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Carlo Tenca
La cà dei cani

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  • IX
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IX

 

Movea visibilmente le labbra, dicendo le sue divozioni, e di quel suo tacito pregare non si udiva altro che lo strascico delle ultime sillabe, le quali le morivano sulla bocca in un lieve fischio che ella accompagnava col piegare frequente del capo. Di tanto in tanto volgeva gli occhi a quel letticciuolo, poi gli alzava al cielo in atto di sì desolata pietà, da far manifesto il voto segreto che mandava al Signore, perchè degnasse di richiamarla a sè....

Grossi, Marco Visconti.

 

È tempo ormai che ritorniamo alla moglie dell'armajuolo ed al garzone, che abbiamo lasciato dopo il loro colloquio col Duca nelle mani dello Scannapecore. Costui, quando Barnabò gli ebbe comandato di trattenerli come ad ostaggio e di collocarli in qualche angolo del palazzo, pensò che nulla di meglio poteva avvenirgli, e che quella volta gli cadeva proprio il formaggio sui maccheroni. Laonde, pigliata per una mano la Cecilia, che si lasciò condurre silenziosa e come istupidita, la fe' passare per un labirinto di anditi e di corritoj, su e giù per mille rivolte e scalette a chiocciola, finchè giunsero in un canto affatto deserto, ov'era una volta il ricettacolo dei mastini, prima che il Duca li volesse distribuiti ai cittadini. Ivi, aperto un uscio tutto foderato di ferro, invitò la Cecilia ad entrare in una stanzuccia umida e nera che meritava piuttosto il nome di buca, nella quale entrava un po' di luce da un'apertura fatta al basso del muro, alta due piedi da terra. E anche quel barlume era tolto per metà da una inferriata grossa quasi come un braccio, nella quale la ruggine faceva contrasto colla pulitezza e colla levigatura che scorgevasi qua e là. La quale pulitezza dinotava chiaramente quali fossero stati in addietro gli abitatori di quella specie di prigione, e come i mastini che vi si erano esercitati intorno coi denti non fossero la più pacifica genìa di animali. Nè quelle forse saranno state le sole tracce del loro soggiorno; ma sia che la luce venendo dal basso non rischiarasse che una piccola porzione di terreno, sia che si avesse avuto cura di togliere ogni vestigio, il fatto è, che non vi si scorgeva alcun segno delle violenze e delle stragi che forse ebbero luogo là dentro. Lo Scannapecore nell'accennare la prigione alla moglie dell'armaiuolo, volle in certa guisa scusarsi al suo cospetto della durezza usata, e mendicato il più grazioso dei sorrisi, con una faccia tutta compunta, le disse:

- Duolmi, bella Cecilia, di dover adoperare tanto rigore verso di voi; ma il mio dovere lo impone, e gli ordini del Duca sono precisi. Voi medesima li avete uditi. Se avverrà che siate più umana e ragionevole, farò ogni sforzo per mitigare la vostra prigionia, e cercherò ogni verso per liberarvene. Intanto vi lascio: la notte arreca consiglio, sicchè spero di trovarvi domani con più sani pensieri. Or ora vi manderò il cibo ed un saccone, perchè non voglio che adagiandosi sul terreno patiscano queste vostre membra così dilicate.

Così parlando le aveva posto familiarmente una mano sulla spalla e la lasciava sdrucciolare giù pel braccio in atto di accarezzarlo. Ma la Cecilia ritrattasi d'un passo, si strinse tutta nelle membra, come se quel contatto l'avesse fatta rabbrividire, e non disse parola. Solo dentro di sè raccomandossi caldamente alla Beata Vergine dell'aiuto, perchè venisse in suo soccorso. Lo Scannapecore fe' mostra di non badare a quell'atto, e voltossi per uscire, dicendo con un suo ghigno beffardo:

- Addio, bella Cecilia, a rivederci domani.

