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Vincenzo Padula
Persone in Calabria

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UNA STORIA CHE PARE ROMANZO

Il giorno 24 marzo il brigante Giuseppe Scrivano ebbe in quel di Campana due palle calde calde nel petto. Il pubblico ha plaudito, dicendo: abbiamo un brigante di meno, e il pubblico si è ingannato. Avete letto qualche volta la Spia di Cooper? Quel poverino muore esecrato e con in fronte la macchia di traditore, e nondimeno era una vittima sull'altare della patria. Ebbene! Giuseppe Scrivano era la Spia di Cooper.

Giuseppe Scrivano, nato in Celico nel 1839, fu sempre un buon diavolaccio fino al 1860. A quel tempo di subbugli, di rancori e di sospetti, la guardia nazionale era sempre sotto l'armi: una punta di essa facendo la ronda la notte del 14 agosto si abbatte in un capannello di persone. Si grida: — Chi è ? — Non si risponde; si torna a gridare, e dura il medesimo silenzio; vi erano ordini precedenti del Capitano, e si eseguirono; le guardie nazionali fan fuoco, il capannello si sperpera, un individuo vi resta ferito, un altro morto con proiettili di vario calibro; e tra quelle guardie nazionali era Giuseppe Scrivano. Di questo fatto non si tenne parola: Giuseppe Scrivano combattette i regii in Soveria, tornò in paese, e visse tranquillo fino all'ottobre di quell'anno. Ma un giorno si cattura Arnone. Arnone era guardia nazionale, Arnone era suo compagno nella notte del 14 agosto quando un uomo fu ucciso, sa che a lui e ad Arnone vien recato quell'omicidio, e lo Scrivano, che non ama certo di andare in gattabuia, emigra nella marina, piglia servizio col signor D. Raffaele Cosentino nella contrada Zinga, e vi si trattiene fino all'aprile del Sessantuno. Il Cosentino apprende che una grave imputazione gli pesa sopra le spalle e gli il benservito. Lo Scrivano allora si butta in campagna, fa il brigante, e quante imputazioni gli si dessero in quel tempo i lettori nostri già lo sanno, perché la fede di perquisizione di lui si è renduta di pubblica ragione.

All'ottobre del 1862 lo Scrivano si conduce notturno in casa di Carmine Rosanova, e gli dice, essere stanco della vita del brigante, quella vita non fare per lui, volersi presentare, ma, pria che ciò seguisse, intendere di prestare qualche servizio al governo, per ottenere qualche attenuazione di pena; ne parlasse al prefetto Guicciardi.

Carmine Rosanova era cugino dello Scrivano, era capo d'una squadriglia, e si presenta al Prefetto. — Questo dice lo Scrivano; che volete ch'ei faccia? — Distrugga, — rispose il Prefetto —, la comitiva di Palma.

Scrivano si pose all'opra. Il mattino del 26 novembre si conduce da Rosanova, e gli dice: — La pera è matura: stasera, a tre ore di notte circonda il casino di Agarò dei signori Monaco: la compagnia vi sarà tutta dentro. Rosanova si pose a capo di una punta di guardie mobili, mette nel segreto il capitano Alfonso Grandinetti, e via. Ma il tempo si butta a pioggia, l'acqua vien giú a catinelle, la forza giunge non piú alle tre, ma alle 8; si circonda il casino, ma la banda non vi era piú; i soli che vi trovassero, erano due briganti. La sera di quel di Palma seppe il fatto, si morse un dito, e disse: — Scrivano era il mio Giuda.

Lo Scrivano si tenne perduto. Tornò a chiedere al Prefetto: — Che ho da fare? — e il Prefetto gl'impone di tradire la banda di Pietro Monaco. Lo Scrivano obbedisce, e il tradimento avviene la notte del 23 dicembre. Una puntaglia di truppa e sei carabinieri guidati dal Rosanova e dal Delegato Pasqua tendono un agguato ai briganti. Pietro Monaco ebbe una ferita nella coscia, ma egli e la banda si salvarono.

Dopo queste due imprese fallite lo Scrivano non avea dove darsi di capo: Palma lo chiamava il suo Giuda, Monaco gliela avea giurata. Lascia la campagna, si presenta, ed entra nella squadriglia di Rosanova.

Ciò dispiacque a Pietro Monaco; ogni via di vendetta gli era preclusa; adoperare il ferro non poteva, adoperò la politica. Tentò di far credere al pubblico di essere egli in detta coi due cugini, e non vi riuscí; mandò a dire ad alcuni proprietarii: — Se volete mungere sicuramente le vostre vacche, trovate modo che Rosanova e Scrivano o siano catturati, od uccisi -; e qui il suo pensiero gli tornò per l'appunto.

