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Carlo Tenca
La cà dei cani

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VI.

 

Ahi! istolti e semplici, quanto

siete vani, che avete speranza nelle

cose terrene! Aviate speranza in Dio,

di cui sono tutte le cose; ed egli le

fa, ed egli le può tutte disfare: egli

le ci , egli le ci può tôrre; e però

voi non curate di queste cose...

Leggenda di Tobia pubblicata dal Vannacci.

 

Ora è d'uopo che dicifriamo ai lettori, se mai ad alcuno resse la pazienza di seguirci fin qui, codesto segreto sulla scomparsa del cane, proprio nel punto in cui era maggior necessità di lui. Già le cose sono sempre andate d'una guisa a questo mondo, e quando uno ci diventa necessario, possiamo far ragione di non trovarlo più. Così avvenne del cane, e così avviene ed avverrà sempre di tutti gli uomini. Ma la cagione di ciò? In verità ci duole di doverla schiccherare qui sui due piedi ai lettori, e confessiamo che ci sarebbe goduto l'animo di poterla tacere sino al fluire del libro tanto per tener altrui in curiosità e per dare una misteriosa importanza al nostro racconto. Ma poichè ci siamo imposti di seguitare passo passo il cronista, fa d'uopo che rinunciamo a codesto piacere, perchè a que' tempi d'ignoranza non conoscevasi neppur di nome l'arte di tirar per le lunghe un racconto, d'intricarlo con mille accidenti, e di farlo oscuro come una sciarada; il novellatore camminava dritto al termine senza pur volgere il capo per vedere chi gli teneva dietro. E così faremo noi. Solo preghiamo que' tali che si fossero addati del fatto già da buona pezza addietro, di non darsene per intesi e di far le maraviglie per lo scioglimento impensato, e ciò per la nostra dignità di romanziere storico.

L'armajuolo adunque, al quale era d'un tratto rinata la vita per la prodigiosa guarigione del cane, gongolava tutto dalla gioja e non vedeva l'ora che giungesse quel benedetto della mostra per recarvisi insieme colla bestia e farla tenere in barba a quel tristaccio di Scannapecore. Anzi, aveva già pensato a certa beffa da dire sul viso a quello scomunicato, quando avesse dovuto noverargli i quattrini, e parevagli con essa di cavarne vendetta a misura di carbone. Ma il valent'uomo aveva fatto i suoi conti senza l'oste, e la beffa era tornata a suo danno, e peggio. Nel mattino del giorno aspettato egli era sorto per tempo, e salutata con un bacio la moglie e stretto il fanciullino al seno, era uscito solo alla volta del Carobbio, perchè, sebbene confidasse assai in Martino, era troppo grande l'ansietà dell'animo suo per lasciare che andasse il garzone. Per via il cuore battevagli fortemente, e sebbene avesse cagione di star allegro, un segreto sgomento lo tormentava suo malgrado. Finalmente giunse davanti all'abitazione della vecchia Marta, la quale era posta a sinistra sul primo sboccar del Carobbio. Entra nella porticina bassa e scura, sale una scaletta coi gradini di legno, picchia all'uscio, ma nessuno risponde. Ripicchia più forte e a molte riprese, sempre lo stesso silenzio. Che è, che non è? Al povero Stefano cominciarono a tremare le ginocchia, talchè fu costretto ad appoggiarsi all'assito della loggia. Ripreso fiato, si fa di bel nuovo a battere, poi chiama sommesso per nome, alza la voce, grida, strepita, ma invano. Figuratevi che cuore fosse il suo nel vedersi tolto così sul più bello ogni via di scampo, e senza una ragione, senza poterne saper nulla. Stanco finalmente e disperato scende abbasso e chiede ad un'erbajuola che stava a due passi lontano, se abbia veduto la vecchia Marta. Quell'erbajuola che stava annacquando tre grame radici e le metteva pomposamente in mostra siccome fior di verzura, sollevò alquanto il capo per vedere chi le volgeva una tal domanda, e sbirciato così all'infretta l'armajuolo, rispose asciutto:

- Non ne so nulla, io. Se volete un pizzico di lattuche, ma delle ghiotte, ne ho una manata che è degna della tavola d'un principe.