Poi chiuse il pesantissimo uscio a doppio chiavistello, e se n'andò. La Cecilia, quando lo vide partito e si trovò affatto sola, diè libero sfogo all'angoscia che l'opprimeva, e ridottasi in un angolo di quella stanzaccia, uscì in lagrime così dirotte che avrebbero mosso a pietà qualunque animo più indurito. Quel trovarsi così abbandonata, in quel luogo solitario, nelle mani di un uomo ch'essa abborriva come il peccato, e che poteva fare di lei quello strazio che avesse voluto; quel non saper nulla, proprio nulla nè della propria sorte, nè di quella del marito e del figliuoletto, le cagionava un freddo al cuore, uno sgomento sì grande, che quasi temette di uscire di senno. Allorchè, dopo una mezz'ora circa, venne uno dei cagnotti a recarle il pane e la scodella dell'acqua, e a deporre il saccone, la Cecilia singhiozzava tuttavia e non s'era mossa dal luogo ov'erasi raccosciata: tanto che colui, sbirciatola di traverso, le disse:

- Ecco qui il pane e l'acqua ed anche il saccone, che è una dilicatezza ignota per questi luoghi.

Ma vedendo ch'ella non badava a lui, e tirava innanzi a piangere, scrollò il capo, e soggiunse, mentre usciva:

- Oh! colomba mia, si vede che tu sei novizia, e non hai ancora imparato a star in muda. Ma ti avvezzerai presto, te lo dico io. Hai forse paura a star sola, non è vero? Già voi altre femmine siete tutte così: ma non dubitare che verrà lo Scannapecore a tenerti compagnia. Lascia fare a lui che conosce tutti i vezzi per andar a' versi alle donne.

Lasciamo pensare ai lettori se queste parole erano tali da rassicurare la Cecilia e da farla cessare dal piangere. Essa non toccò nè l'acqua nè il pane, e non si mosse mai da quella sua positura, temendo perfino di coricarsi sul saccone per non essere colta dal sonno, e di trovarsi per tal guisa più facilmente in balía del primo che fosse entrato.

E Tonio intanto? Tonio appena la Cecilia era condotta via dallo Scannapecore, fu preso in mezzo dallo Sciancato e dallo Scortica, ai quali bastò un'occhiata del compagno per sapere che cosa ne dovessero fare. Pertanto cominciarono a condurlo giù nel cortile, facendolo passare per un gran salotto nel quale, oltre a molti ordigni da caccia, vedevansi disposti i tormenti a dozzine: poi lo trassero dov'erano lasciati vagare i cani, che alla voce de' canattieri aizzavansi, s'ergevano sulle zampe, abbajavano sordamente, scambiettavano fra le gambe del garzone, e ad ogni istante facevano l'atto di saltargli al viso. Nel salotto aveva già provato uno spavento grandissimo, perchè lo Sciancato, il quale pigliava un gusto matto dei lazzi di Tonio, l'aveva condotto davanti al sito in cui davasi la corda, ed aveva fatto mostra di adattarla alla persona del garzone, il che fece cadere in ginocchio quello sgraziato, e lo indusse a chieder mercè, con sì goffo piagnisteo, che i canattieri ne sganasciarono dalle risa. Figuratevi poi nel cortile in mezzo a quel subbuglio di cani che gli aggiravano intorno, mostrando i denti, e latrando in modo tutt'altro che piacevole. Il poveretto affannavasi tutto nell'evitare or questo or quel mastino, e saltava a piè pari, e raccosciavasi sulla persona, poi tiravasi presso la parete e si faceva lungo lungo quasi per occupare minore spazio, e intanto dalla fronte gli piovevano grosse goccie di sudore, che miste alle lagrime gli sgocciolavano giù per le guance. Di che quei birbi che l'avevano tolto in mezzo formavano uno spettacolo assai giocondo che studiavansi con ogni mezzo di prolungare.

In quel mentre lo Scannapecore, che tornava dall'aver condotto Cecilia, nel passare vicino al cortile, attratto forse dal rumor delle risa o dalle grida di Tonio, fe' capolino da un andito, e visto il giuoco, s'innoltrò tosto per avere la sua parte di sollazzo.

