto il di lui fratello, che non lasciava cosa alcuna intentata per fargli ottenere la difesa, tanto s’adoprò colla Sacra Congregazione, che fu dalla medesima finalmente ingiunto all’Inquisitore di ammettere il querelato alle difese; ciò non ostante non si desistè di procrastinare col frapporre immaginarie difficoltà per ottenere dilazione all’imminente scuoprimento di tante calunnie procurate a danno dell’inquisito; ma non si potè più impedire quest’atto di Giustizia stante i replicati pressanti ordini della Sacra Congregazione, dimodochè vedendo l’inquisitore di non potere altrimenti condurre a fine il suo intento, che fondato sull’indisposizioni del carcerato, che nell’angustie nelle quali era tenuto promettevano brevi i suoi giorni; pareva che fosse di prolungare gli atti fin’ tanto che fosse venuto a morire nelle carceri del S. Ufizio, come con più persone si era dichiarato l’Inquisitore che sarebbe seguito, onde pensò finire di rovinarlo con quella medesima via, per la quale sperava il povero querelato di potersi salvare, e per eseguire questo suo disegno si servì come vedremo di quell’istesso metodo nella repetizione de’ Testimoni, e negl’altri atti della difesa, del quale si era servito nel primo esame di essi.

Intanto altro non faceva l’Inquisitore, che lamentarsi co’ suoi confidenti dell’eccessiva parzialità della Sacra Congregazione, che dopo un anno di prigionia non voleva prolungare inutilmente per maggior tempo il corso della causa, onde fatto cuor generoso assegnò al Crudeli le tanto desiderate difese.

Queste difese che secondo il senso comune significano un comodo, che si somministra al querelato, con palesargli i delitti de’ quali resta incolpato, di addurre le prove, se quelle abbia di sua innocenza, e sentendosi a torto aggravato di rilevarsi come stima meglio dalle calunnie, che gli sono state tramate, nel linguaggio del Tribunale del S. Ufizio non altro producevano, che preparare all’inquisito un nuovo peggiore inganno, perchè restasse sotto la falsa speranza di difendersi affatto oppresso, ed esposto senza riparo a tutta la forza della calunnia e del falso.

Il Difensore, che per agevolare la strada alla difesa avrebbe dovuto essere una persona confidente di quello, che volea valersi della sua opera, e la di lui scelta lasciarsi in piena libertà dell’inquisito, non stava al reo ad eleggerlo, ma si forzava a prendere uno appunto di quei pochi Difensori, che il Tribunale tenea ben affetti, i quali non passavano il numero di tre, fra questi o buoni o cattivi, che fossero amici o nemici del querelato dovea cadere la scelta, e quest’ancora, onde non s’abusasse il reo d’una soverchia libertà, sempre moderata dall’arbitrio dell’Inquisitore, che approvava o rigettava quello de’ tre, che il reo s’era proposto d’eleggere, il che seguì appunto al Crudeli, che avendo eletto il Dottor Tassinari non fu dall’Inquisitore ammessa la nomina di esso con la scusa, che egli era divenuto incapace, per seguitare il metodo d’opporsi in tutto à giusti desideri del carcerato e per timore, che il Difensore nominato fosse troppo parziale al reo, o più probabilmente perchè avendo il Dottor Tassinari difeso poco tempo avanti col dovuto vigore alcuni rei del S. Ufizio fino ad ottenere a medesimi dalla Sacra Congregazione l’assolutoria, premea allo zelo dell’Inquisitore di non introdurre il cattivo esempio, che i rei del S. Ufizio di Firenze fossero difesi più di quello, che comportava il di lui piacere, o il da lui supposto decoro del Tribunale.

Negatogli adunque il Difensore prescelto, fu costretto il Crudeli a nominare un altro de’ due, che rimanevano e questo fu il Dottor Archi, che venne dal Padre Inquisitore accordato con molto piacere, sperando forse, che la di lui decrepita età d’anni 84., il non potere scrivere di proprio pugno, e il venirgli impedito dalle regole del Tribunale il potersi servire dell’opera altrui, averebbe contribuito a rendere più lenta, e più debole la difesa del querelato.

Si principiò adunque questa tanto contrastata difesa dal richiedere l’inquisito a dichiararsi, se voleva repetere i Testimoni, o aver quelli bene, e rettamente esaminati, al che per consiglio del suo Difensore, rispose di volere la repetizione d’alcuni di essi, onde ricevuta per tal’ effetto dal Tribunale la copia dell’Inquisizione, cioè l’indicazione de delitti contro di lui pretesi, e de Testimoni Fiscali, da quali si supponeva restare aggravato, produsse per la repetizione di soli quattro Testimoni, che potevano credersi del tutto falsi, gli opportuni interrogatori, ma siccome questi erano veramente tali, che quando si fossero esaminati averebbero infallibilmente scoperta la mostruosa falsità del processo, così l’Inquisitore come nemico giurato di quella regolar fedeltà, che si richiede in qualunque buon processante nella compilazione degli atti a lui commessi, non ebbe alcuna difficoltà di troncare, mutare, e aggiungere agl’interrogatorj ciocchè gli pareva proprio a chiudere ogni strada all’inquisito di giustificarsi, anzi vedendo che malgrado tutti gl’irregolari arbitrj presi nella detta repetizione de’ testimoni vi rimaneva sempre come chiaramente mostrate l’insussistenza dell’operato contro il Crudeli, aggiunse ed innestò al deposto de’ Testimoni repetiti nuovi delitti, o da lui sognati, o per dir meglio da esso inventati, consistenti in proposizioni ereticali pretese proferite dall’inquisito in più e diversi luoghi, ma colla solita disgrazia di vedere smentite, e quindi convinte per false da tutti i Testimoni supposti allegati per contesti, come quelle che erano soltanto state inventate, ma non mai deposte da’ Testimoni, a quali venivano attribuite, come se ne sono essi poi dichiarati nella più valida forma.

Terminata con tal condotta la repetizione de’ Testimoni con mille raggiri, tirata in lungo fino che dai reiterati ordini della Sacra Congregazione non si trovò costretto il P. Inquisitore ad adempire a questo atto di giustizia, fu consegnato al Difensore l’estratto del Processo, omesso in quello tutti i deposti de’ Testimoni Fiscali favorevoli all’inquisito, dal quale estratto oltre lo scoprirsi l’ordine affatto nuovo, e irregolare, col quale fu proceduto in causa, oltre la maniera impropria, e sempre suggestiva d’interrogare, furono con altissimo stupore ritrovate alterazioni essenzialissime ne deposti di quei Testimoni medesimi, che ne costituti fatti all’inquisito gli erano stati contestati, e quello che parrebbe affatto incredibile, se non se n’avesse un sicuro indubitato riscontro, fino negl’interrogatorj fatti all’inquisito, e nelle risposte del medesimo, le quali alterazioni rinfacciate dal Crudeli al Padre Vicario, e al Padre Inquisitore non ebbero il coraggio di negarle, mentre trovatisi vergognosamente scoperti, dettero un’altra copia di alcuni atti diversi affatto dall’estratto del Processo dato a principio.