- Grazie, buona femmina: il mio stomaco ha appiccato lite colle ghiottonerie, siccome il mio borsellino coi terzuoli. Non è ciò ch'io desidero. Ora mi punge di sapere che cosa sia divenuta la vecchia Marta, e perchè non trovasi in casa.

L'erbajuola questa volta fissò i suoi occhi sulla faccia di Stefano e ve li tenne alquanto come per istudiare di che pelo fosse colui che le parlava in tal modo. Ma l'armajuolo soggiungeva con tuono ancora più umile e supplichevole:

- Deh! se sapete qualche cosa, fatemi la carità di dirlo, che il cielo ve ne rimeriterà. Si tratta della vita d'una povera famiglia.

- Sentite il mio uomo, rispose alquanto rassicurata l'erbajuola. Voi non m'avete cera di essere uno degli amici della strega, sicchè posso parlarvi col cuore in mano. Già è un pezzo che ho questo ruggine nell'animo, e ho proprio bisogno di sfogarmi. Voi volete sapere che cosa sia divenuta? E chi mai può dirlo, se non lo stesso Belzebù che viene a visitarla tutte le notti. La notte passata, per esempio, fu un baccano, un subbisso d'inferno: duo o tre de' suoi diavoli, o stregoni, sono andati da lei, e li ho visti io con questi occhi. Per più d'un'ora si udirono grida e strepiti che pareva andasse in rovina la casa. Vi fu un istante che la voce della vecchia si fece piagnolosa e singhiozzante, e allora udivasi quel suo demonio gridare e minacciare di portarla via. E credetti infatti che se l'avesse portata, perchè poco dopo ogni cosa tornò in silenzio, e la casa tranquilla che pareva un deserto. Se non che questa mattina, quand'io sono uscita in sull'alba per raccorre questo po' di verzura, vidi uscire quatto quatto da quell'uscio un'ombra di donna, che rassomigliava tutta alla vecchia, ma era tanto sfigurata e stravolta, che ci volle a riconoscerla.

- E avete veduto dove sia andata? chiese affannoso l'armajuolo.

- Eh, chi può tener dietro ad una strega? Ella tirò rasente il muro fin presso alla Vetra, ma voltato il canto, sparì d'un tratto come se fosse volata via.

- E non sapete chi abiti presso?

- Mio Dio! rispose l'erbajuola; egli è un certo luogo, ch'io non posso passarvi davanti senza fare il segno della croce. Una volta ci stava l'Agnesina con sua madre, che dicono abbia stregato più gente di quel ch'io ho capelli in capo. Ma dopo il contagio nessuno sa più nulla.

- Che la Marta si sia recata colà? disse tra il povero Stefano, e ringraziata l'erbajuola si volse dalla parte della Vetra.

La novità del caso aveva in tal modo scombujata la mente di Stefano, ch'ei camminava come trasognato, e barcollava ad ogni tre passi com'uomo che avesse veduto il fondo a parecchie mezzine. L'erbajuola lo stette a guardare finch'ebbe voltato il canto, ma poichè a que' tempi di miseria l'ubbriachezza era derrata di contrabbando, poco durò a stimarlo ammaliato, e nel ritirarsi che fece nella sua botteguccia, esclamò:

- Pover'uomo! è proprio peccato ch'ei sia caduto nelle mani di quelle stregacce del demonio. Se non avesse gli occhi così stralunati e il viso tutto scomposto, ei sarebbe certamente un bell'uomo. E come mi guardava pietoso! Basta, che il cielo lo accompagni.