- Bravi figliuoli, disse volgendosi ai compagni, già con voi altri basta dirvi le cose all'aria. Ben fatto. E tu, Tonio mio, soggiunse poi fatto vicino al garzone che batteva i denti dalla paura, come ti piace il luogo e la compagnia che t'abbiamo assegnato?

Il povero Tonio fe' l'atto di alzar gli occhi sul viso del canattiere come per implorarne misericordia, ma la paura glieli tenne inchiodati sopra un mastino di smisurata grossezza che gli ringhiava rasente le gambe. Allora volle aprir bocca per pronunciare non so che parole di preghiera; ma un movimento del cane gliele cacciò di nuovo in gola, e non ne lasciò uscire che uno strano brontolio, un rantolo quasi di moribondo. Lo Scannapecore s'accorse dell'atto e, posta una mano sulla spalla del garzone, e coll'altra abbassatosi ad accarezzare il cane, gli disse:

- Sta cheto, figliuolo mio, non aver paura, che questo cane non ti farà un male al mondo. E poi a quest'ora non ha voglia di mordere, ed ha il ventre pasciuto come quello d'un eremita. Questa mattina ha fatto una lauta colazione in compagnia d'un fanciullo che gli fu dato a commensale: se nol credi puoi vederne gli avanzi a due passi di qui.

Ma il garzone che alla sola idea di esser posto insieme al cane e di servirgli di pasto, aveva sentito i brividi della febbre, figuratevi se aveva desiderio di vedere quel brutto spettacolo. E lo Scannapecore, il quale sapeva benissimo ch'ei non si sarebbe mosso, gli era venuto a bella posta infinocchiando quella favola del fanciullo sbranato. Ora poi vedendo che Tonio seguitava a tremare per tutte le membra, e a guardar di traverso il mastino, gli andava susurrando dolcemente:

- Via, via, ragazzo mio, non bisogna poi pigliar tutto in mala parte; e l'odio non istà bene neppure colle bestie. Animo, su, perchè stai lì rattrappito, e fai così brutta ciera a quel povero animale? Quando lo conoscerai più davvicino, non gli vorrai più quel gran male che ora gli vuoi, perch'egli, vedi, è la miglior pasta di cane che esista. Prova soltanto a fargli un cenno, una carezza, e vedrai.

Ma sì, il garzone al contrario ritraeva le mani a sè e cercava di nasconderle alla meglio, toccandole per assicurarsi se erano sane ed intere. Per lo che Scannapecore, sorridendo in tuono di beffa, gli disse:

- Oibò, oibò, ragazzo, tu fai male a portar sì grande odio a questo cane! Dov'è la carità del prossimo che t'avranno insegnato? Orsù, poni giù questa tua collera, voglio che facciate la pace, e vi abbracciate entrambi come buoni amici. Non è vero Bruciavia?

Il mastino udendosi chiamare per nome rispose con un guaito di allegrezza e si dimenò rasente le gambe del canattiere per fargli festa; il che cavò un nuovo grido dalla gola del garzone.

- A te, dunque, Tonio, porgigli la mano, disse lo Scannapecore, ho piacere che vi pigliate in amore. Che? Tu, Tonio, rifiuti di accostarti a lui? Vuoi proprio che il cane dia esempio a te di carità e di buona creanza? Or bene, Bruciavia, un abbraccio, ma da buon amico.

Tonio, il quale non sapeva ormai più in che mondo fosse, sentì d'un tratto alcun che di pesante cadergli sulle spalle, ed ebbe ancora tanta forza da alzare gli occhi davanti a sè. Ma, oimè! qual non fu lo spavento di lui nel vedersi a due dita dal naso il muso del mastino che, spalancata la bocca pareva attendesse solo il cenno del canattiere per isbranarlo. Al povero garzone si appannò la vista, e il cervello sbalordissi come se fosse stato colto da una subita percossa, talchè stramazzò sul terreno. Fors'anche di questa sua caduta era stato cagione il cane, il quale nel saltargli che fece al collo, gli aveva dato un urto così violento, da farlo traballare, se fosse stato più fermo di quel che era. Il fatto è, che Tonio giaceva per terra senza trar fiato, col viso pallido come un cadavere, e colle membra stirate; tanto che i canattieri ebbero di grazia a farglisi intorno, e a cercare di farlo rinvenire.