Per dare un’idea dell’alterazioni suddette si noti come la verità è, che il querelante K. denunziò al S. Ufizio che gli pareva che 17. anni avanti, il Dottore Crudeli avesse proferito ingiuriose parole contro la Madonna dell’Improneta, e che avvertito in tal’ atto ad osservare quello che diceva, l’inquisito rispondesse, che l’avea contro il Paese dell’Improneta, e non contro la Madonna, e che ricercato in giudizio il denunziante, se fra esso e il Crudeli vi passasse buona corrispondenza, rispose esservi tra loro de’ dissapori a cagione d’interessi, per i quali erano molti mesi che non si parlavano.

Il Denunziante N.N. di Poppi accusò il Dottor Crudeli che 17. anni fà leggeva alcuni libri proibiti, e domandato dall’esaminatore, se fra di loro vi passasse inimicizia, rispose non avere che spartire con lui, e che anzi gli voleva bene.

In questi termini furono contestate le dette due distinte denunzie ne costituti fatti all’inquisito, ma nell’estratto del Processo comunicatogli a difesa delle dette due denunzie n’apparisce formata una sola, che le contiene tutte due, ponendosi in essa non in dubbio, ma per assolutamente proferite dal Crudeli le ingiuriose parole, e questa si mette in bocca a quel denunziante, che dice voler bene all’inquisito, onde riceva da tal circostanza tutta la forza, perchè avendo confessato il Crudeli, benchè con alcune limitazioni d’aver letti alcuni libri proibiti contestatigli nel suo costituto, si venga a dar maggior fede all’accusatore anche nell’altra parte della supposta denunzia falsamente attribuitagli, come quello che per la detta confessione del Crudeli intorno alla lettura de’ libri proibiti, veniva ad avere una verisimile riprova d’essersi mosso a denunziarlo in tutto per la verità; ma il sapersi, che il denunziante, il quale dice esservi de’ dissapori fra esso e il querelato, non era stato mai a Poppi, ne fu assolutamente denunziato d’altro il Crudeli che delle parole supposte proferite dal medesimo contro la Madonna dell’Improneta, fa chiaramente vedere la detta maliziosa congiunzione de’ due deposti ridotti a un solo, e quindi con quanto d’ingiustizia e di falsità si sia proceduto in questo Processo fabbricato a mano ed a capriccio, e qual fede dovesse prestarsi a un attuario, che resta convinto di sì fatte palpabili irregolarità.

Il Testimone R. Ricercato in che concetto avesse il Crudeli, rispose averlo stimato sempre un buon Cattolico, e che per molto tempo, che l’aveva praticato non aveva scoperti in lui sentimenti da fargli credere il contrario, così che si maravigliava assai della disgrazia, nella quale era caduto; questa testimonianza fatta da un Gentiluomo di onestà, e di credito, anzichè aggravare il querelato come si desiderava, lo difendeva, alterò talmente il Processante, che alzatosi in piedi proruppe a dirgli, VS. però non gli darebbe un suo Figlio a educare, al che rispose il Testimone,70 certo che io non darei il mio Figlio a educare al Crudeli, ma questo nulla detrae di stima al medesimo, perchè di 100. Preti che saranno in Firenze a quali regolarmente, e non a Secolari, quale è il Crudeli, si danno ad educare i ragazzi, non ne saprei sceglier sei, per l’educazione di uno dei miei Figlioli, dalla qual risposta tanto favorevole al Carcerato ne restò ingegnosamente cavata una prova totalmente opposta per dimostrare la di lui diffamazione, essendo stata posta nell’estratto del Processo questa proposizione, seccamente, ed in estratto come detta dal Testimone R. cioè, che non gli darebbe un suo Figlio ad educare, la quale congiunta con alcune altre scritte dal Cancelliere del S. Ufizio, ma non proferite dal testimone R., averebbe potuto nuocere al Carcerato, se il caso non avesse per impensate vie scoperto il grossolano artifizio de’ Padri del S. Ufizio.

Il Denunziante A. che era un Prete pedante, nemico capitale del Crudeli, e ladro, come costa per fedi soscritte da persone degne di tutta la credenza, accusa l’inquisito nel suo primo esame di alcune proposizioni supposte71 dette in una Villa all’Improneta, ma che negate dal Carcerato, e da tutti i Testimoni Fiscali dati per contesti, e che sebbene fossero state provate non meritavano più che una semplice riprensione, così l’Inquisitore nella repetizione di sì degno Testimone, e Denunziante, n’aggiunse di sua invenzione alcune altre affatto ereticali, e degne di ogni più severo gastigo ponendole in bocca al medesimo, ma perche false ne mai proferite dal querelato furono smentite da tutti i Testimoni dati per informati di esse dal supposto accusatore, avendo però il P. Reverendissimo negli esami fatti al Crudeli contestato fra gli altri nuovi reati, de’ quali si pretendeva addizzionalmente accusato, nella repetizione di questo ideale querelante, che esso inquisito in cambio di andare alla Messa ne’ giorni festivi andava alla caccia del paretaio, al che rispose l’inquisito che questa circostanza convinceva apertamente della falsità del denunziante, la quale si poteva provare col mezzo inconstratabile di una negativa coartata, mentre due sole volte era stato all’Improneta, una volta 15. anni addietro nel mese di Maggio, l’altra otto anni sul finire d’Agosto, tempi ne’ quali non v’è chi non sappia, che la caccia del paretaio è affatto fuori di stagione; questa inaspettata risposta, che faceva conoscere al Padre Inquisitor di aver mal’ corredata la sua calunnia, mosse il medesimo per salvare alla meglio in questa parte la sua impostura a mutare nel detto estratto del Processo le parole “andava al paretaio” in quelle “andava a spasso” onde restasse tolto al querelato il modo così ovvio di provare calunniosa l’accusa, col far costare di non essere mai stato nella Villa del Pasqui all’Improneta in tempo di paretaio, non sapendo nemmeno il Crudeli il luogo ove era situato il mentovato Paretaio, come provò con fedi autentiche di più persone maggiori d’ogni eccezione trasmesse alla Sacra Congregazione.

Vedendosi adunque mutare con tanta franchezza, e a suo irreparabil danno i deposti a esso medesimo contestati, strepitò il Crudeli fortemente, e seppe tanto efficacemente stringere l’Inquisitore, che vergognandosi di comparire svelatamente ingiusto, e falsario, si trovò in necessità di dare la copia del costituto fatto dopo la repetizione de Testimoni tale quale era in Processo, come puole chiaramente riscontrarsi da quello, ove si vedeva essergli contestato come sopra, che andava al paretaio in vece d’andare alla Messa nei giorni Festivi, e non altrimenti che andava a spasso, come con somma malizia, s’era posto nel detto estratto del Processo.