Intanto l'armajuolo proseguiva il suo cammino in traccia della vecchia Marta con poca speranza di coglierla fra quel labirinto di casacce rovinate, dato pure che colà si fosse ricoverata. Quantunque per la stagione innoltrata il freddo fosse rigido assai, grossi goccioloni di sudore gli cadevano dalla fronte, e impregnavansi tra i peli della barba, senza ch'ei si desse la briga d'asciugarli. Adesso ei provava un'affanno, una stretta al cuore molto più forte dello sgomento avuto tre giorni addietro, perocchè il ricader nel pericolo dopo la gioja dello scampo è assai più gran dolore che quel che reca il primo inciamparvi. E pensava alla mogliedolce, sì amorosa, al figliuolo così bello e vispo, alla sua officina che aveva il vanto sopra tutte quelle di Milano, ai giorni felici passati in seno della sua famigliuola, e sentiva uno struggimento, una doglia fin allora sconosciuta. Ad un tratto la vista gli si appannò, e parvegli che le case gli ballassero davanti, le gambe tremarongli sotto, e nelle orecchie udì un ronzio, come d'un mulino che girasse. Ei fece uno sforzo per ripigliare i sensi e per tenersi sulla persona, ma dopo aver traballato alquanto, le forze l'abbandonarono del tutto e svenne. Il poveretto non aveva assaggiato cibo nel giorno addietro, e la debolezza dello stomaco aggiunta all'angoscia che provava, gli fece quel brutto giuoco. Se non che la sua buona ventura, se tale può chiamarsi, volle che in quel punto ei si trovasse vicino al muro, talchè non cadde sul terreno, ma rimase un cotal po' inclinato e colle spalle appoggiate alla parete. Quanto tempo ei rimanesse in quello stato, non seppe nemmeno l'armajuolo: la via era deserta, e non udivasi neppur da lungi rumore d'anima nata. Quand'egli ritornò in , era lo stesso silenzio e la stessa solitudine: perocchè in que' dintorni la peste aveva menato un guasto terribile, e le case erano state pressochè tutte diroccate o abbandonate. L'armajuolo aprì gli occhi, non ancora ben rinvenuto, e fece l'atto di alzarli al cielo; ma qualche cosa che stavagli rimpetto attrasse tutta la potenza delle sue facoltà, che parvero concentrarsi negli occhi. Una finestretta aperta, che dava sopra una loggia per metà caduta, lasciava vedere una figura di donna, che pareva tendergli le mani e sorridere. Dapprima non ne ravvisò interamente la fisonomia:, poi a lungo osservare gli parve quasi di riconoscerla, ma sfinito com'era, non poteva ajutarsi bene colla memoria. Finalmente, guarda e riguarda, cominciò a vedere la pezzuola che le copriva il capo, poi una ciocca di capelli grigi, poi la fronte arsiccia e rugosa, poi infine la fisonomia della vecchia Marta. Essa era che gli sorrideva e gli accennava di accostarsi, e gli parve perfino di udire la sua voce e il brontolìo del cane che aveva seco. Quella vista gli porse tanto vigore, che sollevatosi d'un tratto, si trovò sano e lesto in piedi, e stropicciandosi le mani corse alla volta di quella casa. Ma oimè, che è, che non è? La finestretta non è più finestretta, ma una cornice vetriata, e la vecchia Marta ha dato il luogo a una Madonna dipinta in atto di aprir le braccia ai passeggeri. Certamente quel Luino del secolo XIV che dipinse quello sgorbio di figura umana, non sognò neppure ch'ella sarebbe stata da tanto da divenir viva e animata agli occhi di chi la guardasse; e la cosa parve strana anche al nostro armajuolo, perchè, rinvenuto com'era, non sapeva darsi pace di quell'inganno. Se non che, osservando ad occhi sicuri quell'imagine e mirando tuttavia quell'atto amoroso e soave, gli sorse una nuova tenerezza in cuore, talchè inginocchiatosi si diè a pregare fervorosamente. quella preghiera gli tornò infruttuosa, perchè si sentì sull'istante l'animo più alleviato e più inchinevole alla speranza, e potè tirar innanzi il suo cammino con maggior risoluzione.