- Per Dio! Bruciavia, tu lo stringi troppo quel povero diavolo; orsù, lascialo, e va in tua malora, sclamava lo Scannapecore nel mentre che adoperava la voce e le mani per isciogliere il povero Tonio dall'amplesso del cane. Intanto alcuni erano corsi per acqua e per aceto, e gli altri stavano in faccende un po' colla voce, un pò coi piedi a tener lontani ì cani, i quali vedendo un uomo supino aggiravansi ringhiando all'intorno.

Finalmente, fossero le cure prestategli, o l'efficacia dell'aceto, o fors'anche la stessa paura, la quale, quando piglia, farebbe balzar dal letto un moribondo, il garzone aprì gli occhi e li volse all'ingiro come in atto di riconoscere quel luogo. Ma veduto di bel nuovo i cani vagar pel cortile, e quelle facce scomunicate che gli stavano dappresso, li richiuse prestamente come per sottrarsi alla molestia di quell'aspetto. Se non che allora ei non era già nel suo leticciuolo della bottega di Stefano, nel quale allorchè svegliavasi il mattino e cacciava fuori il capo dalle coltri, se non udiva rumore, si voltava dall'altro lato e ripigliava il sonno quand'anche il sole fosse già alto sull'orizzonte. Adesso egli ebbe un bel stringere le palpebre e far forza alla mente; le imagini dello spavento avuto erano troppo presenti, per non tenerlo desto, sicchè dovette proprio riaprire gli occhi e sollevarsi un po' sopra un gomito. Il suo primo atto fu quello di toccarsi colla mano in tutte le parti del corpo dalla testa in giù, per assicurarsi di avere le membra intatte, e il primo suono che gli uscì di bocca, fu un sospiro accompagnato da un gemito così doloroso, che i canattieri ne risero a creppapelle. Il poveretto dolorava per tutte le ossa a cagione della caduta, e ad ogni movimento che faceva per alzarsi, sentiva una doglia, uno spasimo non mai provati. Alla fine, ajutato dai canattieri, giunse a rizzarsi in piedi, ma poichè non trovava forza di camminare, e a quei tristi cominciava a parer lungo il trastullo, fu tolto sulle braccia dallo Sciancato e dallo Scortica e portato fuori del cortile nel luogo a lui destinato.

- Peccato! che non ci sia Graffiapelle, diceva nell'andare lo Sciancato. Ci avrebbe pur fatto ridere con quelle sue buffonerie.

- Giungerà a tempo pel giuoco di questa sera, disse lo Scannapecore, se no lo manderemo a levare. Già la parte del diavolo non è mai così bene affidata come a lui.

Intanto erano giunti in una camera immensa e pressochè vota, nella quale non iscorgevasi altro mobile che un gran tavolone di quercia, alto quasi come una persona, e presso a quello uno strato di paglia, che pareva posta là appositamente per servir di letto a Tonio. Il garzone, non anco ben rinvenuto, fu posto a giacere sopra di essa, e a canto gli venne collocato un vaso ripieno d'acqua e del pane. Nel partire, lo Sciancato gli disse:

- Ora, dormi tranquillo, e fa di non sognare questa notte.

Ciò detto chiuse l'uscio con gran rumore di catenacci, e il povero Tonio rimasto solo, sentì per un momento allargarsi il cuore scorgendo di essere fuori delle unghie di quei birbi. Ma quest'allegrezza gli durò poco, e la vastità di quel luogo, il silenzio che vi regnava, il freddo che lo colse appena adagiato sul pavimento di sasso, dal quale poco riparo facevagli la paglia, gli posero in cuore un nuovo e più grande sgomento, tanto che debole com'era e per la fame patita e per l'angoscia, richiuse gli occhi e giacque di nuovo assopito.