Il Testimonio G., interrogato in che concetto avesse il Dottore Crudeli, rispose io lo tengo per un Angiolo; Il Testimone H. dice, che l’ha sempre conosciuto per ottimo Cattolico, e il Testimonio I. dice, che ha sempre scoperti nel Carcerato sentimenti di ottimo Cristiano, e che suppone che l’invidia e la calunnia abbiano mosse alcune persone a tentare ingiustamente la di lui rovina, e moltissimi altri che troppo lungo sarebbe il mentovare, depongono in forma a favore del Crudeli, che se come doveasi fossero state date fedelmente le copie de’ loro deposti, non solamente non si sarebbe preteso d’aver conclusa la prova della sua cattiva fama nel Processo informativo, che anzi rimarrebbe dal medesimo pienamente giustificato per essere egli riputato quasi da tutti i Testimoni esaminati un buonissimo Cattolico; giacchè a termini di ragione non può dirsi provata la cattiva fama, ove senza contradizione d’alcun Testimone, non venga rilevata da concordi deposti d’un gran numero di persone degne di fede, che adducano giuste cause della loro scienza, e assicurino esser pubblica la voce di ciò che depongono.

Qual fosse il carattere e il contegno de’ Ministri del S. Ufizio sopra tutt’ altro si ricava dalla spontanea retrattazione fatta dal querelante G., onde viene evidentemente provato, che da medesimi vennero praticate irregolarità, suggestioni, e falsità tali da fare orrore a chiunque ha nell’animo idea alcuna d’onestà e di giustizia, essendosi fino abusati del mezzo della Sacramental Confessione per cavarsi il capriccio di tesser calunnie al Crudeli, e a molte altre persone, le quali non sanno d’aver dato mai causa alcuna di meritarsi una così fiera, ed ingiusta persecuzione.

Il Querelante G. adunque, che aveva fatto il mostruoso sogno de’ Liberi Muratori, e che in seguito s’era andato a denunziare al S. Ufizio, e insieme aveva accusate, anzi gli erano state fatte accusare, settanta Persone in circa come Soci della fantastica adunanza sopposta tenuta in casa del Barone Stoch fu citato dal S. Tribunale per essere reperito alla richiesta, che n’aveva fatta il Crudeli. Andò, e agli interrogatori dati dal Difensore, e fattigli dal Padre Inquisitore fu negativo, contradittorio a ciò chè aveva detto, e a tutto quello che aveva fatto scrivere l’Inquisitore, e che esso non aveva mai pronunziato, onde non sapendo il detto Padre come nascondere più lungamente la stolidità, ben nota del Querelante, e la propria cattiva fede, tentò d’intimorirlo con dirgli, che se non avesse ratificato tutto quello che aveva deposto nel suo primo esame, e che gli era allora stato detto non sarebbe più uscito dalle stanze del S. Ufizio e se mai avesse potuto ottenere la libertà non averebbe sfuggita la morte, la quale gli sarebbe stata procurata o dal Dottore Crudeli, che gli fu dipinto per uomo feroce, o che non sarebbe escito assoluto dalle carceri, quando non avesse ratificato il suo primo deposto, da suoi Fratelli, che pure furono caratterizzati per uomini micidiali, e ripieni di spirito di vendetta, onde il debolissimo animo del..... Si lasciò vincere da questo falso timore e ratificò in tutte quelle parti, che piacque all’Inquisitore il suo primo esame, e in questa forma ottenne l’intento desiderato; ma non s’accorse, che quell’istesso timore, che aveva sparso nel cuore del..... poteva produrre effetti totalmente contrari al suo desiderio. In fatti il giorno dopo si portò alla casa del suo Cugino Marchese...... e gettandosegli a piedi principiò a gridare “son morto son dannato” e per quanto tentasse detto suo parente di persuaderlo ad alzarsi, e narrargli la causa di questa sua disperazione ripetè sempre le medesime parole, ne potè ottenerlo se non dopo lungo intervallo di tempo, ed allora alzatosi in piedi piangendo, e singhiozzando gli disse, che egli aveva commesso il più enorme delitto che si potesse commettere da uomo alcuno, e gli raccontò come aveva denunziati, e se, e molti altri al Tribunale del S. Ufizio, e in modo particolare il Crudeli, come uno dei componenti la società de’ Liberi Muratori benchè egli non fosse ascritto nella medesima, ed in oltre avea supposto, che in essa si parlasse di Religione e si sostenessero proposizioni ereticali individuategli dall’Inquisitore, e si facessero alcuni atti disonesti ed altre cose, che per brevità si tralasciano, e che si potranno vedere contestate al Crudeli nella sentenza lettagli, e riportata nel fine di quest’Istoria.

Qual restasse a simil’ racconto il Marchese..... è più facile immaginarselo che descriverlo; procurò di consolare, e incoraggiare il........ per quanto gli fu permesso, e per quanto comportavano le circostanze d’un affare di questa importanza, e con buone e dolci parole l’accompagnò alla di lui casa, ove lo lasciò con dirgli, che stesse pure di buon animo, che si pigliava esso la cura di terminare la cosa senza che glie ne avvenisse il minimo sinistro accidente, quindi esposto il seguito ad alcuni savi, ed onorati amici, a quali domandò il loro consiglio fu dopo matura reflessione risoluto di dire al....... che colla Sacramental Confessione s’accusasse di ciò che aveva fatto, e sentisse quello, che gli ordinasse il suo confessore. In fatti egli seguì il datogli consiglio, e scelse per far questa sua Confessione il Padre Niccolò da Scansano Religioso di S. Paolino e Lettore nell’Università di Pisa, il quale ascoltata la sua confessione l’obbligò a ritrattarsi di tutto ciò, che falsamente aveva asserito al Tribunale della S. Inquisizione. Non sfuggì d’adempiere a quest’atto di giustizia il ..... ma siccome era stato altra volta minacciato dall’Inquisitore, che se non avesse ratificato tutto quello che aveva deposto nella sua denunzia, non sarebbe uscito dalle stanze del S. Ufizio, così intimorito per tal’ ragione non volle ritornare al Tribunale, onde fu risoluto di fargli fare una disdetta in scritto, come in fatti egli fece. Non fu creduto a proposito di far cadere nelle mani de Ministri dell’Inquisizione questa disdetta per timore, che ò non fosse alterata in cose essenziali come erano stati alterati i deposti de Testimoni, ò non fusse posta in atti, e così tenuta celata al carcerato, e al difensore, perciò fu creduto di doverla consegnare à Monsignore Archinto Nunzio Pontificio in Toscana, come fu fatto il quale immediatamente la trasmesse a Roma alla Sacra Congregazione; in tanto si seguitavano gl’atti della difesa per il Crudeli con quella lentezza, che era creduta necessaria da Padri del S. Ufizio per tentare se fosse stato possibile, che fosse escito di vita prima di venirne alla fine, giacchè non furono solamente contenti di procurare di levare per sempre la reputazione, e la libertà all’infelice carcerato con usare contro il medesimo tutte l’indicate irregolarità, e i più fieri rigori d’una barbara prigionia, col tenerlo sempre racchiuso in un’angusta carcere, sebbene falsamente spacciassero d’estrarlo ogni sera per riguardo alle di lui indisposizioni. Con impedire col riparo apposto alla finestra della sua prigionia, che l’aria e la luce non potesse che per angusta via piombare in quella; coll’affliggerlo di tempo in tempo con artificiosi discorsi atti a gettarlo nella più profonda disperazione, contando sulla di lui inferma salute, tentarono di cagionargli una lenta, e vergognosa morte, perchè restando in vita, e scappando una volta dalle loro mani non avesse potuto far noto al suo Principe naturale a’ quali inaudite ingiustizie e crudeltà era stato obbligato soggiacere un suo fedel suddito, e per verità poco mancò, che non ne seguisse l’effetto poichè per i tanti lunghi strapazzi e travagli sofferti, s’aperse all’infelice uno de vasi del petto di tal’ importanza, che tanto fu il sangue, che fu per ciò obbligato a versare per bocca, che giudicarono i medici a proposito di farlo munire col Sacramento della Confessione, al che si oppose lo zelo del solito affettuoso Padre Vicario negandogli quest’ajuto spirituale col dire, che non poteva godere de Sacramenti colui, che si reputava un Membro reciso dal Corpo di S. Chiesa, fino a che fu convinto dal Padre Griselli Domenicano, eccellente lettore di Teologia, del contrario, e che fu eletto ad ascoltare le sue colpe, non avendo mancato il Padre Vicario, che tanto s’era mostrato pietoso, e interessato per il Crudeli di tentare con quest’ottimo religioso se poteva nuocere al moribondo su gl’ultimi momenti della sua vita, con pregarlo instantemente, e con addurre ridicole ragioni, ma senza profitto per negargli l’assoluzione come ad eretico dichiarato, quale egli lo diffamava, fondatosi sugl’ inventati deposti fatti scrivere al suo Cancelliere, ma non mai proferiti per verità da supposti querelanti, per impedire all’anima dell’inquisito gli spirituali aiuti, come erano stati tolti gli umani al di lui corpo.