Ma, entra in una casa, entra nell'altra, sale or questa or quella scala, fruga e rifruga, apre tutti gli usci, spia, interroga, nessun indizio di colei che cercava. Il povero Stefano dovette rifar la via e tornarsene al Carobbio, nella porticina dove prima era stato. Ma anche un silenzio da cimitero, e l'uscio inchiodato come poc'anzi. Torna alla Vetra, va, gira, rigira, cerca un viottolo, cerca l'altro, capita di bel nuovo nel Carobbio, ma tutto invano, nessuno sa dirgli qualche cosa. Che fare adunque? L'ora della mostra era passata, ormai non c'era più modo a trarsi d'impaccio, laonde stimò opportuno di recarsi a casa e provvedere in qualche guisa ai casi suoi. Abbiam già detto che Stefano era uomo coraggioso e deliberato, sicchè nessuno maraviglierà nell'udire che sul punto d'aver perduta ogni speranza, egli avesse ricovrati tutti i suoi spiriti. Il vero coraggio è così fatto; teme del pericolo s'è incerto, ma quand'è inevitabile lo affronta con viso sicuro. E Stefano, ora che sapeva di che piede bisognava zoppicare, non era uomo da stare colle mani alla cintola e da sciuparsi in vane querele. Pertanto si pose la via tra le gambe e cheto cheto avviossi alla volta di casa sua. Ma quando fu per voltar l'angolo degli Armorari, per dove entravasi difilato nella bottega, si trattenne alquanto, e non potè cacciare un pensiero che gli martellava la mente. Che la vecchia Marta fosse tornata? Era questa l'idea che lo metteva in forse, e che impedivagli di proseguire il cammino. Quella maladetta speranza, che se piglia a pigione un povero cuore non lo lascia mai, faceva ora all'armajuolo uno dei soliti scherzi ch'ella fa agli innamorati. Lo dicano quei lettori che si sono recati ad un convegno, se c'è caso che uno possa spiccarsi dal luogo fissato, prima d'aver battuto il selciato almeno un pajo d'ore, e se avviene che la noja lo trascini lontano, quante volte non sarà ritornato per tema d'aver isfuggita l'opportunità. Lo stesso accadeva a Stefano. E questa speranza, o piuttosto gravissima molestia, fu sì forte in lui, che dovette dar di volta e rivedere il Carobbio. Ma le cose erano ancora nel medesimo stato: appena quel luogo così frequente e chiassoso dava indizio di vita, che gran parte delle case erano chiuse, e più gran parte ancora smantellate. Dei cittadini pochi vedevansi per le vie, e que' pochi silenziosi e raccolti tiravano rasente il muro senza guardar in viso a persona. L'armajuolo trasse un grosso sospiro, e veduto fuggirsi anche quell'ultimo filo di speranza, tornavasene tristamente giù per la corsia, allorchè giunto che fu a mezza via, proprio rimpetto alla contrada di s. Ambrogio de' Disciplini, vide Martino che affannavasi correndo alla volta di lui, e pareva portasse nel viso qualche trista novella. Quando il garzone gli fu vicino, senza neppure pigliar fiato, gli gridò:

- E così, messer Stefano, che cosa è avvenuto del cane?

- Ah! Martino mio, rispose l'armajuolo, ajutami che non mi reggo più.

- Oimè, come siete pallido e stralunato, che cosa è stato, dite su, messer Stefano?

- Che vuoi? tanto ne so io, che tu.

- Ma la vecchia Marta?

- Che il diavolo tormenti quel sozzo carcame di donna fino al del giudizio. Ell'è sparita, e nessuno l'ha veduta.

- E il cane?

- S'intende ch'è sparito insieme con lei.

Martino stette alquanto sopra pensiero, poi disse sommessamente, sebbene non vi fosse alcuno intorno:

- Uhm, questa scomparsa non è cosa naturale: qui sotto gatta ci cova, e quasi quasi starei per credere che lo Scannapecore ci entri per qualche cosa.