Bisogna dire ch'ei rimanesse a lungo in quello stato, perchè quando ricovrò i sensi e riaprì gli occhi, era già scesa la notte, o almeno così parve a lui, perchè non vedeva a due dita dal naso. Allora tentò di sollevarsi alquanto dal suo giaciglio, perchè pareva che le ossa gli si liquefacessero pel dolore; e accomodatosi alla meglio, allungò una mano per pigliare il vaso dell'acqua, e spegnere quella grande arsura che provava. Ma cerca a destra, dove gli era sembrato vedere il vaso, allunga la mano e il corpo finchè può, non trova nulla. - Che io mi sia ingannato? pensa il garzone, e che il vaso sia a sinistra? - Voltasi dall'altra parte, non senza pena, fruga colla mano, oibò! ancor nulla. - Che sia più in là? - Tonio ajutandosi colle mani, senza però alzarsi, perchè non poteva, si muove a sinistra, e va tentone in cerca dell'acqua; ma spingi, spingi, a un tratto ecco che il terreno gli manca di sotto, e giù un capitombolo fino chi sa dove. Il poveretto non ebbe neppur tempo di gridare misericordia, e giacque disteso col capo intronato e fuori di sè. Solo nel cadere gli era sembrato di udire alcune voci gemebonde, accompagnate da grandi scrosci di risa; il che gli aveva fatto credere di essere precipitato nell'inferno in mezzo ai dannati. Però, siccome la caduta ch'ei fece non era troppo alta, così anche questo nuovo svenimento non durò gran pezza; e Tonio potè aprire un'altra volta gli occhi e ritornare in sè. Il primo suo movimento fu quello di toccare il terreno per capire in che luogo fosse caduto: ma non fu poco maravigliato nel sentire la paglia di sotto al dorso, siccome prima. Che quella caduta fosse stata un sogno? No, perchè le ammaccature del capo e della persona erano troppo fresche e gli davano troppo dolore. Ma come dunque era avvenuto ciò? Il garzone si perdeva in un mare di meditazioni; ma ad ogni modo non attentossi più, neppure di voltarsi su un fianco, e quanto alla sete, poteva bruciarsegli la gola, che non penso più all'acqua per tutta la notte.

Da lì a breve il silenzio di quella camera fu rotto da un singhiozzo lontano lontano che pareva partisse di sotto terra, a cui tennero dietro molti altri gemiti che udivansi al di sopra. Tonio agguzzò gli occhi, e guardò all'intorno, ma regnava tuttavia la più grande oscurità, ed egli ch'era buon cristiano e credeva alle apparizioni dei morti, s'ingegnò alla meglio di fare il segno della croce, e borbottò fra i denti un Requiem eternam. Nella sua mente semplice e credenzona non sorse neppure il più piccolo dubbio che quelle non fossero le anime di tanti infelici fatti morire in quel luogo traditore, talchè accompagnò ogni parola con un brivido e un batter di denti naturale in chi amava soltanto la compagnia dei vivi. A un tratto ecco la camera illuminarsi all'intorno, ma d'un chiarore debole e interrotto, che non si scorgeva d'onde venisse; poi dalle nude pareti distaccarsi alcune ombre, pigliar corpo, e di mano in mano che innoltravansi, diventare giganti. Il povero Tonio fece l'atto di gridare a quella vista, ma la bocca non gli si volle aprire, chiuse gli occhi ed ebbe appena il tempo di raccomandarsi a Dio, perchè le ombre gli erano già sopra e lo sollevavano da terra. Il garzone si sentì trasportare lontano lontano per un gran tratto di cammino e di tanto in tanto provava un senso alla persona come d'un freddo intenso, o di un caldo cocentissimo, finchè giunto, a quel che gli parve, in un profondissimo sotterraneo, fu lasciato cadere, e sepolto ivi tra gli urli, le bestemmie e le strida di mille demonii. Quel che poscia sia avvenuto di lui, nè quanto tempo rimanesse in quel luogo, egli nol seppe, perchè quando si destò, era già il giorno alto, e il sole battevagli sul ventre traverso le vetriate dei balconi. Il garzone si guardò stupefatto attorno, e non gli sembrò vero di trovarsi ancora sul suo strato di paglia nel medesimo luogo di prima, col pane e col vaso dell'acqua vicini. Se non gli fossero rimaste le percosse nel corpo che gli davano un dolore fortissimo, avrebbe pensato che tutto ciò fosse stato un sogno, ma nell'alzare che fece una mano alla nuca, dove lo spasimo era più forte, la ritrasse tutta molle di sangue rappreso, il che non gli lasciò punto dubbio sulla sua caduta e sugli altri suoi casi.