In questo tanto deplorabile stato pregò il moribondo, che gli fosse levato dalla ferrata della prigione il riparo di legno, che tutt’ora vi era, perchè potendo rinnovarsi l’aria, e introdursi in maggior copia la luce, sentisse egli nelle sue estreme miserie un qualche sollievo, ma gli fu negato anche questo piccolo conforto; non cessando per anche il largo getto del sangue, benchè procurato di fermare da’ medici con due emissioni, e perdendo ogni speranza di poter’ sopravivere, si determinò di fare il suo Testamento, per rogarsi il quale gli fu accordato il Dottore Archi suo Difensore.

Quantunque i Padri del S. Ufizio in così estremo pericolo del carcerato non si degnassero di darne il minimo avviso al di lui fratello, benchè comodamente lo potessero fare, portandosi esso regolarmente due volte il giorno al loro Tribunale per sentire se occorreva cosa veruna, ebbe per altra strada la notizia della gravissima malattia sopraggiunta all’inquisito, e fatta istanza all’Inquisitore di poterlo visitare, gli fu pure negata costantemente la richiesta grazia, con dirgli che suo fratello stava bene, ne per quante preghiere sapesse mettere in opera potè ottenere d’essere ammesso a vedere il suo disgraziato fratello prima che morisse. Irritato perciò da si aspre repulse prese il partito di ricorrere a Monsignore Nunzio Archinto, al quale esposta la pericolosa malattia di suo fratello ottenne tosto la permissione negata dal Padre Inquisitore e un domestico del Prelato ebbe la commissione di portare questo suo ordine al S. Ufizio, e nell’istesso tempo d’informarsi dello stato dell’Inquisito. Aspettò l’Inquisitore al giorno di mercoledì a portarsi a ragguagliare Monsignor Nunzio della malattia del Crudeli, che l’aveva assalito il martedì mattina, e ciò fece, perchè non potesse per essere passata la Posta se non nell’altro ordinario scrivere a Roma. Gli espose adunque l’accidente sopraggiunto al carcerato, e si studiò di fargli comprendere, che non era successo per sua colpa, cercando di sminuire la malattìa per quanto fosse possibile; ma il servo di Monsignore al S. Ufizio, che l’aveva veduto in stato molto pericoloso, gli fece un più fedele rapporto del rischio che correva di perdere la vita, molto più se si fosse continovato a tenerlo nella piccola prigione ove era, onde mosso a pietà il Prelato mandò ordine per mezzo del Padre Griselli all’Inquisitore, che gli fosse mutata la prigione in una stanza buona, e ariosa, e che gli si usassero tutti quei riguardi e quei rimedi che da medici, e da suo fratello fussero stimati opportuni. Eseguì il Padre Griselli la ricevuta commissione ma trovò la solita repugnanza nell’Inquisitore il quale negò assolutamente di voler mutare di carcere il moribondo, adducendo per ragione, che non aveva Monsignor Nunzio alcun diritto di mescolarsi negl’affari del suo Tribunale, che dependeva immediatamente dalla Sacra Congregazione, nè conosceva altri superiori che il Papa, e per che questa risposta giungesse sicuramente agl’orecchi del Nunzio, incaricò il Padre Vicario di portarsi subito dal medesimo, dandogli un’esatta istruzione di ciò che doveva dirgli, ingiungendogli di procurare per qualsisia modo di persuaderlo à revocare l’ordine dato di mutare la carcere all’Inquisito.

Si portò in conseguenza di questo comando il Padre Vicario dal detto Monsignore, cui fece molte rimostranze su tal proposito, alle quali in brevi, ma significanti parole rispose il Prelato, che senz’altra replica eseguisse i suoi ordini, e che egli s’incaricava di tutto ciò che fosse potuto succedere per la parte di Roma, onde l’Inquisitore dà replicati comandi si trovò forzato ad usar quegl’ Uficij, che anche fra le nazioni più barbare non si negano agli uomini, che si trovano in stato così deplorabile, quale era quello del carcerato.

Avendo ricevuto in breve non piccolo sollievo il Crudeli dalla mutazione della carcere, ed essendo cessato il prossimo pericolo di morte, riprese a stimolare il suo Difensore acciò prontamente conducesse a fine la sua difesa, colla quale era sicuro, che sarebbe comparso agl’ occhi di tutto il mondo innocente, quale sapeva di essere. Intanto il Dottor Archi faceva tutte quelle diligenze, di cui è capace un vecchio d’ottantaquattro anni per adempiere al desiderio del carcerato, ma siccome i Padri del S. Ufizio non desistevano per alcun modo di frapporre difficoltà, intorbidando sempre le cose, differendo a comunicare alcuni recapiti, e mutando sempre e alterando nelle copie, che davano i deposti de Testimoni, e del querelato, col negare di poter collazionarli, e di riscontrare in fonte il Processo in ben molti luoghi diverso dal dato estratto di esso, così malamente poteva un vecchio dell’indicata età, e che come Cancelliere del Magistrato de Conservatori di Legge, e pubblico Avvocato Criminale avea molt’altre incombenze, contrastare con detti Ministri congiurati tutti contro il Crudeli, dimodochè s’accorse l’inquisito essere il suo meglio l’appligliarsi al partito di non ostinare a pretendere ulteriori atti di giustizia accomodati alla sua difesa, che secondo le buone regole, e secondo le regole del Santo Tribunale non potevano essergli controversi, pregò il suo difensore a distendere prontamente un breve abbozzo di difesa nel miglior modo che dalla strettezza del tempo, dagl’incomodi della sua età, dalle sue occupazioni, e dall’altrui ingegnosi raggiri gli venisse permesso, sicuro, che presentato per quanto mai fosse imperfetto alla Suprema Congregazione, sarebbe sempre servito a persuaderla dell’altrui calunnie e della propria innocenza, emanato tosto l’ordine di porlo in libertà.