- Eh! via, che ci ha a fare la vecchia Marta collo Scannapecore?

- La volpe e il lupo non si leccano, è vero, ma quando si tratta di votare un pollajo san mettersi d'accordo. Basta, col tempo la cosa verrà in chiaro, ma intanto, sapete, messer Stefano, che il Duca ha comandato allo Scannapecore di venirvi a pigliare voi e la vostra moglie e tutti noi per condurci in quella maladetta ca dei cani a render ragione dell'aver mancato alla mostra?

- Oh Dio! corriamo tosto a casa a difendere la mia povera Cecilia, il mio Marco!

- Difendere, voi dite? Non è mica più il tempo in cui un buon popolano colla sua draghinassa poteva farsi chiaro in mezzo a una dozzina di mascalzoni prezzolati. Ora non sono soldati, ma sgherri da combattere, e colla giustizia non c'è da scherzare, ma è d'uopo tener le mani in cesso.

- Ebbene, noi fuggiremo, sclamò Stefano, intanto che avviavasi correndo alla volta di casa sua. Ma l'altro, pur seguendolo da vicino, gli susurrava all'orecchio:

- Fuggire, e dove? chi ci raccorrà? chi ci proteggerà contro l'ira del Duca?... Eppure, sì,... meglio fuggire, meglio morir di fame sopra una strada che cadere nell'unghie di Barnabò, o servir di pasto a que' suoi mastini. Io l'aveva ben consigliato a vostra moglie di fuggire, e voleva condurnela tostochè udii quella brutta nuova, ma essa stette salda e rifiutò di uscire di casa finchè non avesse veduto voi. L'ho anche pregata colle lagrime agli occhi, che partisse di , che si recasse da qualche sua conoscente, almeno per sottrarsi alla prima tempesta, e per acquistare tempo, ma fu tutto indarno. Ora chi sa se saremo più in tempo.

Intanto che così parlavano, erano giunti quasi sul limitare della bottega, e stavano per porvi il piede, allorchè Martino, preso fortemente l'armajuolo per un braccio, lo trasse indietro dicendogli:

- Avete udito, messer Stefano? I manigoldi son già entrati in casa. Ponete orecchio un momento. Ecco la voce di Tonio che prega piangendo e si dispera. Oh! udite madonna Cecilia che risponde alle interrogazioni dello Scannapecore. Santo Iddio! cercano del fanciullo, ch'essa l'abbia trafugato? Ah! andiamo, andiamo che vengono abbasso.

Martino infatti s'adoperava, parte colla forza, parte colla persuasione, a togliere di l'armajuolo: ed ora poi che aveva udito lo Scannapecore minacciare aspramente e la Cecilia uscire in singhiozzi e preghiere, diè a credere all'armajuolo che gli sgherri partissero, e con una spinta risoluta gli voltare il canto, e giù entrambi per la via di s. Satiro.

- Sapete, che cosa dobbiam fare? disse allora Martino. Andiamo tosto a casa di messer Franciscolo. non verranno a cercarci, almeno per oggi. A domani Iddio provvederà.

L'armajuolo, che fino a quel punto erasi lasciato condurre come istupidito, si trattenne sui due piedi e fissò sulla faccia di Martino due occhi che pareva schizzassero dalla fronte. Poi, come tornato in , si volse a dare una ultima occhiata al luogo che doveva abbandonare, e scosse le braccia in atto di rabbia repressa: - Uf! disse levando un gran sospiro: sia fatto come tu vuoi. - E avviossi senza profferir più parola.