Assediato da varii proprietari, il generale Orsini bevve grosso; credette all'accordo segreto dei due cugini coi briganti, e spiccò contro a quelli un mandato di cattura. Ma il Prefetto tolse di errore il generale; la cattura venne disordinata, e i due cugini furono lasciati quieti. Quanto finora abbiamo detto era stato governato dal Prefetto Guicciardi con l'intesa del Ministero; ma dopo che il Prefetto, per giustificare i due cugini, fu costretto a mettere nel segreto il generale, tutto quello che seguí, seguí con la piena intelligenza dell'autorità politica, e dell'autorità militare.

Lo Scrivano intanto sapeva che il suo passato era incancellabile, era certo che l'un o l'altro sarebbe chiamato a darne ragione, e, per ottenere un qualsivoglia addolcimento di pena, unica speranza che gli sorridesse era quella di distruggere alcuna banda brigantesca. Ma su quale fare assegnamento? Monaco e Palma lo aveano in conto di traditore; restava Bianco, ed egli pensò a Bianco.

Tra i compagni di Bianco erano, e sono tuttavia Oliveiro e Serra. Scrivano li conoscea, e dopo lunghe pratiche gli persuase ad abboccarsi seco in Celico, di notte, e nella casa di *. L'abboccamento seguí: si convenne che in un dato giorno Oliveiro e Serra si sarebbero trovati con Palma, scevro dagli altri compagni, in un punto posto; Scrivano gli si sarebbe presentato sotto il pretesto di un sequestro, e durante il colloquio lo avrebbe accoltellato.

Arriva il giorno dato. Scrivano si mette in via per entrare nella gola del lupo, giunge al luogo convenuto: ma ahimé Palma non era solo con Serra ed Oliveiro: tutti i briganti armati fino ai denti gli faceano corona. Scrivano si tenne spacciato: gli rimproverarono il tradimento tentato in danno del loro compare Monaco, e compare Palma, e Scrivano si difese. Protestò la sua fedeltà, il suo amore alla vita brigantesca, e propose il sequestro da farsi. Pare che l'affare sia buono, rispose Bianco; ma vo' dormirci sopra. Si tolse dalla ladra della giacchetta dieci piastre, e gliele diede. Scrivano, cui non pareva vero di esserne uscito a buon mercato, rifece i suoi passi.

Ma l'idea, in che si era fitto, non potea lasciarlo in riposo. Al novembre del 1864 si pensò al modo di farlo rientrare nella banda di Palma, addormentando i costui sospetti, e si concerta una farsa. Scrivano entra nel suo paese Celico, accatta una briga, impugna l'armi, fa il diavolo a quattro, accorrono i Carabinieri, viene arrestato, e messo dentro. Era questo il primo atto. Dopo alquanti giorni di prigionia bastanti a far si, che Palma venisse in cognizione del fatto, Scrivano è tratto fuori, i Carabinieri lo accompagnano e lo menano in Cosenza. Ma via via Scrivano rompe le manette, i Carabinieri attaccano un terribile sagrato alla piemontese, e punf! e panf! Scrivano se la svigna tra le palme innocenti. Era questo il secondo atto; gli attori stettero in carattere, e gli angioli custodi si guardarono con facce di stucco, né il piú lieve sorriso si tradí. Il pubblico diede in ciampanelle, e ne volle ai Carabinieri, ne volle alle Autorità; in ciampanelle dié pure Palma, e quando Scrivano gli si presentò tremante d'ipocrita paura, lo accettò. «Tu ti sei compromesso, — gli dice Palma, — lo so: scordo il passato e ti ricevo, a patto però che mi presti un servigio». «Comanda pure». «Conosci un tal Giuseppe Pantusi?» «Lo conosco; è capomandria del signor Lupinacci». «Ebbene, Giuseppe Pantusi ha ucciso un nostro compagno, ed io, per quanto è vera la morte, ho da vendicarlo. Tu, e non ci è Cristi, tu devi ucciderlo; a questo patto scordo che fosti il mio Giuda, e ti accetto».

Scrivano ritrovò le sue orme, e mandò a dire al Prefetto: «Che ho da fare?» Il Prefetto si chiama il Pantusi, e gli dice: «Pantusi, tu devi farti uccidere». Pantusi impallidí. «Tu devi farti uccidere, — ripigliò il prefetto, — ma resterai vivo, e terrai la bocca chiusa fino a mio ordine». Al Pantusi piacque il gioco, ed accettò.