Fece il Dottore Archi la richiesta limitata semplicissima difesa, e quella presentò al Tribunale unita ad alcune fedi autentiche, le quali convincendo d’incontrastabile falsità alcuni de’ denunzianti, risultava sempre più chiara l’innocenza del querelato; ma per ovviare all’effetto suddetto, e contrario affatto al fine dell’Inquisitore di volere a qualunque costo far passare per reo il Crudeli, stimò a proposito di non trasmettere le dette carte alla Sacra Congregazione, e non mandare la presentata difesa scritta di mano dell’estensore, ma copiata da alcuno de Ministri del Tribunale per potere intanto ripurgarla e ridurla in modo che non sconcertasse le già concepite idee, e così poi emendata trasmetterla a Roma, conforme fece senza altrimenti incomodare il carcerato in fargliela vedere, e approvare come è di sole, e coerente alle regole di giustizia, essendosi in tal forma per soverchio zelo acquistato il merito d’aver fatto in questa causa le parti d’Inquisitore, di Querelante, di Attuario, e fino di Difensore.

Tutte insieme però le riferite cautele non furono bastanti a persuadere i Ministri, che non ostante le medesime non fosse per rilevarsi il Crudeli, e per iscoprirsi l’insussistenza delle cose pretese contro di lui, e di ciò vivendo agitati, ed inquieti, pensarono a un nuovo strattagemma, onde opporsi a ciò che temevano, e quello concertato mandarono tosto in esecuzione nella maniera che segue.

Il Padre Vicario, che erasi sempre impegnato d’assistere il reo per non mancare alle sue promesse coll’abbandonarlo sull’ultimo, presentatosi a Monsignor Nunzio gli disse, che non poteva in vero negarsi, non essersi potuti concludentemente provare in processo i delitti de’ quali era stato accusato il Dottor Crudeli, ma per altro, come era piaciuto a S. Divina Maestà, ve ne era presentemente una sì forte riprova, da non averne più alcun dubbio, poichè l’inquisito tocco dalla mano d’Iddio, che non permette che alcuna cosa rimanga occulta, li aveva tutti confidati al suo Difensore, il quale poi per sgravio di sua coscienza ne avea fatta a lui la confidenza, della quale glie ne avanzava la notizia perchè gli servisse di regola, senza però propalarla o darne il minimo avviso a veruno.

Rimase a tal racconto Monsignor Nunzio dubbio e sorpreso, ma siccome era molto amante della giustizia, regolato da una prudente avvedutezza, sospesa ogni credenza, vedde subito, che poteva venire in chiaro di questo fatto coll’interrogare l’Archi citato dal Padre Vicario per autore di esso; lo fece perciò chiamare, e ricercatolo del sopraesposto fatto gli rispose il medesimo con quel trasporto di collera, che ogni uomo d’onore averebbe risentito in tal caso, essere il tutto inventato, calunnioso, falso, falsissimo, e che non solamente non gli aveva mai confidato il Crudeli d’essere reo d’alcuno de’ delitti pretesi da lui commessi, ma che anzi l’aveva sempre assicurato del contrario, e che egli conosceva chiaramente dalla lettura dell’estratto del Processo la di lui innocenza, e le calunnie orditegli contro, aggiungendo72 molte risentite invettive contro il Padre Vicario, che s’era così malamente servito del suo nome per spacciare per verità sì nera calunnia.

Ne di minor considerazione, è degno ciò che immediatamente successe, ed è che dubitando i Padri del Santo Ufizio, che il tenere più lungo tempo in mano del Difensore dell’inquisito l’estratto del Processo potesse viepiù scoprire l’alterazioni che erano state fatte in esso, ordinarono al Cancelliere di portarsi a richiedergli tutte le carte ricevute dal Tribunale, ma avendo risposto l’Archi, che non poteva consegnarle, perchè erano passate nelle mani di Monsignor Nunzio, che l’aveva volute vedere, il detto Cancelliere pieno di mal talento rispose ad alta voce al Dottore Archi, che aveva franto il sigillo, e che s’era il Nunzio avanzato a mescolarsi in ciò che non doveva; alterandosi a segno di pronunziare solenni impertinenze contro il degno Prelato, e col minacciare altamente il Difensore caricandolo di tali ingiurie, che ricordevole quell’onestissimo vecchio dell’altro riferito affronto fattogli dal Padre Vicario, non potè astenersi dal dare quelle più risentite risposte al detto Cancelliere, che meritava la di lui imprudenza. Tornò questo al Tribunale dell’Inquisizione, ed espose a’ sui Colleghi il seguito, a’ quali parve, che i temerari avanzamenti del loro Cancelliere saputi che si fossero, potessero produrre delle conseguenze poco favorevoli a’ loro interessi, perciò l’obbligarono a ritornare dall’Archi, a domandargli perdono, ed a pregarlo di non rilevare a Monsignor Nunzio ciò che era fra loro avvenuto.

Eseguì il Cancelliere quanto gli era stato comandato, ma irritato giustamente il Dottore Archi da sì fatto disonesto modo di procedere replicò costantemente, che avrebbe fatto quello che avesse creduto più a proposito, e che l’arbitrio delle cose sue, non dipendeva da altri, che da Dio, e da S.A.R., a cui aveva l’onore di servire. Ciò sentito, soggiunse arrogantemente l’intrepido Frate; VS. potrà dire tutto quello che gli piacerà a Monsignor Nunzio, che io lo negherò sempre costantissimamente, pronto a giurare sull’Ostia Consacrata essere falso tutto ciò che rappresenterà aver io proferito, quando ella sia determinata di rilevarlo.