Non erano andati oltre un trenta passi, che dall'officina dell'armajuolo usciva fuori lo Scannapecore seguito da Graffiapelle e da' sei cagnotti, i quali tenevasi in mezzo la Cecilia e Tonio. Quando furono nella via, lo Scannapecore si volse a Graffiapelle, dicendo:

- Tu, Graffiapelle, starai qui a fare buona custodia alla casa: non voglio che i ladri entrino a spazzarla. Se mai vedessi capitare alcuno, o solo bazzicare per la via, non lascialo sfuggire, m'hai inteso? Di ragione un momento o l'altro ei ci deve venire: e poi il fanciullo non mi par vero di non averlo trovalo. Sarebbe pur stato opportuno nel caso che il Duca avesse voluto lo spettacolo d'un giudizio coll'acqua fredda. Ma ora, andiamo.

- Ahi! ohi! sclamava Tonio, contorcendosi sotto la mano d'uno che l'aveva stretto in un braccio, che maniere son queste da usarsi coi cristiani? Io non so nulla, io, e lo può dire madonna Cecilia, se non sono un buon garzone, timorato di Dio e del Duca, che lascia stare i cani quando dormono...

- Orsù, tienti per te le tue chiacchere, mascalzone, gli gridò un altro della schiera, dandogli un punzone per di dietro che quasi lo mandava a gambe levate. Giacchè hai tanta parlantina ti metteremo a stare col bruciavia, che è il più brontolone di tutti i mastini: vedremo un po' la bella figura che vi farai.

- Bella Cecilia, diceva intanto lo Scannapecore alla moglie dell'armajuolo, voi siete ancora in tempo di riparare a una grande sventura. Forsechè il timore non v'ha resa più umana ed arrendevole? Ricuserete tuttavia di prestar orecchio alle sincere mie proteste?

Per tutta risposta la Cecilia alzò gli occhi al cielo e sospirò. Lo Scannapecore scorgendo di non poterne cavare alcun costrutto, disse tra i denti:

- Ah! ah! carina mia, tu fai il bell'umore, e vuoi stare imbronciata con me. Ma ti leverò io la stizza dal capo. Ne ho guarite delle altre, sai? ed erano fior di roba e superbe come lucifero. Una notte che tu abiti fra quattro mura basterà a farti mutar parere.

- Ahi! meschino me! sclamava Tonio battendo i denti della paura, ma votete proprio metterci prigione? Che cosa vi abbiamo fatto noi? Che colpa abbiamo se il cane fu portato via dal diavolo? A queste cose non si può star innanzi.

- Mio bel garzone, dicevagli lo Scannapecore, tutte queste ragioni le potrai dire al Duca: intanto sta zitto, se no, saremo obbligati a porti la museruola.

E Tonio ricacciavasi in gola un lamento e tirava innanzi singhiozzando; ma siccome era di natura ciarlone, così timore, percosse valevano a farlo tacere un pezzo. Laonde non aveva fatto dieci passi che ripigliava brontolando tra e , quasi seguitasse il filo delle proprie idee.

- Povero il mio letticciuolo! E a dire ch'io mi lagnava sempre, e lo faceva troppo duro e disagiato, e gli dava cagione di tutti i malanni che provava. Ora chi sa su che razza di giaciglio sarò costretto a distendermi! E dover restar solo tutta una notte, in quel brutto luogo, all'oscuro, senza un'anima che mi ascolti.

- Hai paura a dormir solo, neh? soggiunse di nuovo lo Scannapecore il quale pareva pigliar sollazzo dagli sgomenti di Tonio. Non dubitare, figliuolo, che ti faremo tener compagnia, e tale che ti terrà svegliato più che non sei solito.