Nè la Cecilia, che lasciammo rincantucciata in un angolo della sua prigione, aveva passata una notte migliore. Dopo essersi caldamente raccomandata alla beata Vergine, s'era ricordata di avere sopra di sè una piccola croce dorata, ch'ella teneva come un tesoro, perchè statale donala dal padre Teodoro, e benedetta in articulo mortis. Pertanto la trasse dal seno, e baciatala con effusione di affetto, se la pose innanzi, tenendola fra le mani, e si diè a pregare fervorosamente. Dopo la qual preghiera, le parve di sentirsi più sollevata, più libera, e le nacque un coraggio che prima non aveva. Tanto che tra un pensiero e l'altro, essendo già notte fitta, si lasciò andare a chiuder gli occhi e s'addormentò un cotal poco. Allora le parve di essere trasportata in paradiso, e vide il padre Teodoro tutto risplendente di gloria, che, fattosele vicino, le additava tre seggi voti, e udì che le diceva: - Sta di buon animo, Cecilia, questi seggi sono per te, per tuo marito e pel figliuol tuo, ma la vostr'ora non è ancora venuta, e voi godrete giorni felici per lungo tempo sulla terra. Quanto a me, il Signore mi ha chiamato, e quello è il mio posto, e quell'altro appartiene al padre Andrea. - A questo punto svegliossi, chè la notte era ancora alta, nè potè più riappiccare il sonno. Se non che quella apparizione, che le era sembrata così vera, quelle parole soavi dettele dal frate, e quella promessa di felicità, le aveva infuso un po' di tranquillità nel cuore, talchè le lagrime non le piovevano più così dirotte, e i singhiozzi erano meno frequenti. Finalmente, venuto il dì, e insieme colla luce la speranza, sorse in piedi e avvicinossi alla finestra, tanto per riconoscere il luogo dov'era stata condotta; ma la finestra, come abbiam detto, anzichè ricevere la luce dall'alto, la riceveva dal basso, e non alzavasi più di due piedi del suolo, sicchè non lasciava vedere che poco spazio di terreno al di fuori. Quanto al cielo, la vista n'era affatto vietata. Lo Scannapecore aveva scelto a bella posta quella topaja, prima perchè era lontana da ogni luogo abitato, poi perchè voleva sgomentare anzi tratto l'animo della Cecilia e piegarlo col rigore. Il suo piano ei l'aveva già bell'e formato, e sperava che mostrando tutta la severità in sulle prime, poi raddolcendosi a poco a poco, avrebbe conquistato quell'animo schifo, salvo ad adoperare la violenza a caso disperato.