Pervenuta in tanto la difesa del Dottor Crudeli, e quello che più importava la disdetta del querelante in mano de’ suoi Giudici in Roma, non mancò di fare il preveduto effetto, mentre l’Inquisitore ricevè ordine positivo dalla Sacra Congregazione di rendere al Governo laico senza alcuna minima dilazione il carcerato secondo la di lui domanda, onde l’Inquisitore, considerando che l’innocente vittima, che con tante ingegnose premure aveva tentato di sacrificare al suo interesse, ed alla sua rabbia, era già vicina ad essergli strappata dalle mani, per sfogarsi se non quanto voleva, almeno quanto poteva contro il misero carcerato, usò verso il medesimo le maggiori stranezze che seppe immaginarsi. Proibì in conseguenza di questa sua buona volontà al di lui fratello, il quale a tenor dell’ordine di Monsignor Nunzio poteva vederlo ogni volta che gli piaceva, l’accesso alla prigione del carcerato, impedì che potesse come prima essere visitato dal Medico, gli fece chiudere tutti gli usci, alcuni de’ quali per il pericolo di vita in cui era per ordine del Nunzio erano aperti, gli accrebbe le guardie, e non solo non gli dette il minimo avviso della prossima sua libertà, ma con parole equivoche, e colla nuova esatta diligenza, colla quale lo faceva guardare, si sforzò di fargli credere, che fosse molto lontana la speranza della sua liberazione, forse per tentare col caricarlo di mille sospetti aggiunti all’angustia della carcere, e quella della sua grave malattia, di condurlo ad abbandonarsi all’ultima disperazione, o a restare sorpreso da qualche funesto accidente, avendolo in questo stato tenuto fino alli estremi momenti della sua scarcerazione, mentre un solo quarto d’ora prima del concertato col Regio Ministro per la di lui consegna al suo Principe naturale, l’avvisò di mettersi all’ordine per uscire dalle carceri.

Con indicibile dispiacere de’ Padri del S. Ufizio fu consegnato il Dottore Crudeli ad un basso Ufiziale di S.A.R., e fu da esso e dal suo amico Padre Vicario accompagnato nella Fortezza di S. Gio. Batista, dove credendo d’essere finalmente al coperto dalle persecuzioni, e da’ maneggi, de’ quali s’erano tanto serviti contro di lui i Ministri dell’Inquisizione, s’accorse in breve d’essersi ingannato, vedendosi comparire dopo tre giorni in Fortezza a continovare ivi pure le sue visite il solito Padre Vicario, il quale gl’impose che non ardisse di sentire la Messa, e di esercitare alcun’ atto pubblico di pietà Cristiana, e con tal’ proibizione venne a indicargli non solo che era tuttavia nelle mani del S. Ufizio, ma che era per anche da’ Padri del detto Tribunale tenuto, e trattato per quell’eretico, che con tanto studio e ingegno s’erano sforzati di fare comparire al Mondo tutto.

A tal comando rispose umilmente il Crudeli, che averebbe obbedito a’ suoi ordini, ma siccome si trovava allora nelle mani del Principe, dal quale non temeva alcuna oppressione, ma era sicuro d’ottenere una pronta e piena giustizia, si fece lecito replicare, che intendeva bene, che quanto si faceva allora per parte del S. Ufizio non era per altro che per continuare a farlo credere reo, il che però mal si poteva conciliare con quello, che tante e tante volte gli aveva detto nell’occasione delle visite fattegli nella sua prigione, cioè, che compativa all’estremo la sua disgrazia, alla quale poteva ogn’altro, ed egli stesso essere sottoposto, benchè Vicario del S. Ufizio, e che era già persuaso della sua innocenza, e pregato il detto Padre Vicario a dire se ciò era vero, vergognandosi di negare una cosa da esso tante volte detta, e pur troppo era vera, non ebbe il coraggio di farlo, ed alla presenza di tre Ufiziali, ratificò tutto quello che dal Dottore Crudeli gli era stato contestato, scusandosi con dire, che quel tanto, che gli ordinava non doveva ascriversi ad alcuna sua colpa, ma allo stile che tiene il S. Ufizio contro quei rei sopra la causa de’ quali non sia per anche stata deciso dalla Sacra Congregazione.

Intanto pervenne a notizia del ..... la seguita scarcerazione del Crudeli, e la sua dimora nella Fortezza di S. Gio. Batista, e ricordevole delle minacce fattegli dal Padre Inquisitore nella repetizione del suo esame, allorchè gli disse, che se il Crudeli fosse escito dalle carceri del S. Ufizio, gli averebbe tolto la vita per avergli cagionata prigionia, spese e infamia, fece istanza al Consiglio di Reggenza, che obbligasse il detto Crudeli, e i di lui fratelli a dargli mallevadore de bene vivendo, a la qual domanda fu acconsentito, e in conseguenza data commissione all’Assessore Santucci del Tribunale degli Otto, che condotti seco gli opportuni Ministri si portasse alla Fortezza per consumare quest’atto, come in fatti eseguì, e che registrato nelle filze di quella Cancelleria può vedersi da chiunque abbia piacere di sodisfare a tal desiderio. Ma non contento d’aver pensato d’assicurarsi la vita, che per altro non era nel minimo pericolo, procurò altresì a cautelarsi per altra via nell’interesse, e siccome poteva il Crudeli a norma delle leggi di Toscana domandare indennizazione di tutti i danni, spese e infamia cagionate dalla falsa accusa del..... così pensò d’esigere da detto Crudeli una quietanza generale, che fu obbligato fare in amplissima forma, rogata per mano di pubblico Notaro a favore del di lui accusatore, onde gli fu ancora preclusa la strada d’usare un atto di generosità verso il..... al quale avrebbe ultroneamente ben volentieri condonato tutto ciò che poteva riguardare le cospicue spese cagionategli dalla di lui falsa denunzia; giacchè non poteva esigere da esso indennizazione alla salute del corpo omai affatto perduta per la lunga e cruda carcerazione sofferta; e che gli toglieva ogni speranza di poter lungo tempo sopravvivere.

Passati alcuni giorni dalla scarcerazione del Crudeli, e dal suo passaggio nel Castel di S. Gio. Batista, fu avvisato che doveva portarsi alla Chiesa di S. Pietro Scheraggio, dove la sera del dì 20. Agosto 1740, fu accompagnato in Carrozza dal Sig. di S. Leger Capitano d’una delle Compagnie delle Guardie a piedi di S.A.R., e smontato fu introdotto dentro detta Chiesa, di cui venne subito chiusa la porta essendo restato eduso il nominato Capitano.

Fu condotto il Crudeli in Coro ove trovò il Padre Inquisitore, che sedeva vicino a una tavola, sopra la quale à mano sinistra stava Gesù Crocifisso in mezzo ad alcune candele accese, dirimpetto all’Inquisitore, ma alquanto lontano, un Messale aperto, e dalla mano diritta dell’Inquisitore, stavano prima il Canonico del Riccio Vicario dell’Arcivescovado, ed in alcune sedie più basse il Senatore Quaratesi, il Cavaliere Avvocato Neroni, e l’Auditore Urbani. Fu fatto fermare il Crudeli in piedi dirimpetto al Padre Inquisitore che gli disse, che gli si sarebbe letta la sentenza, che però vi prestasse la sua attenzione; allora il Padre Cancelliere, che stava alla sinistra del Crudeli, che pure era in piedi, cominciò ad alta voce a leggere un foglio concepito in questi termini.