- Tonio alzò gli occhi sul viso dello Scannapecore e lo guardò con un certo piglio tra il dubbioso e lo spaventato, il che fece fare alla sua fisonomia una smorfia così patetica da cavar le risa a tutt'altri che allo Scannapecore. La stessa Cecilia, quantunque impensierita e tutta raccolta nel suo dolore, non potè stare dal volgersi un cotal po', e veduto lo sgomento rivelarsi da ogni fibra del garzone, non seppe trattenere un senso di compassione più grande e più nuovo quasi che non quello provato poc'anzi. Perocchè, sebbene l'assenza del marito e la sottrazione del fanciullo le fossero stati argomento di consolazione, tuttavia, a mente un po' più riposata, pensava che Stefano non avrebbe potuto tenersi celato a lungo, e che il fanciullo, se era salvo dagli sgherri, rimaneva però abbandonato nelle mani della provvidenza, e si voleva un miracolo perchè non morisse di fame. A ciò ella non aveva badato sulle prime, e appena avuto sentore del pericolo, visto che il fanciullo dormiva, se l'era pigliato sulle braccia, e l'aveva nascosto in un piccolo andito che metteva nel cortiletto dove niuno sarebbe andato a frugare. E infatti la cosa era avvenuta giusta il suo desiderio, e la Cecilia consolavasi nella speranza che Martino, il quale era uscito in traccia dell'armajuolo, trovatolo o no, ritornasse a casa, e ne levasse il fanciullo. Ma, allorchè vide lo Scannapecore appostare uno dei suoi nella bottega e udì il comando che gli fece, ogni lusinga le cadde dall'animo, e raccomandossi al Signore perchè la proteggesse. Anzi ell'era stata a un pelo di rivelare ogni cosa, e togliere così qualche più funesta ventura; ma il pensiero che lo Scannapecore le potesse leggere il dubbio nel volto, e non lasciasse perciò vota la casa, la trattenne. Il fanciullo ormai lo dava per perduto: almeno potesse porsi in salvo il marito.

Con tali pensieri erano giunti più che a metà della via, e toccavano proprio la contrada di s. Giovanni in Conca, allorchè lo Scannapecore sguardando all'intorno, corse cogli occhi fino alla fine della contrada che da un lato mette al Malcantone. Ivi, fosse realtà o illusione de' suoi occhi da sparviero, parvegli scorgere due persone che lo guardassero e nello stesso tempo tentassero di celarsi dietro uno sporto di casa che fa angolo alla via. A un tratto ei si ferma, e senza darsi tuono di niente dice una parola all'orecchio di due dei suoi, i quali si spiccano tosto dalla comitiva, e cheti, cheti, un dietro l'altro, s'avviano rasente il muro alla volta del Malcantone. Gli altri senza darsi briga del fatto, e senza neppur volgere il capo proseguono il loro cammino, in guisa che la Cecilia, Tonio ebbero sospetto di ciò che accadeva. Questa volta gli occhi di Scannapecore l'avevano giovato assai bene, e così l'avessero giovato le gambe di quei suoi mascalzoni. Ma, aspetta, che vengo. I due che stavano spiando sull'angolo, e che avevano buona vista del paro, non aspettarono d'esser colti sul luogo, ma appena veduto il cenno dello Scannapecore, diedero una volta al canto e si raccomandarono alle calcagna. Per lo che quando vi giunsero gli altri trovarono il nido votato, e dovettero tornarsi colle pive nel sacco. Chi fossero poi coloro che stavano in agguato non è bisogno che palesiamo ai lettori: solo diremo che nel fuggire presero la via di s. Sepolcro e non si fermarono che al crocicchio detto delle Cinque Vie dove abitava Franciscolo.

Allorchè i due scherani posero piede nel palazzo di s. Giovanni in Conca lo Scannapecore co' suoi trovavasi già alla presenza del Duca, il quale aveva voluto egli stesso interrogare la moglie dell'armajuolo. La Cecilia nell'udire che toccavale di parlare col Duca, aveva riacquistato alquanto della sua naturale fermezza, perchè non le pareva vero che un principe così grande e potente dovesse essere crudele e testereccio come quella turba vile e schiava che gli faceva codazzo. Ma quando al presentarsegli che fece, vide quel suo cipiglio così fiero, e udì quella sua voce aspra domandarle conto del cane, le fuggì ogni coraggio, e si diè a tremare per tutte le membra. Pure facendo uno sforzo, rispose:

- Deh! signor mio, abbiate pietà di me; io sono un'infelice....