La sera del venticinque dicembre il paese di Celico era in baldoria: il popolo in veglia festiva celebrava il Natale, falò per le vie, luminarie per le finestre, suoni di zampogne per tutto. Pantusi esce di casa. «Dove vaichiede la famiglia. «A fare un atto piccolo», risponde Pantusi. Dopo un momento si ode una fucilata, grida di Pantusi, grida e bestemmie d'uomo che lo insegue, il popolo trae a quel buggerio, e si vede Scrivano con un pugnale brandito essere a tocca e non tocca dalle spalle del fuggente. Alla dimane, perizia del Regio Giudice, dichiarazione del Pantusi, informi dei Carabinieri, ed ecco su un processo bello e fatto addosso allo Scrivano per mancato omicidio.

Palma cadde nella trappola: non dubitò piú della fede, ma della fortuna dello Scrivano, e lo tenne seco.

Lo Scrivano avea raggiunto lo scopo, non capia per la gioia nella sua pelle, ed attendeva pochi altri giorni per dar lingua di sé a Rosanova, ed ordinare l'impresa. Ma il diavolo vi cacciò in mezzo la coda, Rosanova fu catturato, e l'impresa andò a monte.

Noi non ci facciamo avvocati del Rosanova, ed esaminiamo il suo passato: la storia di ogni uomo comincia col peccato originale; ma i servigi da lui fatti sono innegabili. I briganti ne volevano i brani; Pietro Monaco, che avea sequestrato Falcone di Acri, chiedeva al costui fratello quale unico prezzo di riscatto o la cattura, o la uccisione di Rosanova e di Scrivano. Ebbene: i manutengoli dei briganti ed i congiunti dei manutengoli catturati e dei briganti uccisi, parte denunziano, parte attestano mille misfatti a carico del Rosanova, e questi si manda in prigione giusto alla vigilia di rendere il piú segnalato servizio alla provincia!

La cattura del Rosanova fu un colpo di fulminepel povero Scrivano; il suo braccio dritto era stato reciso. Non si scora però; costruisce una capanna, la fornisce di tutte le commodità della vita, vi porta quattro bellissime brigantelle, e dice a' diciotto compagni di Palma: «Sverniamo qui». Il partito fu accettato. Per due mesi la provincia non ebbe piú nuove di Palma, e Scrivano, che attendeva di giorno in giorno la liberazione del cugino, si rodeva dalla bile.

Il 12 marzo non ne potette piú. Chiede licenza di allontanarsi per pochi giorni, e si presenta alla moglie di Rosanova. «Sorella mia, — le dice, — fa sapere a tuo marito che io son pronto. Che si vuole? La cattura di tutta la banda? Venga tuo marito con la sua squadriglia, e l'avrà. Mandarci in iscambio soldati non si può; perché la mia vita correrebbe pericolo per parte dei soldati, che non mi conoscono, per quella dei Briganti, che mi fredderebbero. Io come io non posso che uccidere Palma, e due compagni di lui, e ne ho sempre la occasione. Il prefetto si contenta del capo di Palma? Si contenta del capo di due soli briganti? Lo dica, e sarà servito».

Il giorno 13 la Mariantonia scendeva in Cosenza, e visitava nella prigione il suo marito Rosanova; la sera del medesimo giorno il Rosanova informa di tutto il prefetto, e il prefetto mandava a Scrivano cento lire, e queste parole: «Non intraprenda nulla per altri pochi giorni».

Che aspettava dunque il Prefetto? Che la causa di Rosanova si fosse discussa e ch'egli avesse la soddisfazione, come già per quella di Pinnolo e Bellusci, di fare una retata e pigliare ad un tratto tutta quanta la comitiva di Palma. Ma la fortuna aveva altrimenti disposto. A quanti plaudono all'evento fortunato, so che l'impresa, nella quale si era imbarcato il Guicciardi con tanta perseveranza, con tanta abnegazione e con tanto stoicismo da ridersi delle maligne chiose fatte dal pubblico a tanti atti da esso non compresi parrà strana per non dir peggio; ma noi, e con noi quanti onesti patrioti ha il paese, non ci stanchiamo di ammirare l'energia e l'intelligenza del Guicciardi, e quell'avere con la virtú sua contagiato (mi si permetta la frase) l'animo di uno Scrivano, di un povero tanghero, ed instillatavi la virtú del sacrifizio. Ma secondo il facile giudizio del volgo, guai a chi non riesce! ed è pur bene che in tutti i fatti da noi fedelmente esposti egli fosse stato in detta col Ministro e con le autorità militari.