“Tu Tommaso Crudeli ti sei reso reo al S. Tribunale dell’Inquisizione di molti gravissimi delitti resultanti da gran numero di Testimoni respettivamente contesti”, quì interruppe il Crudeli con aria serena, questi Testimoni che quì si chiamano contesti, non sono altrimenti tali, ma ognuno di loro è unico, e questo si è già provato calunnoso; Il Padre Inquisitore rispose, e per questo vi si è posta quella parola respettivamente, indi riprese il Cancelliere; “primo tu fosti denunziato d’aver detto 17. anni or sono, che la Teologia scolastica è chimerica e vana”, e quì lesse il Cancelliere tutte quelle lievi denunzie fatte dal Prete, dopo seguitò la sua lettura, “tu fosti denunziato d’aver letto Lucrezio tradotto dal Marchetti, la vita di Sisto quinto, e quella di Fra Paolo Servita; tu fosti denunziato d’aver detto nell’occasione, che uno domandò a un Libraio un esemplare del Cuor di Gesù, che aveva a chiedere piuttosto il calcagno; tu fosti denunziato d’aver detto in occasione che una donna era andata all’Improneta, un convicio contro la Madonna medesima; tu fosti denunziato d’aver detto questa precisa parola “ostensio” in occasione che sonò l’Ave Maria della sera, essendo tu in una Bottega di Caffè; tu finalmente fosti denunziato d’aver frequentata un’adunanza dove si parla di Filosofia e di Teologia, e dove s’osservano varj empi riti, e s’insegnano molte eresie.73

Esaminato tu fosti sulla prima denunzia, e benchè più volte ammonito a dire, e confessare la verità, tu persistesti negativo, e confessasti però d’essere stato in villa del ....... all’Improneta.

“Esaminato sulla denunzia de libri proibiti, rispondesti d’avergli letti e ritenuti, ma che non sapevi che fossero proibiti”, quì il Crudeli interruppe e disse, si tratta di libri tenuti 17 anni sono, ed allora non ero dell’età che sono adesso, dissi ancora, che Lucrezio non era intero, anzi, che ce ne mancava moltissimo, e detti alcune altre risposte come ella sà benissimo.

 “Esaminato sulla denunzia del calcagno di Gesù, rispondesti di non ti ricordare di tal cosa, per essere parole supposte dette sette anni fà; chiedesti tempo a pensarvi, e rispondesti non aver memoria d’aver mai detto tal cosa, benchè più volte monito à confessar la verità.

Esaminato sopra il convicio detto contro la Madonna dell’Improneta, negasti pertinacemente, benchè più volte monito, e rispondesti di non aver mai detta tal cosa”; quì il Crudeli disse, questo denunziante però confessa nel suo costituto d’essere mio nemico: io senza saper nulla di ciò lo posi nel mio esame fra i miei amici, e n’addussi la causa, ed è smentito da un altro Testimone esaminato e monito, e citato per contesto dal denunziante, onde non vedo che fede possa darsi a questo querelante.

“Esaminato sulla denunzia dell’ostensio, detta nel Caffè nel sonare l’Ave Maria, rispondesti, che non ti ricordavi d’aver ciò detto, ma se a caso tu l’avessi detto sarà stato per alludere a quelli che fanno vista di dire l’Ave Maria, e bevono il caffè.

Esaminato più volte sulla denunzia dell’adunanza, de riti, e della scuola ove s’insegnano dette eresie, rispondesti pertinacemente, che mai sei stato in tal’ assemblea, nè frequentatala, e benchè monito benignamente a dire la verità, tu fosti sempre ostinato a negarlo”; non potè far di meno il Crudeli di rispondere ridendo: negando questo feci quello, che deve fare un amico della verità e della Chiesa; ognun’ sà la mia innocenza su questa strana denunzia, e Vostra Paternità Reverendissima lo sa così bene come ogni altro, e resto attonito in sentirmi rinfacciare a quest’ora i sogni d’un tal denunziante; si ricordi Padre Inquisitore, che io risposi ancora, che assolutamente non credevo che tal’ adunanza ci fosse mai stata; l’Inquisitore rispose si si74 questo poco importa e ancora soggiunse il Crudeli, che il denunziante non poteva essere se non un maligno ma insieme stolido al sommo, il quale poi nel tempo, che sono stato nella Fortezza me lo sono veduto cadere a piedi, e ne suoi lucidi intervalli implorare il mio perdono, e condonazione di spese di danni alla mia reputazione, e alla salute del corpo, ed è uno, come pur troppo ella sà, conosciuto per pazzo notorio, e come una tal denunzia lo dichiara. Il Padre Inquisitore replicò doveva venire al Tribunale a fare questa parte, ed allora ciò non averebbe nociuto a lei: sono dunque stato tradito, disse il Crudeli, perchè mi giurò essersi ritrattato del tutto al supremo Tribunale, e per tal’ cagione il tutto gli condonai.

La disdetta fatta da ..... fu mandata a Roma alla Sacra Congregazione per mezzo di Monsignor Nunzio, e l’Inquisitore dissimulò di saperlo per poter leggere la denunzia di detto.... alla presenza de’ quattro illustri Personaggi, e così rendere orribile, e eretico il Crudeli contro la volontà medesima della Sacra Congregazione.

Riprese il Cancelliere. “In una visita che l’Inquisitore fece alla tua carcere ti fu trovata una fune a nodi, un coltello spuntato, e senza manica, inchiostro rappreso, ed una cordicella di seta con certa polvere da schioppo in una fiaschetta: tu riconoscesti tutte queste cose, e confessasti d’avere per via di detta cordicella mandati e ricevuti biglietti da un tuo corrispondente, e finalmente ricevuta detta fune, ed il resto: ma esaminato rispondesti, che non volevi fuggire, e monito persistesti nella negativa”; Il Crudeli rispose interrompendo, de biglietti tirati su con detta cordicella da V.P. in vece mia, è pur convinto il Tribunale, che io non volevo fuggire.

Seguitò il Cancelliere; ma da te le difese: dopo un anno interruppe il Crudeli, domandato se volevi la repetizione de Testimoni, tu col consiglio dell’Avvocato la volesti, ed in detta repetizione fosti aggravato di questi delitti anzi aggravatissimo riprese il Crudeli, ma non da’ Testimoni, bensì dal calamaio e dalla penna del Padre Inquisitore “che l’anima ragionevole non è immortale; che siamo come le bestie; che il Battesimo lava i pidocchi a Bambini”. Quì con aria alquanto fiera interruppe il Crudeli: resto attonito che mi si nomini sì esecranda repetizione; questa però è quella che m’ha salvato, e che ha scoperta la falsità totale de miei sciocchi calunniatori; Era chiara e nota prima della mia difesa, e dopo è divenuta chiarissima e coartata. L’Inquisitore nulla soggiunse, ed il Cancelliere tirò avanti così.