- Orsù, femmina, disse severo Barnabò, non chiedo chi tu sia, è del cane ch'io chiedo.

- Oh! poveretta me! il cane... il cane....

- Or bene, il cane?

- Il cane.... è.... è morto.... disse Cecilia con voce quasi spenta.

- Morto? Morto? gridò il Duca alzando e passeggiando per la sala. Il più bell'alano che abbia fermato una lepre? Per Dio! tu pagherai dodici fiorini d'oro, e ringraziami di lasciarti andare così a buon patto.

- Ohimè! signor mio, diceva singhiozzando la povera Cecilia, se appena abbiamo di che sfamarci. Come volete che troviamo sì gran somma?

- La troverete, sì, per s. Ambrogio che la troverete. Ringrazia il cielo se non ti chiedo in che guisa sia morto, perchè mal per te e per tuo marito, il quale, a quanto udii dire dallo Scannapecore, non deve avere la coscienza molto linda in quest'affare. Non so darmi pace che sia morto quel cane.

Tonio, che fin allora era rimasto a capo basso e tutto rattrappito per lo spavento, udendo che al Duca doleva forte che quel cane fosse morto, s'avvisò di rimediare al male dicendo il vero, il perchè si fe' animo a parlare, e disse:

- Con vostra buona licenza, messer Duca, il cane non è proprio morto, come morto, ma gli è come se fosse morto.

Il Duca fisso gli occhi in viso a Tonio, al quale parve di sprofondare sotto quell'occhiata; poi voltosi allo Scannapecore, disse:

- Che cosa intende dire costui con quel suo garbuglio di parole? Chi è questo scimunito?

- Egli è il garzone dell'armajuolo, rispose eccitando un po' lo Scannapecore. Parmi aver detto alla signoria vostra, che l'armajuolo non venne trovato in casa, e che neppure si trovò il fanciullo coll'altro garzone.

- E che cosa significa questo cane morto e non morto?

- Eh! chi può cavare una parola assennata da quel balordo.

- Balordo, sì, finchè si vuole, borbottò Tonio, ma infine quel ch'è vero è vero, e il cane non è morto.

- A te dunque, disse il Duca volgendosi a Cecilia, è egli vero quel che dice colui?

La Cecilia divenne rossa fin nel bianco degli occhi per essersi lasciata cogliere in bugia, la prima forse che avesse detto in vita sua: e sebbene le fosse accaduto per un fine retto, per distornare con una sola parola ogni ricerca del Duca, non perciò se ne vergognò meno, e ci volle alquanto prima che potesse rispondere. Finalmente, alzato il capo, disse timidamente come quella che adesso sentivasi rea:

- Messer sì, il cane non è morto.

- Orsù, dunque, che cosa è avvenuto di lui?

La moglie dell'armajuolo fu imbarazzata da tale richiesta e non trovò parole pronte per rispondere: se non che Tonio il quale, a sua grande maraviglia, aveva raccattato un coraggio insolito, saltò a dire:

- Con vostra buona licenza, messer Duca, il cane è scomparso e non si sa qual diavolo l'abbia portato via. Egli aveva un certo...

Ma la Cecilia la quale temeva che Tonio raccontasse il fallo per disteso, e non voleva che il Duca sapesse della malattia del cane e della percossa datagli da Stefano, fu lesta ad interromperlo, e disse con voce franca:

- È vero, il cane è scomparso di casa tre giorni sono, e non se n'è avuto più nuova.

- Poltronacci traditori, sclamò il Duca, bel modo di guardare i miei cani! Ci vorrebbe ch'io vi facessi dar la corda, per servir d'esempio a tutti i gaglioffi pari vostri. Orsù, per ora resterete qui entrambi finchè non si sia rinvenuto il cane, o che abbiate sborsato i dodici fiorini d'oro. E tu, Scannapecore, fa di alloggiarli come meritano. È tempo ch'io torni al mio castello: mi sono soffermato anche di troppo qui.

 

 

 




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