Dopo l'ordine ricevuto, Scrivano dunque parte da Celico il giorno 20 marzo con due guide per raggiungere Palma. Arrivato al luogo del consueto ritrovo è fermato da un contadino che gli dice: «Non andare piú oltre; Palma e compagni si sono a due condotti nelle montagne di Scala per un servizio, ed io son qui per dirti a loro nome di non muoverti ed aspettarli». Scrivano aspettò. La mattina del 23 i briganti Vulcano, De Luca e Reda càpitano da lui; ei mandò via le due sue guide di Celico, e si caccia coi tre briganti nel bosco delle Pianette.

Ma l'ora fatale era suonata, e Scrivano non dovea piú uscirne.

Il bravo capitano Martinotti comandante il distaccamento del diciannovesimo Bersaglieri stanziati in Cropalati ebbe da informazioni particolari la presenza di briganti nelle Pianette di Campana. Credendo per chiapparli insufficienti le sue forze, benché vi fosse un'altra compagnia mandata dal Maggiore e comandata dal Capitano Fessore, invitò l'altro Capitano signor Baroncelli ad occupare con le G. N. di Campana il punto tra Ronza vecchia, e la Scanzata di Bocchigliero; mandò alla destra di lui alle falde di monte Santangelo il sottotenente Della Beffa con 24 guardie nazionali di Pietrapaola, alla sinistra il Capitano Fessore con la propria compagnia e quattro militi di Caloveto, ed egli il bravo Martinotti con due Carabinieri ed altre guardie nazionali si collocò alla destra del sottotenente. La notte del 22 li vide tutti immobili al loro posto; spunta l'alba del 23, ed una colonnetta di fumo che si levava queta queta da un pagliaio dice al Martinotti che colà si appiattassero i briganti. Di presente mette in agguato ed in varii punti le sue forze. I briganti erano tre, si avveggono di essere presi in mezzo, e catellon catelloni procacciano di traforarsi una scappatoia. Si abbattono nel Sergente dei Bersaglieri Carlo Caleri. L'animoso Sergente sgrilletta la sua carabina, uno ne fredda, e due ne fuga. I due fuggenti allibiscono, cercano di salvarsi per vie diverse; e il primo fu avventurato. in una punta di guardie nazionali; queste gli scaricano addosso i fucili; ma i fucili si trovavano carichi a piombo minuto, il brigante mette un grido, spicca una capriola e si salva nel bosco, dove non fu possibile scovarlo. Ma l'altro trovò il suo dovere. giusto nel muso di Martinotti, e vederlo, e scaricargli sopra il fucile fu tutto uno. Non lo coglie. Martinotti gli tira, lo piglia nel petto, e lo manda a terra. Ferito, sanguinoso, impolverato, il brigante si rialza e scarica la seconda canna del suo archibugio sul bersagliere Giovanni Bertel. La palla fora al poveretto ambedue le mani, e gli si conficca nella coscia. A questo, il Martinotti e le guardie nazionali fanno fuoco ad un tempo, e il brigante cade per sempre sotto un diluvio di palle. Or chi erano costoro? Il brigante ucciso dal sergente Caleri era Pietro Maria De Luca da Longobucco. I compagni lo chiamavano il Sórice, ossia il topo; il modo della morte rispose a quel nome, ed ei finí nella trappola; ma l'altro che impavido spara e non coglie, che ferito cade, e si rialza, che si rialza e rende storpiato per tutta la vita un bersagliere era Giuseppe Scrivano.

È questa la storia di Scrivano. È sembrato assassino, e non era; tutti i misfatti segnati nella fede di perquisizione sono simili al mancato omicidio in persona di Pantusi: quel mancato omicidio vi è pure segnato, e fu una burletta. Il fine del Prefetto era santo e generoso; ma dovea egli valersi di un uomo che, se morte ora gli fa giustizia, aveva in vita una equivoca fama? Noi crediamo di . Palma era il terrore del Rossanese, il Prefetto per distruggerlo fe' appello all'interesse ed all'amor proprio di quanti onesti patrioti e potenti signori sono in quei luoghi ma chi lo secondò? nessuno. Fe' assegnamento dunque sopra un plebeo, sopra un preteso brigante, e il plebeo si dimostrò nobile, il brigante si dimostrò patriota. Non è riuscito, e canchero dia alla fortuna! ma chi perciò crede di poter lanciare una pietra sul sepolcro di lui, è per davvero ingeneroso.

5 aprile 1865.




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