Ma questa volta il nostro canattiere aveva fatto i conti senza l'oste, perciocchè il dì appresso, mentre appunto stava per avviarsi alla volta della prigione, lo raggiunse un messo spacciato in fretta in fretta dallo Sciancato, il quale avvertivalo di tenersi in pronto con un centinajo di cani per recarsi tosto a Marignano a scortare il Duca nella caccia che voleva tenere. Nello stesso tempo gli faceva sapere che un nuovo passatempo avrebbe avuto luogo sul davanti del castello; laonde si sbrigasse se bramava goderne la sua porzione. Ad ogni modo, si trovasse sullo spianato non più tardi del mezzodì colla solita comitiva di cani e di canattieri, ch'egli lo avrebbe aspettato colà in compagnia di Girardolo della Pusterla e di alcune lance. Tali essere gli ordini di Barnabò, il quale aveva già preso la volta di Marignano.

Lo Scannapecore maledì per la prima volta in cuor suo quell'immensa smania di cacciare nel Duca, e appena si racconsolò un poco nel pensare che piacere differito non è perduto, anzi acquista pregio e diventa più ghiotto. Pertanto corse a dar avviso della partenza ai compagni, e lesti lesti, preparata ogni cosa, s'avviarono alla volta del castello di porta Romana, tenendosi in mezzo i cani assicurati a due a due per mezzo di guinzagli e di una lunghissima corda. Essi giunsero sullo spianato in tempo che lo spettacolo era finito e la gente tornavasi tristamente a casa. Lo Sciancato, che stava per rientrare co' suoi nel castello, li vide spuntare dalla parte di s. Nazaro, e si trattenne sul margine del ponte levatojo. Quando furono vicini, voltosi allo Scannapecore, disse:

- Siete arrivati un po' tardi: la festa è già terminata. Se aveste udito come cantavano quei due gaglioffi: pareva che andassero a vespro e non a farsi bruciare.

- Che è stato? - Chi sono? - Che cosa han fatto? - Chiesero i canattieri tutti ad un tempo.

- A bel bello, figliuoli, disse lo Sciancato, la storia è un po' lunghetta e ve la racconterò per via. Ma ehi! soggiunse poscia, qui non siete tutti, dov'è rimasto Graffiapelle.

- Eh! quel balordo è più atto ad alzar mezzine che a fare il dover suo, rispose lo Scannapecore aggrottando la fronte. Jeri l'ho posto a custodia nella casa di quel tal armajuolo, e non so come, s'è lasciato accalappiare, ed è ritornato concio della persona che è una compassione. Oggi poi non ha voluto uscire, e ad ogni tratto gli salta fuori una nuova doglia, che par che voglia morire.

- Povero Graffiapelle! disse lo Sciancato, bisogna dire che jeri avesse il capo in cimberli più del costume.

- Stimo bravo io chi lo trova un minuto che non sia imbriaco, soggiunse lo Scortica; e in ciò poi non ha il torto. Viva il vino e l'imbriacatura.

/* Sempre brilli, sempre in festa,   La malìa non ci molesta. */

- Che il diavolo li porti, sclamò lo Scannapecore. Se quel balordo non fosse stato così affogato nel vino e nelle percosse, questa notte avremmo avuto un più bel giuoco, e avremmo riso di miglior voglia.

- Eh! tant'è tanto io ho fatto la mia parte, disse lo Scortica, e ho proprio riso di cuore, quando udii quel poveretto cader giù dal tavolo e dar del capo sul suolo. Certo egli ha creduto di sprofondare fino in fondo all'inferno.

- E quando l'abbiam coperto col lenzuolo, disse Randellajo, e l'abbiam portato intorno alla camera. Allora sì, che avrà fatto conto di esser caduto in mano dei diavoli.

- Che? che è stato? dite su, compagni, chiese lo Sciancato in atto di meraviglia.

- Impara a star tutta la notte dall'Ambrosiolo, e a far il patito dietro un carcame di tosa, dissegli lo Scannapecore. Così hai perduto un divertimento dei più saporiti.

- Pazienza, rispose lo Sciancato, me ne ricatterò un'altra volta. Ora, ecco messer Girardolo insieme col Medicina. Andiamo, che è tempo.

Ciò detto, si sfilarono tutti in ordine, e presa la via che conduceva a porta Romana, s'avviarono a Marignano.

 

 

 




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