“Avendo la S. Congregazione maturamente considerato la gravità de tuoi delitti, ed il peso delle denunzie, e indizi che risultano contro di te, pronunzia e condanna te Tommaso Crudeli a stare nella tua casa di Poppi, e quella vuole che ti sia in vece di carcere, ad arbitrio della Sacra Congregazione, da accrescerti e scemarti la pena, e questo in riguardo alle tue malattie, obbligandoti a dar mallevadore di mille scudi per l’osservanza di detta pena da applicarsi in caso che fuggissi a’ luoghi pij.”

Quì finì la lettura del Cancelliere, ed il Padre Inquisitore domandò al Crudeli quando egli avrebbe dato il mallevadore? Egli rispose, io non sono un miserabile, ho delle terre, e delle case, sono libero, mio padre infelice morì di dolore per l’ingiusta persecuzione, che mi veniva fatta, onde non vedo la necessità di tal mallevadore. Il Canonico del Riccio Vicario dell’Arcivescovado domandò allora, se questo era nella lettera della Sacra Congregazione; L’Inquisitore dopo un poca di pausa rispose di sì.

Si è poi saputo, che la Sacra Congregazione non scrisse che una pura lettera contenente la piccola pena da darsi al Crudeli, e che tutto il restante di questa sentenza fu disteso artificialmente dall’Inquisitore, sopprimendo, e la ritrattazione del ...... e tutto il rimanente della difesa dell’imputato.

Dopo questo il Padre Inquisitore principiò un discorso, o esortazione in tal maniera = Signor Crudeli tali e tanti sono i fondamenti che la Sacra Congregazione ha di crederla un empio, che senza le sue gravi malattie gli avrebbe fatto subire l’esame rigoroso75, e ....... il Crudeli interruppe: i miei Giudici hanno dunque un’ grand’obbligo alle mie malattie, poichè sono state il motivo, che un innocente non è stato tormentato di più, e gran rammarico avrebbe avuto la Sacra Congregazione in avermi fatto subire l’esame rigoroso sul solo fondamento d’un denunziante unico, e quello pazzo notorio, il quale m’ha domandato misericordia, ed assoluzione per avermi cagionato, prigionia, infamia, spese, e malattia incurabile; dico unico denunziante, perchè quella repetizione, Padre Reverendissimo ella sa quanto sia falsa. Quì l’Inquisitore abbassò gl’occhi, impallidì, ed il Crudeli, e gl’altri aspettarono in vano il resto della riprensione, che aveva principiato con tanto fuoco, e dopo lungo silenzio riprese = Veda dunque e consideri la clemenza della Sacra Congregazione, e se ella avesse dette, o fatte alcune di quelle cose negate da lei ne’ suoi esami, sappia che il confessarle adesso non gli accrescerebbe la pena anzi glie la diminuirebbe, e VS. potrebbe salvare l’anima sua; Il Crudeli replicò = la pena, che porta questa sentenza non è da spaventare, e quando fosse più grande, punto mi spaventerebbe; quello che veramente mi duole si è il pensare, che tanti Prelati, e Cardinali, che compongono la Sacra Congregazione abbiano potuto dubitare un momento della mia Religione, e della obbedienza alla Chiesa, benchè la pena economica, che mi danno mi consola non poco, e mi fa vedere, che i miei calunniatori non sono stati creduti; che la retrattazione del ..... e la mia difesa hanno fatto quell’effetto, che si doveva sperare nell’animo di quei Dotti, e degni Porporati miei giustissimi Giudici.

Il Padre Inquisitore nulla rispose a questo, e soggiunse; VS. dirà ancora i Sette Salmi Penitenziali per un anno una volta al mese: questa è una Penitenza che vi aggiungo io, ed è tutta mia; il Crudeli nulla rispose, e l’Inquisitore gli presentò l’Evangelo di S. Giovanni, e disse, VS. giuri d’osservare la sentenza, il Crudeli pose la mano destra su l’Evangelo, e fu licenziato.

In esecuzione della sopraddetta sentenza andò il Dottore Crudeli a Poppi sua patria, dove è stabilito un Convento di Minori Conventuali, presso i quali era come si è detto il S. Ufizio in Firenze, e dove risedea un Vicario foraneo di detto Tribunale, quale non mancava di tempo in tempo di fargli come tale frequenti visite, dicendogli che benchè fosse stato restituito al suo Principe naturale, sempre però restava nelle mani della Potestà Ecclesiastica, e vi sarebbe restato fin’ a che non avesse ottenuta da quella la sua plenaria assoluzione.

Frattanto la rottura del vaso del polmone, che aveva sofferta nella carcere dell’Inquisizione, e che mai s’era totalmente risaldata gli dava gran molestia, e di quando in quando gli produceva getti di sangue per bocca molto pericolosi, sicchè temendo, che questi nel prossimo inverno potessero aumentarsi in un aria così fredda, quale è quella del Casentino, chiese ed ottenne dalla Sacra Congregazione la permissione di poter trasportarsi a Pontadera paese vicino a Pisa, ed in aria dolce, e molto confacente alla sua malattia. Provò qualche sorte di miglioramento, ma non ostante si riapriva di quando in quando il vaso già rotto del polmone, d’onde versava molto sangue. Terminato l’inverno tornò a Poppi, dove aggravandosi la sua malattia soffriva sempre più frequenti, e abbondanti getti di sangue, e finalmente sperimentati avendo tutti i più efficaci rimedi di cui è capace l’Arte Medica, divenne tisico, per la qual malattia dopo non molto tempo terminò di vivere.

 

 

FINE.




67 La Relazione è opera in realtà del Crudeli stesso e di Luca Antonio Corsi, suo amico e confratello. Ė merito del Becattini averla voluta pubblicare per la prima volta, seppur anonima, in questa sua opera; tuttavia bisogna ascrivere a suo demerito, l’aver voluto effettuare, rispetto ai manoscritti originari, tagli e censure.

Cfr. L.Corsi-T.Crudeli, Il calamaio del padre inquisitore. Istoria della Carcerazione del Dottor Tommaso Crudeli di Poppi e della Processura formata contro di lui nel Tribunale del S. Offizio di Firenze, a cura di R. Rabboni, Udine, Del Bianco, 2003. (N.d.R)



68 Si trattava di Bernardino Pupiliani e del nobile Andrea D’Orazio Minerbetti che ritrattarono le confessioni loro estorte rispettivamente il 4 e l’11 Luglio 1740. L’Inquisitore di Firenze dell’epoca era il Padre Paolo Antonio Ambrogi, che tenne tale carica dal 1727 al 1741 (N.d.R.)



69 Mancante nel testo. (N.d.R.)



70 Nel testo al posto della “,“ è stato usato “?”.(N.d.R.)



71 Sottinteso o omesso “eretiche”. (N.d.R.)



72 Nel testo “aggungendo”. (N.d.R.)



73 Le formule, gli atti, i giuramenti, e l’eresie delle quali veniva accusato, e che si asseriva praticarsi nell’essere accettato in detta adunanza, non si riportano per essere molto indecenti, troppo lontane dal vero, e per fino repugnanti l’umanità.



74 Ripetuto nel testo. (N.d.R.)



75 Eufemismo per “ tortura”. (N.d.R.)






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